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21/08/2022

PREDICAZIONE DEL PASTORE MARCO GISOLA TENUTA DOMENICA 14 AGOSTO, 10 DOMENICA DOPO PENTECOSTE

 

Intra (con Omegna) – Luino, 14 agosto 2022

Matteo 25,14-30

14 «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. 16 Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. 17 Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. 18 Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 22 Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 24 Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". 26 Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. 29 Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 30 E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti".

 

Non c’è nessuno che non abbia nessun talento. Questo, care sorelle e cari fratelli, è un dato di fatto che spesso passa in secondo piano quando leggiamo questa parabola, perché il nostro interesse è attirato dal fatto che alcuni ricevono più talenti e altri meno e quindi tendiamo a mettere la nostra attenzione sulle differenze che ci sono tra chi ne riceve cinque, chi due e chi uno. E così rischia di passare in secondo piano il fatto che comunque  tutti hanno qualche talento e che dunque non c’è nessuno che non ne abbia nemmeno uno. Questo fatto mi sembra da non sottovalutare quando cerchiamo di interpretare questa parabola e di applicarla alla nostra realtà: nessuno ha zero talenti, tutti ne hanno qualcuno.

Ma che cosa sono i talenti? Il termine Talento indica un valore monetario molto molto alto. Pensate che nella parabola dei lavoratori delle diverse ore di Matteo 20 i lavoratori ricevono un denaro di paga per un giorno lavorativo. Un talento valeva seimila denari! Seimila giorni lavorativi, dunque una cifra enorme!

Spesso noi riferiamo i talenti della parabola alle qualità, alle capacità che ciascuno di noi ha, e infatti nel nostro linguaggio il termine talento indica queste qualità capacità o competenze: talento artistico, talento musicale... Ma in realtà nella parabola di Gesù i talenti non sono le cose che sappiamo fare. Nella parabola è chiaro che i talenti non sono una proprietà dei servitori; sono proprietà del padrone che li affida ai servi e si aspetta che essi ne facciano qualche cosa dei suoi talenti. Non sono qualcosa che i servitori hanno, ma qualcosa che viene loro affidato. Non è un regalo, ma un affidamento di qualcosa di prezioso. Il significato, fuori dalla metafora, è chiaro: Dio ci affida qualcosa, come dicevamo qualcosa di molto molto prezioso.

Quindi: Dio si fida di noi! Un altro aspetto che spesso viene oscurato dall’immagine del padrone duro e spietato: prima di tutto Dio si fida di noi! Si fida di noi, che spesso non ci fidiamo di lui!

Ecco uno dei segni della grazia immeritata di Dio verso di noi: Dio si fida di noi e ci affida non del denaro – perché i talenti sono ovviamente un’immagine che rimanda ad altro - ma l’evangelo del Regno. Questa è una parabola sul Regno e sul giudizio, non una parabola sulle capacità umane. Per questo è poi duro e spietato: anche qui, fuori dalla metafora dovremmo dire: esigente. Si può seppellire il regno di Dio? Si può mettere l’evangelo sotto terra e nasconderlo? Sotterrare la Parola di Dio?

Se il tuo vicino va in vacanza e ti affida il suo gatto, forse che non gli dai da mangiare? Se ti affida la sua pianta, forse che non la annaffi? E se non dai da mangiare al gatto o non annaffi la pianta, ed essi muoiono, come reagirà quando torna? Facciamo le debite proporzioni! Dio ci affida l’evangelo del regno, la buona notizia della salvezza, della libertà, della giustizia in Cristo. E noi che ne facciamo? Dio ci dà delle occasioni per vivere questo evangelo, per tentare di vivere frammenti di questo regno, della sua libertà, della sua gioia, della sua giustizia. E noi che cosa ne facciamo? In questo senso si capisce il giudizio così duro nei confronti di chi lo sotterra, del servo che sotterra il talento, che non lo porta nemmeno dai banchieri, che era la cosa meno impegnativa e più sicura. E lui non fa nemmeno quello.

Il servo dice che si è comportato così per paura. E noi sappiamo che la paura paralizza, impedisce di agire e a volte persino di pensare.  Tutti e tutte noi lo abbiamo sperimentato almeno una volta. Tutti noi abbiamo avuto qualche volta, o spesso, paura di sbagliare e non abbiamo fatto nulla.

Il non fare nulla in questa parabola è condannato, il non fare nulla quando ti è affidato l’evangelo del Regno di Dio è condannato.  Perché non c’è da avere paura di Dio che ci affida il suo regno. Dio non è duro e spietato come il padrone della parabola, è esigente questo sì, ma non è duro e spietato.

E poi c’è un altro aspetto: avete notato che dalla parabola pare che i primi due servi non facciano molta fatica a far fruttare i talenti che sono loro affidati. Sono forse maghi della finanza? Forse le cose stanno un po’ diversamente: la parabola non insiste tanto sulla capacità dei primi due, ma sul fatto che abbiano agito, che abbiano operato, che si siano dati da fare. E del terzo ciò che viene criticato è l’opposto, cioè appunto il suo non aver fatto nulla, il suo non-agire. Il rimprovero del padrone è “Servo malvagio e fannullone”.

Dunque non è solo questione di paura: il servo è malvagio e fannullone, quindi in malafede, ha preferito sotterrare il talento anziché darsi da fare. Non c’è bisogno di essere maghi della finanza per far fruttare i talenti di Dio, non c’è bisogno di essere dei super-cristiani per mettere a frutto il regno di Dio, esso frutta da solo, basta non nasconderlo, non sotterrarlo, cioè non rifiutarsi di viverlo e testimoniarlo. Hai tra le mani l’evangelo del regno, la Parola di Dio. Che cosa ne fai? Questo è il tema di questa parabola che Gesù racconta appena prima che inizi la sua passione, che culminerà con la croce e la sepoltura!

Il finale della parabola ci può sembrare un po’ troppo “capitalista”: chi ha investito di più, ha guadagnato di più. Chi ha ricevuto e investito cinque talenti ne guadagna altri cinque, chi ha ricevuto e investito due talenti ne guadagna altri due. Puro neoliberismo?

Vista da un altro punto di vista, è però anche vero che entrambi raddoppiano il numero dei talenti: è un caso, o forse è un modo per dirci che entrambi hanno raddoppiato senza fatica quanto hanno avuto? Che è bastato darsi da fare per raddoppiare? E del resto la reazione del padrone davanti ai guadagni dei primi due servitori è esattamente la stessa, le stesse parole: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. Questo il padrone lo dice sia al servo dei cinque talenti, sia al servo dei due talenti.

Se il terzo è definito “malvagio e fannullone”, questi due sono definiti “buoni e fedeli”. Non maghi della finanza, ma buoni e fedeli. È sufficiente essere buoni – cioè non malvagi e in malafede come il terzo – e fedeli, cioè non sotterrare, non nascondere ciò che Dio ci affida. E Gesù stesso esce dalla metafora quando, dopo aver detto “ti costituirò sopra molte cose”, che sembra una ricompensa ancora economica, aggiunge poi “entra nella gioia del tuo Signore”.

“Entra nella gioia del tuo Signore” è la parola che Dio stesso dice al discepolo o alla discepola fedele – attenzione: non perfetto, fedele! - che non ha nascosto l’evangelo. È la gioia in Dio che riceve chi non nasconde i talenti che Dio gli o le affida.

Possiamo allora dire che i talenti, più che le nostre capacità umane, sono le occasioni che Dio ci dona di vivere frammenti del suo regno, dell’amore, della giustizia, della speranza, della gioia, della pace che caratterizzano il Regno di Dio.

Sono le opportunità che il Signore ci dona quotidianamente, a volte forse nelle grandi decisioni che dobbiamo prendere, ma più spesso nelle piccole scelte, nei piccoli incontri e situazioni in cui ci troviamo nella nostra vita di tutti i giorni. Dio ti dà molte di queste occasioni e mentre te le dà, ti chiede anche, perché Dio è esigente, ti chiede di non nascondere il suo regno, il suo amore, la sua giustizia, la sua libertà e anzi di viverle con e per gli altri.

Nessuno non ha nessun talento. Tutti ne hanno e tutti sono chiamati a farli fruttare, cioè a condividere l’enorme dono della grazia e dell’amore di Dio che ci è stato dato in Cristo. Dio si fida di noi e ci affida i suoi talenti, che rimangono suoi, ma ci sono affidati. Tutti e tutte noi siamo chiamati a non nascondere questo enorme dono, a non trascurarlo, a non ignorarlo,

a non vivere come se non lo avessimo ricevuto, a non sprecarlo sotterrandolo nella nostra pigrizia, nella nostra indifferenza e nemmeno nella nostra paura.

Senza preoccuparci del risultato, perché esso è nelle mani di Dio.

Ecco l’evangelo di oggi: Dio si fida di noi, ci affida il preziosissimo evangelo e ci chiede di farlo fruttare, di viverlo e condividerlo. E la gioia comincia già qui, perché è una grande gioia vivere e condividere l’evangelo della grazia e della libertà.

Fino a quando davvero il regno di Dio verrà, e lì la gioia sarà senza fine.

 

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