26/04/2020

Domenica 26 Aprile, seconda domenica dopo Pasqua


Care amiche/amici, sorelle/fratelli, oggi è la seconda domenica dopo Pasqua, denominata “misericordias domini” derivante dal Salmo 33:5 - “La terra è piena della benevolenza del Signore”.

“Nel nome del Padre che viene in cerca di noi quando lo sconforto ci invade, del Figlio che questo sconforto, come noi, lo ha vissuto nella carne e nel petto, e dello Spirito Santo che nel turbamento ci accompagna e ci sostiene, silenziosa impronta di Dio nel segreto dei nostri cuori”. Amen

Il testo di apertura è tratto da: “Orme del Sacro”, Feltrinelli, Milano, 2000, Pag. 83; Umberto Galimberti
 “Non si dà verità se non all’errore di uno sguardo imperfetto: compito dell’uomo non sarà la perfezione, ma la capacità di soffrire l’inquietudine di una perfezione mai raggiunta eppure presente nell’imperfezione estrema che caratterizza l’essere umano. Cristo incarna questo tipo di sofferenza. Ciò che annuncia non è la redenzione, ma l’accettazione della condizione umana. In questa accettazione incondizionata c’è redenzione”.

La meditazione di oggi è tratta dal Vangelo di Luca, capitolo 4, versetti da 16 a 21.
16 Si recò a Nazaret, dov'era stato allevato e, com'era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, 17 gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov'era scritto: 18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 per proclamare l'anno accettevole del Signore».
20 Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. 21 Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite».

Abbiamo letto che nella Sinagoga di Nazareth, in cui era cresciuto, Gesù ha applicato a sé stesso l’oracolo di Isaia 61, s’è alzato dal suo posto, s’è fatto dare il libro del profeta e ha letto il testo di Isaia al capitolo 61. Poi, “mentre gli occhi di tutti nella Sinagoga erano fissi su di lui”, ha esclamato: “Oggi questa scrittura, che voi udite, si è compiuta” (cfr Luca 4:16). Ebbene qualcuno potrebbe chiedersi come mai Gesù si è paragonato al profeta Isaia del capitolo 61, ebbene, fece tutto questo per il motivo che si sentiva un vero e proprio “discepolo di Isaia”, il profeta da lui più citato, meditato e amato nel corso della Sua vita terrena ed inoltre, sia Gesù che Isaia, si sono trovati ad annunciare la Santità del Signore, Isaia per esempio sa d’essere stato inviato da Dio ad annunciare un messaggio di salvezza, e sa anche che Dio lo ha reso idoneo, lo ha messo in condizione di realizzare quello che deve annunciare: “Lo spirito del Signore è sopra di me, poiché egli mi ha unto”. Lo “spirito”…è la forza di Dio, il “vento di Dio” che può accarezzare con dolcezza i fiori e farli fremere, ma sa anche squassare le montagne. Questo vento (dice adesso il profeta) ora “è sopra di me”, mi ha fatto suo. E così non mi appartengo più. Sono di Dio! Sono il suo “consacrato”, che vive non per sé, ma per il servizio che gli è stato affidato, e a cui è stato affidato. Davvero, Dio mi ha riempito col Suo soffio, e “mi ha mandato ad annunciare… a proclamare… e curare… a consolare… a dare…”.
Sì, Isaia “annuncia”. Solo questo può fare, e solo questo fa! Ma ora nel suo annunciare c’è una scintilla della forza di Dio, un soffio di quello stesso “spirito divino” che, l’annuncio di Isaia opera quel che dice, trasforma chi l’ascolta.          
Isaia annuncia la salvezza, e la dona realmente a coloro a cui parla: “parlo di libertà, e i prigionieri sono liberati, gli schiavi riscattati; proclamo l’evangelo, predico un lieto annuncio, e consolo gli afflitti, dono gioia a chi è triste, curo i cuori contriti e li faccio esultare…e non soltanto questo, con me irrompe un tempo tutto nuovo: “l’anno della benevolenza del Signore”, in effetti, negli anni di Isaia, vigeva, in Israele, il “giubileo”, cioè, ogni cinquant’anni, quando erano passati “sette volte sette anni”, al suonare del corno (del jobel), si annunciava a gran voce che tutti i debiti contratti in quei cinquant’anni erano rimessi e che ogni debitore ridotto in schiavitù veniva liberato. Ora il profeta è il nuovo “giubileo”, l’araldo della grazia che dona libertà ai poveri che incontra. Dà loro “gloria invece di cenere, olio di letizia invece di lutto, canto di lode invece di scoramento”.  
Noi ci rendiamo conto, a questo punto, della continuità e anche della distanza che c’è tra Isaia 61 e gli altri grandi profeti di Israele.
   Il primo Isaia, Geremia, Osea e Amos avevano dovuto avvertire del giudizio di Dio sui peccati del popolo ed annunciare la catastrofe immane che avrebbe posto fino al regno della casa di Davide. Il giudizio c’è stato, la catastrofe è arrivata. E adesso c’è bisogno della grazia! Adesso, sul popolo sconfitto, punito e deportato, sul piccolo e spaurito “resto d’Israele”, è ora che risuoni l’annuncio di salvezza. Per questo, per ridare speranza a chi non spera più e coraggio a chi trema, Dio ha unto ed ha mandato il Suo profeta! Che, allora, da profeta diventa “evangelista” cioè portatore del lieto annuncio della “volontà buona” del Signore, strumento del cambiamento che la proclamazione di questa “volontà” già opera nei cuori e negli sguardi di coloro che ascoltano, della trasformazione con cui, trasformando gli esseri umani, Dio rinnova il Suo popolo ed il mondo.
   Sì, qui c’è davvero il “nuovo”, mai visto prima e mai sentito fino ad allora. Nella parte iniziale dell’oracolo, in mezzo a tante espressioni luminose, c’è una parola che ci può creare qualche complicazione, la parola “vendetta”, che ci potremmo domandare, cosa ha a che fare con quello che dice Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me. Mi ha mandato ad annunciare la buona novella ai poveri, a fasciare i contriti di cuore, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazione ai detenuti, a proclamare un anno di benevolenza del Signore, un giorno di vendetta del nostro Dio”. In realtà questo “giorno della vendetta” è piuttosto il “giorno della consolazione”; chi ha dovuto subire violenza e schiavitù, all’irrompere del tempo della salvezza annunciato dal profeta, vedrà il suo pianto trasformato in sorriso, la loro sofferenza farsi gioia. Come scritto: “Perché il loro obbrobrio fu di doppia misura, vergogna e insulto furono la loro porzione; per questo possiederanno il doppio nel loro paese, avranno una letizia perenne”.
   Sì! Al profeta sembra quasi di vedere gli esuli “non più esuli”, che rientrati in Israele dopo la deportazione a Babilonia, impegnati al lavoro per ricostruire quello che la guerra, nella sua furia cieca, aveva demolito: “Costruiscono le antiche rovine, rialzano ciò che era prima distrutto; rinnovano le città desolate, ciò che da generazioni era in rovina, risorge”. E la consolazione dei poveri rientrati sarà tanto più piena in quanto i loro oppressori saranno i loro servi: “Degli stranieri pascolano i loro greggi, gente d’altre terre saranno vostri contadini e vignaioli …Gusterete la ricchezza delle nazioni e vi adornerete con il loro splendore…”. Tutto questo – davvero – non è un semplice canto di vendetta, il grido di rancore degli oppressi che si leva a sognare l’oppressione degli oppressori, è come dicevo prima, una questione di consolazione, e soprattutto è la rivelazione dell’onnipotenza di Dio, il Suo intervento a “rovesciare i potenti dai troni e a innalzare gli umili” e, in questo modo, a manifestare al mondo la Sua gloria. “Voi vi chiamerete sacerdoti del Signore, vi chiameranno servi del nostro Dio” che “ama il diritto e odia la rapina, e ricompensa con fedeltà e conclude con i suoi un patto eterno”, un’alleanza che non verrà mai meno ed è davvero qualcosa di nuovo, di mai visto. (Isaia 61: 6.8)
  Di fronte a tutto questo, come non dar spazio alla gioia? Come non sciogliere il canto della lode? Ed il profeta canta. E con lui canta tutto il popolo redento: “Sì, voglio rallegrarmi nel Signore, e l’anima mia esultare nel mio Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza, mi ha ricoperto con il manto della giustizia. Come uno sposo che cinge il suo turbante, come la sposa che si adorna di monili” ma tra le varie profezie proclamate da Isaia vi è anche quella relativa all’avvento di un redentore (l’Emmanuele), il servo del Signore, le quali si adempiranno in Gesù Cristo e ciò avviene quando appunto nella Sinagoga, dopo aver letto Isaia 61, Gesù dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura, che voi avete udito” (Luca 4:21).
Sì, Gesù è “l’unto del Signore”, è il profeta, ed è l’evangelista, che “porta il lieto annuncio dell’amore di Dio per tutti i poveri, fascia gli affranti di cuore e annuncia la libertà ai prigionieri”. E fa questo non solo per un tempo, né…solo per un popolo…né solo per alcuni…ma lo fa per sempre e per tutti! Gesù è “l’anno della benevolenza di Dio” che non ha fine! Con lui i sogni, le speranze degli “ultimi” del mondo, di quelli che egli stesso chiama “i minimi di questi miei fratelli”, trovano il loro senso, non sono più illusioni, né la vita è soltanto una breve sequela di sconfitte e dolori. Perché Gesù è la “vendetta” e la “consolazione” di Dio! È la giustizia che denuncia il disordine ingiusto creato dai più forti, la forza dell’amore che vince la violenza subendola su di sé stesso, la verità che mette in luce e smaschera la menzogna dei compromessi e delle vigliaccherie umane.
   Là a Nazareth, Gesù nella sua Sinagoga, come “discepolo di Isaia”, ha fatto sue le parole del profeta, da lui citato spesso, meditato, e amato ed oggi queste parole le passa a noi, e adesso sono nostre, sono le nostre parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, poiché Egli mi ha unto. Mi ha mandato ad annunciare la buona novella ai poveri, a fasciare i contriti di cuore, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazione ai detenuti … A proclamare un anno di benevolenza del Signore”.
Questo è il programma, il senso del nostro essere al mondo. Essere per gli altri “la buona novella, la liberazione, la benevolenza del Signore”…essere cioè afferrati da Dio per diventare il Suo portavoce, il Suo Profeta, e quando capita di scoprire di essere stati scelti da Dio per questo scopo, spesso siamo assaliti dallo spavento, dallo stupore, dall’incredulità ma anche dalla riconoscenza e soprattutto, la consapevolezza di essere ancora noi stessi, e anzi forse, noi stessi più che mai, in quanto abbiamo la consapevolezza di vivere con molta più intensità, libertà e profondità di prima: “pensieri, sentimenti, affetti, azioni, ma anche, insieme, la consapevolezza di non possedersi più come prima, perché un oracolo è sempre anche posseduto da Dio, dalla sua forza insieme invisibile e irresistibile”.
 Questo spavento e questa incredulità, lo stupore e la riconoscenza è il senso acuto della forza di Dio che ti ha afferrato, e tutto questo è presente nel nostro testo di oggi che è il proclama di un uomo che sa d’essere stato inviato da Dio ad annunciare un messaggio di salvezza, e che sa anche che Dio lo ha reso idoneo, lo ha messo in condizione di realizzare quello che deve annunciare.
 A questo punto, già conosco l’obiezione: “Chi di noi può farcela ad essere tutto questo?”.
Sì! Noi non possiamo farcela, certamente…ma, conoscete l’album “Sono solo canzonette” del compianto Pierangelo Bertoli dove vi è la bellissima canzone: “Il vento soffia ancora”? Ebbene, potremmo dire: “Sì!”, “Il vento soffia ancora”! Lo spirito continua a soffiare e ci rinnova. Ci mette in grado di fare quello che non sappiamo fare, d’essere quello che in realtà non siamo. Copre le nostre piccole miserie con l’abito splendente della festa di nozze.
Come l’antico profeta, come l’antico Israele, come Gesù il Vivente, noi possiamo cantare: “Voglio rallegrarmi nel Signore, e l’anima mia esultare nel mio Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza, mi ha ricoperto con il manto della giustizia”.
AMEN


(Giampaolo Castelletti, domenica 26 Aprile 2020. Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

“Signore nostro e Padre nostro, sentiamo gioia nel metterci di fronte a te per rinnovarti la nostra fiducia ed esprimerti il nostro amore.
Ma per questo abbiamo bisogno di essere radicati nella tua Parola, di
attingere a piene mani dal tuo messaggio di vita.
Fa’ che la tua Parola ci insegni a essere tenaci nella fede e audaci nella
speranza, in modo da renderci più saldi contro le tempeste della vita,
fino al giorno in cui si sarà sconfitto questo COVID-19 e la nostra speranza diventerà realtà eterna”.

Benedizione
L’Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede,
affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo.
(Romani 15, 13)
Sorelle e fratelli, andiamo in pace, portiamo in parole e in azioni il
messaggio della speranza, e la benevolenza di Dio ci accompagni, ora
e sempre. Amen.




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