Filippesi
2 , 6 – 11
Cristo
Gesù, il quale era in condizione di Dio, non
considerò un possesso per sé l’essere
uguale a Dio,
ma annientò se stesso prendendo
la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini.
Facendosi incontrare davvero come un uomo, umiliò
se stesso, essendo divenuto obbediente sino alla
morte,
e alla morte di croce. Per
questo Dio lo ha sovranamente innalzato e gli
ha fatto grazia del nome
che è al disopra di ogni nome, affinché
nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei
cieli, sulla terra e negli abissi,
e ogni lingua confessi che Gesù
Cristo è il Signore a
gloria di Dio Padre.
In Paolo noi
leggiamo alcuni testi che non sono suoi. Sono degli inni delle comunità che
riprende ed inserisce nelle sue lettere. E dal momento che le lettere di Paolo
sono i più antichi scritti cristiani in nostro possesso, quegli inni, che sono
addirittura più antichi delle lettere, rappresentano allora la primissima voce
dei credenti arrivata fino a noi, una voce che risale anche a quasi solo venti
anni di distanza dalla morte e risurrezione del Signore.
Il più famoso di quegli inni “primordiali”
è quello che abbiamo ascoltato dall’epistola ai Filippesi.
É bello ed è prezioso, dare voce oggi a
quest’antichissima voce, perché questa superba confessione di fede della
primissima cristianità ci ricorda che l’evento Gesù è così grande che ogni
banalizzazione, anche coi più sinceri buoni sentimenti, di ciò che lo riguarda,
è qualcosa di grave, è quasi una bestemmia.
I.
“Cristo
Gesù, il quale era in condizione di Dio, non considerò un possesso per sé
l’essere uguale a Dio, ma annientò se stesso prendendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini”.
Era “uguale a Dio” e “annientò
se stesso”. I credenti delle prime comunità vedevano nel bambino nato
a Bethleem né più né meno che l’annientamento di Dio! Questo è la
verità di quell’evento di duemila anni fa che oggi ricordiamo. E allora è
l’impensabile! Colui che “era nel principio, e era presso Dio, e era
Dio… la Parola, il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutte le cose son ostate
fatte, e senza la quale assolutamente nulla è stato fatto”, s’è fatto
una creatura, un batuffolo di carne e di sangue. Siamo davanti al “mistero dei
misteri”… siamo alle prese con la vertigine…
Di più. Questa è la “bestemmia” che le
altre grandi religioni monoteiste rimproverano al Cristianesimo: Dio, l’Altissimo e il
Santo, del quale dobbiamo stare attenti anche soltanto a pronunciare
il nome, perché lo si può solamente mormorare in alcuni momenti “con
timore e tremore”, si fa “servo”!
Davvero, quest’annuncio è insopportabile!
È un insulto alla maestà dell’Eterno, alla sua immutabilità e alla sua
onnipotenza.
Così gli altri credenti nel Dio unico
hanno reagito ed ancora reagiscono all’Evangelo dell’Incarnazione. E
così dimostrano di aver colto l’abisso che quell’evangelo ci spalanca sotto i
piedi, molto più di tanti cristiani e cristiane che vivono con tutta
tranquillità la nascita di Gesù come la “bella poesia” del presepe…
In realtà, qui è tutto un mondo che si
capovolge, e quando il mondo si capovolge, nessuno più riesce a stare in piedi.
Ognuno deve capovolgersi anche lui…
“Oggi” –
così hanno detto ai pastori gli angeli dell’annuncio del Natale – “oggi
è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore” (Luca 2,11). E
nulla è più, e nulla può più essere, come prima. Il mondo, la vita, la morte,
il senso delle cose… tutto cambia! E anche noi dobbiamo cambiare. Se tu
intuisci anche vagamente che in quel bambino che nasce, “Dio si
annienta”, questo non può non sconvolgerti la vita: o provi orrore, o
il cuore ti si gonfia di stupore.
Quello stupore, e la riconoscenza…
l’entusiasmo che ricolma quest’inno che Paolo ci ha
trasmesso: “Cristo Gesù, il quale era in condizione di Dio… annientò se
stesso…divenendo simile agli uomini”.
C’è qui davvero tanta meraviglia. C’è la
sorpresa di chi è alle prese con l’impossibile, e pensa di sognare e poi si
rende conto che… no… non sta sognando e invece sta contemplando la realtà. E si
rende anche conto che tutto questo è accaduto ed accade per lui, che se Dio in
Gesù “ha annientato se stesso”, l’ha fatto per me! Perché mi
ama. Ama me, proprio me!
Ma allora, se mi sento insignificante, ora
so che non è così. Perché so che per lui, per il mio Dio, io sono importante;
so che lui tiene a me al punto che s’è svuotato di se stesso per farsi come me,
per dare senso, redenzione, gioia alla mia vita! Allora, se mi sento povero e
miserabile, so che non è così. Io adesso sono ricco, sono un vero nababbo,
perché Dio adesso è mio… adesso mi appartiene come io appartengo a lui. E se mi
sento solo e abbandonato, so che in quel bambino Dio mi si è fatto vicino, s’è
fatto mio fratello, il mio compagno di strada che non mi lascia più, qualsiasi
cosa accada…
E lo stupore a questo punto si fa gioia,
si fa entusiasmo ed inno…
Perché poi, non soltanto nel bambino di
Bethleem, Dio s’è fatto “simile agli uomini”, ha cioè
condiviso la nostra condizione, ma ha poi portato questa condivisione fino al
suo compimento. E così la parabola della storia dell’uomo Gesù di Nazareth,
iniziata sul legno della mangiatoia si chiuderà su un legno ben diverso: “Umiliò
se stesso, essendo
divenuto obbediente sino alla morte, e alla morte di croce”.
Gesù è nato per morire, come tutti noi. E
morirà su un patibolo, della morte dei malfattori. Ma proprio perché in lui è
Dio che s’è reso presente in mezzo a noi, la morte non ha potuto trattenerlo
nelle sue grinfie. Gesù è stato strappato via da quegli artigli, e la potenza
della divinità ha annientato colei che lo annientava. E con lei ha sconfitto,
una volta per tutte, il male ed il peccato.
E alla vittoria fa seguito il trionfo: “Dio
lo ha sovranamente innalzato e gli ha fatto grazia del nome che è al
disopra di ogni nome”, e adesso davanti a lui è necessario e giusto
che “si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e negli abissi, e
ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre”.
C’è qui davvero come un santo entusiasmo,
una gioia esplosiva.
Quei poveri, sparuti primissimi cristiani,
sovente emarginati, a volte perseguitati, confessano Gesù come l’unico “Signore” (lui,
e non il Cesare di Roma!) davanti al quale ci si deve
inchinare, e chiamano l’universo a unirsi a loro. Ogni realtà che ha vita deve
adesso prostrarsi e celebrare colui che “essendo uguale a Dio”, è
nato, è morto, è risorto per tutti.
Davvero questo è l’inno della gioia
cristiana. La gioia dirompente di chi ha scoperto in Gesù la grande offerta di
vivere finalmente da uomo e donna liberi.
II.
Ma liberi
da chi?… o da che cosa?…
C’è un particolare in questa confessione
di fede, che ci può forse aiutare a capire perché quegli uomini e quelle donne
erano così gioiosi della libertà ricevuta in dono dal Signore. È là dove la
confessione afferma: “nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei
cieli, sulla terra e negli abissi…”.
Il mondo in cui il cristianesimo è nato,
nonostante la pax romana imposta a tutti, era in preda a una
grande insicurezza, perché aveva un principe in terra, ma non aveva più dèi in
cielo. Le divinità tradizionali della Grecia e di Roma erano ormai invecchiate,
irrimediabilmente. Non avevano più credibilità. Si continuava, certo, ad andare
ai loro templi, a offrire loro doni e sacrifici, lunghi cortei e splendide
cerimonie, ma quasi nessuno credeva più alla loro reale esistenza. Erano figure
simboliche, splendide personificazioni della sapienza umana e dei poteri che
conducono la storia, dei sogni degli umani e delle realtà e dei fenomeni
naturali, come il cielo, il mare, le sorgenti, i fiumi, i boschi, la pioggia.
Ed era bello, era doveroso, era “da cittadini dell’Impero” rendere loro
pubblicamente omaggio. Ma nessuno avrebbe più seriamente affidato la sua vita e
le sue speranze a “Giove Ottimo Massimo” e ai suoi fratelli e
sorelle.
I vecchi numi dell’Olimpo, insomma,
si stavano sgretolando, e non ce ne erano nuovi all’orizzonte. Ma se mancano
gli dèi, il cielo allora è vuoto!
E poiché gli esseri umani hanno sempre
avuto il terrore del vuoto, ecco che, per riempirlo, arrivano gli spiriti. Ogni
cosa si popola di un brulichio di esseri misteriosi, di origine e di fattezze
incerte, benigni o maligni, o benigni e maligni al tempo stesso, potenti oppure
deboli, seri e burloni. Una turba invisibile, eppure ben presente, che ricolma
ogni spazio, ogni recesso, e si agita e si muove senza posa attorno all’uomo ed
alle sue dimore, e nelle profondità stesse della terra; appunto: “nei cieli,
sulla terra e negli abissi”…
E è una presenza ti mette a disagio. Ti
senti nudo, impotente ed inerme davanti al male, ed anche al bene che
potrebbero farti; senti di dipendere dai loro capricci, dal loro buono o
cattivo umore…
E non soltanto questo. Se mancano gli dèi,
se il cielo resta vuoto, non soltanto gli spiriti, anche le potenze terrene
aumentano di forza, si fanno più incombenti, minacciose.
È proprio così. Se non ci sono i signori
del cielo che li frenano, i signori della terra, i re e i grandi del mondo, non
hanno più alcun limite alle loro pretese di dominio. Abbiamo già accennato
ai Cesari, agli imperatori di Roma: non a caso rivendicheranno
per sé quel posto vuoto in cielo e il titolo di “Dominus et Deus”,
“Signore e Dio”, e in questo modo vorranno impossessarsi non soltanto
dei corpi e dei denari, ma anche delle coscienze di chiunque sia sottoposto
alla loro signoria.
In questa situazione, è difficile, è quasi
impossibile non essere inquieti, non sentirsi in pericolo, e sotto un giogo
sempre più pesante. E allora cerchi aiuto, cerchi una via di scampo dalla
dipendenza dagli spiriti “dell’aria, della terra e degli abissi”, e
anche una via di scampo dall’oppressione dei potenti che vogliono impossessarsi
del tuo animo. Non a caso, l’epoca della nascita di Cristo è stata l’epoca
d’oro dei maghi, dei fattucchieri, degli astrologi, dei ciarlatani di ogni
origine e tipo, dei riti più bizzarri, di chiunque affermava di avere “la
risposta”, di conoscere la via e i mezzi per poterti salvare, per vincere
l’angoscia che devastava tanti…
Ma ecco un “lieto annuncio” diverso
da ogni altro comincia a circolare e a scuotere e a stupire tutto il mondo
romano. È l’“evangelo” di Gesù Cristo, che si rivolge a tutti, ma
soprattutto agli umili, ai poveri, agli schiavi e alle schiave, a chi non può
permettersi nemmeno il più scalcinato dei maghi, e proclama che “è nato
un Salvatore, che è il Cristo, il Signore”; e questo “Salvatore”,
nato “povero tra i poveri”, da povero è vissuto e da povero è morto,
della più miserabile delle morti.
Ma era davvero “il Signore”. È
stato ed è il “Dio con noi”, che ha nel cielo il suo trono da
cui nulla e nessuno potrà mai spodestarlo, e che pure ha lasciato di sua
volontà, per farsi gratuitamente, per amore!, uno di noi.
E prima in pochi, e poi sempre più
numerosi e consapevoli, e con sempre più gioia, tanti sudditi e le suddite
dell’impero si sono aperti a questo incredibile, sconvolgente, bellissimo “lieto
annuncio”. E si sono scoperti felici. Hanno scoperto di non avere più
paura: nessuno spirito più o meno capriccioso, nessun potente assetato di
dominio potrà più fare loro veramente del male, perché l’unico vero Dio Signore
del cielo e della terra, adesso è il loro Dio.
Cristo è nato per vincere, ed ha
vinto! “Ha annientato se stesso”, perché ha avuto pietà del nostro
smarrimento e, con la sua umiliazione e la sua morte, ha trionfato sul potere
bizzarro degli spiriti e su quello terribilmente “normale” dei principi del
mondo. Dio lo ha risuscitato, e gli ha restituito “la gloria” che
era sua “prima che il mondo fosse” (cfr Giovanni 17,5).
Adesso, tutto è finito. La minaccia degli
spiriti maliziosi che infestano ogni luogo, ogni realtà, il giogo blindato dei
potenti, anche il potere implacabile del fato, la forza del destino scandito dalle
stelle che con il loro corso tenevano nel pugno le sorti degli umani, ora tutto
è sconfitto! Adesso, chi appartiene a Gesù Cristo è libero per sempre, perché
lui è veramente, come cantano gli angeli del Natale: la “pace sulla
terra agli uomini che Dio ama”. Sì, Gesù è il vincitore! Del male,
della morte, di ogni cosa.
Ecco allora chi era Gesù per quei nostri
primi fratelli e sorelle nella fede.
Ecco cosa voleva dire per loro la sua
nascita (il suo benedetto “annientamento”): Dio che irrompe
nel mondo e si fa mondo, per sottoporre a sé le potenze dell’aria, della terra,
degli abissi del mondo. Per questo, quegli uomini e quelle donne non potevano
non essere colmi di quell’entusiasmo la cui eco è arrivata, integra e
contagiosa, fino a noi.
Sì, “contagiosa”. Dall’apostolo
Paolo noi sappiamo che le prime comunità cristiane erano cosi ricche
di fede e di gioia, che capitava che se qualcuno si trovasse ad assistere per
la prima volta a una loro assemblea, ad un loro culto, spesso si alzasse in
piedi ed esclamasse: “Davvero Dio è presente in mezzo a voi!” (cfr 1
Corinzi 14,25).
III.
Ci siamo
riportati al primo secolo, a quel tempo di spiriti fluttuanti, di potenze
dell’aria e della terra, di vecchi dèi malati. Un tempo apparentemente agli
antipodi del nostro tempo, della nostra cultura e mentalità tecnico-scientifica
di uomini e donne del ventunesimo secolo. Eppure sono convinto che proprio oggi
noi ci troviamo a vivere l’epoca che forse più di ogni altra di questi duemila
anni, è vicina a quel remoto primo secolo.
Allora – abbiamo detto – gli dèi
tradizionali erano moribondi e non ce ne era di nuovi all’orizzonte. Oggi,
tutto un modo antichissimo di concepire e vivere la religione è entrato in
crisi. Siamo nell’epoca del “post”: siamo postmoderni e anche postcristiani. E
sentiamo l’orrore del vuoto, e siamo alla ricerca spesso affannosa di un nuovo
modo di vivere il nostro rapporto col trascendente, con quella che alcuni
chiamano “energia cosmica”, che possa dare un senso all’universo.
Allora, il cielo vuoto aveva favorito
tutto un proliferare di spiriti, demoni, forze occulte, e di maghi, stregoni,
ciarlatani. Oggi, basta guardarsi attorno. Quanti dei nostri contemporanei
abituati a viaggiare in turbo jet e ad essere un tutt’uno col
computer, l’iPad, il cellulare, affidano le loro angosce e le loro
speranze a nuove forme più o meno strane e esotiche di spiritualità,
religiosità, magia, confidano in credenze misteriose, si lasciano guidare
dal guru o dall’oroscopo…
Allora, sempre quel cielo vuoto, rendeva
più oppressivo il dominio dei potenti, oggi il nostro “cielo vuoto” apre sempre
nuovi spazi di conquista ai poteri finanziari ed economici, al terreno e
terreste “dio mercato” ed ai suoi sacerdoti; e c’è poi ancora
il potere dei politici, e dei media, e delle mode; e c’è il senso
di una crisi profondissima che è economica, e non è solo economica, ma è una
crisi di sistema, ed è crisi morale, culturale, antropologica, crisi di
prospettive…
Davvero, non siamo per niente lontani da
quel lontano primo secolo…
Come per quegli antichi uomini e donne la
cui fede è arrivata sino a noi nell’inno di Filippesi 2, si
tratta anche per noi di riscoprire, nell’evangelo del Dio che si fa
uomo, il lieto annuncio della nostra libertà. Di dare anche noi ascolto al
canto di Bethleem: “Oggi è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo,
il Signore”, come alla proclamazione gioiosa dell’avvento del “Grande
Vincitore” su tutto quello che ci rende schiavi.
Quell’evangelo ha sconvolto,
stupito, innamorato, ricolmato di gioia tanti uomini e donne di duemila anni
fa, ed il loro entusiasmo è ancora oggi risuonato per noi. Sia questo l’evangelo di
questo ennesimo Natale di crisi, e ci contagi con il suo entusiasmo.
Io ho un sogno di Natale. Colui che è nato
per essere “confessato” come “il Signore a gloria di
Dio Padre”, ci conceda, in un giorno che speriamo non lontano, che
qualcuno che si trovi per la prima volta ad assistere ad un nostro culto, resti
così colpito dalla nostra fede, e dalla luce dei nostri occhi e dei nostri
sorrisi, da alzarsi e dire: “Davvero Dio è presente in mezzo a voi!”.
Ruggero
Marchetti