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14/02/2017
Sermone del testo biblico di Luca 17,7-10 tenuto domenica 12/02/2017 nelle Chiese Evangeliche Metodiste di Omegna e Intra
In
queste ultime settimane, i testi usati per la predicazione narrano episodi in
cui, Gesù sta insegnando ai discepoli di allora ma anche ai discepoli di oggi
quello che accadrà dopo la sua morte sulla croce, ma soprattutto spiega come ci
si deve comportare per rimanere fedeli ai principi di Dio, PER IL NOSTRO
BENEFICIO, teniamo presente che all’atto della nostra confermazione siamo
diventati anche noi discepoli di Gesù, teniamolo presente perchè ci aiuterà a
capire questo Sermone, in quanto il testo biblico di oggi, a prima vista può
risultare imbarazzante già dal titolo stesso: “I doveri del servo” per il
motivo che parlare di uno schiavo totalmente sottomesso al suo padrone può
sembrare al giorno d’oggi un argomento molto sconveniente, soprattutto “non
piace” alla mentalità attuale di uomini/donne del nostro tempo a motivo del
fatto che è comune l’idea di considerarsi liberi e non servi di qualcuno, nel
senso che non si vuole a che fare con qualcuno che ci comanda o ci dia degli
ordini e sopratutto non essere “servi” di Dio. In secondo luogo, a molti
uomini/donne, ripugna la parola “obbligo”, nel senso che non vogliono
sottostare all’obblico di dover ubbidire a Dio. Inoltre, questa parabola sembra
giustificare un “ingiusto” sfruttamento dei lavoratori da parte del padrone.
Infine, appare persino tutto ingiusto perché sembra negare che chi lavora abbia
diritto ad un’adeguata ricompensa. Insomma: la schiavitù! Possibile che Gesù
insegni cose simili o addirittura voglia che noi le prendiamo come esempio?
Ebbene,
scopriremo insieme come questo testo non solo sia in linea con il messaggio
dell’Evangelo ma sopratutto ci farà capire due punti di vista: “quello del servo
e quello del padrone”, soprattutto ci farà capire che dobbiamo essere
“SERVITORI” per essere liberi, in quanto la nostra vera libertà la troviamo
solo in Dio e non mettendoci contro di LUI.Gesù,
in questa parabola utilizza semplicemente la realtà di quel tempo, un’economia
basata sulla schiavitù, non tanto per denunciarla, non almeno questa volta e
tanto meno per giustificarla, ma per far comprendere importanti principi
evangelici. Poco importa se essi non piacciono! Gesù è il nostro Signore: non
siamo qui per criticarlo, ma per ricevere con fiducia la Sua Parola. I principi di cui parla in
questa parabola, infatti, non-solo continuano oggi ad essere validi, ma ad essi
ci dobbiamo convertire! Quali sono? Cerchiamo di capire tutto questo senza
pregiudizi e con fiducia.
Iniziamo
a capire il significato di “servo” contenute nel testo: La parola greca usata in questo testo non vuol dire “servo Salariato”, (Luca 15:17,19), il quale, finché è pagato, deve
compiere le faccende impostigli dal suo padrone, e può licenziarsi quando
vuole, nel testo di oggi, la parola originariamente usata è “doulos”, la quale
indica uno schiavo comperato in contanti, e perciò divenuto proprietà del
padrone come il suo bue o il suo asino, e costretto, al par di questi animali,
per amore o per forza a logorarsi la vita nei lavori giornalieri.
All’inizio di questo sermone, mettevo in evidenza come la
nostra generazione, in linea di massima, consideri “scandalosa” ed “offensiva”
una parabola di questo genere, perché uno dei problemi della nostra generazione
è la sua arroganza nei confronti di Dio, pretendendo che Dio sia al loro
servizio e non il contrario ma soprattutto si ritengono offesi se Dio non dà a loro
quello di cui pensano di aver diritto o non si comporti con loro come si
aspetterebbero. Secondo molti Dio “ci deve” vita, salute, benessere, protezione…
Dio “deve” rispondere ad ogni nostro desiderio e preghiera,
...incondizionatamente, allo schiocco delle nostre dita! Se non lo fa, ...siamo
pronti alle ritorsioni! Se non fa quel che diciamo o pensiamo di dover avere,
allora ...gli sottraiamo la nostra fede, non andiamo al culto, oppure, ...ritiriamo
il nostro appoggio alla Chiesa! Tutto questo è ridicolo, puerile,
ma anche tragico, perché questo atteggiamento è molto più comune di quanto
molti siano disposti ad ammettere! Chi si comporta così, non si rende conto
di chi sia Dio!
Un simile atteggiamento è così rivoltante e irriverente
che viene da dire... “ma costoro che si comportano così chi pensano di essere?”
Solo il Signore Iddio è degno della
nostra più incondizionata ubbidienza, tutto ciò che facciamo ed anche la
nostra volontà e forza che abbiamo per compierlo, è Suo e dipende da Lui. Egli
non “ci deve” proprio nulla, noi, semmai dobbiamo tutto a Dio per il motivo
che ha mandato l’innocente e puro Gesù a morire sulla croce pagando Lui
stesso il prezzo della nostra salvezza, questo è il motivo per cui non dobbiamo
osare di pretendere da Dio alcunché, se non il nostro giusto e ben meritato castigo
di peccatori
Il messaggio di questa parabola, vuol far capire, ai
discepoli di allora come ai discepoli di oggi, prima che sia troppo tardi, i
principi esposti da Gesù: la “gloria” spetta solo a Dio. Faccio un’esempio per
far capire meglio il senso: “la gloria” spetta solo a Dio”.
I discepoli di Gesù hanno ricevuto dei
compiti da svolgere nel mondo ed anche la capacità straordinaria per adempierli.
Ecco, così, che Gesù li esorta a non vantarsene come se fosse loro merito e
dovessero, per questo, riceverne la gloria, né a considerare queste opere come
“un servizio retribuito”. Essi dovranno operare in modo riconoscente dando,
in quello che fanno, soltanto la gloria a Dio.
Quel
che riceviamo da Dio è per sola grazia: nulla ci è dovuto, dai molti privilegi
che abbiamo alla salvezza stessa come dalle letture precedentemente fatte: “Infatti è per grazia che siete stati
salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio”
(Efesini 2:8).
Anche il
bene che facciamo è opera di Dio: “infatti
siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone,
che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini
2:10).
I
discepoli di Gesù, così come abbiamo descritto dai vari versetti, non devono
immaginare di poter pretendere alcunché dalle mani di Dio e di aver guadagnato
dei meriti per tutte le cose fatte, perchè tutto deve essere fatto per grazia.
Come discepoli
siamo pure esortati a svolgere un dovere dopo l’altro senza pensare di aver
fatto mai abbastanza. Esiste un momento in cui potremmo dire anche noi come
discepoli di aver fatto abbastanza per Dio, così da averlo “ripagato”? No!
Nella
parabola di Gesù, il padrone non ritiene che i suoi servi abbiano per quel
giorno fatto ormai abbastanza, ma che solo sia loro dovere continuare a
servirlo. Il discepolo non può in alcun modo pensare di essere creditore nei
confronti di Dio, per quanto abbia lavorato duramente per tutta la vita;
infatti: “Si ritiene forse obbligato
verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato?”.
Non ha dunque senso parlare di voler avere “una ricompensa” per la nostra
ubbidienza al Signore. Quale ricompensa vorremmo avere dopo aver già ricevuto tutto dal
Signore, tra cui la morte di Cristo sulla croce per la nostra salvezza a motivo
della Sua grazia?
Al versetto 10 vi è una frase che spaventa
molti uomini e donne: “Così,
quando avrete fatto tutto ciò che vi era stato comandato, dite: ‘Noi siamo
servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare” (v.
10).
"Siamo servi
inutili", …
ragionandoci sopra, …potremmo dire che non è esatta, perché lo schiavo che
compie il suo lavoro non è inutile e perché Dio non ha creato nulla di inutile,
anche in questo caso ci viene in aiuto la traduzione dal greco, il termine
greco "achreioi" significa “inutili senza utile”, cioè senza
guadagno. Ciò significa che i cristiani non fanno il loro lavoro apostolico per
guadagno, per un utile personale, ma per dovere e gratuitamente: non per
vergognoso interesse (cfr 1Pt 5,2), ma spinti dall'amore di Cristo Signore che
è morto per tutti (cfr 2Cor 5,14). L'apostolato
è di sua natura gratuito e rivela la sorgente da cui scaturisce, l'amore
gratuito di Dio: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt
10,8).
I
discepoli di Cristo sono esortati, in questa parabola, sia come ministri che
come singoli credenti, ad essere altrettanto laboriosi di chi ara nei campi o
si prende ogni giorno cura del bestiame del loro Signore. Dovere dei ministri
di Dio è quello di ricevere e di ritrasmettere la Parola di Dio, amministrare e
svolgere tutti gli altri doveri del ministero. Ogni singolo credente, altresì,
deve impegnarsi nell’opera della fede, nella fatica dell’amore, della pazienza
e della speranza; come pure deve assolvere ai propri doveri verso sé stesso, la
famiglia, la chiesa ed il mondo in maniera gratuita, oltretutto, come servitori
di Dio, dobbiamo essere sempre all’opera, e quando un compito è svolto,
dobbiamo mettere mano ad un altro, così come il compito del genitore, che
non è mai finito. Potrebbe un genitore dire: “Ho fatto le mie otto ore di
genitore, e ora non ci penso più”? No, in quanto sappiamo che il ruolo di un genitore
dura 24 ore al giorno per tutta la vita, questo vale anche per il servizio
cristiano, il quale è “un servizio permanente”, animato dall’amore e dalla
riconoscenza verso Dio. I cristiani non possono “andare in vacanza” dall’essere
cristiani.
Tutto
ciò che ci è comandato, come ricevere la Parola o trasmetterla, pregare,
qualsiasi atto di giustizia, di benevolenza, ogni dovere fatto in risposta e
nel modo che Dio ci comanda nella Sua Parola, è un dovere ed un’espressione di
riconoscenza per quello che Dio è ed ha già operato nella nostra vita. Se siamo
stati “utili” al Signore, questo è stato possibile per la volontà, forza e
grazia che Dio ci ha accordato. Noi non possiamo dare a Dio nulla che Egli già
non abbia. Dio non-ha alcun obbligo verso di noi, né
deve riconoscerci il merito per quello che abbiamo fatto. Chi parla di
“guadagnarsi il paradiso” non-ha capito nulla dell’Evangelo di Gesù Cristo.
Per
cui, per quanto la diligenza sia del tutto appropriata e ragionevole compierla
per l’opera del Signore, è necessaria anche l’umiltà. Non dobbiamo rivendicare
ciò che non ci spetta o…vantarci dell’opera che abbiamo fatto, dato che anche
quando abbiamo fatto il meglio o il massimo, abbiamo fatto solo quello che
dovevamo fare e di cui avevamo l’obbligo.
Conclusione
Tutto questo
dovrebbe averci fatto capire che, se pretendiamo di “avere la giusta ricompensa”
per i nostri sforzi; o che diciamo, quando ci chiedono qualcosa: “Non sono mica
tuo servo! Arrangiati”, stiamo rinnegando Gesù che disse: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:27).
Avevano forse diritto ad essere serviti da Gesù i Suoi discepoli o le persone
che Egli beneficiava della salvezza dal peccato con la Sua morte sulla croce?
Certamente no. Questo suo comportamento, deve farci capire altresì che Gesù
manifesta il Suo amore gratuitamente, come la Sua grazia, ed è anche il
comportamento che si aspetta dai Suoi discepoli, come annunciò dopo aver lavato
loro i piedi: “Se dunque io, che sono
il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi
gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate
come vi ho fatto io.” (Giovanni
13:14-17).
Gesù,
con questo suo comportamento ci ha insegnato la gratuitità, che significa servire
gli altri senza mai risparmiarci, donandoci sempre agli altri senza riserve,
sempre con gioia, con amore e soprattutto senza aspettarci nulla o niente in
cambio.
Gia da
oggi vogliamo seguire ed eseguire il lavoro come servi del nostro Signore Dio e
Gesù Cristo a favore di tutti gratuitamente.
AMEN
12 febbraio 2017.
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