Isaia 55, 6 – 12a
6 Cercate
il SIGNORE, mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino. 7 Lasci
l'empio la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al SIGNORE
che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare.
8 «Infatti
i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie», dice
il SIGNORE. 9 «Come i cieli sono alti al di sopra della
terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più
alti dei vostri pensieri. 10 Come la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza
averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da
mangiare, 11 così è della mia parola, uscita dalla mia
bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e
condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata. 12 Sì, voi
partirete con gioia e sarete ricondotti in pace;
“Poiché i miei
pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie” v.8
Questo versetto 8, è
di una straordinaria suggestione e molto incisivo, come è incisivo questo bellissimo libro di Isaia da
cui oggi…al Cap. 55 ne abbiamo letto alcuni versetti.
Tema centrale di
questo testo, è l’affermazione del ruolo decisivo della Parola di Dio, che è
tutto quanto resta al popolo esiliato, anzi, la Parola è l’unica cosa che conta, perché
è l’unica cosa che sussiste in eterno.
E questa è anche
l’esperienza di tutto il popolo di Dio attraverso i secoli, la Parola di Dio
è l’unico tesoro che ci permette di andare avanti anche ai giorni nostri, la
Parola di un Dio che è sempre vicino agli esiliati e a noi e che ci dice: “cercate
il Signore mentre lo si può trovare”, questa è l’esortazione rivolta all’epoca agli
esiliati a Babilonia, perché non pensassero che loro erano in esilio e Dio
invece se ne stava nella terra promessa. Questo ci fa capire che, Dio non è
legato a una terra, ma è legato al popolo anche quando è in esilio, e Dio è vicino
a tutti gli esiliati; quindi, è vicino anche a noi quando ci sentiamo lontani da
Lui, abbandonati da Lui, esiliati appunto. Ma siamo sempre noi alla fine, che ci
allontaniamo da Dio, a volte per stanchezza spirituale, per sfiducia, così che rinunciamo
a cercarlo, ma Dio non si allontana mai da noi…dato che è il Dio “che non si
stanca mai di perdonare”, quindi non abbandona mai il suo popolo, anche se
talvolta segue vie che noi facciamo fatica a riconoscere, a decifrare, perché
sono le Sue vie e non le nostre vie.
E il segno più
forte di vicinanza che Dio offre al suo popolo è il dono continuo, inesauribile, della
Sua Parola.
Nell’immagine agricola
di questo brano, il valore della Parola divina, viene evidenziato al massimo, proprio
perché essa, è paragonata alla realtà più desiderata e attesa in una terra assolata
come è quella palestinese: “l’acqua”.
E come la pioggia
o la neve, la Parola non resta nei cieli della fantasia, ma penetra nel terreno
arido della storia, raggiungendone anche le pieghe più oscure. Dopo averci
fecondato, essa, ritorna a Dio fatta carne e sangue, cioè fede, preghiera e amore
dell’essere umano verso il suo Signore.
È un’immagine, dicevo, legata
al mondo agricolo, un mondo nel quale noi che viviamo in una società urbana, facciamo
fatica a riconoscerci; eppure, nonostante tutto, è un’immagine che tocca corde
molto sensibili del nostro cuore, perché i nostri tempi sono spesso tempi di deserto
dello spirito, che ci fanno desiderare, come la cerva del Salmo 42: 1, a
quell’acqua che è la Parola di Dio, il principio stesso della sopravvivenza
spirituale in questa steppa arida nella quale tante volte abbiamo l’impressione
di vivere.
La Parola di Dio, è
per noi qualcosa di cui abbiamo bisogno come dell’ossigeno per respirare, così
come abbiamo bisogno del pane, un cibo che, per l’antico Israele, come per noi, era
alla base del suo sostentamento, ma che, come disse Gesù, non era così importante
per la sopravvivenza come invece lo è la Parola di Dio, così come ci viene
descritta nel brano di Matteo 4, 1-4. Questo perché la
Parola autentica di Dio non si limita a informare, a far conoscere la volontà
del Signore, ma è anche operativa; non per nulla, il vocabolo ebraico dabar
(Davàr) designa contemporaneamente “parola” e “atto”, “detto” ed “evento”.
La Parola di Dio, dunque, produce vita, genera vita, feconda e fa germogliare come
dice Isaia, e questo risultato, lo ottiene in primo luogo, imponendo, a chi la
riceve, a guardarsi allo specchio, a mettersi a nudo…a lasciar cadere le maschere
e le illusioni, a capire chi veramente si è.
“La Parola di Dio
è vivente ed efficace”, dice Paolo
nella lettera agli Ebrei, perché è spada affilata e penetrante, perché separa, perché
giudica, perché distingue inesorabilmente il vero dal falso, perché ci dice la
verità su noi stessi, perché rivela noi stessi a noi stessi.
Ecco perché ne
abbiamo tanto bisogno, ne abbiamo bisogno come abbiamo bisogno del pane
materiale.
Ne abbiamo bisogno
della Parola, l’ho ripetuto ormai tante volte. Ma è davvero così?
Lo vediamo
davvero intorno a noi questo bisogno disperato, questa fame, questa sete della
Parola?
Ognuno di noi, in
cuor suo, sa già la risposta. Direi che questa pioggia benefica che Dio continua, per
sola grazia, a riversare quotidianamente su di noi, viene molto spesso, anche da
coloro che hanno scelto di appartenere ad una chiesa, nella migliore delle ipotesi, accettata
come “acqua fresca” insignificante, insipida, che scorre senza lasciar
traccia; tanto è, che spesso, notiamo che nei confronti della Parola vi è disattenzione
e noia, quando non vi è un radicale rigetto.
Che cosa
significa questo? Rappresenta una smentita della necessità della Parola? Rappresenta
la conferma che l’uomo può vivere benissimo di solo pane?
Certamente no !
L’essere umano ha
bisogno della Parola, ne ha un bisogno estremo.
Il problema, è che non
sa di averne bisogno, pensa di avere bisogno di tutt’altro, di potersi sfamare solamente
col pane del Fornaio, di potersi dissetare con l’acqua dei rubinetti o delle
bottiglie.
E la Parola non
può svolgere il suo compito se non le si offre un terreno pronto a riceverla,
come ci ha spiegato Gesù nella parabola del seminatore (Lc 8, 4-15).
Che cosa significa
terreno pronto, terreno disponibile a ricevere la Parola?
Può significare
varie cose. C’è un passo molto suggestivo del Talmud ebraico che dice: “La
parola di Dio è come l’acqua. Come l’acqua, essa discende dal cielo. Come
l’acqua, rinfresca l’anima. Come l’acqua non si conserva in vasi d’oro o
d’argento, ma nella povertà dei recipienti di terracotta, così la parola divina
si conserva solo in chi rende sé stesso umile come un vaso di terracotta”.
Sì! per accogliere quest’acqua “che scaturisce in vita eterna”, dobbiamo avere un cuore simile a un vaso di terracotta. In pratica, ci viene proposto un atteggiamento che ai nostri giorni nel migliore dei casi è passato di moda, nel peggiore viene sbeffeggiato, ed è l'umiltà, oh se si vuole dirla in parole povere, è la semplicità, e “umiltà” significa anche, in molti casi, saper fare silenzio.
Perché allora, non
tentare di creare nel deserto dell’esistenza quotidiana due piccole oasi di
silenzio, una al mattino e l’altra alla sera?
In pratica 2 modesti
orizzonti di silenzio in cui ascoltare la Parola di Dio che si rivolge a noi
attraverso le parole umane della Scrittura, a tal proposito, ascoltiamo l’appello
bellissimo di Dietrich Bonhoeffer: “Facciamo silenzio prima di ascoltare la
Parola di Dio, perché i nostri pensieri sono già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio
dopo l’ascolto della Parola, perché questa ci parla ancora, vive e dimora in
noi. Facciamo silenzio la mattina presto, perché Dio deve avere la prima parola.
Facciamo silenzio prima di coricarci, perché l’ultima parola deve appartenere a
Dio”.
Ma “umiltà”, significa
anche lasciare che la Parola di Dio, operi in noi quella funzione enunciata
nella lettera agli Ebrei, ma anche in tanti passi della Bibbia ebraica, quella di
contestarci radicalmente. E a molti non piace essere contestati, non piace che si
cerchi di renderci diversi, nuovi, ecco perché, spesso, la Parola di Dio è
respinta, perché seguire la Parola di Dio porta alla croce ed è crocifissa, basti
pensare a come sono finiti i primi testimoni della Parola di Dio dell’epoca di
Gesù, Giovanni il battista; Gesù stesso, abbandonato da tutti o Paolo, ma perché tutto
ciò? Perché la Parola di Dio non è amata, e perché Dio non è popolare, Dio è
sempre in minoranza in mezzo agli dei ed agli idoli che vanno dallo Star System,
dallo sport fino ai cantanti. Questa purtroppo è la situazione.
Ma dobbiamo
domandarci, è proprio solo colpa dei destinatari della Parola o molta responsabilità
non ricade anche sugli interpreti della Parola, sui Ministri di Culto, come il sottoscritto, che
abbiamo la splendida e terribile responsabilità di trasmettere agli altri la Parola
di Dio, così di permettere a questa pioggia di cadere, di distribuire questo
pane della vita, di
trasmettere anche una Parola buona, una Parola di fede, di speranza e di amore? Perché vedete, è
anche responsabilità dei Ministri di Culto di trasmettere questa Parola buona, la
buona notizia, che sappiamo essere così infinitamente difficile da accogliere, perché
spesso i pensieri della gente…non sono le vie e i pensieri di Dio!
E poi, diciamocelo chiaramente, senza
una conversione alla Parola di Dio, non si va da nessuna parte, e per far ciò, si debbono
lasciare le proprie vie, lasciare i propri pensieri, i propri piani e i propri
progetti, perché vedete, cercare Dio, non è cercare di tirare Dio dentro le nostre
vie e i nostri pensieri, ma di seguire le sue vie e i suoi progetti che
troviamo nella sua Parola e credo che il problema sia, anche forse e soprattutto questo, che
spesso si continua a preferire i discorsi mielosi e consolanti, piuttosto che il
pensiero del Dio potente e alla spada della sua Parola, per il fatto che, noi
esseri umani, istintivamente, scappiamo da una Parola che ci contesta e quindi, il
più delle volte, cerchiamo di ignorarla; eppure io mi domando, anzi no, non userò
formule retoriche, io sono certo che una predicazione che ci indica la croce, una
predicazione, cioè, nella quale, la Parola di Dio, prevale sulle parole umane, questo
tipo di predicazione è capace di riscuotere attenzione, di coinvolgere anche un
uditorio religiosamente piuttosto tiepido, assai più di quanto possa farlo una
predicazione che addomestica la Parola, che cerca di addolcirla, che trasforma
in inefficace “acqua fresca”, la pioggia potente del Signore, sono altrettanto
convinto, che la predicazione di una Parola inefficace, imbalsamata, risponde non
solo alla ricerca di facili consensi da parte del predicatore, ma anche e forse
soprattutto, al fatto che è il predicatore stesso, il primo a non volersi lasciar
disturbare e scuotere dalla presenza di Dio.
Solo se cominceremo, noi
predicatori, ad imparare a lasciar filtrare, quasi in una trasparenza luminosa, la
Parola, che permane per sempre e che scende dall’eterno e dall’infinito di Dio, potremo
far comprendere alle nostre sorelle e ai nostri fratelli che ci ascoltano in
ricerca di Dio, che il pane di cui sono affamati, è la “Parola che proviene dalla
bocca di Dio”.
AMEN
Giampaolo Castelletti