21/01/2015

Il costo del discepolato

"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo" 
(Luca 14,26-33)
Meditazione del pastore Jean-Félix Kamba Nzolo

Le parole che Gesù rivolge alla folla che gli andava dietro non sono un invito a rompere i legami familiari. La famiglia è importante per l’esistenza stessa di una persona; avere una famiglia è un privilegio.  Gesù non ci insegna a trasgredire il comandamento che ordina di onorare i propri genitori. E’ questione di priorità. Vuoi seguirmi, vuoi diventare mio discepolo, devi mettermi al primo posto nella tua vita, vale a dire, prima del tuo lavoro, dei tuoi impegni, della tua famiglia e prima della tua stessa vita. Il terzo invitato della parabola del gran convito (Lc14,20) si scusa a motivo della moglie, rappresentando così tutti quelli che sono impediti a rispondere alla chiamata da uno dei più forti legami umani.
Mettere Cristo al primo posto non significa in nessun modo disprezzare gli affetti famigliari ma evangelizzarli, darli un nuovo senso  nella grazia di Cristo. Può sembrare fuori luogo la parola “odiare”, ma nel contesto semitico significa semplicemente volgersi da un’altra parte, distaccarsi da qualcuno o da qualcosa. Non c’è dunque nulla di quella emozione che noi sperimentiamo nell’espressione infelice "odiare qualcuno".
Quel che viene richiesto ai discepoli, è che, nell’intreccio di molte realtà in cui tutti noi viviamo, l’esigenza di Cristo e dell’evangelo non solo deve avere la precedenza, ma, in verità ridefinisce il ruolo di tutte. Questo comporta inevitabilmente una separazione.
Preferire Cristo alla propria vita, è  accettare la logica dell'amore indiviso per Gesù. Dio è un Dio geloso che non condivide la sua gloria (l’onore) con gli idoli. L’“io” è nell’uomo vecchio che non ha incontrato la grazia, il suo idolo che usurpa il posto di Dio. Invece la condizione del discepolo crea una netta separazione opponendoci al nostro io.
 Come rispondiamo quando qualcuno ci chiede, cosa fai nella vita? Potremmo rispondere, studio, lavoro, sono in pensione, mi prendo cura di una persona, ecc.  Tutto questo è bello, ma Paolo dice semplicemente: per me vivere è Cristo, cioè Cristo è la mia vita. Questo è ciò che viene prima nella sua vita, tutto il resto viene dopo.
Portare la croce non è ripetere il sacrificio di Cristo, ma scoprire come la Pasqua di Gesù Cristo è portatrice di senso e come essa ci libera dalle nostre prove, sofferenze e fallimenti, allo stesso tempo comunica misteriosamente a questo mondo gemente  nelle doglie del parto, la venuta del regno di Dio.
Che cosa è importante nella mia vita, cosa viene prima? La parola discepolo in greco significa imparare l'uso e la pratica, indica chi riceve un insegnamento. Normalmente, un discepolo segue gli insegnamenti di un maestro. Nel Nuovo Testamento, il discepolo è colui che è sempre in stretto e permanente rapporto con una persona. I dodici uomini che noi chiamiamo apostoli o discepoli di Gesù erano in stretta relazione con lui. Egli gli ammaestrava. Hanno visto quello che il Cristo faceva e hanno ascoltato quello che aveva da dire e hanno imparato da lui. Essere un discepolo di Cristo significa seguire le sue orme. Siamo dei veri discepoli quando obbediamo al Cristo, ci leghiamo alla sua persona. Questo ha un costo alto da pagare in termini di priorità. Essere un discepolo è un compito enorme, il contrario di riposare sugli allori.
Gesù non intende spaventare la folla né mettere in discussione la vocazione dell’uomo o della donna che va da lui, ma vuole che chiunque voglia seguirlo lo faccia con ogni cognizione di causa. Con due esempi (Lc 14,28-32), Gesù stigmatizza la follia di intraprendere una grande avventura senza prima calcolarne il costo, ricordando il costo del discepolato: "Chiunque di voi non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo"
In altre parole, ciò non costa solo un po’, non richiede soltanto l'impiego di alcune delle mie risorse e dei miei beni, ma tutto. Gesù lo dice chiaramente: se qualcuno non è disposto a rinunciare a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo.
Se volgiamo essere suoi discepoli dobbiamo essere pronti a rinunciare a tutto, anche alla nostra stessa vita. In altre parole, non ci sono mezze misure.  Un mezzo discepolo o un discepolo a metà non esiste nella mente di Gesù. Qui è o tutto o niente.  Gesù stesso è l’esempio del dono totale; ha dato tutto, perfino la propria vita per la salvezza del mondo, dunque se non siamo anche noi  pronti a dare tutto, anche la nostra vita, non possiamo essere suoi discepoli. Tradotto in termini di priorità, ciò vuol dire che se non sappiamo mettere Cristo e il suo vangelo al di sopra di ogni cosa, se non sappiamo cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33), non possiamo essere suoi discepoli.
Nel vangelo secondo Giovanni, un discepolo è colui che dimora nelle parole di Cristo (Gv 8,31); che prova l’amore per il suo prossimo (Giovanni13,35), e che porta molto frutto (Giovanni 15,8).

Ci dia il Signore la grazia di essere dei veri discepoli di Gesù Cristo, in parole e azioni.

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