08/03/2020

Un pensiero da Ebrei 4,14-5,10

Questa epistola è stata scritta con uno scopo ben preciso, che possiamo comprendere pensando che è diretta agli Ebrei, cioè a dei cristiani convertitisi dal giudaismo. Lo scopo è quello di ridare loro coraggio, perché sono in una grande difficoltà, dal momento che il loro impegno nella nuova fede ha comportato per loro l’abbandono delle sicurezze su cui sino a poco prima avevano fondato il rapporto con Dio, e più in generale la loro stessa vita: le sicurezze fondate sulla legge, la cui osservanza scandiva l’esistenza giornaliera e le sicurezze legate ai riti, ai sacrifici che offrivano nel tempio e che mettevano a posto la coscienza…

Adesso tutto questo non c’è più. Adesso c’è una fede da vivere nella libertà. Ma non è facile vivere nella libertà. Prima avevi una strada da percorrere, e una strada ti guida, ti dice dove andare... Adesso puoi volare come l’aquila, ma il cielo è grande e non ci sono strade, devi trovare tu la direzione giusta.
In questa situazione, il nostro autore cerca di incoraggiare i suoi interlocutori, invitandoli a riflettere su come Gesù sia un “sommo sacerdote”, al tempo stesso in piena continuità coi sommi sacerdoti di Israele, ma anche infinitamente superiore a loro. Vale allora la pena di affidare a lui con piena fiducia sé stessi, i propri cari, il mondo intero.
Sì, Gesù è adesso e per sempre il solo vero “sommo sacerdote”. Lo è davvero, perché – come anche gli altri – non ha scelto lui di esserlo, non ha “preso da sé quell’onore”, ma è stato “chiamato a quell’onore” da Dio. Ma Gesù è anche un “sommo sacerdote” incomparabilmente superiore a tutti quelli che l’hanno preceduto, perché diversamente da loro non ha offerto la sua espiazione a Dio uccidendo un animale nel cortile del tempio, ma ha offerto sé stesso una volta per tutte: ha offerto la sua vita morendo sulla croce, versando il proprio sangue. E quello stesso Dio che l’ha chiamato a questo e l’ha donato a noi, lo ha poi risuscitato. E Gesù è “passato attraverso i cieli”, e lì continua a esercitare la sua mediazione, continua ad intercedere per noi…
Questo, nella “fragilità” che un sommo sacerdote deve avere. Come dice la chiusa del nostro testo: “Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; e, reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec”.     
AMEN

Ruggero Marchetti                                                           

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