27/04/2015
24/04/2015
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sabato 25 aprile
2015, RSI La1, 12.00
ca.
lunedì 27 aprile
2015, RSI La1, 23.15
ca.
un programma a cura
di Paolo
Tognina
Genocidio
degli armeni. Il testimone
svizzero
Una storia di
generosità, coraggio e
umanità
un
film di Paolo
Tognina
Nella
primavera di cent'anni fa, l'impero ottomano lanciò una vasta operazione di
eliminazione della popolazione armena presente sul suo territorio. Lo svizzero
Jakob Künzler, infermiere e chirurgo a Urfa, in Turchia, fu testimone del primo
genocidio del 20. secolo e con la moglie Elisabeth curò e mise in salvo migliaia
di uomini, donne e
bambini.
Con
gli storici Rolf Hosfeld e Hans-Lukas Kieser, il giornalista Emanuel La Roche,
il pastore di Hundwil - villaggio natale di Jakob Künzler - Paul Bernhard
Rothen
per rivederci
online
Paolo
Tognina
23/04/2015
Genocidio armeno. Il Consiglio FCEI per il riconoscimento da parte della Turchia
Il 24 aprile una delegazione KEK a Erevan per il centenario del
genocidio
Roma (NEV), 22 aprile 2015 - "In occasione del Centenario del
genocidio armeno che ricorre il prossimo 24 aprile, la Federazione delle chiese
evangeliche in Italia (FCEI) accoglie con convinzione l'appello del Consiglio
mondiale evangelico armeno ad unirsi nella preghiera affinché la Turchia
riconosca il genocidio come fatto storico". Così si è espresso con un'apposita
delibera il Consiglio della FCEI, riunito lo scorso 20 aprile a Roma. Con queste
parole ha aderito alla richiesta del pastore Joël Mikaélian, presidente del
Consiglio mondiale evangelico armeno (CMEA), nonché presidente dell’Unione delle
chiese evangeliche armene di Francia, a pregare per il riconoscimento da parte
della Turchia del genocidio armeno costato tra il 1915 e il 1918 la vita a 1,5
milioni di persone. Il pastore Mikaélian ha anche ricordato come l'Armenia sia
stato il primo paese ad adottare già nel 301 il cristianesimo come religione di
Stato.
Numerose altre chiese evangeliche hanno risposto all'appello del
pastore armeno, prima fra tutte la Federazione protestante di Francia (FPF), che
ha invitato le proprie chiese membro a dedicare nei culti del 26 aprile uno
speciale momento di preghiera alla ricorrenza. Anche le chiese protestanti
svizzere ricorderanno il genocidio armeno durante i culti di domenica prossima.
A questo proposito la Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera (FCES) ha
predisposto un'apposita liturgia che ricorda come nel 1915 molti dei
sopravvissuti trovarono rifugio proprio in Svizzera.
Anche gli organismi ecumenici ed evangelici di tutto il mondo si
preparano a ricordare il genocidio armeno: in particolare, il 24 aprile il
vescovo Christopher Hill e il pastore Guy Liagre, rispettivamente presidente e
segretario generale della Conferenza delle chiese europee (KEK), saranno in
Armenia dove ricorderanno l'eccidio insieme ad esponenti ecclesiastici, delle
istituzioni e della società civile. Solo la verità dei fatti storici e il
dialogo sincero possono condurre al perdono e alla guarigione delle memorie e il
genocidio del popolo armeno è oggi una ferita nel cuore dell'Europa che chiede
di essere sanata: questo il senso della visita in Armenia, come ha spiegato in
un'intervista all'agenzia SIR il pastore Liagre, sottolineando come serva ancora
la voce profetica delle chiese. A breve è inoltre prevista una conferenza
internazionale per il riconoscimento del genocidio armeno organizzata dal
Consiglio ecumenico delle chiese (CEC).
Tra le numerose iniziative in ricordo del Centenario del genocidio
armeno, la FCEI ha copromosso recentemente a Roma una settimana di incontri e
dibattiti dal titolo: "Armenia: metamorfosi fra memoria e identità".
Dove sono tuo fratello e tua sorella?
di Paolo Naso, coordinatore Commissione studi Federazione delle
chiese evangeliche in Italia
Oggi siamo dalla parte di Caino. A pochi giorni dalla strage a
poche miglia dalle coste libiche che ha ucciso centinaia di persone – in queste
ore si parla di circa 900 uomini, donne e bambini –, qualcuno ci chiede dove
siano i nostri fratelli, dove siano le nostre sorelle. E noi, come Caino,
rispondiamo che non lo sappiamo, che non siamo noi responsabili della loro vita
e della loro morte. Non lo siamo, perché “la colpa è dei trafficanti che hanno
caricato oltre ogni logica misura un barcone affollato di disperati”. Non lo
sappiamo perché “la colpa è dell’Europa che non si fa carico di questa
problema”. C’è perfino chi dice che non lo sappiamo perché gli unici veri
colpevoli della morte di Abele sono “coloro che aiutano ed accolgono i profughi”
e che sarebbe meglio istituire un “blocco navale”.
Ognuno ha la sua da dire per giustificare la sua innocenza e
scaricarsi da ogni colpa. Ma i corpi di Abele sono lì di fronte ai nostri occhi,
e sono tanti, ricorrenti, perfino prevedibili. E allora, chi lo ha ucciso?
La domanda risuona anche a Lampedusa e a Scicli (RG) dove opera
Mediterranean Hope (MH), il progetto promosso ormai da un anno dalla Federazione
delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Ed è una domanda lacerante e
dolorosa, anche per chi in queste ore sta facendo tutto quello che può per
accogliere, sostenere, curare persone ferite e provate. E tra queste persone ci
siamo anche noi che da qualche mese, con una newsletter, proviamo a raccontare
la nostra esperienza di MH.
Non ci rassegniamo ad esser dalla parte di Caino, noi che ci
identifichiamo con Abele e con le vittime. Ma intanto, al di là della nostra
intenzione e della nostra volontà, siamo parte di quel mondo che non vuole
trovare una soluzione a questo problema drammatico. Non vuole. Da mesi, come MH,
avanziamo una proposta e siamo pronti a dare il nostro contributo attivo e
diretto: l’idea - accolta da ampi settori del mondo delle associazioni, delle
comunità di fede e di alcuni settori politici - è quella di aprire dei corridoi
che consentano ai profughi di ottenere una protezione umanitaria presso le
ambasciate europee e quindi di viaggiare in condizioni di sicurezza. Se
condivisa a livello europeo, sarebbe un’operazione assai meno onerosa di Mare
Nostrum o di Triton; ripartendo i profughi tra vari paesi europei, i numeri
sarebbero assolutamente sostenibili e gestibili. Parliamo infatti di decine di
migliaia di persone per ogni paese, niente di più. Infine, si sottrarrebbero
risorse finanziare ai trafficanti e alle centrali politiche o affaristiche che
li controllano.
Tutto questo è tanto più sostenibile quanto più sarà l’Europa a
farsi carico di una nuova fase dell’azione umanitaria di soccorso dei profughi.
Da sola l’Italia non può farcela, come non ce la possono fare i paesi più
esposti agli approdi fortunosi dei profughi.
Ce la può fare quell’Unione che deve ritrovare la sua coscienza e
la sua anima più profonda che non è solo stabilità finanziaria e
burocratizzazione legislativa. L’Europa è nata nel sogno della pace e della
libertà. Ma questi valori non finiscono a Lampedusa.
Mare Nostrum ha molti partner, in Europa e negli USA. Ci
rivolgiamo a loro per lavorare insieme per liberarci dall’ombra di Caino della
nostra impotenza.
Serve una parola d’ordine comune e condivisa. La nostra è
“corridoi umanitari”. (Mediterranean Hope/nev-notizie evangeliche
17/2015)