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23/09/2024

 

Omegna-Intra-Luino, 15 settembre 2024

Luca 7,11-17

11 Poco dopo egli si avviò verso una città chiamata Nain, e i suoi discepoli e una gran folla andavano con lui. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava alla sepoltura un morto, figlio unico di sua madre, che era vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Il Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: «Non piangere!» 14 E, avvicinatosi, toccò la bara; i portatori si fermarono, ed egli disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!» 15 Il morto si alzò e si mise seduto, e cominciò a parlare. E Gesù lo restituì a sua madre. 16 Tutti furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra di noi»; e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 E questo dire intorno a Gesù si divulgò per tutta la Giudea e per tutto il paese intorno.

 

La vita incontra la morte e la vince. La vita vince sulla morte.

Questo è in due parole il significato di questo racconto, che inizia appunto come un incontro, un incontro tra due gruppi di persone, entrambi molto numerosi. Gesù sta entrando nella città di Nain insieme ai suoi discepoli e una gran folla, mentre dalla città sta uscendo un corteo funebre, per portare a sepoltura un giovane. I cimiteri si trovavano infatti al di fuori delle mura delle città.

Quando muore una persona giovane, molta gente partecipa al funerale e condivide il dolore di quella famiglia; magari anche chi non la conosce direttamente partecipa per dare un segno di presenza, perché è innaturale morire in gioventù.

Una gran folla accompagna la madre di questo ragazzo, la quale già era rimasta vedova e aveva quell’unico figlio. Siamo davanti al massimo del dramma che può accadere: la morte di un figlio unico di madre vedova.

Fatto che nel contesto della società del tempo voleva anche dire che la donna rimaneva sola e una donna senza uomini che lavorassero era condannata alla povertà.

Questo corteo funebre, questo dolore che cammina verso il cimitero, incontra un altro corteo, probabilmente festoso, quello che accompagna Gesù verso la città di Nain.

Gesù e i suoi accompagnatori stanno per entrare in città, laddove si svolge la vita sociale e religiosa, il corteo funebre invece esce dalla città, verso il cimitero, dove vi è soltanto la morte. I due gruppi vanno in direzioni opposte.                                                   Potevano semplicemente passarsi accanto e invece i due gruppi si incontrano, e quell’incontro cambia tutto. Il messaggio di questo racconto è in fondo un anticipo della Pasqua e ci vuole dire che laddove la morte incontra Gesù, essa viene sconfitta.

Gesù vede la donna, ha pietà di lei e le rivolge la parola, la sua Parola, quella con la P maiuscola. L’incontro nasce dallo sguardo di Gesù, che è lo sguardo di Dio, lo sguardo della misericordia.

Gesù vede la donna vedova che ha perduto il suo unico figlio. La vede e ne ha pietà, cioè ne ha compassione, nel senso che partecipa al suo dolore. Il verbo che viene usato deriva dal nome delle viscere materne, è una compassione che potremmo definire “uterina”.

Nel vangelo di Luca questo verbo viene usato solo tre volte: qui, dove è la compassione di Gesù; nel racconto del samaritano, che prova compassione dell’uomo ferito che trova sulla strada; e nella parabola del figlio prodigo o padre misericordioso, dove è appunto la misericordia che il padre prova quando vede il figlio arrivare da lontano. Tre testi molto significativi del vangelo di Luca.

Lo sguardo di Gesù e la sua com-passione si concretizzano poi nella sua parola, che sono in realtà due parole, una rivolta alla madre e una rivolta al figlio morto:

Alla donna dice «Non piangere!». Era più che naturale che la donna piangesse, che altro poteva fare? Aveva perso tutto, tranne le lacrime…

Solitamente, è meglio evitare di dire “non piangere” a chi piange: chi piange di solito non solo ha tutte le ragioni per piangere, ma ne ha anche il diritto. C’è un tempo per piangere – dice il Qoelet – un tempo in cui è giusto poter esprimere in questo modo il proprio dolore.

Soltanto Gesù può dire “non piangere”, perché soltanto Gesù può eliminare la causa del dolore che porta al pianto, in questo caso la morte.

Il nostro dire “non piangere” esprime in fondo il nostro desiderio che la persona a cui lo diciamo non pianga più. Il “non piangere” pronunciato da Gesù invece è una promessa, la consolazione che viene da Dio è quella che elimina la causa del dolore.

Infatti subito dopo si rivolge al ragazzo morto: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Ma prima tocca la bara, che probabilmente è una sorta di barella, perché non si usavano delle bare chiuse come facciamo noi oggi.

Qualcuno dice che Gesù tocca la bara solo per fermare i portantini, altri dicono che in questo modo Gesù mostra di non avere paura di diventare impuro toccando un cadavere, perché quel cadavere un attimo dopo non sarà più un cadavere.

In ogni caso, non si tratta di un tocco magico, è la parola di Gesù che rialza il ragazzo, che gli restituisce la vita, che lo rimette in piedi. È la parola di Dio che è più forte della morte.

Non si tratta di una “resurrezione” come quella che Gesù stesso sperimenterà a Pasqua, perché quel ragazzo torna in vita ma rimane mortale. È però una sorta di anticipo, di preavviso del fatto che in Gesù Dio è venuto a vincere la morte.

Il ragazzo si alza e parla, segno che è vivo, che è di nuovo una persona in relazione. Gesù lo restituisce a sua madre, che rimane al centro dello sguardo e della misericordia di Gesù.

Quella donna che aveva perso tutto, il suo unico affetto, che costituiva anche la persona che poteva darle un futuro, che pensava di aver perso per sempre e che invece Gesù le restituisce.

Quella donna ha ora di nuovo il suo affetto e il suo futuro. La morte ha incontrato il Signore della vita e il Signore della vita ha vinto la morte.

A quella anonima donna e a quell’anonimo ragazzo, Gesù restituisce il loro futuro, che la morte aveva loro tolto.

Ora potranno cambiare direzione, non più verso il cimitero, ma potranno ritornare in città, dove c’è la vita e dove si vive con gli altri.

Questo accadimento porta la folla dei due gruppi, che ora diventa un gruppo solo, a dire «Un grande profeta è sorto tra di noi» e «Dio ha visitato il suo popolo». Le persone presenti riconoscono in Gesù un grande profeta e nell’opera di Gesù l’opera stessa di Dio: «Dio ha visitato il suo popolo».

Quando Dio visita il suo popolo lo fa per salvarlo, per liberarlo. In Gesù, Dio visita il suo popolo – e non solo il suo popolo in senso stretto – per liberarlo dal potere della morte.

La gente non dice “Dio ha visitato la mamma Tizia e suo figlio Caio”, ma «ha visitato il suo popolo», riconosce che l’opera di Gesù non è soltanto per quelle persone toccate dal suo miracolo, ma per tutto il popolo.

Dio ci ha visitati! Questa è la fede che i testimoni del miracolo confessano alla fine di questo racconto.

E l’obiettivo di questo racconto è portare anche noi che lo leggiamo oggi a dire “Dio ci ha visitati”.

Non “Dio ha visitato quella donna e suo figlio, qual giorno mentre stava andando nella città di Nain”. Non è una storia vecchia e che riguarda qualcun altro, riguarda noi, è raccontata per noi!

È vero che Gesù non ha riportato in vita molti bambini e ragazzi che ogni giorno muoiono, non ha detto “non piangere” a molte donne che piangono i loro figli morti ingiustamente e senza senso in molti luoghi del mondo, da Gaza a Israele, dall’Ucraina alla Russia, dal Sudan alla Siria e in molti altri paesi del mondo.

E poi qui vicino a noi, sulle nostre strade o nelle nostre periferie violente.

Gesù non ha eliminato il male dal mondo, non ha eliminato la morte. Ma l’ha vinta, e questo racconto, dicevamo, è un anticipo, una prefigurazione della Pasqua, è una promessa che per la madre e quel ragazzo si realizza subito nell’incontro con il Signore della vita e per noi si realizzerà quando il Signore vorrà.

Questo racconto è però anche un segno di ciò che la Parola di Dio dice e può fare: essa dice anche a noi: Non piangere. Rialzati.

È una parola detta non soltanto a quella donna e a quel suo unico figlio. È una parola detta a chiunque piange e a chiunque è morto dentro.

Gesù rialza, restituisce futuro a chi lo incontra e può così smettere di piangere.

Lo fa anche oggi, nell’evangelo annunciato e creduto. Anche oggi l’evangelo rialza e restituisce futuro, rende possibile a chi lo incontra di rialzarsi, riprendere la parola e riprendere a camminare verso il futuro.

Noi non facciamo miracoli, non possiamo riportare in vita chi non c’è più; questo lo ha fatto soltanto Gesù e soltanto con alcune persone.

Lo ha fatto per lasciarci un segno e una testimonianza per aiutarci a credere in lui e nella sua Parola.

La Resurrezione con la R maiuscola è e sarà opera soltanto di Dio, quando Dio vorrà. Ma oggi molte resurrezioni, molti nuovi inizi, molte ripartenze sono possibili per chi incontra Cristo sulla sua strada.

“Rialzati” dice il Signore anche a noi, oggi e ogni volta che riceviamo il suo evangelo e ci fa rivivere e ripartire con lui, verso la vita e verso la vita nuova che egli ci dona.

Il Signore ci aiuti ad accogliere con fede e con gioia questa parola che fa rivivere e a dire anche noi con fiducia e riconoscenza “Dio ha visitato il suo popolo”.

Anzi: Dio, in Cristo, ci ha visitati!

Marco Gisola


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