C’è un testo
nella Bibbia che tutti conosciamo: la parabola del buon samaritano. Una figura
scomoda, un uomo considerato da Israele impuro ed eretico, uno da cui non ci si
aspetta nulla di buono e da cui tenersi lontani. Eppure quest’uomo, nel
racconto del vangelo di Luca, presta aiuto a un uomo ferito che è stato
aggredito da dei banditi e lasciato per strada. Questa figura, nei secoli, è
servita a mettere sull’avviso tutti coloro che si sono trincerati dietro una
fede formalmente corretta ma incapace di avvicinarsi a chi è in difficoltà. Non
è stato capace di farlo il levita, né il sacerdote e molto spesso non sono state
capaci di farlo le chiese. Per secoli l’amore verso il prossimo è stato
incarnato da quest’uomo che presta le prime cure, spende il suo tempo e il suo
denaro per trovargli un alloggio e si preoccupa per la sua salute. Il buon
samaritano sfida la nostra pigrizia, il nostro egoismo, la nostra vocazione e
ci chiama a farci prossimi di chi incontriamo per strada anziché chiedere quali
siano le persone di cui dobbiamo occuparci. In questi ultimi anni ho cercato,
come molte e molti altri nel mondo, di farmi prossimo di coloro che, in fuga
dal proprio paese, hanno scelto di cercare futuro in Europa. Io come molti
altri credenti, semplici cittadini, membri di Ong, pescatori, membri del
Soccorso alpino, volontari di associazioni, ci siamo lasciati interrogare e
abbiamo cercato di dare un senso alla parola biblica con cui si conclude la
parabola: «Va’ e fa’ la stessa cosa». Ma da tempo sono sempre più sgomento. Il
buon samaritano non è più un paradigma da imitare, è diventato invece un
fuorilegge. La capitana della Sea Watch, Pia Klemp, rischia vent’anni di carcere
per aver soccorso in mare persone che stavano affogando, numerosi amici
francesi a Briançon sono sotto processo da mesi, perché hanno raccolto per
strada persone che rischiavano di morire in mezzo alla neve al colle del
Monginevro. Chi espone pubblicamente una sciarpa su cui è scritto «Ama il
prossimo tuo» viene picchiato da militanti di destra e infine deriso dal
ministro dell’Interno. Penso ai due francesi che la settimana scorsa sono stati
arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, semplicemente
perché hanno dato un passaggio a persone dalla pelle scura che si erano perse
nei boschi di notte sotto la pioggia. Come se aiutare qualcuno, considerato che
non si è tenuti a chiedere i documenti a meno di appartenere alle forze
dell’ordine, costituisse di per sé un reato. Penso a quelli che, in questi anni, hanno
aiutato con un paio di scarponi,
un posto letto, qualcosa da mangiare, con il calore umano di chi cerca di
ascoltare la storia altrui e prova, almeno per un attimo, a strapparti alla
solitudine e alla disperazione che hanno la forma di un foglio di respingimento,
di una notte gelida in mezzo alla neve e degli affetti che da anni sono solo un
messaggio su WhatsApp. Penso a B., vittima del circuito della prostituzione,
respinta alla frontiera due anni fa, che ho ospitato a casa mia per qualche
settimana; penso alle diecimila persone che in questi due anni hanno valicato
il Monginevro per raggiungere la Francia; penso ai minorenni non tutelati e
rimandati in Italia, quelli a cui la gendarmerie ha rifiutato il diritto di
fare domanda di asilo con metodi poco democratici. Penso alla ragazza morta
annegata in un torrente, dopo esser stata inseguita di notte dalla polizia.
Penso a Mamadou, di cui è stato ritrovato poco più di un braccio nei boschi di
Bardonecchia. Penso alle ragazzine stuprate nei campi libici che hanno
attraversato il Colle della Scala, in inverno, incinte all’ottavo mese.
Molti come
me si sono lasciati interrogare dal buon samaritano e hanno risposto che non si
poteva fare diversamente, che non si lascia la gente in giro in montagna come
non la si lascia in mare. Penso però che avremmo potuto fare molto di più. Nei
giorni scorsi il governo ha dichiarato fuorilegge la figura del buon
samaritano: mi preoccupa il fatto che sia diventato lecito lasciar affogare
creature umane o normale mandare a processo chi cerca di farsi prossimo. Mi
preoccupano le duemila persone che manifestano a difesa del tabaccaio che spara
per difendere il proprio negozio. Il diritto di migrare, la possibilità di
usare il proprio passaporto per muoversi, il diritto di vivere in un paese dove
istruzione, sanità e lavoro siano possibilità reali non sono più percepiti come
tali. La colossale disuguaglianza economica tra i paesi da cui si emigra e
quelli nei quali si vorrebbe vivere non è percepita come ingiustizia, bensì come
il giusto benessere che nessuno ci può togliere. E coloro che non sono
d’accordo vengano pure derisi, imprigionati e messi a tacere. Mi preoccupo
perché per la prima volta in vita mia, dopo aver a lungo riletto, ho avuto
paura e ho cancellato delle righe.
Davide
Rostan