di Paolo Naso, coordinatore Commissione studi della Federazione chiese evangeliche in Italia
Non è possibile scrivere di “Chiesa e potere” nell’anno in cui si ricordano i 1700 dell’Editto milanese dell’imperatore Costantino ignorando che solo qualche ora fa siamo stati sorpresi da un fatto inatteso e clamoroso come le dimissioni di papa Benedetto XVI. Questo gesto, che probabilmente potrà essere compreso e decifrato solo con il tempo e quando saranno chiarite le ragioni delle sussurrate frizioni interne all’establishment vaticano, ha una evidente ricaduta sull’ecclesiologia e forse sulla stessa teologia cattolica: come pochi altri questo gesto umanizza e vorrei dire “secolarizza” l’istituzione papale.
Dettate dalla stanchezza, dalla malattia o dal senso di responsabilità, le dimissioni sono difficilmente compatibili con l’esercizio di un “ministero vicario di Cristo in terra”, come recita una nota formulazione medioevale. Se tale debba essere il servizio del papa, ha gioco facile il cardinale di Cracovia e già segretario personale di Giovanni Paolo II, cardinale Stanislaw Dziwisz, a ricordare che “dalla croce di Cristo non si scende”.
Il papa teologo Joseph Ratzinger, con un gesto grave e anomalo, ha forse voluto dire che il papa, lui come altri, sulla croce di Cristo non ci è mai salito perché quel sacrificio resta unico e irripetibile.
Nelle particolari giornate che seguono le dimissioni, quella del papa appare oggi una missione certamente alta e autorevole ma assai più umana di quanto certa teologia cattolica abbia voluto affermare e la tradizione ecclesiale abbia celebrato per secoli. I teologi e il tempo ci diranno se si tratta davvero di una svolta nella comprensione della “forma di esercizio del primato petrino” - come già Giovanni Paolo II ipotizzava nel lontano 1995 all’interno della sua enciclica Ut unum sint - o se siamo di fronte a una scelta strettamente personale e quindi di modesto rilievo ecclesiologico.
Resta il fatto che le dimissioni di papa Ratzinger giungono in un tempo difficile per la vita della Chiesa cattolica ma più in generale per l’ecumene cristiana. Il cristianesimo non è più la “religio licita” e quindi fede tollerata tra le altre del pantheon imperiale: nei secoli è in varie aree del mondo è infatti cresciuto e si è consolidato arrivando a imporsi come “ideologia” del potere dominante.
Non è neanche – non è più – la religione di stati confessionali ormai attraversati dalla cultura e dai principi della laicità: il maglio della modernità ha frantumato l’idea stessa del “regime di cristianità” tipico del medio evo.
Ma passato per il tunnel di pesanti processi di secolarizzazione che sembravano segnare la fine della religione, il cristianesimo è oggi espressione tutt’altro che marginale di una ricerca di senso e di spiritualità. Vogliamo dire che se la modernità ha spezzato il nesso tra Chiesa e potere consolidatosi nel cosiddetto “costantinianesimo”, è pur vero che nel mondo globalizzato di oggi la semplice chiave della “secolarizzazione” non chiude la questione del ruolo pubblico delle religioni e quindi anche del cristianesimo.
E’ questa la tesi di fondo che emerge nel volume “Chiesa e potere. Libertà evangelica e spazio pubblico” (Claudiana 2013) che esce in occasione della Settimana della libertà promossa da varie chiese evangeliche italiane. Anche per esse, convintamente impegnate a difendere la laicità delle istituzioni e sempre pronte a denunciare la tentazione del potere ecclesiastico, la sfida è come “stare” nello spazio pubblico rendendo conto di ciò che sono, delle loro idee, dei loro principi: una comunità di fede che convive con molte altre presenze, una voce che si intreccia a molte altre voci aprendo nuove opportunità di conoscenza, confronto e dialogo. Un intreccio tra laicità e pluralismo, separatismo istituzionale e testimonianza pubblica della propria fede, identità e dialogo, appartenenza e ricerca di pellegrini che si muovono liberamente lungo varie vie dello spirito: qualcuno la chiama religiosità postsecolare.
(NEV-notizie evangeliche 07/2013).
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Riflessioni sul rapporto tra chiesa e potere nell'anniversario dell'Editto di Milano
- Dal riconoscimento del cristianesimo ai privilegi e alla critica del potere della chiesa
- Il rapporto chiesa/potere nella Riforma, dopo il Concilio, nella tradizione americana
- Chiesa, potere e società multiculturale, laicità, questioni di genere...
Con l'editto di Costantino del 313, di cui ricorre il 1700esimo anniversario, ai cristiani venne riconosciuto il diritto di professare la propria fede nei territori dell'Impero romano.
La fine delle persecuzioni aprì, tuttavia, la strada al potere temporale della chiesa, che portò con sé grandi disuguaglianze tra le fedi, prima fra tutte quella ebraica, facendo ben presto del cristianesimo e della sua principale istituzione un architrave del sistema di potere dominante.
Il libro ricostruisce il rapporto tra chiesa e potere soffermandosi su alcuni passaggi storici della Riforma protestante nonché sulle "sfide" della società odierna: multiculturalità, questioni di genere, laicità e "pari libertà".
Saggi di:
L. Alfieri, E. Bein Ricco, L. De Giovanni, F. Ferrario, E.E. Green, C. Napolitano, P. Naso, S. Nitti, D. Romano, M. Rubboli, L. Sandri, G. Tourn
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