Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

30/03/2009

Mostra in occasione del 5 centenario della nascita di Giovanni Calvino



Dal 25 marzo al 10 di aprile è possibile visitare la Mostra itinerante su Giovanni Calvino, il riformatore prostante, realizzata dalla Fondazione Centro Culturale Valdese che è allestita presso la Biblioteca civica di Verbania, via Vittorio Veneto 138.

La mostra è visitabile nelle ore di apertura della biblioteca:
Lunedì: chiuso.
Martedì-giovedì e venerdì: 9.00-12.30; 14-18,30.
Mercoledì –continuato: 15.00-22.00
Sabato – continuato 9.30-18.30.

27/03/2009

Qual è il significato dell'eredità di Giovanni Calvino per i cristiani oggi?


La seguente relazione è parte del Report of an International Consultation, held from April 15 to 19, 2007 in Geneva. L’intero dossier è consultabile sul sito: http://www.calvin09.org/

Qui di seguito sono state selezionate sette aree tematiche che, a nostro avviso, rivestono oggi un interesse particolare e possono garantire un novello accesso all'eredità di Calvino:
1. L'impegno di Calvino nel proclamare la gloria di Dio. Calvino crede che Dio, creatore supremo e misericordioso di tutti, desideri essere in intima relazione con noi esseri umani. Questo Dio cerca di allietarci abbracciando le condizioni della nostra umana esistenza precisamente al fine di conoscerci e lasciarsi conoscere da noi stessi.
Nella rudezza della mangiatoia, nella nudità e nella rigidità della crocee nei limiti delle parole bibliche, Dio ci incontra e ci riscatta tramite la forza dello Spirito Santo. La gloria di Dio, che sceglie di manifestare se stesso in questo modo, si riflette nella gloria dell'esistenza umana, quando noi cerchiamo di declinare il Vangelo in tutte le dimensioni dell'esistenza. “E poi?”. Gli esseri umani non sono diventati che vanità; sono ridotti a nulla; sono nulla. Tuttavia, come possono essere nulla quando Dio li glorifica? Come possono questi esserenulla se il cuore di Dio è saldo su di loro? Prendiamo coraggio. Sebbene non siamo nulla nello spazio ristretto dei nostri cuori, forse qualcosa di latente giace in questi nostri cuori. O Padre misericordioso, o Padre compassionevole, come poggi il tuo cuore su di noi! Poiché il tuo cuore si trova laddove è il tuo tesoro(Istituzione III.2.25).

2. La determinazione di Calvino nell'anteporre Gesù Cristo al nostro pensare e al nostro vivere. Nel celebrare Cristo che è si è fatto carne della nostra stessa carne, la gloria e la grazia di Dio vengono affermati in mezzo a noi. “Anche se ci separiamo di poco da Cristo, la salvezza svanisce...dove il nome di Cristo non risuona, ogni cosa diviene stantia” (Istituzione II.16.1). La chiesa dipende interamente dalla presenza del Gesù Cristo vivente tramite la forza dello Spirito diDio. Così avviene la comunione degli “amanti di Cristo” (amateurs du Christ, prefazione alla traduzione della Bibbia di Olivetano). Essa non può dipendere dalla tradizione o dalla forza delle strutture esistenti. La critica di Calvino alla chiesa dei suoi tempi è basata su questa ferma convinzione.
3. L'enfasi posta da Calvino sull’opera dallo Spirito Santo per quanto riguarda la creazione e la salvezza. L'azione di Dio è universale e onnicomprensiva. Per Calvino essa è espressione della legge divina su tutte le creature, umane e non.Nulla è al di là della saggezza e della cura amorevole, genitoriale di Dio. Lo Spirito è una forza che dona vita, che sostiene tutti gli esseri viventi. Quello stesso Spirito Santo ci unisce a Cristo ispirandoci nella nostra comprensione della Parola di Dio, illuminandoci e consacrandoci nella fede e raccogliendoci entro la comunione della chiesa. Calvino parla sempre della chiesa, con il suo ministerodella parola e del sacramento, come di una comunità di credenti entro la quale la fede è nata, è stata nutrita e rafforzata tramite l'azione dello Spirito Santo. Quali membri del suo corpo viviamo nella speranza di un rinnovamento delle nostre vite e del mondo intero.

4. L'impegno di Calvino con la Scrittura. Per Calvino la Bibbia è al cuore della vita della chiesa e deve essere letta e studiata da ciascuna creatura di Dio. Deve essere insegnata all'interno della chiesa spesso descritta come madre e scuola della nostra fede. “La nostra debolezza non ci permette di congedarci da questa scuola fino a che non siamo divenuti allievi delle nostre vite” (Istituzione, IV.1.4).L'attenzione vigile di Calvino al contenuto e all'unità dell'Antico e del Nuovo Testamento, la centralità di Gesù Cristo nella testimonianza biblica, il bisogno di lottare con il significato del testo tramite l'aiuto della conoscenza scientifica e storica del suo tempo, e il potere della Parola di Dio di interrogare in maniera sempre nuova ogni generazione rimangono esemplari. La sua esposizione delladottrina cristiana non è mai intrapresa separatamente dalla sua interpretazione della Scrittura, la quale a sua volta ha sempre luogo nell'ambito del lavoro quotidiano della preghiera, della cura pastorale e dell'impegno sociale.

5. La determinazione di Calvino a porre la volontà di Dio in relazione con tutti gli ambiti della vita. L'interesse di Calvino era che la gloria di Dio fosse celebrata e testimoniata a tutti i livelli di vita, che tutta la creazione rivolga un canto di lode a Dio in maniera concreta e vibrante, che la bellezza della volontà di Dio sia resa manifesta nei nostri percorsi di vita, siano essi grandi o piccoli. Calvino ritieneche la legge morale contenuta nella Scrittura ci condanni sia al peccato(ponendoci contro la volontà di Dio) sia ci serva da guida per glorificare Dio in ogni singolo aspetto della nostra vita quotidiana. La Legge, modello del disegno di Dio per il credente, offre uno spazio di feconda crescita umana, uno spazio che è sia accogliente ed inclusivo quanto vincolante e formativo. La Legge pone dei confini e dona ordine alla nostra esistenza di umane creature così che possiamo deliziarci dei buoni doni di Dio rispondendo con gioiosa gratitudine.

6. L'insistenza di Calvino sulla creazione come dono di Dio. La volontà di Dio di far risplendere la creazione è la misura costante della società umana e dell'impegno umano con il mondo creato in tutto il suo mistero e in tutta la sua profondità.Caratteristiche basilari di questa visione sono una fondamentale affermazione dell'eguaglianza umana e la celebrazione della differenza tra gli esseri umani.Essa include una consapevolezza della profonda interrelazione di tutti gli aspetti della creazione, la richiesta agli esseri umani di incarnare queste relazioni e un impegno permanente nell'affermazione della dignità umana. Al cuore di questa visione c'è un impegno compassionevole in favore dell'amore, della giustizia,della cura responsabile e dell'ospitalità verso “le vedove, gli orfani, e gli stranieri”: coloro che sono indifesi, senza patria, affamati, soli, costretti al silenzio, traditi, impotenti, malati, spezzati nel corpo e nello spirito, e tutti coloroche soffrono in questo nostro mondo globalizzato e diviso. “Egli giudicava la causa del povero e del bisognoso, e tutto gli andava bene. Questo non significa forse conoscermi? - dice il Signore”. Calvino chiede che si intraveda Cristo in ogni persona e che veniamo edificati e giudicati dalla sua presenza in loro, sempre proclamando con le nostre parole ed azioni l'integrità del creato quale “teatro dellagloria di Dio”.
7. Il riconoscimento da parte di Calvino che la chiesa è chiamata a discernere, in maniera crescente, la sua relazione con le potenze e i poteri forti del mondo. Il nostro attuale contesto globale include sia varie forme di stato e nazione che la realtà in continuo movimento del mercato globale. Questo prevede, da parte della chiesa, il riconoscimento del proprio impegno per quanto riguarda le lacerazioni in seno alla creazione e la sofferenza umana così come il suo desiderio di predicare in maniera profetica e di tradurre concretamente la buona volontà di Dio nei confronti del mondo. Calvino riconosce altresì che la gloria di Dio può essereproclamata e resa concreta fuori della chiesa e che la comunità cristiana è chiamata a sollecitare l'impegno di tutti gli altri enti di carattere globale sia con umiltà che con audacia di intenti. La chiesa si rende conto che la forma e il contenuto di questo impegno potranno variare a seconda del luogo e del tempo storico, in modi così multiformi come sono multiformi le realtà vissute fedelmente dell’intero creato di Dio.Ciononostante la Chiesa non può che rispondere in maniera obbediente e grata alla Parola di Dio nel presente e, in questo modo, offrire una testimonianza costruttiva a Cristo.

8. L'impegno di Calvino a favore dell'unità della chiesa. Il cospicuo e appassionato impegno di Calvino a favore dell'unità del corpo di Cristo si è giocato all'interno di una realtà ecclesiastica già frammentata. Nel mezzo della divisione egli ha riconosciuto l'unico Signore dell'unica chiesa, sottolineando più volte che il corpodi Cristo è uno, che non vi è giustificazione alcuna per una chiesa divisa e che gli scismi interni alla chiesa sono uno scandalo. Anche la nostra situazione attuale vede le chiese divise e minacce di spaccatura in seno a queste. In particolare vi sono chiese riformate che continuano ad essere caratterizzate da una divisioneinterna così come dall'impegno ecumenico. Il pensiero di Calvino circa la natura della comunità cristiana, la sua volontà di compiere mediazioni per quanto riguarda questioni controverse quali la Cena del Signore e gli instancabili sforzi di costruire ponti ad ogni livello della vita della chiesa, rappresentano una sfida per l'oggi.
Calvino stimola le chiese a comprendere le cause della loro continua separazione e, in accordo con la Scrittura, a battersi per l'unità impegnandosi tramite sforzi ecumenici concreti – tutto ciò per amore della credibilità del vangelo nel mondo e per l'autenticità della vita e della missione della chiesa.

24/03/2009

Deriva razzista e alibi della sicurezza

Alimentare la paura dello straniero – come spiega a Confronti Moni Ovadia, attore, musicista, scrittore e protagonista di battaglie culturali e civili – serve soprattutto a stornare l’attenzione dai veri problemi: si strumentalizza così la paura in chiave securitaria e la si cavalca per guadagnare consenso e potere.
Da tempo assistiamo nel nostro paese ad una vera e propria deriva razzista. Un fenomeno ormai evidente, che nasce dall’uso strumentale e cinico della paura e della tipica, vecchia e putrefatta logica che da sempre guida tutte le mentalità reazionarie e conservatrici: seminare la paura e dividere la popolazione per guadagnare consenso. Naturalmente la sicurezza è un legittimo diritto di ogni cittadino, ma la propaganda securitaria non ha niente a che vedere con la sicurezza e consiste nel creare il panico per potersi poi presentare come i difensori dell’ordine.
Come notava il sociologo Ilvo Diamanti, hanno più paura coloro che guardano molto la televisione. Proprio perché la paura è uno dei sentimenti più forti che dominano gli esseri umani, i politici dovrebbero essere responsabili e cercare di contrastarla, invece la cavalcano. Purtroppo questo accade spesso anche ai politici di centro-sinistra, che hanno perso di vista il principio secondo cui la sicurezza si ottiene soprattutto creando una società aperta, dinamica, civile, che accoglie (lo ha detto persino il presidente della Camera Fini). Certo, alimentare la paura dello straniero serve anche a stornare l’attenzione dai veri problemi e dai veri responsabili. Si agita la questione della sicurezza, ma si parla poco della sicurezza economica o – per esempio – della sicurezza sul lavoro: se un uomo viene investito da un extracomunitario ubriaco diventa improvvisamente un’emergenza nazionale, ma se poi 1.100 lavoratori precipitano dalle impalcature nessuno se ne interessa.
Una delle cause di questa deriva razzista la si può ritrovare nell’abbandono del grande argine che il fondamento dell’antifascismo e della Resistenza sono stati per la nostra democrazia. La riabilitazione revisionistica e strumentale – soprattutto quella televisiva becera – del fascismo permette anche una sorta di condimento sottoculturale che finisce per legittimare l’idea che ci sia stato un tempo in cui c’era ordine, disciplina e tutto sommato le cose andavano bene… che insomma il fascismo non fosse poi così male.
Questa destra al governo ha una grande responsabilità, anche se questo non assolve l’opposizione. Si vede chiaramente che Berlusconi vuole demolire la Costituzione repubblicana, ma in fondo perché non dovrebbe farlo, visto che gli si permette di fare quello che vuole? È inutile scandalizzarsi dopo, quando i buoi sono già fuggiti dalla stalla: occorre una mobilitazione permanente. Del resto, questa destra non ha niente a che vedere con i centro-destra europei civili, democratici, attaccati ai valori dell’antifascismo. Un tempo dicevamo di non voler «morire democristiani», ma oggi se c’è da firmare per morire democristiani lo faccio immediatamente. La Dc era fatta anche di persone di grande valore, con una storia antifascista alle spalle. C’erano persone della statura di De Gasperi, ad esempio; mentre questi di oggi sono omuncoli.
Il 10 febbraio abbiamo celebrato il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe, dicendo in sostanza che gli slavi sono cattivi e malvagi e hanno fatto la pulizia etnica, ma i crimini del fascismo – volutamente – ormai non vengono più ricordati. A Trieste le bandiere erano abbrunate, cosa che però non era accaduta il 27 gennaio per il Giorno della Memoria della Shoah. Lo slavo, quindi, a causa delle foibe è un criminale, ma i fascisti italiani no, anche se hanno fatto pulizia etnica, hanno assassinato, hanno fatto i campi di sterminio… è chiaro che le foibe sono state un orrore che non va assolutamente sottovalutato. Come è chiaro che le vittime innocenti sono tutte uguali. Io ho profondo rispetto per il dramma di chi ha avuto parenti che hanno subito l’infoibamento in Italia ad opera delle truppe di Tito, però bisognerebbe capire anche perché tutto questo è successo, stabilire l’ordine delle cose, considerare le devastazioni che in Europa ha fatto il nazifascismo. Come dice il vecchio detto, «chi semina vento raccoglie tempesta». Questo non giustifica i crimini o l’espulsione degli istriani, però la storia va raccontata in modo completo. La destra invece manipola la storia e la realtà, si regge sulla ricchezza e il potere di un uomo e fingendo di essere una forza democratica.
Anche la deriva razzista e il securitarismo sono figli di questo scempio totale del senso comune della democrazia e dove l’anello più debole della catena è sempre l’extracomunitario, il rumeno. Una volta era l’ebreo, ma adesso non lo è più: ora agli ebrei si fanno le moine (e questo, da ebreo, mi ripugna ancora di più!), si va in pellegrinaggio ad Auschwitz, ci si mette la kippà d’ordinanza, si guadagna una «photo opportunity» e si crede così di essersi lavati la coscienza, ma è tutto un gioco sporco di propaganda per avere il potere. O meglio: il dominio del paese. Il presidente del Senato Schifani, quando è andato ad Auschwitz, ha detto «mi sento israeliano». Ma cosa c’entra questa affermazione? Avrebbe dovuto dire «mi sento ebreo» (oppure rom, sinti, omosessuale, testimone di Geova, antifascista…). È chiaro che è tutto finto, tutto maquillage: mentono spudoratamente, anche l’ebreo gli serve solamente per riaccreditarsi e molti ebrei delle istituzioni comunitarie ci cascano e si lasciano strumentalizzare.
Moni Ovadia
da: Confronti n.3 marzo 2009. http://www.confronti.net/

16/03/2009

Campagna contro il razzismo, l'indifferenza e la paura dell'altro

Promossa da: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Amnesty International, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Caritas italiana, Antigone, Arci, Asgi, cantieri sociali, Cantro Astalli, Cgil, Cisl, Cir, Cinca, Comunità di sant'Egidio, Csvnet, Emaus Italia, federazione Rom e Sinti, FioPsd, Gruppo Abele, Libera, Rete G2, Seconde generazioni, Save the Children, Sei-Ugl, Terra del fuoco, Uil

Siamo operatori della salute, non siamo spie!

Cara cittadina, caro cittadino,
in parlamento è in discussione una modifica di legge che, se approvata, permetterà agli operatori sanitari di segnalare, cioè di denunciare, una persona straniera senza permesso di soggiorno (il ‘clandestino’) che in caso di problemi di salute chiede di essere curata. Su questa proposta si è fatta molta demagogia e confusione, perché:

Dicono che i medici e gli altri operatori sanitari devono collaborare con le forze di polizia nel perseguire il reato di clandestinità, che sarà introdotto nel ‘pacchetto sicurezza’.
NON È VERO: il compito di medici, infermieri e altri operatori sanitari non è quello di perseguire i reati, ma quello di curare le persone, a prescindere da chi sono, per la tutela incondizionata della loro salute. L’art. 32 della nostra costituzione riconosce infatti la salute come “un diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività”.
Questo è il motivo per cui in Italia curiamo anche i detenuti, compresi quelli che si sono macchiati di reati gravi.

Dicono che solo attraverso la denuncia la popolazione sarà protetta dal rischio di contagio di malattie infettive.
NON È VERO, perché la possibilità di strutture sanitarie; la possibilità di fare diagnosi e di curare ogni persona è invece il modo migliore per proteggere la salute di tutti. Inoltre la notifica della malattia infettiva alle autorità sanitarie è già prevista come obbligatoria dalla legge attuale.
Dicono che fino ad ora i medici e gli altri operatori sanitari hanno protetto i clandestini anche quando vi era il sospetto che fossero coinvolti in reati, comportandosi in modo diverso che con gli italiani.
NON È VERO, perché tutti i medici, e tutti gli operatori della sanità, sono obbligati a fare il “referto”, cioè una segnalazione scritta all’Autorità Giudiziaria, tutte le volte che si trovino ad assistere o curare una persona – italiana o straniera, regolare o irregolare – che sia vittima di un reato “perseguibile d’ufficio”, per il quale – cioè – la Magistratura debba intervenire senza aspettare la querela della vittima. Ciò è tanto vero che i medici sono obbligati a fare il referto ogni qualvolta vi siano elementi che facciano sospettare la presenza di una aggressione, anche se la vittima nega di essere stata oggetto di violenza.

Dicono che l’assistenza sanitaria ai clandestini comporti degli alti costi di assistenza per lo stato italiano.
NON È VERO, perché i dati disponibili, elaborati anche dal ministero della salute, dimostrano che la popolazione immigrata, anche quella clandestina, è giovane e in generale sana; i costi sono sempre più alti quando non si dà la possibilità di curarsi in tempo e si è costretti a richiedere assistenza in condizioni di urgenza (l’ambulatorio di medicina generale costa meno del ricovero in pronto soccorso) .
Come operatori della salute, non ci presteremo a questa distorsione della realtà e dei nostri compiti, che confligge con l’art. 32 della costituzione, tradisce il nostro codice deontologico e travisa completamente il nostro ruolo sociale.

La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti (Art. 32 della Costituzione Italiana)


www.simmweb.it

11/03/2009

Staminali embrionali. La svolta americana, il dogmatismo italiano

di Paolo Naso, giornalista e docente di Scienza politica

“Come persona di fede, credo che noi siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri e a lavorare per alleviare la sofferenza umana. Io credo che ci sia stata data la capacità e la volontà di proseguire in questa ricerca, e l'umanità e la coscienza per farlo responsabilmente. D'ora in poi – ha aggiunto Barack Obama – l'Amministrazione prenderà i suoi provvedimenti sulla base di decisioni scientifiche basate sui fatti e non sull'ideologia”.
Si consuma così un'altra frattura con le politiche dell'era Bush, orientate e condizionate da quella galassia di chiese e movimenti di tipo fondamentalista inquadrati nella Destra religiosa.
Come prevedibile la decisione della Casa Bianca ha provocato le reazioni della Conferenza episcopale degli USA che ha parlato di “una triste vittoria della politica sulla scienza e sull'etica”; ancora più duro il giudizio delle associazioni “per la vita” che sui loro siti hanno accusato il presidente “di aprire le porte alle fabbriche degli embrioni umani”.
Un sondaggio dell'Istituto Gallup del 9 marzo, rilevava che era favorevole all'abolizione delle restrizioni sulla ricerca il 52% degli americani mentre si dichiarava contrario soltanto il 41%. Ancora più netto il giudizio sulla moralità della ricerca scientifica sulle staminali embrionali: moralmente accettabile per il 62% degli americani; moralmente sbagliata per il 30%. Su questo tema, pure controverso, il presidente naviga con un buon vento in poppa e “spacca” il fronte repubblicano: valga ad esempio, il pubblico apprezzamento espresso a Obama da Nancy Reagan, vedova del presidente che aprì le porte dello Studio ovale alla stessa Destra religiosa che ora biasima la decisione della Casa Bianca.
Scrivendo degli USA ma pensando all'Italia, vogliamo proporre tre osservazioni. La prima è che in un sistema rigorosamente “separatista” tra lo Stato e le comunità di fede come quello USA, le ipoteche confessionaliste possono anche affermarsi e consolidarsi come è accaduto negli anni di George W. Bush, ma non hanno vita eterna. Nessun presidente, neanche il più fondamentalista, potrà andare oltre una certa soglia di commistione tra politiche dello Stato e valori confessionali: ne va del fondamento stesso del “patto civile” alla base di una società eccezionalmente pluralista anche sotto il profilo religioso.
La seconda considerazione è che, come già aveva fatto in campagna elettorale, Barack Obama ha parlato da presidente ma anche da “uomo di fede”: e da credente ha voluto richiamare un'etica cristiana della libertà e della responsabilità: liberi di cercare, responsabili di fronte a Dio delle nostre azioni e delle nostre scelte. Siamo ben lontani dall'etica e dalla teologia dei “valori assoluti” che delegittimano altri valori come quello della ricerca scientifica o del tentativo di “alleviare la sofferenza umana”.
La terza considerazione è che, negli USA come altrove, esiste un'opinione pubblica che ha un'idea molto precisa del diritto alla libertà di ricerca scientifica e non accetta che le chiese o le confessioni religiose impongano limiti e condizioni. Il che non significa che non vi siano limiti e condizioni, ma non sono quelli dettati da un Magistero: sono il frutto di un dibattito pubblico e di un processo nelle istituzioni “laiche” della politica. Se così non fosse, più che a Washington, saremmo vicini a Teheran. (NEV-10/2009)

04/03/2009

I 500 anni di Calvino

Di Giorgio Tourn

Quest'anno si celebra il cinquecentesimo anniversario della nascita del riformatore svizzero Giovanni Calvino. Un 'analisi del personaggio, del suo pensiero e della sua influenza sulla cultura del mondo moderno. Pastore valdese, storico e teologo, Tourn ha diretto il Centro culturale valdese di Torre Pellice.

Che Calvino sia una delle figure di rilievo nella storia europea è fuor di dubbio, anche se più di ogni altra oggetto di critiche e incomprensio­ni. L'aver organizzato la Riforma a Ginevra, dandole una forma organica, e preso posizioni rigoro­se contro la Chiesa di Roma lo rende inviso ai cattoli­ci; il fatto che i ginevrini, ispirandosi al suo insegna­mento, abbiano mandato al rogo l'antitrinitario Serveto è per gli spiriti liberi oggetto di condanna senza appello.
Gli aggettivi abitualmente usati per definire la sua opera e il suo pensiero sono sempre negativi: freddo, spietato, dispotico, i suoi referenti sono Robespierre, Lenin, gli uomini del Terrore della dittatura. Questo ha a che fare non con la storia ma con l'ideologia, che, sia essa clericale o laicista, ha bisogno di nemici per salvaguardare la propria identità.
In realtà anche qui, come in tutto quel che concer­ne l'umano, le cose sono molto più complesse. Enun­ciamo in modo sintetico le questioni.
Luterano. Calvino (nato nel 1509) appartiene al­la seconda generazione dei riformatori. Quando a 25 anni, dopo una profonda crisi religiosa, passa dal cat­tolicesimo tradizionale al mondo riformato, sono tra­scorsi quasi 20 anni da quando Lutero ha affisso le sue Tesi, ed egli si trova (l'immagine è sua) come un uf­ficiale di riserva mandato di rinforzo sul campo di bat­taglia. Non solo sotto il profilo strettamente teologico, ma nel profondo della sua esperienza spirituale, egli resterà sempre discepolo di Lutero; questo si può ri­scontrare sotto molti aspetti.
Punto di partenza della riflessione cristiana è per Lutero la sovranità della Parola: la rivelazione non è un sistema di verità da accettare, è l'annunzio della grazia a cui corrisponde la fede, che non è il credo quia absurdum, ma la scoperta del perdono.
Questo si realizza nella giustificazione per grazia, nel fatto cioè che la salvezza è gratuita e l'uomo non ha da realizzarla con le proprie opere, ma da acco­glierla. Da qui nasce la libertà cristiana con cui il cre­dente vive la sua vita al servizio del prossimo, la sua vocazione, che non è l'entrata nello stato monastico ma semplicemente l'obbedienza a Dio nella vita quo­tidiana; dalla giustificazione nasce anche la Chiesa, comunità di credenti salvati da Cristo e non sistema di potere giuridico teologico che si impone alle co­scienze.
Umanista francese. Luterano dunque sì, nel senso di fedele a Lutero, ma a modo suo; Calvino sarà infatti determinato nella sua riflessione da due fatto­ri: una formazione culturale e l'attività a Ginevra.
Calvino è figlio della Francia di Francesco I e del­l'Umanesimo di Erasmo, non ha avuto rapporti con il mondo ecclesiastico, è un laico, addottorato in diritto, e questo determinerà in modo sostanziale il suo mo­do di affrontare i problemi teologici portandolo spes­so a radicalizzare le posizioni.
In secondo luogo la sua riflessione non è frutto di studio accademico, nasce dall'impegno di riforma che egli realizza nella piccola repubblica ginevrina. Gine­vra e i problemi della Riforma lo costringono a pen­sare e scrivere.
Al riguardo vanno ricordati due fatti. La piccola re­pubblica attraversa in quegli anni un periodo di estre­mo travaglio politico istituzionale, accerchiata dai territori sabaudi rivendica la sua autonomia che realiz­za nel 1535 con la cacciata del suo signore, il vescovo della città; in questo contesto di indipendenza Calvi­no inserisce la sua opera.
Assunto nel 1536 per commentare le Scritture, egli avrà sempre un rapporto conflittuale con le autorità, che gli concederanno la borghesia solo alla fine della vita. Egli si è così trovato a ripensare la teologia di Lu­tero, nata nella Sassonia feudale, in un contesto citta­dino borghese e ripensarla non da frate ma da intel­lettuale laico.
Riguardo alla Parola, anzitutto, essa non è per lui solo l'annunzio dell'Evangelo di Gesù Cristo, nella predica e nel sacramento, ma è l'intera rivelazione consegnata nelle Scritture. Questo significa ricupera­re la legge antica come norma di vita, sviluppare l'i­dea di testamento, leggere il testo non in modo tradi­zionale, come un complesso di materiali da utilizza­re per elaborare dogmi, ma in modo umanistico, co­me un documento del passato da interpretare.
Al centro della sua riflessione accanto a Cristo stan­no l'onore e la gloria di Dio: la creatura esiste, opera, pensa in funzione di Dio, non realizza se stessa in una autonomia personale ma nell'obbedienza. Dio non è solo il Padre, è un sovrano.
La giustificazione per grazia, che ne attesta il ca­rattere assoluto, trova la sua espressione compiuta nella predestinazione: la salvezza non è l'offerta d'amo­re di Dio lasciata al libero arbitrio dell'uomo, ma il suo trasferimento nel mondo della grazia con il dono della fede. Dio non propone: dispone; e questo si vede anche nella guida provvidenziale della vita.
La libertà della fede ha come termine di riferimen­to la santificazione del credente, la sua vita non è so­lo ispirata alla riconoscenza, ma alla disciplina; le opere della fede non sono meritorie, ma costituiscono la sua espressione necessaria.
La Chiesa è sì la comunità degli eletti, ma è un or­ganismo strutturato, non è solo uno spazio di libertà e di messaggio, è una scuola di formazione, una militanza; di qui l'importanza della disciplina, dell’ordinamento.
Eredità. Quale è stato l’influenza di questo personaggio sulla cultura del mondo moderno? Il riferimento al capitalismo è tanto inevitabile quanto fuori luogo. Un teologo non può che lasciare le tracce indirette, pensieri, indicazioni che poi si sviluppano; così è stato anche in questo caso.
L’approccio umanistico di Calvino alla Scrittura, nel cui studio si è impegnato, ha certo aperto nuove prospettive nella lettura del testo biblico e così pure la sua concezione della Chiesa, da cui il calvinismo ha tratto l'idea del Sinodo e del concistoro, strutture di governo democrati­co.
Ma forse l'elemento della teologia calviniana destinato ad aprire prospettive più significa­tive è il concetto di vocazione.
Se l'elezione è un atto gratui­to, imputabile unicamente alla libertà divina e alla sua grazia, essa diventa percepibile, si stori­cizza, per il credente, nella vo­cazione. È questo un pensiero destinato a diventare punto di riferimento assoluto per genera­zioni di calvinisti. Il fatto che nella predicazione dell'Evange­lo Dio rivolga l'appello a vivere la fede in obbedienza a Cristo, è per la creatura più che pensiero religioso, è l'atto fondante della sua identità.
A livello sociologico questo si­gnifica che in ogni condizione risponde pienamente a ciò che Dio si attende da lui senza bisogno di un sovrappiù spirituale, non esiste gerarchia nelle attività umane e ogni lavo­ro ha pari dignità: il magistrato e la casalinga, l'ope­raio (l'uomo méchanique) e il mercante.
Questo ha come conseguenza una concezione del lavoro radicalmente nuova, non più la maledizione divina, la condizione di inferiorità del servo a cui con­trappone l'ozio del filosofo e del nobile.
A livello psicologico il carattere personale della vo­cazione implica una consapevolezza della propria re­sponsabilità e della coscienza; l'etica kantiana non è nata fra gli anticlericali libertini, ma nella Ginevra calvinista.
Tutto questo conduceva a riflettere sulla struttura della società, o meglio sui rapporti fra la religione e la polis, la possibilità di una societas christiana che su­perasse la dicotomia cinquecentesca: la Chiesa-Stato romana e la Chiesa di Stato luterana o anglicana; l'i­potesi di una comunità cristiana, che dialoga in pie­na autonomia e parità, con i magistrati, era futuribi­le. Ma i suoi eredi immediati diedero nel Seicento una prima soluzione con la dottrina dello Stato a struttu­ra federale, la politica fondata sulla responsabilità in­dividuale e la pattualità; e quelli più lontani, nel Set­te-Ottocento, con la separazione di Chiesa e Stato nel primo emendamento della Costituzione americana.

da Confronti, n.2 febbraio 2009 (http://www.confronti.net/)

03/03/2009

Giovanni Calvino 500° della nascita

Mostra itinerante su Giovanni Calvino realizzata dalla Fondazione Centro Culturale Valdese dal 25 marzo -10 aprile 2009 Biblioteca Civica di Verbania via Vittorio Veneto 138 Verbania Pallanza

Orario visite:
La mostra è visitabile negli orari di apertura della biblioteca.
Lunedì: chiuso.
Martedì-giovedì e venerdì: 9.00-12.30; 14-18,30.
Mercoledì - continuato: 15.00-22.00.
Sabato - continuato 9.30-18.30.

Giovanni Calvino 500° della nascita

CONFERENZA
In occasione del 5° centenario della nascita di Giovanni Calvino, il Riformatore di Ginevra, la Chiesa Evangelica Metodista organizza con il patrocinio del Comune di Verbania una conferenza dal tema:

"Giovanni Calvino: il riformatore, la sua eredità, l'attualità del suo messaggio"
Venerdì 27 marzo 2009, ore 21 Auditorium S. Anna

via Belgio - Verbania Pallanza

Relatore: Paolo Tognina teologo evangelico e giornalista, direttore del mensile Voce evangelica, redattore della rubrica televisiva protestante TSI Segni dei Tempi" (Svizzera)