"Se uno viene a me e
non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e
persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E
chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio
discepolo"
(Luca 14,26-33)
(Luca 14,26-33)
Meditazione del pastore Jean-Félix Kamba Nzolo
Le parole che Gesù rivolge alla folla che gli andava dietro non sono un
invito a rompere i legami familiari. La famiglia è importante per l’esistenza
stessa di una persona; avere una famiglia è un privilegio. Gesù non ci insegna a trasgredire il
comandamento che ordina di onorare i propri genitori. E’ questione di priorità.
Vuoi seguirmi, vuoi diventare mio discepolo, devi mettermi al primo posto nella
tua vita, vale a dire, prima del tuo lavoro, dei tuoi impegni, della tua
famiglia e prima della tua stessa vita. Il terzo invitato della parabola del
gran convito (Lc14,20) si scusa a motivo della moglie, rappresentando così
tutti quelli che sono impediti a rispondere alla chiamata da uno dei più forti
legami umani.
Mettere Cristo al primo posto non significa in nessun modo disprezzare
gli affetti famigliari ma evangelizzarli, darli un nuovo senso nella grazia di Cristo. Può sembrare fuori
luogo la parola “odiare”, ma nel contesto semitico significa semplicemente
volgersi da un’altra parte, distaccarsi da qualcuno o da qualcosa. Non c’è
dunque nulla di quella emozione che noi sperimentiamo nell’espressione infelice "odiare qualcuno".
Quel che viene richiesto ai discepoli, è che, nell’intreccio di molte realtà in cui tutti noi viviamo, l’esigenza di Cristo e dell’evangelo non solo
deve avere la precedenza, ma, in verità ridefinisce il ruolo di tutte. Questo
comporta inevitabilmente una separazione.
Preferire Cristo alla propria vita, è
accettare la logica dell'amore indiviso per Gesù. Dio è un Dio geloso
che non condivide la sua gloria (l’onore) con gli idoli. L’“io” è nell’uomo
vecchio che non ha incontrato la grazia, il suo idolo che usurpa il posto di
Dio. Invece la condizione del discepolo crea una netta separazione opponendoci
al nostro io.
Come rispondiamo quando qualcuno
ci chiede, cosa fai nella vita? Potremmo rispondere, studio, lavoro, sono in
pensione, mi prendo cura di una persona, ecc.
Tutto questo è bello, ma Paolo dice semplicemente: per me vivere è
Cristo, cioè Cristo è la mia vita. Questo è ciò che viene prima nella sua vita,
tutto il resto viene dopo.
Portare la croce non è ripetere il sacrificio di Cristo, ma scoprire
come la Pasqua di Gesù Cristo è portatrice di senso e come essa ci libera dalle
nostre prove, sofferenze e fallimenti, allo stesso tempo comunica
misteriosamente a questo mondo gemente
nelle doglie del parto, la venuta del regno di Dio.
Che cosa è importante nella mia vita, cosa viene prima? La parola
discepolo in greco significa imparare l'uso e la pratica, indica chi riceve un
insegnamento. Normalmente, un discepolo segue gli insegnamenti di un maestro.
Nel Nuovo Testamento, il discepolo è colui che è sempre in stretto e permanente
rapporto con una persona. I dodici uomini che noi chiamiamo apostoli o
discepoli di Gesù erano in stretta relazione con lui. Egli gli ammaestrava.
Hanno visto quello che il Cristo faceva e hanno ascoltato quello che aveva da
dire e hanno imparato da lui. Essere un discepolo di Cristo significa seguire
le sue orme. Siamo dei veri discepoli quando obbediamo al Cristo, ci leghiamo
alla sua persona. Questo ha un costo alto da pagare in termini di priorità.
Essere un discepolo è un compito enorme, il contrario di riposare sugli allori.
Gesù non intende spaventare la folla né mettere in discussione la
vocazione dell’uomo o della donna che va da lui, ma vuole che chiunque voglia
seguirlo lo faccia con ogni cognizione di causa. Con due esempi (Lc 14,28-32), Gesù
stigmatizza la follia di intraprendere una grande avventura senza prima
calcolarne il costo, ricordando il costo del discepolato: "Chiunque di voi non rinunzia a tutto quello
che ha, non può essere mio discepolo".
In altre parole, ciò non
costa solo un po’, non richiede soltanto l'impiego di alcune delle mie risorse
e dei miei beni, ma tutto. Gesù lo dice chiaramente: se qualcuno non è disposto
a rinunciare a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo.
Se volgiamo essere suoi discepoli dobbiamo essere pronti a rinunciare a
tutto, anche alla nostra stessa vita. In altre parole, non ci sono mezze
misure. Un mezzo discepolo o un
discepolo a metà non esiste nella mente di Gesù. Qui è o tutto o niente. Gesù stesso è l’esempio del dono totale; ha
dato tutto, perfino la propria vita per la salvezza del mondo, dunque se non
siamo anche noi pronti a dare tutto,
anche la nostra vita, non possiamo essere suoi discepoli. Tradotto in termini
di priorità, ciò vuol dire che se non sappiamo mettere Cristo e il suo vangelo al
di sopra di ogni cosa, se non sappiamo cercare prima il regno di Dio e la sua
giustizia (Mt 6,33), non possiamo essere suoi discepoli.
Nel vangelo secondo Giovanni, un discepolo è colui che dimora nelle
parole di Cristo (Gv 8,31); che prova l’amore per il suo prossimo (Giovanni13,35),
e che porta molto frutto (Giovanni
15,8).
Ci dia il Signore la
grazia di essere dei veri discepoli di Gesù Cristo, in parole e azioni.
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