Omegna-Intra-Luino, 15 settembre 2024
Luca 7,11-17
11
Poco dopo egli si avviò verso una città chiamata Nain, e i suoi discepoli e una
gran folla andavano con lui. 12 Quando fu vicino alla porta della
città, ecco che si portava alla sepoltura un morto, figlio unico di sua madre,
che era vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Il
Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: «Non piangere!» 14
E, avvicinatosi, toccò la bara; i portatori si fermarono, ed egli disse:
«Ragazzo, dico a te, àlzati!» 15 Il morto si alzò e si mise seduto,
e cominciò a parlare. E Gesù lo restituì a sua madre. 16 Tutti
furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è
sorto tra di noi»; e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 E questo
dire intorno a Gesù si divulgò per tutta la Giudea e per tutto il paese
intorno.
La
vita incontra la morte e la vince. La vita vince sulla morte.
Questo
è in due parole il significato di questo racconto, che inizia appunto come un
incontro, un incontro tra due gruppi di persone, entrambi molto numerosi. Gesù
sta entrando nella città di Nain insieme ai suoi discepoli e una gran folla,
mentre dalla città sta uscendo un corteo funebre, per portare a sepoltura un
giovane. I cimiteri si trovavano infatti al di fuori delle mura delle città.
Quando
muore una persona giovane, molta gente partecipa al funerale e condivide il
dolore di quella famiglia; magari anche chi non la conosce direttamente
partecipa per dare un segno di presenza, perché è innaturale morire in
gioventù.
Una
gran folla accompagna la madre di questo ragazzo, la quale già era rimasta
vedova e aveva quell’unico figlio. Siamo davanti al massimo del dramma che può
accadere: la morte di un figlio unico di madre vedova.
Fatto
che nel contesto della società del tempo voleva anche dire che la donna
rimaneva sola e una donna senza uomini che lavorassero era condannata alla
povertà.
Questo
corteo funebre, questo dolore che cammina verso il cimitero, incontra un altro
corteo, probabilmente festoso, quello che accompagna Gesù verso la città di
Nain.
Gesù
e i suoi accompagnatori stanno per entrare in città, laddove si svolge la vita
sociale e religiosa, il corteo funebre invece esce dalla città, verso il
cimitero, dove vi è soltanto la morte. I due gruppi vanno in direzioni opposte.
Potevano semplicemente passarsi accanto e invece i due gruppi si
incontrano, e quell’incontro cambia tutto. Il messaggio di questo racconto è in
fondo un anticipo della Pasqua e ci vuole dire che laddove la morte incontra
Gesù, essa viene sconfitta.
Gesù
vede la donna, ha pietà di lei e le rivolge la parola, la sua Parola, quella
con la P maiuscola. L’incontro nasce dallo sguardo di Gesù, che è lo sguardo di
Dio, lo sguardo della misericordia.
Gesù
vede la donna vedova che ha perduto il suo unico figlio. La vede e ne ha pietà,
cioè ne ha compassione, nel senso che partecipa al suo dolore. Il verbo che
viene usato deriva dal nome delle viscere materne, è una compassione che
potremmo definire “uterina”.
Nel
vangelo di Luca questo verbo viene usato solo tre volte: qui, dove è la
compassione di Gesù; nel racconto del samaritano, che prova compassione
dell’uomo ferito che trova sulla strada; e nella parabola del figlio prodigo o
padre misericordioso, dove è appunto la misericordia che il padre prova quando
vede il figlio arrivare da lontano. Tre testi molto significativi del vangelo
di Luca.
Lo
sguardo di Gesù e la sua com-passione si concretizzano poi nella sua parola,
che sono in realtà due parole, una rivolta alla madre e una rivolta al figlio
morto:
Alla
donna dice «Non piangere!». Era più che naturale che la donna piangesse, che
altro poteva fare? Aveva perso tutto, tranne le lacrime…
Solitamente,
è meglio evitare di dire “non piangere” a chi piange: chi piange di solito non
solo ha tutte le ragioni per piangere, ma ne ha anche il diritto. C’è un tempo
per piangere – dice il Qoelet – un tempo in cui è giusto poter esprimere in
questo modo il proprio dolore.
Soltanto
Gesù può dire “non piangere”, perché soltanto Gesù può eliminare la causa del
dolore che porta al pianto, in questo caso la morte.
Il
nostro dire “non piangere” esprime in fondo il nostro desiderio che la persona
a cui lo diciamo non pianga più. Il “non piangere” pronunciato da Gesù invece è
una promessa, la consolazione che viene da Dio è quella che elimina la causa
del dolore.
Infatti
subito dopo si rivolge al ragazzo morto: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Ma
prima tocca la bara, che probabilmente è una sorta di barella, perché non si
usavano delle bare chiuse come facciamo noi oggi.
Qualcuno
dice che Gesù tocca la bara solo per fermare i portantini, altri dicono che in
questo modo Gesù mostra di non avere paura di diventare impuro toccando un
cadavere, perché quel cadavere un attimo dopo non sarà più un cadavere.
In
ogni caso, non si tratta di un tocco magico, è la parola di Gesù che rialza il
ragazzo, che gli restituisce la vita, che lo rimette in piedi. È la parola di
Dio che è più forte della morte.
Non
si tratta di una “resurrezione” come quella che Gesù stesso sperimenterà a
Pasqua, perché quel ragazzo torna in vita ma rimane mortale. È però una sorta
di anticipo, di preavviso del fatto che in Gesù Dio è venuto a vincere la
morte.
Il
ragazzo si alza e parla, segno che è vivo, che è di nuovo una persona in
relazione. Gesù lo restituisce a sua madre, che rimane al centro dello sguardo
e della misericordia di Gesù.
Quella
donna che aveva perso tutto, il suo unico affetto, che costituiva anche la
persona che poteva darle un futuro, che pensava di aver perso per sempre e che
invece Gesù le restituisce.
Quella
donna ha ora di nuovo il suo affetto e il suo futuro. La morte ha incontrato il
Signore della vita e il Signore della vita ha vinto la morte.
A
quella anonima donna e a quell’anonimo ragazzo, Gesù restituisce il loro
futuro, che la morte aveva loro tolto.
Ora
potranno cambiare direzione, non più verso il cimitero, ma potranno ritornare
in città, dove c’è la vita e dove si vive con gli altri.
Questo
accadimento porta la folla dei due gruppi, che ora diventa un gruppo solo, a
dire «Un grande profeta è sorto tra di noi» e «Dio ha visitato il suo popolo».
Le persone presenti riconoscono in Gesù un grande profeta e nell’opera di Gesù
l’opera stessa di Dio: «Dio ha visitato il suo popolo».
Quando
Dio visita il suo popolo lo fa per salvarlo, per liberarlo. In Gesù, Dio visita
il suo popolo – e non solo il suo popolo in senso stretto – per liberarlo dal
potere della morte.
La
gente non dice “Dio ha visitato la mamma Tizia e suo figlio Caio”, ma «ha
visitato il suo popolo», riconosce che l’opera di Gesù non è soltanto per
quelle persone toccate dal suo miracolo, ma per tutto il popolo.
Dio
ci ha visitati! Questa è la fede che i testimoni del miracolo confessano alla
fine di questo racconto.
E
l’obiettivo di questo racconto è portare anche noi che lo leggiamo oggi a dire
“Dio ci ha visitati”.
Non
“Dio ha visitato quella donna e suo figlio, qual giorno mentre stava andando
nella città di Nain”. Non è una storia vecchia e che riguarda qualcun altro,
riguarda noi, è raccontata per noi!
È
vero che Gesù non ha riportato in vita molti bambini e ragazzi che ogni giorno
muoiono, non ha detto “non piangere” a molte donne che piangono i loro figli
morti ingiustamente e senza senso in molti luoghi del mondo, da Gaza a Israele,
dall’Ucraina alla Russia, dal Sudan alla Siria e in molti altri paesi del
mondo.
E
poi qui vicino a noi, sulle nostre strade o nelle nostre periferie violente.
Gesù
non ha eliminato il male dal mondo, non ha eliminato la morte. Ma l’ha vinta, e
questo racconto, dicevamo, è un anticipo, una prefigurazione della Pasqua, è
una promessa che per la madre e quel ragazzo si realizza subito nell’incontro
con il Signore della vita e per noi si realizzerà quando il Signore vorrà.
Questo
racconto è però anche un segno di ciò che la Parola di Dio dice e può fare:
essa dice anche a noi: Non piangere. Rialzati.
È
una parola detta non soltanto a quella donna e a quel suo unico figlio. È una
parola detta a chiunque piange e a chiunque è morto dentro.
Gesù
rialza, restituisce futuro a chi lo incontra e può così smettere di piangere.
Lo
fa anche oggi, nell’evangelo annunciato e creduto. Anche oggi l’evangelo rialza
e restituisce futuro, rende possibile a chi lo incontra di rialzarsi,
riprendere la parola e riprendere a camminare verso il futuro.
Noi
non facciamo miracoli, non possiamo riportare in vita chi non c’è più; questo
lo ha fatto soltanto Gesù e soltanto con alcune persone.
Lo
ha fatto per lasciarci un segno e una testimonianza per aiutarci a credere in
lui e nella sua Parola.
La
Resurrezione con la R maiuscola è e sarà opera soltanto di Dio, quando Dio
vorrà. Ma oggi molte resurrezioni, molti nuovi inizi, molte ripartenze sono
possibili per chi incontra Cristo sulla sua strada.
“Rialzati”
dice il Signore anche a noi, oggi e ogni volta che riceviamo il suo evangelo e
ci fa rivivere e ripartire con lui, verso la vita e verso la vita nuova che
egli ci dona.
Il
Signore ci aiuti ad accogliere con fede e con gioia questa parola che fa
rivivere e a dire anche noi con fiducia e riconoscenza “Dio ha visitato il suo
popolo”.
Anzi:
Dio, in Cristo, ci ha visitati!
Marco
Gisola
Nessun commento:
Posta un commento