29/07/2020

OTTAVA DOMENICA DOPO PENTECOSTE


Il versetto abbinato a questa ottava domenica dopo Pentecoste è preso dalla lettera dell’apostolo Paolo con questa frase: “Così, dunque, non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio”. (Efesini 2:19)


Saluto (Paul Ricoeur)

“Il significato di un testo può essere dato pienamente soltanto se viene attualizzato dal vissuto dei lettori che se ne appropriano (…) La conoscenza biblica, infatti, non deve fermarsi al linguaggio, ma cercare di raggiungere la realtà di cui parla il testo. Il linguaggio biblico è un linguaggio simbolico, che fa pensare, un linguaggio di cui non si cessa mai di scoprire le ricchezze del significato”. 
[Tratto da : “La logica di Gesù”, Qiqajon, Magnano (Bi), 2009]

Lode

Ci raccogliamo in preghiera: Dio d’amore eterno, quando i nostri passi nella vita sono incerti, quando la strada che dobbiamo percorrere non è chiara, guidaci Tu lungo il sentiero. Quando la vita ci gioca dei brutti scherzi, quando le cose ci appaiono cupe, donaci la forza. Quando siamo circondati da troppe cose, quando vogliamo fare sempre di più per trovare soddisfazione, guida i nostri cuori a Te. Quando abbiamo perso la nostra speranza e siamo sempre più pieni di dolore, portaci nelle tue braccia. Amen!

Ascolto della parola di dio

Preghiera di illuminazione di Alessandro Esposito

Anche oggi, Padre, vogliamo sederci accanto a Te, per ascoltare quella Parola che Tu stesso hai voluto che fosse intrisa di umanità, come noi, come Te. Rendi permeabili i nostri cuori ed elastiche le nostre menti, per evitare che gli interrogativi che ci rivolgi diventino presunzione di certezza. Insegnaci che le Scritture sono la testimonianza viva ed inesauribile di quel dialogo tra Te e noi che rende la fede il luogo dell’incontro e del cambiamento, della ricerca sempre in atto, del cammino mai concluso. Amen

Testo biblico

Salmo 137
1 Là, presso i fiumi di Babilonia,
sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.
2 Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre.
3 Là ci chiedevano delle canzoni quelli che ci avevano deportati,
dei canti di gioia
quelli che ci opprimevano, dicendo:
«Cantateci canzoni di Sion!»
4 Come potremmo cantare i canti del SIGNORE
in terra straniera?
5 Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
6 resti la mia lingua attaccata al palato,
se io non mi ricordo di te,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.
7 Ricòrdati, SIGNORE, dei figli di Edom,
che nel giorno di Gerusalemme
dicevano: «Spianatela, spianatela,
fin dalle fondamenta!»
8 Figlia di Babilonia, che devi essere distrutta,
beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto!
9 Beato chi afferrerà i tuoi bambini
e li sbatterà contro la roccia!

Predicazione

Il Salmo 137 è un Salmo  poco affrontato, soprattutto perché a detta di tanti vi sono “le parole più scandalose di tutta la Bibbia”, in effetti…il finale può lasciarci senza fiato, la causa di tutto ciò è che negli ultimi due versetti si parla della tremenda maledizione per Edom e per Babilonia con queste frasi: “Come tu hai fatto ai nostri piccoli, altri sfracellino sulle rupi i tuoi bambini” (per la giustizia biblica del taglione). Parole raccapriccianti, tanto più che sono “mascherate” da beatitudine…detto ciò… non dimentichiamocelo mai…questo Salmo è…e resta…“Parola della Bibbia”, più di ogni altra cosa è una composizione poetica tra le più drammatiche che siano state mai scritte, quindi…a tal proposito…come possiamo allora reagire e cosa possiamo pensare del Salmo 137?…

Ebbene, ho trovato due tipi di reazione su questo Salmo che voglio condividere con voi.
C’è la reazione di chi, soprattutto nelle file delle chiese che si attengono per così dire al significato più ovvio ed esterno delle parole della Scrittura, le quali, provano a difendere la Bibbia dall’accusa di ospitare un testo che si chiude così ferocemente, ed iniziano domandandosi se è proprio così impossibile o immorale cercare di comprendere lo stato d’animo di chi invoca giustizia, e continuano dicendo: “Dovremmo forse pretendere da queste persone un atteggiamento “severo” solo perché appartenenti al popolo di Dio? O possiamo invece comprendere che il loro dolore è così grande da arrivare al desiderio di vedere abbattersi su chi ne è stato la causa…lo stesso male causato a loro? Certo, la richiesta del Salmo non è condivisibile, ma dovremmo anche considerare seriamente qual era la situazione da cui è nata. E poi è importante anche ricordare che il pensiero del giudaismo dell’epoca, radicato nella Legge di Mosè, era governato dal principio dell’ “occhio per occhio, dente per dente, vita per vita”. Lo sfogo di quest’uomo va allora letto tenendo conto del suo ambiente culturale, che pretendeva una retribuzione uguale al danno patito: questo, e solo questo, avrebbe rappresentato l’applicazione completa della giustizia”.
Se si possono accettare…o…non si possono accettare…questi versetti, ciascuno è libero di decidere in piena libertà.
E poi ci sono quelli come Enrico Peyretti, un intellettuale impegnato nel movimento per la pace e per la non violenza, che è stato anche presidente centrale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI) dal 1959 al 1961, il quale, non riuscendo ad accettare che le tante pagine della Bibbia che definisce “grondanti di violenza” possano essere considerate anche alla lontana “parola di Dio”, ha deciso – appoggiato da diversi “valenti monaci, teologi e filosofi” – di riformulare il canone biblico. “Più – dice – leggo i libri della conquista, delle guerre, e più li detesto, li rifiuto. Il peggio è che la Bibbia mi presenta questi orrori non come fatti umani, ma come azioni di Dio, quando invece sono delle bestemmie”. Così, Enrico Peyretti ha deciso di rigettare gran parte dell’Antico Testamento: via il patriarca Abramo, che impugnò le armi anche lui, via Mosè, via Davide; perché – spiega: “Se leggerò ancora certi libri biblici di teologia guerriera, finirò per disprezzare l’ebraismo che li ha prodotti e trasmessi, e questo non lo voglio; Terrò cari i libri della sapienza e dell’amore universale. Gli altri li chiuderò”.
Fra le varie adesioni che Peyretti ha ricevuto, una in particolare riguarda il nostro Salmo: una studiosa, d’intesa con un prete, gli ha infatti scritto: “Quando nello splendido Salmo 137 leggo i versetti finali mi viene da vomitare e urlo: no!”. Un “no” certo comprensibile…
Ma veramente allora bisognerebbe eliminare dalla Bibbia tutte le parti che emanano violenza, ed in particolare…sopprimere gli ultimi versetti, che la studiosa di cui abbiamo parlato adesso, definisce “lo splendido Salmo 137”?
Del resto, c’è già chi l’ha fatto: dopo il Concilio Vaticano II la chiesa cattolico-romana ha eliminato, nel libro della Liturgia delle ore che scandisce la preghiera quotidiana del suo clero, gli ultimi due versetti del Salmo 137 e parecchi altri versetti “troppo forti” da altri salmi.
Vi è poi, anche la reazione di un noto Pastore, nonché teologo, il professor Paolo Ricca, il quale, in un suo articolo di qualche tempo fa, ha svolto e scritto una bella…articolata…riflessione…sul Salmo 137, partendo proprio dalla soppressione della sua parte finale nel testo “ufficiale” di preghiera della chiesa cattolica.
Ve ne riassumo alcuni parti con le quali sono pienamente d’accordo.
Ricca inizia affermando che la parte finale del Salmo 137 è probabilmente la parola più scandalosa di tutta la Bibbia; la definisce “orribile, inammissibile e letteralmente irripetibile”. E aggiunge: “Non è solo lontana dalla nostra sensibilità, è lontana dall’Evangelo, ed è anche, nella sua violenza disperata e omicida, lontana da Dio stesso. Ma, anche se quella frase non possiamo e non vogliamo neppure ripeterla, non la dobbiamo per nessun motivo cancellare”, dicendo anche che…questo vale anche per tante altre pagine “violente” della Bibbia, dalla Genesi fino all’Apocalisse, Paolo Ricca quindi si domanda: “Ma perché i versetti 7 e 8 del Salmo 137 (e tutti i passi analoghi) non devono essere cancellati? Per alcune ragioni”. E ne indica tre.
La prima è che: versetti come questi ci ricordano con un’evidenza inconfutabile che la Bibbia è stata scritta da uomini, e non da angeli, né da Dio. Essa quindi porta, insieme al suo messaggio divino, anche il peso della nostra umanità, citando il titolo di un libro del filosofo Nietzsche, la Bibbia è “umana, troppo umana”, con le sue ingenuità, le sue contraddizioni, le sue discutibili ricostruzioni storiche, i suoi spropositi scientifici, il suo modo così fisico di parlare di Dio descrivendocelo con tanto di braccia, mani, dita, volto, occhi, cuore, e così via; e come un Dio che parla, si commuove, si adira e si pente; anche se sa bene – come dice in Giobbe 9:32 – che “Dio non è un uomo come me”. Ma perché allora…la Bibbia è così umana? Perché “umano, troppo umano” è il Dio della Bibbia, che ha voluto legare il suo destino all’uomo tanto da farsi egli stesso un essere umano, un rabbi di provincia, cresciuto alla periferia della terra promessa in un villaggio semipagano, dal quale si pensava che non potesse venire “qualcosa di buono” (cfr. Giovanni 1:46). Sì, umano fino in fondo è il Dio di Gesù il Cristo, che non soltanto è diventato un uomo come noi, ma – come cantavano i primi cristiani in uno dei loro inni: ”Ha preso forma di servo, e s’è fatto obbediente fino alla morte, e la morte di croce” (cfr. Filippesi 2:7), cioè s’è calato giù…giù…fino all’ultimo gradino dell’umanità. Per questo, Dio è così umano nella Sua Parola, la Bibbia, la quale parla e testimonia di lui, dove vi è un’“overdose” di umanità.
Ma proprio perché la Bibbia è realmente umana, è bene che anche gli aspetti negativi dell’umanità siano presenti in essa e non vengano rimossi. Ricca osserva che noi chiamiamo la Scrittura “Sacra”, e facciamo bene perché lo è, ma non dobbiamo dimenticare che la Bibbia è anche profana, come lo siamo noi, perché l’hanno scritta persone come noi, certo…sono state scelte istruite e ispirate da Dio, certo con una fede incomparabilmente superiore alla nostra, ma pur sempre uomini e donne come noi, radicalmente umani, terrestri e fallibili come noi.
Per tornare al nostro salmo, i suoi versetti finali documentano in modo inequivocabile proprio questo: che la Bibbia è anche un documento umano, legato ad una storia, con tutto il peso che la storia comporta. L’umanità della Bibbia è il vaso d’argilla nel quale Dio ha posto e nascosto il tesoro dell’Evangelo.
C’è poi per Ricca una seconda ragione per non cancellare quei versetti.
Essi documentano dove può portare un amore sviscerato, com’era comprensibilmente quello dell’ebreo deportato a Babilonia per Gerusalemme, la “città di Dio” (cfr. Salmo 87:3), ormai rasa al suolo, e per il tempio, nel quale Dio doveva “dimorare in perpetuo” (cfr. 1° Re 8:13) ed invece ridotto in macerie: un amore talmente smisurato da tramutarsi in odio altrettanto smisurato per Babilonia la Devastatrice, che non soltanto aveva tolto agli ebrei la libertà, ma aveva distrutto le cose più preziose e più sacre che avevano: “Gerusalemme ed il suo tempio”.
Un amore che diventa “odio perfetto”, talmente perfetto da diventare omicida. Così possono essere o diventare i nostri amori: “trasformarsi in amori che producono odio”. Nel caso dell’autore del Salmo 137, oltre al dolore per la patria perduta, c’è il rancore verso il nemico che, dopo avergli tolto le cose più preziose, si prende gioco di lui chiedendogli di cantare “le canzoni di Sion”. Tutto questo è molto umano: l’amore ferito e calpestato, il dolore, lo scherno, l’odio perfetto, il desiderio di vendetta. Quei due versetti sono, purtroppo, il nostro ritratto segreto, il volto che non osiamo far vedere a nessuno.
Siamo stati capaci (e lo siamo ancora) di sbattere i bambini contro la roccia. Ricca ricorda che l’hanno fatto i soldati dei Savoia ai bambini valdesi durante le persecuzioni; l’hanno fatto innumerevoli altri uomini alle donne incinte, sventrandole e uccidendo con loro anche il frutto del loro grembo; l’hanno fatto i nazisti mandando innumerevoli bambini ebrei nelle camere a gas. Insomma, quello che gli ebrei avrebbero voluto fare, ma probabilmente non hanno mai fatto (sbattere contro la roccia i bambini babilonesi), l’abbiamo fatto noi, in tante occasioni. Insomma, non scandalizziamoci troppo per quel terribile versetto: siamo più terribili noi, con i nostri amori che producono odio.
C’è infine un terzo motivo – dice Ricca – per non cancellare quei versetti: ci fanno toccare con mano la novità di Gesù, che ci chiede di amare i nostri nemici e di pregare per quelli che ci perseguitano (cfr. Matteo 5:44). Ci fanno cioè apprezzare più che mai, per contrasto, la novità dell’Evangelo, che del resto è presente già nell’Antico Testamento: “Se il tuo nemico ha fame, dagli del pane da mangiare; se ha sete, dagli dell’acqua da bere…”. È una parola di Proverbi 25:21, citata dall’apostolo Paolo in Romani 12:20.
Fin qui Paolo Ricca mi sembra sia tanto apprezzabile, ma alla luce però di quanto sta accadendo a Gaza e in Israele, che è la ripetizione di quanto è già accaduto tante volte, vorrei rifarmi ancora al secondo motivo di cui parlava Ricca, dicendo che davvero quell’immagine tremenda dei bambini massacrati dai guerrieri è la “nostra immagine”, e un’immagine di terribile attualità. Non dimentichiamo che questa guerra è iniziata con quattro giovanissime vittime (quasi i “bambini” del salmo): i tre studenti ebrei sequestrati e sgozzati, e il ragazzo palestinese bruciato vivo per vendetta. E poi i tanti bambini e bambine vittime dei bombardamenti, forse anche perché usati come scudi umani…
Tutto questo è inaccettabile! Eppure c’è, e dobbiamo farci i conti. La presenza, nel Salmo 137 di quei terribili versetti finali ci ricorda proprio questo, che dobbiamo fare i conti con la nostra violenza che, da un certo punto in poi, non controlliamo più. Forse possiamo anche dire così: Dio, accettando quei versetti nella Bibbia e accettando così anche di essere accusato di essere un Dio violento o che comunque accetta la violenza, ci impedisce di chiudere gli occhi davanti alla violenza, che da Caino e da Lamech – ricordate il suo cantico: “Ho ucciso un ragazzo per una scalfittura” (cfr. Genesi 4:23)? – continua ad essere la nostra realtà.
La Bibbia non censura niente, ed è bene così, anzi ci obbliga a guardarci in faccia per quello che siamo, a riflettere sul nostro vederci riflessi in questo specchio dell’umanità. E così ci aiuta a stare in guardia, con gli occhi spalancati, contro la belva che sta dentro di noi.
Non siamo buoni come sovente ci illudiamo di essere. Dio lo sa bene. E ci aiuta a evitare le illusioni.
In questa prospettiva, i versetti finali del Salmo 137proprio per lo sgomento ed il senso d’orrore che suscitano in noi, possono aprire il cuore a una preghiera di confessione di peccato e di pentimento, di cui tutti abbiamo un gran bisogno, ricordiamoci che pregare…è disarmare il cuore…è placare e vincere anche i più infernali furori, liberandoci dalle beatitudini nere della vendetta e della morte che invoca altra morte. Pregando allora con la voce disperata del salmista, facciamoci voce di tutti i disperati, di tutte le vittime della violenza…della guerra, di tutte le vittime del mediterraneo, di tutte le vittime da qualunque parte siano e preghiamo sentendoci uniti a Gesù (all’ebreo Gesù, all’uomo Gesù) sulla croce, per gemere con lui ogni gemito del mondo.

“Nelle tue mani, Cristo, affidiamo,
questo grido di oppressi e uccisi,
perché tu dalla croce converta
ogni gemito in canto d’amore,
e per te venga il Regno del Padre”.
(David Maria Turoldo)
Amen

Preghiera di Intercessione
Padre, tu sei colui che ha a cuore i tormenti umani e tu solo puoi porvi rimedio.
Abbi misericordia di coloro che sono malati nel corpo e nello spirito, di
coloro che soffrono smarriti e tormentati, per responsabilità propria o per responsabilità altrui.
Abbi misericordia di coloro che non hanno amici né soccorso umano, di
coloro che nelle loro giornate non trovano ascolto e né gesti di solidarietà: da te solo viene l’aiuto.
Abbi misericordia dei prigionieri, degli sradicati, dei violentati; tu hai la sola cosa che può veramente aiutarli: la verità della tua Parola e l’azione silenziosa del tuo Spirito.
Grazie, Signore, perché non abbandoni la tua creazione, non abbandoni
la tua chiesa. Serviti di noi, perché il tuo evangelo sia predicato, il tuo regno testimoniato e di dire con lieta e fiduciosa semplicità: Non apparteniamo a noi stessi, ma al Signore, al Padre di Gesù il Cristo e per questo ti diciamo tutti insieme: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.” Amen

BENEDIZIONE  (2 Corinzi 13:13)

“La grazia del Signore Gesù Cristo e l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Amen

(Giampaolo Castelletti, domenica 26 luglio 2020. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).


21/07/2020

19 LUGLIO 2020 SETTIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

SALUTO

Buongiorno a tutte e a tutti, domenica 19 Luglio 202, si è celebrata la settima domenica dopo Pentecoste, la quale era caratterizzata da questo versetto: “Ma ora così parla il SIGNORE, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!”. (Isaia 43:1)

Proclamazione della grazia di Dio
Care sorelle, fratelli, amiche e amici vogliate ricevere il saluto, la grazia e la pace che ci sono date da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù il Cristo. Amen.

Lode
Signore nostro, ci raccogliamo anche questa mattina col bagaglio delle nostre esperienze, non tutte positive. Nel nostro cuore, insieme a tanti altri sentimenti, ci sono ansie, preoccupazioni, paure.  Noi veniamo a te perché Tu sei vicino a noi, apri i nostri cuori perché riconosciamo la tua presenza, Se possiamo avvicinarci a te, non è perché siamo buoni, ma perché tu sei il Dio misericordioso, che ci aiuti a guardare non alle nostre ansie e paure, ma ai tuoi doni, a cominciare dal privilegio di poterci raccogliere nella presenza Tua e di Tuo Figlio il Cristo, nostro Signore benedetto in ogni tempo che ci ama e ci rinnova. Amen.

Ascolto della parola di dio
Preghiera di illuminazione
Sì, Dio nostro, siamo qui gioiosi alla tua presenza: non siamo soli, siamo tuoi, ci vuoi con te. Non siamo soli davanti al male e al nonsenso ed alla morte, non siamo soli davanti all’incertezza della vita, davanti ai nostri fallimenti e alle nostre colpe, non siamo soli davanti agli altri, non siamo soli con noi stessi. Siamo tuoi: ti siamo costati e ti costiamo cari, ti siamo cari infinitamente, come sconfinato è il tuo amore. Lo abbiamo pur visto nella vita appassionata e nella passione d’amore di Gesù. Il più solo fra noi è così amato da te. Dal profondo del cuore, con tutta la fiducia e la gratitudine di cui siamo capaci, in questo momento ti diciamo esultanti: Siamo tuoi! Sono tuo! Fa’ che possiamo continuare a dirlo, e a viverlo, nei giorni che vengono: sia questa la nostra lode viva e attiva, oggi e domani e finché ci dai vita. Amen.

Testo biblico

Romani 6:1-11   “Morire con Cristo per rinascere in Cristo”

1 Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? 2 No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso?
3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. 5 Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. 6 Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; 7 infatti colui che è morto è libero dal peccato. 8 Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, 9 sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10 Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. 11 Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù.


PREDICAZIONE
Paolo invita i suoi interlocutori a guardare nel concreto della loro esistenza, all’evento anch’esso concreto che ha segnato l’inizio della loro comunione di vita con Gesù. Noi, perché anche noi siamo nel novero degli interlocutori dell’Apostolo, siamo tutti quanti rimandati al giorno e all’ora del nostro battesimo: “…ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita”.
    Forse condizionati dal fatto che, per secoli…nelle nostre chiese…siamo stati abituati a presentare al battesimo i nostri figli quasi appena nati e quindi leghiamo normalmente, appunto, alla nascita, all’esistenza umana questo segno della vita cristiana. Così per noi il battesimo è quasi solo un inizio; il rito e la proclamazione dell’inizio di una nuova vita che speriamo e preghiamo sarà vissuta nella fede.
   Paolo invece ci dice che il battesimo, prima ancora di essere un inizio e proprio per poter essere un inizio, è anzitutto una fine, è la fine, cioè la morte da cui deve sgorgare un’esistenza completamente nuova, di tutta un’esistenza invecchiata e superata, è per questo che Paolo può dire a sé stesso e ai suoi fratelli ai quali si rivolge, queste parole altrimenti senza senso: “Siamo morti”.
   Sì, nel giorno del nostro battesimo noi “siamo morti con Cristo”; più precisamente, “siamo stati crocifissi con lui”. Perché solo così, solo dopo essere “stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua”, saremo uniti “anche in una risurrezione simile alla sua”, saremo cioè sottratti al dominio del peccato e vivremo con lui nella gloria di Dio.
   Ma come può Paolo proclamare tutto questo? E noi, come sappiamo noi, sempre alle prese con le nostre debolezze e le nostre infedeltà e col male che sentiamo forte in noi…sì, come sappiamo “che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato” e così “non serviamo più al peccato”, perché “colui che è morto, è libero dal peccato”?
   Prima della pagina di oggi, Paolo, in un linguaggio insuperabile per bellezza e profondità, ha presentato la Croce di Gesù come la manifestazione per eccellenza dell’amore di Dio: “Mentre noi eravamo ancora immersi nella nostra debolezza” – così a scritto in Romani 5:6 – “Cristo, al tempo stabilito, è morto per gli empi”. La storia di Gesù, e al vertice di questa storia la sua morte, è stata fin dall’inizio orientata verso destinatari ben precisi : non è venuto a vivere e a morire per i giusti, ma per i deboli, per i peccatori, per gli empi e le persone ribelli, ed è per questo motivo allora che la storia di Gesù ci riguarda: è la storia che si è svolta per noi, e per questo è anche direttamente la nostra storia.
   Ed il momento del battesimo è importante, perché annuncia e applica “ufficialmente” a me stesso e a tutte e tutti noi questa storia, quello che il Cristo ha fatto per tutte e tutti noi.
   Quando cioè tutte e tutti noi riceviamo il battesimo, nelle parole che ci vengono dette e nel segno dell’immersione nell’acqua, la storia di Gesù ci viene presentata dal ministero della Chiesa come una storia destinata a tutte e tutti noi, e noi confessiamo la nostra fede in colui che ha vissuto quella storia per tutte e tutti noi. Dichiariamo cioè di riconoscere che quegli eventi di duemila anni fa non sono per noi qualche cosa di remoto nelle brume del tempo e nella vastità dello spazio, ma che la storia di Gesù di Nazareth è la nostra storia, perché noi, in quella storia, ci ritroviamo implicati, afferrati, perdonati e salvati: “Siamo morti con lui” e “vivremo con lui, che, risuscitato dai morti, non muore più”. E come “il suo vivere” anche il nostro sarà “un vivere a Dio”. Amen

PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Dio nostro, prima di separarci, ti preghiamo per coloro che, fra noi, stentano a riconoscere i tuoi benefici, i segni del tuo amore: per quelli che sono e si sentono più soli; per quelli che non trovano un lavoro, o che ne hanno trovato e devono svolgerne uno nel quale non si sentono contenti e interessati; per i malati, e per le famiglie che sono in ansia per i loro malati.  Rafforza in noi, Padre nostro, il senso saldo e profondo che siamo tuoi, la tua Parola ce lo ridica sempre, il tuo Spirito ci guidi e ci aiuti a viverlo. E fa’ che, di fronte a coloro con i quali viviamo, a casa, sul posto di lavoro o nel tempo libero, possiamo sempre pensare: questa donna, quest’uomo, queste persone sono tuoi; forse non lo sanno, come anch’io tante volte non lo so, o lo dimentico, ma sono tuoi, e valgono il prezzo immenso del tuo amore, valgono la vita di Gesù Cristo. Per coloro che ancora non lo sanno, che ignorano la loro vera identità, ti chiediamo che giungano a riconoscerla: che qualcuno la dica loro da parte tua e con la forza profonda del tuo Spirito. E quando capiterà a noi di essere quel qualcuno, ci sia dato di esserti testimoni e di dire con lieta e fiduciosa semplicità: Non apparteniamo a noi stessi, ma al Signore, al Padre di Gesù Cristo. Per questo ti diciamo tutti insieme: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.” Amen

BENEDIZIONE  (1Pietro 5, 10 - 11)
“Il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli”. Amen.
(Giampaolo Castelletti, domenica 19 luglio 2020. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

16/07/2020

Giovanni 4:14


“ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna”.

“Come l’acqua per il corpo, le Sue parole sono necessarie per il corpo, ma anche per l’integrità della persona. L’insegnamento di Gesù dà benessere all’intera persona: al suo rapporto con Dio, con sé stesso, con gli altri, vicini e più lontani, con l’intero creato. Chi ha sete, risponda all’invito di Gesù”.
Domenico Tomasetto

12/07/2020

DOMENICA 12 LUGLIO 2020

Buona domenica a tutte e a tutti, quest’oggi celebriamo la sesta domenica dopo Pentecoste caratterizzata da questo versetto: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio”. (Efesini 2:8)


Invocazione
A voi tutti, fratelli e sorelle, grazia e pace da Dio nostro Padre che ci ha creati,
ci ha salvati in Gesù il Cristo il quale ci chiama e ci guida per mezzo dello Spirito Santo. A lui vogliamo innalzare la nostra preghiera, a lui sia la lode, in ogni età. Amen.


Ascolto della parola di dio

Preghiera di illuminazione
"Ti lodiamo, o Signore, per la tua parola di verità e di vita. Siamo certi che oggi ancora la tua forza è all’opera, per rinnovare continuamente il mondo per mezzo di Cristo. Rendici attenti alla tua opera nel nostro tempo; fa’ che non rimaniamo attaccati al passato, che non ti cerchiamo là dove tu non sei. Cammina davanti a noi, tu che sei il nostro futuro. Facci ricercare delle vie nuove e aiutaci a rimanere saldi.
Permettici sempre di ascoltare la tua voce, di distinguerla dalle altre voci e dal rumore del mondo. La tua parola scenda nei nostri cuori e produca in noi il frutto che non marcisce. La tua chiamata ci svegli dal torpore e ci spinga al cammino. Nel nome di Gesù il Cristo". Amen.

Testo biblico
Luca 21,  20 – 36  
20 «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. 21 Allora quelli che sono in Giudea, fuggano sui monti; e quelli che sono in città, se ne allontanino; e quelli che sono nella campagna non entrino nella città. 22 Perché quelli sono giorni di vendetta, affinché si adempia tutto quello che è stato scritto. 23 Guai alle donne che saranno incinte, e a quelle che allatteranno in quei giorni! Perché vi sarà grande calamità nel paese e ira su questo popolo. 24 Cadranno sotto il taglio della spada, e saranno condotti prigionieri fra tutti i popoli; e Gerusalemme sarà calpestata dai popoli, finché i tempi delle nazioni siano compiuti. 25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde; 26 gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo; poiché le potenze dei cieli saranno scrollate. 27 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande. 28 Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina». 29 Disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutti gli alberi; 30 quando cominciano a germogliare, voi, guardando, riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina. 31 Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. 32 In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. 33 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 34 Badate a voi stessi, perché i vostri cuori non siano intorpiditi da stravizio, da ubriachezza, dalle ansiose preoccupazioni di questa vita e che quel giorno non vi venga addosso all'improvviso come un laccio; 35 perché verrà sopra tutti quelli che abitano su tutta la terra. 36 Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

PREDICAZIONE
La conclusione del capitolo 21 di Luca finisce con questi diciassette versetti che abbiamo letto e che potremmo definire la “piccola apocalisse”, anche se per molti la parola “apocalisse” starebbe a significare la distruzione di ogni cosa in un clima di panico e terrore, ma ad una lettura attenta, tutto questo capitolo si rivela – questa è la sorpresa – non un' “apocalisse” ma un'“anti-apocalisse”.
Se cioè in tutta la prima parte di Luca, dal versetto 20 al versetto 24, abbiamo letto che Gesù si sofferma a descrivere la “devastazione di Gerusalemme” , e poi addirittura, con una sorta di salto di qualità, di “segni nel sole, nella luna e nelle stelle”, non lo fa per metterci paura perché “la fine arriva e ormai non c'è più tempo”. È proprio il contrario. Qui tutto va visto nella luce dell'invito che egli, quasi all'inizio del suo discorso, rivolge ai suoi discepoli: “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”.
   Sì, “rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina”, con queste parole, Gesù vuole dirci “siate lucidi!” È difficile essere più “anti-apocalittici” di così. È vero (e Gesù lo dice a chiare lettere) che la storia del nostro vecchio mondo sta andando incontro al suo compimento: è il progetto di Dio per il suo universo. Ma è inutile far calcoli, è inutile aspettare con il naso per aria o cercare di cogliere qua e là segni premonitori: quando sarà il momento, ce ne accorgeremo, perché sarà semplicemente impossibile non accorgersene: “Allora si vedrà il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande”! Sì, solo allora, solo quando vedremo “il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole” sapremo che “ci siamo!”. Non un minuto prima!
Del resto, anche in Marco (13:32) vi è scritto chiaramente che: “quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Se “gli angeli del cielo” non lo sanno... se nemmeno “il Figlio”, cioè Gesù, che pure della fine sarà il protagonista, conosce “quel giorno e quell'ora” perché Dio se li è riservati per sé, come potremo pensare di conoscerli noi, o di dar retta a chi pretende di conoscerli come fanno alcuni ?...
Ma andiamo avanti, ne vale la pena, perché c'è ancora qualcosa di luminoso e consolante da vedere e da dire, ed è la parabola che al versetto 29 inizia così: “Guardate il fico e tutti gli alberi”.
Nella Bibbia può anche capitare che un fico insegni. Ma cosa mai ci può insegnare un fico?
A differenza di quasi tutti gli alberi della Palestina, esso perde le foglie nel periodo invernale.
Per questo, quando con l'arrivo del caldo il fico rimette le foglie, la sua trasformazione è particolarmente spettacolare e fa l’annuncio della bella stagione: “riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina…”.
Imparare dal fico vuol dire allora fare come lui: non restare vincolati al presente, ma trovare il coraggio di rinnovarsi e di farsi promessa dell’estate, coi suoi frutti abbondanti, coi suoi doni gustosi.
Avere fede in quello che ci dice la Parola del Signore, vuol dire capire che il futuro non sarà la terribile fine delle cose, ma il loro compimento. Perché il futuro avrà il volto di Gesù: è lui che viene e, se è lui, può mai essere “morte e distruzione”?          
   No, Gesù che viene non sarà “Armagheddon”, ma sarà “l'estate”: sole, caldo, profumi, luce, colori, frutti, in un'abbondanza vertiginosa. È proprio così: la venuta di Gesù non è una minaccia (e come potrebbe esserlo?), ma il fulgido compimento delle promesse di Dio! È folle allora avere paura del futuro, perché Gesù è il futuro che ci attende.
E proprio la fiducia nel futuro, ci consente di “vivere” il presente non come il tempo in cui cercare di tirare avanti un'esistenza per molti versi vuota e senza senso, ma nella libertà di chi sa di essere il signore del presente, e non il suo schiavo.
C’è qui allora, vedete, una dialettica fra il nostro tempo e quello del Signore, che è esattamente il contrario del nostro modo corrente di vivere (o meglio, di non vivere) il presente e il futuro. Il tempo del Signore che verrà, è chiaramente il futuro,
il nostro tempo invece è il nostro esserci, il presente che viviamo. Ma dal suo tempo che sta davanti a noi – se non chiudiamo gli occhi, il cuore e tutto il resto - il Signore dà luce al nostro tempo: il presente che abbiamo lo dobbiamo organizzare e vivere
in funzione del suo futuro… Ma, appunto lo dobbiamo organizzare, e lo dobbiamo vivere, perché ora ha un senso e noi non ne siamo più le vittime passive: ne siamo i responsabili!
Possiamo e dobbiamo davvero superare le nostre paure del tempo che passa, smetterla di aggrapparci a un presente che ci fa infelici…
Per questo, senza le esagerazioni di alcuni gruppi che a forza di aspettare e proclamare la fine del mondo che non è avvenuta e non avviene…noi dobbiamo recuperare la speranza nel ritorno glorioso del Signore, così importante per la chiesa dell’inizio e invece così assente nel nostro modo di essere cristiani oggi.
Dobbiamo credere che verrà, e in questa prospettiva, accogliere il forte invito a “vegliare” che ha chiuso il nostro testo, infatti, dobbiamo vivere confidando che…tutto il nostro agire, impegnarci e patire, troverà proprio in Gesù che viene coi colori dell’estate, il suo compimento e quel significato che oggi stentiamo a cogliere. Davvero una buona domenica a tutte e tutti!  AMEN

PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Signore, tu conosci i nostri cuori, ascolti l’invocazione di ognuno di noi.
Sostienici e parlaci quando ci sentiamo soli nelle decisioni da prendere, quelle grandi e quelle piccole, perché nulla ci possa mai allontanare dal progetto che hai per noi.
Aiutaci a ricordare e a scoprire la solitudine ed il dolore degli altri, perché insieme a loro possiamo invocare il tuo nome e il tuo intervento.
Non lasciarci smarriti e impotenti neanche di fronte a quello che ci appare irreparabile; insegnaci invece, di volta in volta, gesti e parole che vincano il dolore, la sofferenza, il bisogno.
Te lo chiediamo nel nome del Tuo figlio Gesù. Amen

BENEDIZIONE  (Matteo 28:18-20  C.E.I./Gerusalemme)
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Amen

(Giampaolo Castelletti, domenica 12 luglio 2020. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).


11/07/2020

TESTO BIBLICO E PREDICAZIONE TENUTA DOMENICA 5 LUGLIO 2020 IN CHIESA METODISTA AD OMEGNA


«E disse il Signore Dio: “Non è bene per l’uomo essere per se stesso: farò a lui un aiuto come di fronte a lui” (…) E fece cadere il Signore Dio torpore sull’uomo, che si addormentò. E prese una delle costole di lui e chiuse carne in luogo di essa. E costruì il Signore Dio la costola che prese dall’uomo come donna e la fece andare verso l’uomo. E disse l’uomo: “Lei, questa volta, è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Sarà chiamata donna, perché da un uomo fu tolta”. Perciò lascerà un uomo suo padre e sua madre e si legherà alla donna per lui e saranno come carne unica. Ed erano entrambi nudi, l’uomo e la donna per lui, e non si vergognavano» (Genesi 2:18; 21-25)

Ogni narrazione biblica contiene delle verità profonde, ma ci chiede, come in una caccia al tesoro, di scovarle, di non accontentarci di quanto ci sembra di cogliere a prima vista. Le Scritture sono un invito costante che Dio ci rivolge perché impariamo a prenderci del tempo che, come sappiamo, è indispensabile per comprendere più a fondo ogni cosa: anche un racconto. Addentriamoci, dunque, nel nostro testo, parola che viene da «tessuto»: e guardiamone più da vicino il lavoro di filatura, la trama e l’ordito che creano poi quei disegni su cui, spesso, concentriamo in maniera esclusiva il nostro sguardo. Immergiamoci nei dettagli che compongono la nostra storia e verifichiamo se questo sguardo più attento può aiutarci a comprenderla più in profondità.

Il primo a prendere la parola, nel nostro racconto, è Dio; Egli getta uno sguardo sull’uomo ed esprime una considerazione: «Non è bene che sia per se stesso».
Dio nota un’incapacità nell’uomo, quella stessa che noi, oggi, siamo sempre meno in grado di scorgere: l’uomo non può essere il senso di se stesso; se la sua vita ruota esclusivamente intorno a sé, si svuota di significato. L’uomo non può vivere per sé: o, per meglio dire, può benissimo, lo constatiamo quotidianamente; ma che questo, poi, sia vivere davvero, è un altro discorso. Il fatto che la profonda, rassegnata solitudine – non quella salutare ed opportuna, ma quella contrassegnata dall’illusione dell’autosufficienza – sia la vera e propria «malattia dell’anima» del nostro Occidente, credo sia sotto gli occhi di tutti.

In questa pagina biblica, la delicata, attenta constatazione di Dio vuole esprimerci quella che è la Sua più profonda convinzione su di noi: quella secondo cui siamo esseri votati alla relazione, che nei rapporti e dai rapporti traggono linfa, dolore, trasporto, disincanto; insomma, nel bene e nel male, senso, anche quando il senso viene ferito, poiché, se viene ferito, è perché, per qualche istante, ci era parso di avvertirlo. E quando ciò è avvenuto, per ciascuno di noi, è stato accanto a qualcuno.

Ma il Dio biblico, lo sappiamo, è un Dio estremamente pragmatico: per cui non si limita all’osservazione e passa all’azione. Il progetto, almeno nelle intenzioni, è chiaro: «Farò – dice Dio – a lui un aiuto». Inutile dire che, se ci fermassimo a questa sola espressione, le possibilità di interpretarla in maniera fuorviante si sprecano: e lo abbiamo visto nell’arco della storia umana in generale e in quella delle chiese in particolare, che certo non hanno brillato per il riconoscimento di una piena parità di diritti tra donne e uomini.
Il termine «aiuto» può difatti essere associato all’idea di «funzionale a», per cui la donna sarebbe vista come una sorta di complemento dell’uomo, in tutto e per tutto rivolta a lui ed alle sue necessità. Invece, il nostro testo prosegue, specificando: «Come di fronte a lui». Di questa bellissima espressione, vorrei sottolineare due aspetti.

Il primo di essi riguarda la sua traduzione letterale, che potremmo rendere con: «di contro a lui». Insomma, l’aiuto, secondo il testo biblico, è costituito dalla presenza di qualcuno che ha la facoltà di venirci contro, di contrariarci, di contraddirci, di resisterci: e, lo sappiamo per esperienza, spesso si tratta dell’aiuto più prezioso, che non di rado viene da quella stima sincera che è il contrario dell’adulazione. La donna è possibilità data all’uomo di confrontarsi, di fare i conti con qualcuno, in modo serio, autentico, spassionato. Capita sovente che l’uomo non ne abbia la volontà: ma la donna è lì a richiamarlo a questo compito, attraverso il quale, soltanto, all’uomo è offerta l’opportunità di maturare, di prendere consapevolezza, di cambiare.

Il secondo aspetto riguarda il fatto che l’uomo e la donna nascono nel proposito di Dio per starsi di fronte: questa è la posizione che, più sovente, dovrebbero occupare l’uno nei confronti dell’altra, poiché questa è anche la posizione della reciprocità, quella che consente loro di guardarsi e, pertanto, di incontrarsi e di riconoscersi. Starsi contro, starsi di fronte: queste le due posizioni che caratterizzano ogni relazione, perché consentono alle due persone che la vivono e la costruiscono di non inglobare mai l’altro, di mantenerlo nella sua individualità, nella sua differenza.
Difatti, proseguirà il testo, i due saranno una sola carne, sì, ma non una sola mente o un solo spirito: in questo dovranno rimanere distinti, per rendere possibile, ogni volta, l’incontro e il confronto, il dialogo e la distanza, l’intimità e l’estraneità, la conoscenza e la scoperta. Non assorbire l’altro, non assimilarlo a sé, ciò che spesso è il segreto desiderio di possesso che si nasconde dietro l’amore, è condizione indispensabile al mantenimento di un rapporto, che sussiste soltanto se i due rimangono due.

Per realizzare il suo proposito Dio, dice il nostro testo, fa scendere un torpore sull’uomo: mi piace pensare che la donna nasca dalla dimensione segreta e sconfinata del sogno, da quello che è, per ciascuno, il luogo di confine della coscienza, lo spazio del desiderio, l’ambito in cui la ragione vigile smette, per un istante, di sorvegliare. Su questa soglia meravigliosa e sconosciuta si affaccia la donna nella vita dell’uomo e viene a interromperne la presuntuosa lucidità, a produrre quel disorientamento della mente e dei sensi che si rivelerà in grado di riorientare i passi dell’uomo. Questo è l’amata per ogni uomo: sbandamento della coscienza, timido affacciarsi sull’uscio del sogno che permette di abbandonare il mondo scontato e arido delle cause e degli effetti, per gettare chi ama nel mare burrascoso delle emozioni. Di questo mondo ulteriore, ogni donna è per l’uomo promessa e scoperta.

Calato il torpore sugli occhi, Dio estrae la nuova creatura dal fianco dell’uomo: perché questa è la posizione che le spetta ogniqualvolta i due non si troveranno di fronte l’uno all’altra; in questo caso, donna e uomo cammineranno fianco a fianco, senza che nessuno sopravanzi l’altro.
«Colei che sta accanto» è avvertita dall’uomo come una parte mancante di sé, ossa dalle proprie ossa, carne dalla propria carne; ed il trasporto verso di lei sarà tale da creare un laccio più forte del sangue, al contempo tenace e fragile: l’amore. I due lo vivranno standosi accanto e di fronte, posizioni che è faticoso apprendere e, ancor più, mantenere: ma, se teso oltre questa vicinanza e questa reciprocità, il laccio si spezza. Per questo ogni amore è chiamato ad averne cura, a preservare la distanza senza annullarla o accrescerla eccessivamente, prestando attenzione a che non diventi estraneità o sopraffazione.

Un ultimo aspetto dell’amore è richiamato con tenerezza dal nostro testo: donna e uomo, difatti, stanno nudi l’uno alla presenza dell’altra.
Mi piace scorgervi un richiamo alla trasparenza: conoscerci è riacquistare nudità, cammino di spoliazione che nulla meglio dell’amore è in grado di insegnarci. Amore, infatti, narra un altro splendido mito, quello contenuto nel Fedro di Platone, è figlio di mancanza. Siamo esseri mancanti, incompleti e conosciamo l’amore per sottrazione, per ferita nella carne che sta lì a ricordarci la traccia di un’assenza. Ricerchiamo l’amore come dono di nudità, unica via che, attraverso l’incontro con l’altra, è capace di ricondurci sino a noi stessi. Questa è anche la strada che, ogni giorno, ci invita a percorrere il Nostro Dio che, come ci ricordano le Scritture che anche oggi abbiamo provato ad ascoltare e a meditare, è un Dio che ci sospinge a imparare l’Amore nell’imperfetta, difficile bellezza di quelle relazioni, di cui Egli ci chiama, ogni giorno, ad aver cura.

[Domenica 5 Luglio 2020 – Pastore Alessandro Esposito]