Culti
Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9
Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11
28/04/2011
20/04/2011
17/04/2011
La Palme
di Giorgio Tourn
«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Marco 11,9)
Nella tradizione cristiana la settimana santa si apre con la domenica delle palme, così detta perché gli evangelisti narrano che fra i pellegrini si notavano delle persone che avevano in mano dei rami di palma che agitavano in segno di gioia, di festa.
Dove stavano andando? Si trattava di ebrei che salivano a Gerusalemme in pellegrinaggio per partecipare alle cerimonie nel tempio, dove si svolgevano ancora i sacrifici prescritti dalla Legge (il tempio sarà distrutto una quarantina d’anni più tardi dai romani), ma soprattutto per celebravi la Pasqua. Era , ed è tuttora, una delle grandi feste della religione ebraica che ricorda l’uscita dall’Egitto del popolo di Israele al tempo di Mosè; non era una cerimonia pubblica ma famigliare, si celebrava in casa presieduta dal padre di famiglia, ma vivere quella festa pasquale a Gerusalemme assumeva significato particolare. Analogamente si può dire che trascorrere i giorni della settimana santa a Roma, per un cattolico al giorno d’oggi, pur non aggiungendo niente alla fede, è certo esperienza significativa.
Gesù ed un gruppo dei suoi discepoli sale dunque a Gerusalemme insieme a molti altri pellegrini per questa circostanza, si trattiene nella città fino al giovedì, quando verrà arrestato per essere crocifisso il giorno seguente.
L’episodio delle palme si colloca proprio durante questa marcia del pellegrini verso la città santa. Non va dimenticato che tutto ciò che riguarda la vita, le parole, i miracoli di Gesù, e cioè gli avvenimenti che accompagnano la sua esistenza, è narrato dagli evangelisti molto tempo dopo la sua morte e la sua risurrezione. Sono ricordi rivissuti alla luce di quello che è accaduto successivamente; quel giorno i discepoli non conoscevano quello che noi conosciamo, neppure sappiamo cosa pensassero, probabilmente che Gesù sarebbe stato accolto dai sacerdoti e avrebbe ricevuto una investitura ufficiale come maestro della legge, profeta.
Secondo la tradizione il corteo dei pellegrini canta dei salmi, ed esprime la sua lode appunto agitando rami di palme, simbolo della gloria, della lode. Le parole «Benedetto colui che viene nel nome del Signore», come «Osanna nei luoghi altissimi» sono appunto parole di questi salmi, che cantano tutti, anche i discepoli. Sono parole che annunziano la venuta del Cristo, del salvatore atteso messaggero del regno di Dio ma nessuno sa che è presente nel corteo, che Gesù è Colui che viene nel nome del Dio. Neppure i discepoli sono pienamente consapevoli di questo fatto, e solo a posteriori, dopo la risurrezione, ricordando quella giornata si rendono conto che si erano cantate le lodi di Gesù.
L’episodio letto oggi ha un messaggio molto chiaro: Gesù è il Salvatore che realizza le profezie; ma allora non era così, cantando i salmi antichi la gente pensava di esprimere la sua fede tradizionale, non era consapevole del fatto che gli stava rendendo omaggio.
Chissà quante volte nella vita abbiamo anche noi camminato accanto a Dio, o meglio con Dio accanto a noi (perché letto nell’ottica cristiana Gesù è la presenza di Dio) e non ce ne siamo accorti e abbiamo parlato di lui senza esserne consapevoli. Il credente è quello che sa riconoscere la presenza di Dio nella vita ma Dio non è presente solo per i credenti.
(Tratto dal sito ufficiale della Chiesa Valdese)
16/04/2011
Culti della settimana di Pasqua
Domenica 17 aprile- Le Palme:
Omegna: Culto ore 9,15
Verbania Intra: Culto: 11
Giovedì 21 aprile "giovedì santo":
Omegna: Culto ore 21
Venerdì 22 aprile "venerdì santo"
Verbania Intra: Culto ore 21
Domenica 24 aprile "Pasqua di risurrezione"
Omegna: Culto con la Cena del Signore ore 9,15
Verbania Intra: Culto con la Cena del Signore ore 11
13/04/2011
08/04/2011
07/04/2011
24/03/2011
Mediterraneo sottosopra: una tragedia annunciata
di Franca Di Lecce, direttore del Servizio rifugiati e migranti della FCEI
La situazione in Libia precipita ogni giorno di più. La rivolta libica è diversa e certamente più complessa, ma strettamente collegata alle rivolte degli altri paesi in Nord Africa.
La sostanziale inerzia e ambiguità del governo italiano sin dall'inizio della rivolta in Libia, ha rimesso al centro la questione dei rapporti con una dittatura che è stata sostenuta a diversi livelli dall'Italia e dalla comunità internazionale.
Difficilmente una guerra porta pace e soluzioni durature e l'Italia, che tanto ha sbandierato i rapporti privilegiati con Gheddafi, ha mostrato ancora una volta la sua ambiguità e incapacità di intraprendere tempestivamente un'iniziativa politica di mediazione e di farsi portavoce di un negoziato diplomatico, proprio in ragione di quella relazione solida e duratura con la Libia.
Sapevamo tutto, o quasi tutto della situazione in Libia, abbiamo letto i numerosi rapporti sulla violazioni dei diritti umani, abbiamo ascoltato le testimonianze dirette sulle torture subite da parte di persone che sono riuscite a fuggire e a raggiungere l'Europa, si sono levate alcune voci critiche - troppo poche o solo inascoltate? - sul trattato di amicizia e cooperazione con la Libia. Sapevamo chi era Gheddafi e in nome di quell'accordo sono stati respinti migranti e i richiedenti asilo che cercavano di raggiungere l'Italia e l'Europa. Ma questa consapevolezza non è bastata, o semplicemente la questione dei diritti umani è subordinata agli interessi economici dei paesi coinvolti.
Ora, siamo di fronte ad un'altra guerra. Ogni guerra è assurda e disumana e non può essere chiamata umanitaria, il governo italiano e la comunità internazionale non hanno avuto la capacità e la volontà politica di trovare risposte adeguate. La strategia del terrore messa in campo dalla Libia era prevedibile e come sempre, accade in ogni guerra, a pagarne il prezzo sono i civili, i profughi, le persone in condizioni di vulnerabilità.
Intanto Lampedusa è di nuovo sotto i riflettori, come avviene a intermittenza da diversi anni, la splendida isola è la tragica metafora del fallimento delle politiche di immigrazione e asilo messe in campo dal governo italiano.
Gli abitanti dell'isola sono esasperati e hanno le loro ragioni, non accettano una politica di scaricamento delle responsabilità del governo centrale e non devono essere lasciati soli. Attualmente sono presenti sull'isola circa 5mila migranti, in maggioranza tunisini, e il centro di accoglienza ne ospita circa 2mila, a fronte di una capienza di 850 posti. Molti migranti dormono all'addiaccio in condizioni igieniche inaccettabili, oltre 200 sono minori, la tensione è alle stelle. Si rischia, come avviene da sempre in Italia, di scaricare la incapacità del Governo di gestire la situazione sulla popolazione e di manipolare quel disagio legittimo e inascoltato.
Ancora una volta le risposte che arrivano sono in chiave emergenziale, e il sistema asilo, già così fragile in Italia, rischia in questa situazione di essere ulteriormente compromesso dalle decisioni del Governo.
Di fronte ai nuovi flussi provenienti dalle aree di crisi del Nord Africa, il Ministro dell'Interno ha proposto soluzioni miopi e irresponsabili, come il trasferimento di richiedenti asilo presenti sul territorio italiano nel centro di Mineo (Catania), ex villaggio dei militari USA e che, per l'occasione, è stato ribattezzato “Villaggio della solidarietà”.
Lo scorso 11 marzo insieme ad alcune organizzazioni del Tavolo Nazionale Asilo, abbiamo chiesto un incontro urgente al prefetto Giuseppe Caruso, Commissario straordinario per l'emergenza immigrati, esprimendo la nostra preoccupazione e il nostro dissenso per il trasferimento annunciato - che già sta avvenendo in questi giorni - dei richiedenti asilo verso il nuovo centro di Mineo. Abbiamo chiesto un confronto sulla gestione complessiva della situazione nuova che si sta creando nel nostro Paese. Finora, nonostante i ripetuti solleciti, non abbiamo ricevuto alcuna risposta, mentre i trasferimenti, vere e proprie deportazioni, di persone già accolte nei vari CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo) sono iniziati, vanificando quei percorsi di accoglienza territoriale già avviati anche in collaborazione con i servizi socio-sanitari e compromettendo le procedure di asilo avviate. Una tale soluzione che, tra l'altro comporta costi enormi, rischia di smantellare e minare profondamente il diritto di asilo in Italia.
Come chiese e enti di tutela dei diritti dei rifugiati e dei migranti continueremo a lavorare perché sia data un'accoglienza dignitosa alle persone in fuga e continueremo, allo stesso tempo, a chiedere l'apertura di un corridoio umanitario che permetta ai profughi di avere una via di fuga.
Il 10 marzo, infatti, abbiamo rivolto un appello all'Unione Europea perché si assumesse l’impegno di un’evacuazione umanitaria immediata di migliaia di persone provenienti dal Corno d'Africa e che sono ancora intrappolati in Libia completamente privi di alcuna protezione e vittime della violenza esercitata sia da parte delle milizie di Gheddafi che da una parte degli insorti.
L'adozione di strumenti adeguati di protezione e l'accoglienza dignitosa delle persone in fuga è una responsabilità inderogabile dell'Unione Europea che sulla questione dei diritti umani troppo spesso balbetta e si nasconde (NEV-notizie evangeliche 12/11).
La situazione in Libia precipita ogni giorno di più. La rivolta libica è diversa e certamente più complessa, ma strettamente collegata alle rivolte degli altri paesi in Nord Africa.
La sostanziale inerzia e ambiguità del governo italiano sin dall'inizio della rivolta in Libia, ha rimesso al centro la questione dei rapporti con una dittatura che è stata sostenuta a diversi livelli dall'Italia e dalla comunità internazionale.
Difficilmente una guerra porta pace e soluzioni durature e l'Italia, che tanto ha sbandierato i rapporti privilegiati con Gheddafi, ha mostrato ancora una volta la sua ambiguità e incapacità di intraprendere tempestivamente un'iniziativa politica di mediazione e di farsi portavoce di un negoziato diplomatico, proprio in ragione di quella relazione solida e duratura con la Libia.
Sapevamo tutto, o quasi tutto della situazione in Libia, abbiamo letto i numerosi rapporti sulla violazioni dei diritti umani, abbiamo ascoltato le testimonianze dirette sulle torture subite da parte di persone che sono riuscite a fuggire e a raggiungere l'Europa, si sono levate alcune voci critiche - troppo poche o solo inascoltate? - sul trattato di amicizia e cooperazione con la Libia. Sapevamo chi era Gheddafi e in nome di quell'accordo sono stati respinti migranti e i richiedenti asilo che cercavano di raggiungere l'Italia e l'Europa. Ma questa consapevolezza non è bastata, o semplicemente la questione dei diritti umani è subordinata agli interessi economici dei paesi coinvolti.
Ora, siamo di fronte ad un'altra guerra. Ogni guerra è assurda e disumana e non può essere chiamata umanitaria, il governo italiano e la comunità internazionale non hanno avuto la capacità e la volontà politica di trovare risposte adeguate. La strategia del terrore messa in campo dalla Libia era prevedibile e come sempre, accade in ogni guerra, a pagarne il prezzo sono i civili, i profughi, le persone in condizioni di vulnerabilità.
Intanto Lampedusa è di nuovo sotto i riflettori, come avviene a intermittenza da diversi anni, la splendida isola è la tragica metafora del fallimento delle politiche di immigrazione e asilo messe in campo dal governo italiano.
Gli abitanti dell'isola sono esasperati e hanno le loro ragioni, non accettano una politica di scaricamento delle responsabilità del governo centrale e non devono essere lasciati soli. Attualmente sono presenti sull'isola circa 5mila migranti, in maggioranza tunisini, e il centro di accoglienza ne ospita circa 2mila, a fronte di una capienza di 850 posti. Molti migranti dormono all'addiaccio in condizioni igieniche inaccettabili, oltre 200 sono minori, la tensione è alle stelle. Si rischia, come avviene da sempre in Italia, di scaricare la incapacità del Governo di gestire la situazione sulla popolazione e di manipolare quel disagio legittimo e inascoltato.
Ancora una volta le risposte che arrivano sono in chiave emergenziale, e il sistema asilo, già così fragile in Italia, rischia in questa situazione di essere ulteriormente compromesso dalle decisioni del Governo.
Di fronte ai nuovi flussi provenienti dalle aree di crisi del Nord Africa, il Ministro dell'Interno ha proposto soluzioni miopi e irresponsabili, come il trasferimento di richiedenti asilo presenti sul territorio italiano nel centro di Mineo (Catania), ex villaggio dei militari USA e che, per l'occasione, è stato ribattezzato “Villaggio della solidarietà”.
Lo scorso 11 marzo insieme ad alcune organizzazioni del Tavolo Nazionale Asilo, abbiamo chiesto un incontro urgente al prefetto Giuseppe Caruso, Commissario straordinario per l'emergenza immigrati, esprimendo la nostra preoccupazione e il nostro dissenso per il trasferimento annunciato - che già sta avvenendo in questi giorni - dei richiedenti asilo verso il nuovo centro di Mineo. Abbiamo chiesto un confronto sulla gestione complessiva della situazione nuova che si sta creando nel nostro Paese. Finora, nonostante i ripetuti solleciti, non abbiamo ricevuto alcuna risposta, mentre i trasferimenti, vere e proprie deportazioni, di persone già accolte nei vari CARA (centri di accoglienza per richiedenti asilo) sono iniziati, vanificando quei percorsi di accoglienza territoriale già avviati anche in collaborazione con i servizi socio-sanitari e compromettendo le procedure di asilo avviate. Una tale soluzione che, tra l'altro comporta costi enormi, rischia di smantellare e minare profondamente il diritto di asilo in Italia.
Come chiese e enti di tutela dei diritti dei rifugiati e dei migranti continueremo a lavorare perché sia data un'accoglienza dignitosa alle persone in fuga e continueremo, allo stesso tempo, a chiedere l'apertura di un corridoio umanitario che permetta ai profughi di avere una via di fuga.
Il 10 marzo, infatti, abbiamo rivolto un appello all'Unione Europea perché si assumesse l’impegno di un’evacuazione umanitaria immediata di migliaia di persone provenienti dal Corno d'Africa e che sono ancora intrappolati in Libia completamente privi di alcuna protezione e vittime della violenza esercitata sia da parte delle milizie di Gheddafi che da una parte degli insorti.
L'adozione di strumenti adeguati di protezione e l'accoglienza dignitosa delle persone in fuga è una responsabilità inderogabile dell'Unione Europea che sulla questione dei diritti umani troppo spesso balbetta e si nasconde (NEV-notizie evangeliche 12/11).
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