Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

27/01/2020

Un pensiero tratto da Matteo 28: 28



«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente»

Forse, per te che stai leggendo in questo momento, la Scrittura sono solo parole e lettere. Forse, per te, essa è una semplice pagliuzza.                      
Ma se guarderai in profondità nella Scrittura, troverai Cristo e la sua Parola. Ti potrà sembrare una pagliuzza inutile, vuota, spezzata, ma credimi: quale grande potenza è racchiusa nella sua profondità! Questa parola che ti do nel cuore, non potrà esserti tolta da nessuno: diventerà per te un albero robusto, anzi, una forte rocca”. Così una volta Lutero ha parlato della Scrittura. 
La scelta della Riforma di affidarsi alla Bibbia come alla sola fonte che ti fa conoscere Dio e la sua volontà, è in fondo un atto di fiducia nella grande promessa del Cristo Risorto che chiude il vangelo di Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente”.
Nella Scrittura infatti il Signore è presente “tutti i giorni”, ci incontra e ci parla nella forza dello Spirito e guida la sua chiesa. Sì, Gesù lì, e a noi non manca niente. Non abbiamo bisogno di vicari che ne prendano il posto né di intercessori che ci mettano in contatto con il cielo.
La Seconda confessione elvetica di Bullinger, il riformatore di Zurigo, si apre con questa affermazione: “La parola di Dio annunziata nella chiesa è la vera parola di Dio... non dobbiamo forgiare né attendere dal cielo altra parola”. È proprio così: quando nella chiesa la Bibbia è letta e la parola predicata, là il Signore ci chiama e ci dona di ascoltarlo. E così ci ridona coraggio e nuova luce, così ridà ogni volta senso al nostro esistere, alimenta la fede, rinnova la speranza, vivifica l'amore.
Tutto nella parola... questa “semplice pagliuzza”... questo “soffio complicato”, che è la cosa più evanescente che ci sia: la pronunci, risuona, ed un momento dopo non c'è più, s'è dissolta nell'aria... Ma se è la è parola del Signore, quel momento è sufficiente: penetra in te con una forza che nulla può arrestare, ed è nella tua mente e nel tuo cuore, ed è un fuoco che brucia, illumina e riscalda. Davvero, “questa parola non potrà esserti tolta da nessuno: diventerà per te un albero robusto, anzi, una forte rocca”.
Ruggero Marchetti

24/01/2020

“Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità.” Marco 9,24 – Versetto dell'anno 2020



Cari fratelli e sorelle, “Ogni cosa è possibile per chi crede”, dice Gesù e il padre del bambino malato risponde: “Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità.” Il padre del bambino è cosciente che la sua fede non è quella che poteva spostare i monti, ma era una fede debole, tormentata dai dubbi e bisognosa dell'aiuto di Dio per fortificarla. Nonostante ciò il suo bambino viene guarito, perché non è il padre con la sua fede debole, ma Gesù che realizza la guarigione. Questa distinzione è fondamentale per capire che l'effetto della fede, sia essa guarigione o salvezza, non dipende dalla forza o debolezza della nostra fede, ma da Gesù. Lutero lo spiegò con un esempio: Se uno ha 1000 euro (ovviamente il Riformatore usava un'altra valuta) e li conserva avvolti in un fazzoletto di carta, mentre un altro ha anche 1000 euro e li conserva in una cassaforte, ambedue sono ugualmente ricchi, solo che per il primo il rischio di perdere i soldi e di diventare povero è molto maggiore. Così è con la fede debole (il fazzoletto di carta) e quella forte (la cassaforte): ambedue “hanno” Gesù Cristo e sono quindi ugualmente ricche. Questa è ad es. una ragione per cui non si dovrebbe “giudicare” la fede degli altri. Comunque, nella vita ci sono varie prove in forma di tentazioni, perdite, delusioni ecc. e potrebbe essere che una fede debole non resista. Perciò è bene curare ed esercitare la fede nei tempi buoni, affinché possa resistere nei tempi difficili. Se invece pensiamo di avere già una fede forte, probabilmente ci sbagliamo, in quanto la fede è per definizione una fede contro il dubbio, contro l'apparenza. Se manca il dubbio, qualcosa è sospetto. In secondo luogo, è sospettoso avere una fede forte, perché la fede è un dono di Dio che riceviamo ogni giorno in modo nuovo, non qualcosa che uno possiede. La fede non è un possesso, ma piuttosto una relazione che riguarda tutta la persona. In questo senso si può anche affermare di “avere” fede, anzi è importante farlo. C'è infatti una differenza fondamentale tra chi dice di aver forse fede e di chi afferma di aver fede, seppure debole. Il primo, l'agnostico indeciso, non ha niente, il secondo ha tutto nonostante la debolezza della sua fede. La fede, seppure dono di Dio, non si realizza senza il pieno coinvolgimento del credente che deve prendere una decisione personale pro o contro la fede. È bene aggiungere al “Io credo” la preghiera di aiuto a credere, perché ne abbiamo bisogno. Bonhoeffer disse che Dio ci dà ogni giorno la fede di cui abbiamo bisogno, ma non di più, affinché non ci insuperbiamo. Non so se iniziate quest'anno con speranza o preoccupazione, con una fede salda o con molti dubbi. Come sia, il versetto dell'anno ci invita di affidarci a Dio non solo per le varie circostanze della vita, ma anche per la fede stessa. Auguro a tutti noi un felice anno 2020 in cui Dio giorno per giorno nutra la nostra fede e guidi i nostri pensieri e le azioni.
Vostro
Pastore Dieter Kampen

17/01/2020

Celibato, obbligo o scelta? Paolo Ricca interviene su matrimonio dei preti


Il celibato ecclesiastico non nasce con il cristianesimo, ma viene introdotto successivamente nella chiesa cattolica occidentale. Nella Bibbia, apostoli, vescovi e sacerdoti hanno moglie, figli e figlie. Ne abbiamo parlato con il teologo valdese Paolo Ricca
Di Elena Ribet, Roma, 14 gennaio 2020
L’Agenzia NEV ha intervistato il teologo valdese Paolo Ricca sul tema del celibato ecclesiastico e delle recenti richieste provenienti dal Sinodo dell’Amazzonia di aprire all’ordinazione degli uomini sposati.
Preti sposati, qual è la posizione dei protestanti?
La posizione è quella scelta dai Riformatori del XVI secolo che hanno ritenuto che non ci fossero motivi biblici o di altra natura perché i ministri, e in particolare i pastori di comunità, non fossero sposati. Quindi, i Riformatori stessi, senza eccezioni, si sono sposati. Lutero stesso, anche se a dire il vero si sposò molto tardi, è stato marito, divenendo poi padre di sei figli e figlie.
Joseph Ratzinger ha chiesto di togliere la sua firma dal libro del prelato guineano Robert Sarah, in uscita in Francia con titolo “Dal profondo del nostro cuore”. Nel volume è presente un saggio introduttivo del papa emerito che avrebbe scritto “non posso tacere”, chiedendo a papa Francesco di non permettere l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati proposta dal Sinodo sull’Amazzonia. Cosa ne pensa?
Io penso che il celibato sia una possibilità, sia per il cristiano qualunque, il cristiano laico, sia per il cristiano incaricato di un ministero, che sia un ministero sacerdotale, pastorale, diaconale, dottorale o altre forme di ministero apostolico.
È una possibilità, di cui la Bibbia parla. Gesù a quanto pare non era sposato, ma l’idea che ci sia incompatibilità tra matrimonio e ministero di qualunque natura, nella chiesa, e parlo di ministero maschile e femminile, perché questo vale ovviamente anche per le donne, è un’idea che non ha nessuna radice biblica.
Se uno sente di essere chiamato a una vita come single, come si dice oggi, come persona singola, bene. Nessuno lo vieta. È anche previsto nella lettera ai Corinzi al capitolo 7, dedicato a queste questioni.
È una possibilità che, per essere autentica, io penso debba restare libera. Nel momento in cui diventasse una legge, diventasse obbligatoria e si affermasse, come mi sembra sostenga Ratzinger, che c’è un rapporto ontologico, cioè di sostanza, tra celibato e ministero sacerdotale o pastorale (il quale verrebbe messo in discussione, anzi verrebbe negato o comunque irrimediabilmente compromesso dal fatto di avere un rapporto coniugale o matrimoniale), questa affermazione è assolutamente, secondo me, priva di qualunque fondamento biblico e dunque, con tutto il rispetto, priva di verità e di autorità cristiana. Non è una cosa che la fede cristiana deve accettare, questo è il punto. Non è una cosa a cui si deve obbedire in nome della fede.
Naturalmente tutte le posizione sono degne di essere meditate, non si disprezza nulla e nessuno, ma non mi sento di dire altro. È un’opinione rispettabile, come tutte, ma nulla di più. Un’opinione che non ha nulla di specificamente e autorevolmente cristiano.
Secondo lei il celibato ecclesiastico andrebbe abolito?
Quello che si deve abolire non è il celibato, ma l’obbligo del celibato. L’obbligatorietà è ciò che tradisce la natura stessa del celibato. Non che uno sia obbligato a sposarsi, ma l’obbligo del celibato è anche una violazione dei diritti umani.
Chiunque accetti questa legge lo fa volentieri, volenterosamente, per mille ragioni spirituali, religiose o non religiose. Però, così come è un diritto umano il celibato, così è un diritto umano il coniugio. Amare una persona è un diritto, non è un delitto. Tutti sanno che c’è l’attrazione dei sessi. Ed è una cosa sacrosanta, l’unica grazie alla quale l’umanità sopravvive. Senza essa, senza l’attrazione, non ci sarebbe futuro. Il matrimonio può complicare o risolvere problemi, come tutte le situazioni umane della vita. Non esiste una mistica del matrimonio, e neanche una mistica del celibato.
Cosa succederebbe se venisse abolito l’obbligo del celibato?
Se si arrivasse all’abolizione dell’obbligo di celibato sarebbe una liberazione. Si capirebbe in tutto il mondo che ministero e matrimonio (l’amore coniugale e familiare) possono coesistere, oppure no, ma non possono essere scelte imposte.
È chiaro che una vita familiare infelice, del pastore, o del prete, può riflettersi negativamente sull’esercizio del ministero, ma questo non giustifica imporre una scelta. Ratzinger sosterrebbe nel suo saggio che nell’Antico testamento i sacerdoti dovevano promettere di astenersi da ogni atto sessuale con la propria moglie, vivendo da fratello e sorella. Non lo sapevo, mi riesce molto strano crederlo, ma sarebbe una legge iniqua.
Dietro tutto questo c’è il sospetto, per non dire la convinzione, che la sessualità sia peccaminosa in sé, che qualunque atto sessuale tu compia, tu pecchi. Perché il peccato è lì da qualche parte, in modo misterioso. È un’idea antichissima, diffusissima anche nel cristianesimo e, forse, una delle ragioni per cui la rinuncia alla sessualità è stata capita come primo passo per la santità. Ma queste sono teorie fuori dalla sacra scrittura.
Io non ho una sapienza diversa da quel poco che posso capire dalla Bibbia, dove tutto questo non esiste. Pensiamo al Cantico dei cantici. È un manifesto della sessualità come grazia divina, uno dei più bei doni che l’umanità possa sperimentare.


Paolo Ricca, teologo, pastore valdese, professore emerito della Facoltà valdese di teologia, ha pubblicato numerosi saggi e volumi, fra cui il libro “Da monaco a marito. Due scritti sul matrimonio (1522 e 1530) di Martin Lutero”, edito da Claudiana.




06/01/2020

Matteo 2,1-12. Testo e predicazione. Culto dell’Epifania, domenica 6 gennaio



Matteo 2, 1 – 12
     Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode.
Dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».
Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: «In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele “».
Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s’informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa; e, mandandoli a Betlemme, disse loro: «Andate e chiedete informazioni precise sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch’io vada ad adorarlo».
Essi dunque, udito il re, partirono; e la stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov’era il bambino, vi si fermò sopra. Quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
Poi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per un’altra via.”

“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda…”. 
Così, settecento anni prima che gli scribi nel vangelo dei Magi citassero il suo testo rispondendo al re Erode, il profeta Michea s’era rivolto a Betlemme, ricordandole, seppure per negarla dal punto di vista dell’importanza storica, la sua estrema piccolezza.
È sempre stata piccola, Betlemme, così “minima” da non essere neppure una città, ma piuttosto un villaggio di campagna, immerso tra verdi pascoli e campi ricchi d’orzo che le hanno dato il nome di Betlehem, “Casa del pane”, ma è antichissima e celebre.
C’era già trecento anni prima di Michea, e proprio allora era stata sede di un evento decisivo. Come abbiamo ascoltato in 1 Samuele 16, proprio lui, Samuele, aveva ricevuto da Dio l’ordine di ungere un altro re perché Saul era stato rigettato, ed era stato mandato a cercare il nuovo re proprio a Betlemme. Lì viveva un pastore, Isai coi suoi molti figli maschi. E Dio aveva indicato a Samuele di ungere il più piccolo dei figli di Isai, il giovanissimo Davide.
Era stata un’unzione clandestina, celebrata in un clima di paura per la possibile reazione di Saul, se avesse mai saputo di quel nuovo re nominato al posto suo. Ma poi Davide era davvero diventato re. Il più grande dei re di Israele.
E certo, un grande re non poteva rimanere nella piccola Betlemme. E infatti aveva scelto di porre la sua sede a sette chilometri da Betlemme, nella ben più popolosa e munita città di Gerusalemme, da lui appena strappata ai Gebusei. E lì aveva fatto trasferire l’arca del Signore, lì aveva costruito il suo palazzo, lì aveva progettato il tempio che avrebbe costruito suo figlio Salomone.
E nel palazzo di Gerusalemme s’erano succeduti i re, e nel tempio i sommi sacerdoti, e la piccola Betlemme aveva continuato nella sua esistenza sonnacchiosa di borgo di provincia…
* * *
Matteo 2, 1-12, ci ha una volta ancora raccontato che, mille anni circa dopo Samuele, altre persone vanno, proprio come è andato lui, a Betlemme a cercare un nuovo re quando già ce n’è uno assiso sul suo trono. Quelle persone non sono dei profeti, anzi, non sono nemmeno degli ebrei. Sono degli stranieri, sono dei “magi”, degli astrologi venuti “dall’Oriente”. Però anche loro sono guidati da Dio.
Sì, li ha guidati il medesimo Dio di Samuele, servendosi all’inizio del linguaggio muto e però per loro familiare delle stelle: hanno visto nel cielo una particolare combinazione astrale che annunciava la venuta nel mondo di un grande personaggio, e ne indicava anche il luogo della nascita: la terra di Israele. E così si sono messi in viaggio: evidentemente, quegli “uomini della notte”, abituati a scrutare nel cielo, erano gente attenta, sempre pronta a cogliere l’insolito… ad aprirsi alla novità. E questa era una novità importante, per la quale valeva la pena di fare tanta strada… Così, dietro le indicazioni della stella, eccoli adesso nella terra di Giuda. Ma in Giuda, dove andare? La stella questo non lo ha detto loro… s’era tenuta sulle generali…
Se cerchi un re e non sai dove andare, vai dove c’è un altro re. E dunque i magi vanno dal re Erode, e domandano a lui, con l’ingenuità possibile solo a chi non sa chi è Erode, se per caso conosce “dov’è il re dei giudei che è appena nato” …
Erode, da sempre abituato a temere complotti e a eliminare possibili avversari, chiaramente si allarma, ma fa finta di niente… Ha capito che quei sapienti venuti da lontano possono facilmente diventare i suoi inconsapevoli strumenti nella caccia che intende scatenare contro quel bimbo che osa farsi chiamare col titolo di re che spetta solo a lui: che vadano a cercarlo, e poi gli riferiscano dove si trova perché anche lui possa andare a rendergli l’omaggio che vuole tributargli…
Prima però, bisogna almeno sapere verso che territorio indirizzarli… E allora Erode si rivolge al suo clero, agli “scribi” che conoscono la Bibbia. E gli scribi – come già abbiamo visto – gli citano Michea che parla di Betlemme.
E i magi, seriamente intenzionati a far subito sapere – non appena l’abbiano trovato – a quell’anziano premuroso re, dove si trovi il nuovo re neonato, si rimettono in viaggio… stavolta molto molto breve: uno spostamento di appena poche miglia… E noi possiamo dire che, nonostante tutto, è Dio che li ha rimessi sulla giusta direzione attraverso la parola del profeta.
E, tornando all’inizio, eccoli adesso – proprio come Samuele – sulla via di Betlemme, in cammino dal vecchio al nuovo re. E riappare la stella, questa volta una strana stella in movimento, che va proprio a fermarsi sulla casa dove c’è il neonato che cercavano. E i magi entrano nella casa di Betlemme e si prostrano davanti al nuovo piccolo povero inerme re bambino che è però al tempo stesso così grande che una stella s’è mossa tutta quanta per lui.
Poi, dopo avergli offerto i loro doni, doni degni di un re, “avvertiti in sogno di non ripassare da Erode” (e qui vediamo come ancora una volta, dopo la stella e la profezia, Dio continui a guidarli in quest’altro nuovo modo) “tornarono” – ci dice l’evangelista Matteo – “al loro paese per un’altra via”.
Come sono apparsi, così questi uomini del cammino e della notte ora spariscono. A noi resta il ricordo, e la fiaba dei magi della stella, che hanno visto per primi sorgere nel mondo, nel volto di un piccolo povero re, la nuova vera “stella del mattino” …
* * *
Come abbiamo anche prima ricordato, oggi abbiamo anche ascoltato la storia di Samuele: la sua andata a Betlemme a cercarvi un re mille anni prima del tempo di Gesù, e l’unzione di Davide e il suo regno glorioso e la sua scelta di Gerusalemme e il suo palazzo e il tempio.
Facendo nascere suo figlio proprio a Betlemme, e facendovi arrivare i magi a rendergli omaggio, possiamo quasi dire che Dio ha voluto riportare le cose alla semplicità che avevano all’inizio, quando Samuele aveva lasciato dietro di sé Saul e la sua corte per andare a cercare il nuovo giovane re nella casa di Isai.
Dio – e la storia della monarchia d’Israele è lì a testimoniarlo – non ha mai amato troppo i re, la loro potenza e il loro sfarzo. Quando i capi del popolo avevano preteso da Samuele che nominasse un re sopra di loro, al profeta che era restio a farlo, il Signore aveva detto: “Da’ ascolto al popolo, perché non hanno respinto te, ma me, così che io non regni su di loro … Ora dunque dà ascolto alla loro voce. Abbi però cura di avvertirli solennemente e di fare loro ben conoscere quale sarà il modo di agire del re che regnerà su di loro” …
E, Samuele li aveva avvertiti, e come! Aveva fatto l’elenco impressionante di tutte le angherie che i re imporranno loro quando fossero diventati loro sudditi, ed aveva concluso in questo modo: “Voi griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno il Signore non vi risponderà”.
Ma tutto inutilmente, perché, dice la Bibbia: “Il popolo rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele e disse: – No! Ci sarà un re su di noi e così anche noi saremo come tutti gli altri popoli” (cfr 1 Samuele 8, 7 ss.).
Samuele però aveva ragione: con i re successori di Davide arriverà la rovina, e il popolo griderà a Dio tutta la sua sofferenza, e Dio per lungo tempo non risponderà.
Ora quella risposta eccola qui! Sotto gli occhi dei magi, si inaugura un nuovo modo di essere re – il modo che Dio vuole! Al posto della sete di dominio, la piccolezza inerme, invece della smorfia spaventata di chi vede dovunque dei nemici, il sorriso di un bimbo… Insomma, alla regalità che gli esseri umani cercano di accaparrarsi con le proprie forze, succede una regalità che è rinuncia a ogni potere…
Per rendersi conto di questo… per trovare il nuovo re che incarna questo in sé, bisogna essere passati da Gerusalemme a Betlemme. Sì, Betlemme torna al centro della storia. La piccola borgata prende il posto della grande città, la casa del bambino nato come tanti altri bambini, il posto dei palazzi del potere…
E così ancora una volta, dopo avere lungo i secoli inviato i suoi profeti a difendere la causa dei deboli contro le prepotenze dei potenti e dei re in particolare, Dio ribadisce la sua scelta per i poveri e gli ultimi.
Ma se lo spostamento da Gerusalemme a Betlemme è la condizione necessaria per trovare il piccolo Gesù, non è però la condizione sufficiente: ai magi è servito qualcos’altro. È servita “la gioia”.
Perché, ci si fa poco caso, ma la “grandissima gioia” con cui i magi si sono “rallegrati”, non è dovuta all’incontro con il piccolo re, ma è esplosa prima, quando hanno visto la loro stella che di nuovo brillava su di loro. Per questo hanno gioito, per la stella che illuminava la loro ricerca. E grazie a questa gioia per la stella hanno poi trovato e incontrato Gesù!
La gioia cristiana non è la soddisfazione di uno sforzo ben riuscito, e neanche è la consapevolezza trionfante del possesso di quello che volevi. No… è il rallegrarsi del cuore per una luce che arriva d’improvviso e ti mostra il cammino che ancora devi fare, ma che adesso puoi fare con una nuova lena, con il cuore leggero… insomma è una gioia donata…
Sì, “Si rallegrarono di una grandissima gioia”: i magi l’hanno vissuta fino in fondo, questa gioia donata dalla stella… si sono sentiti di nuovo nelle mani di Dio… hanno sperimentato la sua fedeltà che non ti lascia…
E quando poi sono entrati nella casa e hanno visto “il bambino con sua madre”, non hanno perso tempo a domandarsi se proprio quel bambino simile a tanti altri… in una casa semplice come tante altre case… era proprio il re atteso.
Erano “arcisicuri” di non aver sbagliato: proprio la grande gioia che avevano nel cuore, quella è stata la loro sicurezza. Non hanno chiesto il nome di quel piccolo… non hanno chiesto niente… si sono solo “prostrati” innanzi a lui, e gli hanno dato i doni che avevano portato: come abbiamo già detto, doni degni di un re, perché era proprio un re quello che stava là, davanti ai loro occhi… “un re senza corona e senza scorta”, per citare De André, eppure un grande re: il re annunciato dalla stella della gioia!
Siamo ancora all’inizio del nuovo anno… di un cammino da fare, da percorrere insieme come chiesa: la chiesa del piccolo grande re di Betlemme…
Alla luce del racconto dei magi, così come l’abbiamo commentato, forse oggi ci possiamo chiedere: che chiesa siamo e che chiesa vogliamo essere? Una chiesa-Gerusalemme o una chiesa-Betlemme?
Una chiesa cioè di gente convinta di conoscere a menadito le Scritture e di saperle citare a memoria come gli scribi alla corte di Erode, o una chiesa fatta di persone disponibili a lasciarsi interpellare e a mettersi in cammino alla ricerca di chi non possediamo e invece ci possiede e ci chiama ad andare?
Insomma, qual è la regalità sotto cui ci piace vivere? Una regalità quale quella che si viveva a Gerusalemme, fatta di potere posseduto, esercitato, difeso… o una regalità da Betlemme: una regalità di servizio? Il piccolo re adorato dai magi mostrerà giustamente, lungo tutta la sua vita, che la sua regalità non lo dispenserà mai da un’attitudine di servizio, fino al dono di se stesso. Ricordate: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto per molti” (Marco 10, 45)?
E questa questione del potere nelle nostre comunità rinvia direttamente a quella del loro ruolo. Chiese che vivono per se stesse, tutte soddisfatte quando riescono a portare a buon esito le loro iniziative, senza starsi troppo a preoccupare di quello che succede fuori, o chiese “testimoni” che, come i magi oggi, apparsi quasi dal nulla nel vangelo, e poi tornati al nulla dopo aver indicato e adorato in Gesù “il re dei Giudei che è nato”, rinviano a una presenza altra e non a loro stesse, ad un amore che le precede sempre e le fa sempre essere comunità in cammino?
Davvero, invece di occupare tutto lo spazio alla maniera del palazzo di Erode a Gerusalemme, le nostre chiese potrebbero ispirarsi alla piccola casa di Betlemme, per giunta provvisoria, perché di lì a pochi giorni il piccolo re, ricercato dal “grande”, la dovrà abbandonare. Ma è proprio quella casa “provvisoria” il traguardo agognato del viaggio dei magi indicato dal cielo… toccato dalla stella…
La chiesa come “casa provvisoria” … casa aperta a chi arriva da lontano, come da lontano sono arrivati i magi… aperta agli stranieri, così come i magi erano degli stranieri… Sapendo che gli stranieri, è Dio che può mandarceli, perché ci rimettano in questione, ci obblighino a nostra volta a incamminarci… a fare cioè quello che dei cristiani debbono sempre fare, se vogliamo essere i discepoli che seguono Gesù.
La parola profetica ce l’abbiamo anche noi, la stella ci precede, e con lei c’è la gioia… la “grandissima gioia” che è donata da Dio, di chi vede la strada che gli si apre davanti… ci invita a camminare per trovare il nostro re, e trovare noi stesso… Andiamo avanti, allora: chi ci guida è il Signore!

Ruggero Marchetti