1 Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. 2 Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra 3 e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». 4 Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio». 5 Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza. 6 Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
“Ascoltatemi”, dice il servo del Signore. Ascoltatemi,
vuol dire ascoltate Dio, ascoltate quello che Dio ha da dirvi.
Perché il servo del Signore è il servo della Parola del
Signore, ciò che egli dice non è la sua parola, la sua volontà, la sua
opinione, ma la parola e la volontà di Dio.
Chi è il servo del Signore, questo personaggio di cui
parlano alcuni brani del profeta Isaia? Non è chiaro chi sia: è una persona singola,
forse Isaia stesso? È il popolo di Israele? È il messia, atteso da Israele?
Lasciamo un attimo da parte questa domanda e
concentriamoci sul compito del servo, più che sulla sua identità.
Egli parla e la sua parola è rivolta al popolo ebraico in
esilio in Babilonia. Un popolo deportato, spogliato di tutto, della sua terra,
del suo tempio, della sua unità: parte del popolo deportato, parte rimasto in
patria, in una patria distrutta dai babilonesi.
Un popolo che ha perso speranza, rassegnato, che ha toccato
il fondo. Che si chiede se Dio lo abbia abbandonato. A questo popolo Dio manda
Isaia a dire parole di consolazione: “consolate, consolate il mio popolo”:
inizia con queste parole il discorso del profeta al cap 40, poco prima di
introdurre il personaggio del servo del Signore, inviato da Dio per ricondurre
Israele a casa.
Il servo del Signore è stato scelto da Dio: “fin
dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre”.
È stato scelto, eletto, Dio lo rende suo servo, che non ha
un significato negativo, ma esprime il fatto che il servo dice e fa la volontà
di Dio, non la sua, come un servo non fa quello che vuole, ma fa quello che
vuole il suo padrone.
Solo che quando qualcuno è servo di un altro essere umano
ciò significa schiavitù, cioè annullamento della persona e sfruttamento, essere
servo di Dio invece vuol dire libertà, il servo di Dio è il più libero degli
esseri umani, perché deve rendere conto solo a Dio.
La vita del servo si identifica con il progetto di Dio. Il
progetto di Dio diventa la sua vita. Dio sceglie e manda il suo servo al suo
popolo esiliato, per annunciargli la liberazione.
Il servo ha il compito di parlare, per questo invita
all’ascolto: ascoltate! Non ha altro compito che quello di parlare, di
annunciare: Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha
nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita...
Si menzionano armi, ma non confondiamoci: il servo di Dio
non è un combattente, non è un soldato, è un annunciatore, la cui unica arma è
la Parola di Dio, ovvero la parola che Dio gli dà da dire, da annunciare.
La bocca è come una spada, come dice la lettera agli Ebrei
(4,12): “la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque
spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le
giunture dalle midolla”.
La parola di Dio entra dentro, agisce, trasforma. Ma è
anche una freccia, che va lontano. Spade e frecce erano le armi rispettivamente
per i combattimenti da vicino, corpo a corpo, e da lontano. La Parola di Dio va
lontano, non ha limiti.
Deve manifestare la gloria di Dio non solo al e nel popolo
d’Israele ma a tutti i popoli. Per questo dice “isole, ascoltatemi, popoli
lontani state attenti”.
E come sarà manifestata la gloria di Dio? Nel fatto che
Dio libererà Israele, facendolo tornare alla sua terra, ma prima di tutto
facendolo tornare a sé, donando al suo popolo un nuovo inizio.
Dio – tramite il suo servo - va dal popolo, perché il
popolo torni a lui. Lo va a cercare nel dramma dell’esilio per ridargli futuro
e speranza.
La spada e la freccia sono immagini della Parola di Dio:
la Parola di Dio vincerà la battaglia contro l’oppressione babilonese e contro
la rassegnazione degli Israeliti.
Questo brano inizia insomma con una dichiarazione solenne
e una promessa: Israele tornerà al suo Dio e alla sua terra e la gloria di Dio
sarà così manifestata.
Ci stupisce quindi che il servo di Dio reagisca
così: Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho
consumato la mia forza”.
“Invano”: la parola che spesso ci tormenta. Invano ho
faticato. Non serve a nulla, tutto è inutile.
Persino il servo del Signore ha un momento di sconforto,
proprio come noi ne abbiamo, anche e proprio nell’impegno che mettiamo nella
vita delle nostre chiese e nella società.
Invano: la tentazione di mollare, di pensare che non serva
a nulla, che le cose non potranno che andare di male in peggio.
Ma – grazie a Dio – c’è un ma: ma certo, il mio diritto è
presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio».
Come se si fosse dimenticato per un attimo che c’è Dio
dietro al suo compito, come se ricordasse di nuovo che non è il suo progetto
che sta portando avanti, ma il progetto di Dio.
Il mio diritto e la mia ricompensa, potremmo dire il senso
e lo scopo di ciò che sto facendo, sono presso Dio, sono in lui, non in me.
Si riprende dallo sconforto perché Ora
parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo,
per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele;
Dio parla, o forse il servo lo ascolta di nuovo, perché
Dio non ha smesso di parlare.
Come capita a noi, che pensiamo che Dio non parli, mentre
siamo noi che abbiamo smesso di ascoltarlo. Dio parla e il servo ritrova senso
e speranza: io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia
forza.
Ridiventa consapevole che Dio è la sua forza, che non è la
sua forza che conta, ma è la sua debolezza nelle mani di Dio che diventa forza.
Persino il servo del Signore ha un momento di sconforto,
cade nella trappola dell’ “invano” e del “tutto è inutile”, ma poi ascolta di
nuovo, perché Dio parla e ritrova la sua vocazione, ritorna alla fonte della
sua vocazione e ritrova il progetto di Dio.
Dio parla e che cosa dice? Dio rilancia: Egli
dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e
per ricondurre gli scampati d’Israele;
È troppo poco: ecco un’altra perla della parola profetica,
della Parola di Dio: è troppo poco. Troppo poco ricondurre gli scampati di
Israele, troppo poco riportare gli esiliati nella loro terra, ridare libertà
agli schiavi, donare al suo popolo una nuova vita nella libertà.
Tutto ciò è troppo poco: voglio
fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle
estremità della terra».
All’estremità della terra: forse vi ricorda il racconto
dell’ascensione, quando Gesù manda i discepoli ad essergli testimoni fino
all’estremità della terra.
Il servo – o forse Israele come popolo, sono possibili
tutte e due le letture – deve diventare luce delle nazioni, strumento nelle
mani di Dio per portare la salvezza fino all’estremità della terra.
Ma noi come cristiani non possiamo non vedere nella figura
del servo del Signore la persona di Gesù, non possiamo cioè non leggere questo
brano in senso messianico.
Per noi è lui il servo, chiamato fin dal grembo di sua
madre, eletto prima della sua nascita per essere luce delle nazioni, salvatore
dell’umanità.
Luce delle nazioni, non solo del suo popolo Israele, e non
solo dei cristiani, ma dell’umanità intera.
La buona notizia infatti non è mai solo per te che
l’ascolti, non è mai solo per noi che l’ascoltiamo. È anche per chi non
l’ascolta, per chi non l’ha mai ascoltata e per chi non la vuole o non la può
più ascoltare.
Il Signore annuncia a noi che siamo qui il suo perdono, ci
dona consolazione e speranza per la nostra esistenza individuale e comunione
per la nostra vita comunitaria, ci dona momenti di condivisione e di gioia.
Ma questo è troppo poco. Tutto ciò è troppo poco,
l’orizzonte di Dio è più largo, Dio guarda sempre un po’ più in là di dove
arriva il nostro sguardo.
È troppo poco che tu, chiesa metodista di Intra o di
Omegna, ti occupi di annunciare la Parola a te stessa, che tu cerchi la tua
consolazione, la tua speranza e la tua gioia nell’evangelo. È troppo poco!
Perché la luce dell’evangelo non è solo per te, è per l’umanità.
Per questo il servo del Signore Gesù di Nazaret ha inviato
i suoi discepoli ad essergli testimoni fino all’estremità della terra.
Per questo anche noi siamo chiamati ad annunciare
l’evangelo, se non fino all’estremità della terra, almeno in ogni luogo dove
egli ci pone.
Ma prima di tutto anche a noi il Signore dice: ascoltatemi!
Perché Dio parla e nella sua parola è la nostra forza,
nella sua parola è la nostra consolazione quando cadiamo nel vortice dell’
“invano” e del tutto è inutile.
Ma non solo: nella sua parola è il riscatto, la speranza e
la gioia per tutta l’umanità.
Meno di questo, per il Dio di Isaia, che ha mandato il suo
figlio Gesù Cristo per essere strumento della sua salvezza fino alle estremità
della terra, sarebbe troppo poco.
E dunque: ascoltiamolo! La nostra fede, la nostra gioia e
il nostro amore per l’umano e per l’umanità possono solo nascere da questo
ascolto.