16/09/2010

Estremismo religioso e leggi della comunicazione

di Paolo Naso, docente di scienza politica all'Università "La Sapienza" di Roma

La provocazione razzista del predicatore americano che l’11 settembre avrebbe voluto bruciare in pubblico un Corano sembra avere raggiunto il suo scopo. A poche ore dal nono anniversario dell’attentato di Al Qaeda contro le Torri gemelle, infatti, in India si sono contati oltre dieci morti – tutti cristiani – uccisi nel corso di un “pogrom” col quale gruppi di musulmani estremisti avrebbero inteso vendicare l’offesa al loro libro sacro.
Nonostante l’esecrazione unanime della comunità internazionale e la netta condanna espressa dal presidente Obama nei confronti di questo “annuncio”, il fuoco della violenza nel nome di Dio ha fatto nuove vittime e rischia di incendiare altri territori in Medio Oriente, in Africa ed in Asia. Tristemente, in questo delirio dei fondamentalismi non sembra esserci nulla di nuovo: da tempo gli estremismi religiosi sembrano infatti costituire uno dei frutti avvelenati della società “postsecolare”. Entrati in crisi i grandi orizzonti di pensiero laico, le religioni sembrano prendersi un’ambigua “rivincita” che porta con sé anche fanatismi, settarismi ed intolleranza.
Ma la vicenda di questi giorni è spia di un altro problema, che non rimanda alle religioni quanto al sistema della comunicazione: il fatto che un anonimo, isolato e screditato predicatore della Florida possa accendere la miccia di una bomba che esplode a grappolo nei punti più remoti del mondo, ci dice della forza dei simboli e del ruolo che in talune circostanze possono svolgere i mezzi di comunicazione di massa.
Lo sconosciuto predicatore è riuscito a porsi per qualche ora al centro dell’attenzione mondiale, è il frutto di una logica del sistema mediatico alla disperata ricerca di personaggi e di eventi, tanto più rilevanti quanto più “straordinari”, distanti o contrari cioè all’ordine prevedibile delle cose. Se fa notizia un albero che brucia e non una foresta che cresce, è ovvio che sulle prime pagine dei giornali finirà un pastore che predica l’odio e non uno che invece parla di amore e di riconciliazione.
In assenza di un’etica condivisa della comunicazione, casi di questo genere sono destinati a moltiplicarsi e a dare l’impressione all’opinione pubblica di una escalation degli estremismi religiosi. Etica della comunicazione significa che blasfeme provocazioni razziste come tali vanno presentate e ridimensionate; se invece le si assume come espressione dello scontro tra culture e religioni su scala globale, le si ammanta di una dignità che non possono meritare.
In un sistema della comunicazione così condizionato dalle logiche commerciali e talvolta politiche, l’azione positiva di credenti musulmani e cristiani che dialogano, convivono pacificamente e lavorano insieme per la pace non troverà mai spazio.
In un sistema così fragile ed incapace di proteggere la sua stessa credibilità, dovremo prepararci ad altri annunci deliranti e ad altri gesti provocatori facilmente vendibili al mercato dello scoop globale.
Per chi crede che ben altro sia il ruolo delle religioni nel nostro tempo, il gioco è truccato, inutile sedersi al tavolo. La tragedia è che la posta di questa partita è la pace tra credenti e popoli di diverse tradizioni in intere aree del pianeta (NEV-notizie evangeliche 36-37/10).

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