28/09/2012

Il Tempo del creato 2012

Il Tempo per il Creato è celebrato dalle chiese europee ogni anno dal 1° settembre al 4 ottobre. Il tema proposto per quest’anno è il suolo, associato ai beni comuni, la varietà della specie, l’agricoltura nella sua ciclicità e rinnovamento, ma anche la promessa e la speranza. Dall’humus che è la ricchezza del suolo viene etiomologicamente la virtù dell’umiltà.
In Italia, il materiale per la celebrazione è preparato dalla Commissione "Globalizzazione e Ambiente" della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia propone dei materiali per il Tempo.
 
  Il suolo, considerazioni bibliche
Nella narrazione della creazione così come si dipana all’inizio della Genesi il primo attore che si presenta è la luce, che separa il tempo del giorno dal tempo delle tenebre; il secondo gesto creativo separa le acque in modo orizzontale, dando collocazione al cielo; il terzo momento è ancora di separazione, cioè di ordine: “Poi Dio disse: «le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l’asciutto». Dio chiamò l’asciutto «terra», e chiamò la raccolta delle acque «mari»” (Genesi 1, 910). La terra, dunque, è il segmento asciutto e solido estratto dal caos e su di essa avviene la produzione di quanto necessario alle forme di vita che via via popolano il creato: “Poi Dio disse: «Produca la terra della vegetazione…» »” (Genesi 1, 11). Anche la terra, come tutto il creato, ha il suo sabato, il settimo giorno del riposo. E infatti sul monte Sinai il Signore parla a Mosè di nuovo di essa: “Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non seminerete e non raccoglierete quello che i campi produrranno da sé, e non vendemmierete le vigne incolte” (Levitico 25,11), tanto più che, aggiunge il Signore, “le terre non si venderanno per sempre; perché la terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti” (Levitico 25,23). È poi nella parabola del seminatore che la terra viene analizzata nelle sue diverse tipologie, rocciosa, fertile per l’agricoltura, antropizzata dalle infrastrutture o colonizzata dalla vegetazione infestante (Matteo 13,123; Marco 4, 120; Luca 8, 415).

Gli ingegneri chiamano suolo qualunque terreno, indipendentemente dalle sue caratteristiche pedologiche; i geologi e gli agronomi invece denominano in questo modo soprattutto lo strato superficiale, che può raggiungere uno o due metri di profondità, adatto allo sviluppo della copertura vegetale. In realtà tutto il terreno nel suo insieme svolge una funzione unitaria insostituibile per governare il ciclo dell’acqua, il ciclo dell’erosione ed in fine l’organizzazione dell’agricoltura e dell’allevamento. Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dall’inizio degli anni ’70, si è fortemente accelerato il cosiddetto consumo di suolo, quel processo cioè che modifica in modo profondo il paesaggio naturale. Il consumo di suolo sia agricolo che non, è conseguenza di due tipi di interventi: da un lato l’ampliamento e la moltiplicazione delle infrastrutture come strade, porti, aereoporti ecc. e degli insediamenti abitativi, dall’altro l’espandersi dell’agricoltura industrializzata. Il primo insieme di interventi, quelli infrastrutturali e urbani, ha conseguenze in particolare sul ciclo della acque, perché impermeabilizza superfici in precedenza in grado di assorbire lentamente e in modo distribuito le precipitazioni, restituendole con pari ritmo ai corpi idrici. Buona parte del dissesto idrogeologico che in Italia è molto diffuso e distruttivo è conseguenza di queste modificazioni. Il secondo complesso di modificazioni, quello che porta a ridisegnare vaste aree di terre fertili, è legato soprattutto all’industria chimica, all’ingegneria genetica, all’impiego massiccio dell’irrigazione con la messa in atto di quella che oggi viene chiamato complesso idroagroindustriale. Il risultato di un utilizzo molto massiccio di prodotti chimici (biocidi quali antiparassitari e funghicidi, fertilizzanti ecc.), di mezzi per la lavorazione del terreno pesanti ed energivori, di acqua distribuita per aspersione e conseguente dilavazione dei suoli ha il risultato di impoverire, anche in tempi assai brevi, l’humus delle sue sostanze organiche e di innescare estesi processi di desertificazione. Così il suolo agrario si riduce in valori assoluti, oltre a subire contaminazione inquinante che coinvolge anche le acque di superfice e sotterranee. Va aggiunto che molte ricerche e sperimentazioni hanno ormai ripetutamente dimostrato che un’agricoltura organica nel medio periodo ha livelli di produttività per nulla inferiori a quelli della agroindustria che, viceversa, vede le rese decrescere dopo pochi anni di abbondanti raccolti. Come dice Luca 8,15, da soli i semi che cadono nella buona terra “portano frutto con perseveranza”.

Nel comportamento e nelle scelte dei singoli e delle comunità si pone quindi la necessità di promuovere una cultura e comportamenti volti non solo a ridurre il consumo di suolo, ma anche impegnati a rigenerare aree in precedenza alterate, piccole o grandi che esse siano. Perché cambiare rotta rispetto ai cammini intrapresi è sempre possibile e non vi sono cambiamenti irreversibili.
Teresa Isenburg

Meditazione

E l'Eterno disse: `Ho veduto, ho veduto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni; 8 e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani, e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese ove scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Hittei, gli Amorei, i Ferezei, gli Hivvei e i Gebusei.

Esodo 3,7

Siamo sul Sinai. Il Signore, il Dio quadrilittero nella sua misericordia, vede, ascolta e conosce intimamente il dolore che viene dalla oppressione.

Lui che aveva creato l’umanità a sua immagine e che, a sua immagine, le aveva comandato di dominare la terra sapeva che per questa creatura la dimensione del limite era ‘esterna’, affidata alla libertà e alla responsabilità –e infatti proiettata sui due alberi al centro di Eden, e che per essa non c’era un confine ‘naturale’ tra dominio e sopraffazione.

Viceversa in Gen 1,28 il verbo radah (governare) non consente di trascendere tant’è che è usato anche nel Salmo 72,78. Dunque nel passaggio dal primo al secondo racconto della creazione la definizione della consegna all’umanità vede un passaggio di accentuazione –non di sostanzadal servizio alla sovranità come due modi di esercitare la responsabilità in una relazione sì asimmetrica ma cocreaturale. E per ricordare questo la pedagogia ebraica ha istituito lo Shabbat come un antidoto al delirio di onnipotenza.

Ma non è bastato. Il limite allo sfruttamento tra gli umani e della restante creazione non è stato messo in forma di tabù, come è stato per l’incesto e per il cannibalismo ma di patto, sottoposto alla lealtà del contraente più forte.

In questa occasione Dio non solo si addolora ma si mobilita: scende per liberare gli oppressi e per farli salire in un’altra terra, buona e larga. Sembra di vedere in questa immagine un adulto che prende in braccio un bambino inciampato per rimetterlo in piedi in un punto sicuro. Il nome più elevato di Dio è proprio quello che verrà rivelato al v13: io sono colui che c’è, ‘il sarò’, un Dio che coincide con le sue manifestazioni storiche, non una essenza ma una presenza che chiede la collaborazione umana.

La sua mano avrebbe guidato i passi di Mosè. Non erano possibili una rivoluzione o una riconciliazione delle relazioni. La situazione era compromessa, lo schema dei rapporti era irrimediabilmente mortifero. Gli oppressi dovevano sottrarsi, venire via per poter ricostruire la propria umanità ferita, il senso di sè, la progettualità, la dignità. L’Egitto era

diventata una terra malvagia e stretta. Fin peggio di Ninive che si sarebbe convertita in seguito all’annuncio del recalcitrante Giona.
Mosè, che da qualche tempo aveva fatto propria la causa degli oppressi, sul Sinai cerca inutilmente di sottrarsi al conflitto con il potere, rappresentato da Faraone, che sarebbe inevitabilmente scoppiato alla richiesta di lasciar partire Israele. La liberazione incontra resistenze interne ed esterne.

La forza per affrontarle era sicuramente in Dio ma anche nella allettante alternativa da lui promessa: una terra buona e larga dove fluiscono latte e miele, certo abitata da molti popoli. Da una situazione angusta dove gli spazi vitali in tutti i sensi venivano soffocati si poteva uscire! La speranza è il linguaggio della vita, recita il tema della quarta assemblea del Consiglio per la missione nel mondo. La speranza chiama a raccolta per cercare alternative nella visione del mondo, in un mondo dove l’ingiustizia sociale, economica ed ecologica regna impunemente. Il popolo di Dio ha il dovere di esprimere insoddisfazione con scelte di vita smarcate e di misurarsi con queste forze a favore di una esistenza piena per tutta la creazione di Dio, in cui gli aspetti nutrienti della vita vengano enfatizzati. Scegliere la vita vuol anche dire cercare di proteggerla e preservarla.

Gli attributi di questa terra hanno dei richiami un po’ fiabeschi: la fuga dalla terramatrigna verso la terramadre che era già stata promessa ad Abramo, da cui la fame li aveva allontanati. Questa terra si era popolata ma era estesa, c’era ancora posto.
Non una terra sconosciuta ma un ritorno i cui termini sono espressi in maniera figurata dalla prodigiosa capacità di secernere latte e miele.
Il latte ed il miele hanno in comune l’essere prodotti di trasformazione attuati dalle madri nei mammiferi e dalle api. Là dove sono latte e miele ci sono madri e api, corpi che nutrono.
Entrambe sono alimenti legati al nomadismo e fruibili anche in condizioni ambientali scarse: se il pascolo è magro la mucca sopravvive e può dare latte e le api possono produrre miele.

Una terra che offre questi alimenti è una terra di rinascita perché alla nascita sono anche associati. Abbondanza di latte e miele significa anche possibilità di ricominciare, di lavorare la terra da persone libere come liberi e non proprietari sono il latte e il miele: beni comuni non merci!
Latte e miele sono il nutrimento quotidiano e non il cibo dell’abbondanza costituito dal grano, il vino, l’olio o la carne. Ma sono anche un nutrimento possibile in condizioni di conflitto e mobilità forzata come quella che Israele sperimenterà all’arrivo nella terra oltre il deserto. Grano, vino e olio maturano lentamente e hanno bisogno di cura. Presuppongono un tempo di pace.
Latte e miele sono anche legati al culto di Demetra che non solo abbraccia, scalda e nutre ogni essere umano, ma anche pone norme di vita sociale fondate più sul rispetto che sul dominio.

Mosè dunque prospetta all’Israele oppresso una terra dove le necessità materiali minime sono soddisfatte, dove il latte e il miele, come la farina e l’olio della vedova di Sarepta (I Re 17), non si esauriscono. Potremmo dire che l’esperienza della manna (Es 16) ne sarebbe stata una anticipazione.

Nella promessa è quindi contenuta anche una visione sociale ed economica fondata sulla sobrietà, sulla sufficienza e sulla condivisione con altri popoli.
Nel versetto 8 non si dice che quella era la loro terra ma il luogo dove abitavano, ovvero il luogo dove Dio –che è il Luogo del mondofarà giungere anche Israele. In tutto questo testo la definizione geografica non ha rilievo.
Mosè trasmetterà ad Israele questo desiderio e questo dono di Dio che non è solo annuncio di sostegno per la liberazione ma anche un progetto di vita ispirata ad Eden, attraversata da un fiume. Una relazione riconciliata con il suolo che egli aveva maledetto a causa di Adamo: tra adam e adamà –l’uomo e la terraè possibile uno scambio sostenibile per entrambe. La terra se non viene ferita produce latte e miele per tutte le creature.
Antonella Visintin Rotigni

Preghiera
Grazie per i suoli


Grazie Dio, padre e madre, per i suoli,

che ci sostengono e ci nutrono.

Che prestano il terreno, a noi, a tutti i popoli,

a tutti gli animali e a tutte le piante.

Tu sei il nostro suolo e per il nostro bene

Porti dentro di noi il risveglio

(Preghiera dal Perù, 2008)

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