Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

27/09/2014

Tempo del creato 2014 -Domenica 28/09/2014

Genesi 2,4b-9 (10-14)15

 4b  Nel giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli, 5 non c'era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna. Nessuna erba della campagna era ancora spuntata, perché Dio il SIGNORE non aveva fatto piovere sulla terra, e non c'era alcun uomo per coltivare il suolo; 6 ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo.7 Dio il SIGNORE formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.8 Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l'uomo che aveva formato. 9 Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva in quattro bracci.11 Il nome del primo è Pison, ed è quello che circonda tutto il paese di Avila, dove c'è l'oro; 12 e l'oro di quel paese è puro; qui si trovano pure il bdellio e l'ònice. 13 Il nome del secondo fiume è Ghion, ed è quello che circonda tutto il paese di Cus. 14 Il nome del terzo fiume è Chiddechel, ed è quello che scorre a Oriente dell'Assiria. Il quarto fiume è l'Eufrate. 15 Dio il SIGNORE prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse.

 Predicazione del pastore Jean-Félix Kamba Nzolo

Chi sono? Da  dove vengo? Dove vado?  Sono domande esistenziali che conosciamo bene e che ci poniamo in un momento o l’altro della nostra vita. La Bibbia cerca di rispondere a queste domande, prescindendo da dati scientifici e legando l’esistenza umana a quella di Dio. E, lo fa in una duplice narrazione della creazione, in Gensesi 1 e 2.
Se io, essere umano, esisto è perché esiste il mio Creatore. La Genesi, il libro che parla del principio, vuole riconciliarci  con la nostra esistenza!  Cerca di dirci perché viviamo e come dobbiamo vivere…
Ci sono tre affermazioni fondamentali nella seconda narrazione della creazione della terra e dell'uomo che è il nostro testo di oggi:
1.      Dio crea l’uomo;
2.      Dio si prende cura dell’uomo;
3.      Dio affida una missione all’uomo;
Tre sono parole chiave: creazione, cura e missione.
Al primo punto, Dio crea l’essere umano che noi siamo. Alla domanda: chi siamo? La risposta è siamo creature di Dio. Considerare l’esistenza umana da quest’angolatura dovrebbe cambiare il nostro modo di essere con noi stessi, con gli altri e con il giardino, questa terra che ci fa vivere.
 Al secondo punto, Dio si prende cura dell’uomo da Lui creato, provvedendo ai suoi bisogni e mettendo a sua disposizione tutto ciò di cui ha bisogno per vivere e crescere pienamente.
Al terzo punto, Dio affida una missione all’uomo. L'uomo Adamo, creato da Dio occupa una posizione privilegiata quella di trovarsi al centro della creazione. A lui è affidato il compito di coltivare e di custodire il giardino di Eden. In altre parole, il compito di valorizzarlo e salvaguardarlo, e non di prenderne possesso  diventandone proprietario,  sfruttandolo e  distruggendolo.
Eden è proprietà di Dio, Adamo ne è il custode. Nel custodire e proteggere questa proprietà, l'uomo Adamo entra nella dialettica vitale con Dio.  Il racconto della Genesi dimostra che l’uomo non è stato creato per se stesso, ma per rispondere ad una necessità.  Egli è fin dal principio collaboratore di Dio.
Nel suo commentario alla Genesi, Giovanni Calvino insiste sulla generosità del Creatore. Tutto è stato abbondantemente messo a disposizione dell'uomo. Il Signore provvede  a tutti suoi bisogni.
E bisogna che l'uomo (Adamo) non si comporti da padrone. Mangiare dell'albero proibito sarebbe come offendere i diritti del proprietario. Segno inevitabile, l'albero della vita è un richiamo concreto dell'identità del proprietario.
 Il giardino dell'Eden ci è presentato come un quadro di vita reale di una persona. Un quadro di vita benedetta dal Signore, l'acqua vi scorre in abbondanza e  il cibo non manca. Questo quadro ha bisogno dell'essere umano e del suo lavoro. Così, la "vita paradisiaca" che si pensa sia un ozio sacro, viene a rassomigliare la nostra vita ordinaria ovvero l'attività di ogni giorno per occuparci dei problemi del nostro mondo.  Come per Adamo, anche per noi, la domanda di fondo è come vivere con la creazione e nel mondo secondo la volontà di Dio.
Il nostro rapporto con Dio si rompe nel segno della sfiducia umana che contrasta la fiducia di Dio. Avere piena fiducia in Dio è accettare che Dio sia Dio, e riconoscerci nello stato di coloro che
dipendono dalla Sua grazia e  che riconoscono il limite creaturale.  Affermare che << Dio è Dio>> (K.Barth), significa riconoscere che Egli è il Creatore e noi siamo noi, cioè creature.
L'essere umano è il rischio di Dio. Creando l'essere umano dandogli la libertà, Dio accetta il rischio che l'uomo possa anche disobbedirGli. Ma Dio non ci vuole delle marionette da manipolare a piacere. Dio vuole che noi siamo libere creature in grado di vivere la reciprocità di un amore libero e incondizionato. La nostra vita che,  tutta riposa sulla libertà deve appartenere a Dio; per avere senso e ragione di essere ha bisogno di Dio. Come tralci  riceviamo vita solo rimanendo attaccati alla vite. Gesù ce lo dice: "Io sono la vera vite e il Padre mio il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto lo pota affinché ne dia di più"; e ancora "Senza di me non potete far nulla" ( Gv15,1-2.5).
La possibilità che il mondo torni ad essere un Paradiso è una questione di fede e di fiducia. Aprirci a Dio e disponendoci a fare la Sua volontà è far sì che il regno di Dio che Gesù vede  già presente in mezzo a noi possa manifestarsi con tutta la sua forza attraverso il nostro impegno per la salvaguardia del creato (giustizia ecologica) e attraverso l’impegno per la giustizia economica.
 Dio  dice a ciascuno di noi: desiderami liberamente come io desidero te. Amami con il tuo intero essere senza sentirti costretto. Regoli il tuo volere sulla mia volontà perché io sono buono per te. Mi devi appartenere tutto intero. Ascolti soltanto me e obbediscimi in piena fiducia.

La possibilità che il mondo torni a essere un paradiso è dunque una questione di fede, di fiducia.
La vera grandezza dell’essere umano è quella datagli da Dio, cioè di adempiere la sua missione di gestire e salvaguardare la creazione. Ciò riguarda l’amore per la terra, la lotta contro ogni forma di spreco, contro l’inquinamento, lo sfruttamento dissennato delle risorse della terra; la lotta contro ogni forma di ingiustizia e di emarginazione e contro la povertà e le violenze.
Cosa compriamo? Cosa buttiamo? Dove lo buttiamo? …
I racconti della creazione ci indicano il cammino della vita e del buon vivere insieme, invitandoci a preoccuparci della vita delle generazioni future: che terra lasceremo ai figli dei nostri figli?  Dio si serve di questi racconti per darci le istruzioni per l’uso della vita che conduciamo ogni giorno per ricordarci che siamo polvere, ma ch’Egli non ci lascia soli. Che Egli si prende cura di noi e che, per mezzo dello Spirito Santo  ci dona la forza, l’inventiva, la saggezza per adempiere la nostra missione. Amen. 

20/09/2014

Occorrono forza e coraggio per costruire una comunità di chiesa più fraterna e più impegnata

<< Sii forte e coraggioso; non temere e non ti sgomentare>> (1 Cronache 22,13)

Il versetto del mese di settembre del Lezionario “Un giorno, una parola”, carico di incoraggiamento e di speranza è  adatto per una riflessione biblica su questo numero della lettera Circolare delle nostre chiese, alla ripresa delle attività, dopo la pausa estiva.
Ancora in tenera età, Salomone riceve l’incarico da Davide, suo padre, di costruire una casa (tempio) al Signore. Un compito gravoso per il futuro giovane re che, non solo deve onorare la parola del padre e ubbidire al Dio  d’Israele che lo ha scelto, ma che, a differenza di Davide, re guerriero, Salomone di cui il nome significa “pacifico”, ha il compito di portare la pace in Israele. Salomone sarebbe, tuttavia, riuscito  a  costruire il tempio  e a stabilire la pace, solo se il Signore fosse rimasto con lui, e se avesse osservato le sue leggi. Ma deve anche  avere la forza d’animo. Il difficile compito che deve svolgere richiede forza e coraggio.
Il tempio di Gerusalemme era considerato come  segno della presenza e della protezione di Dio. Per noi cristiani evangelici, per dirla con le parole del riformatore Giovanni Calvino : << non c’è più tempio materiale in cui è necessario andare in pellegrinaggio per sacrificare a Dio, ma che oggi siamo suoi templi spirituali, e che dobbiamo in ogni luogo alzare le mani pure al cielo>>.  Siamo, tuttavia, chiamati a <<dresser l’Église>> (costruire la Chiesa ) come diceva lo stesso riformatore Calvino.
Il termine “tempio” nell’accezione neotestamentaria non indica semplicemente una struttura architettonica, ma il popolo di Dio: << Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?>> (1Co 3,16).   L’ apostolo Pietro ci ricorda chi siamo per sola grazia di Dio: <<Anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo>> (1Pt2,5). E ancora: << Voi siete un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa>>( 1Pt 2,9).

Siamo chiamati a essere un popolo consacrato al servizio di Dio e che  ha  il compito  non facile di vivere e di testimoniare l’amore di Dio al mondo.  Ricordare questo è importante, perché  la chiesa è costituita da persone che hanno i loro pregi e difetti, limiti e doni.  E la costruzione di una comunità più fraterna  può essere un compito  arduo. Per questo, abbiamo bisogno anche noi di  tanta forza, di tanta determinazione e di tanto coraggio per  camminare e essere chiesa insieme.
Past. Jean-Félix Kamba Nzolo

(Dalla Lettera Circolare delle Chiese Metodiste di Verbania e di Omegna, n.4, settembre-ottobre 2014) 

19/09/2014

Calendario dei Culti di settembre e di ottobre 2014

DATA
INTRA Ore 9,15
OMEGNA-Ore 11

Dom.07/09
Past. Nzolo (Culto con s.Cena)
Past. Nzolo
Dom. 14/09
Past. Nzolo
Past. Nzolo
Dom. 21/09
Past. Nzolo
Past. Nzolo  (Culto con s. Cena)
Dom. 28/09
Past. Nzolo
Past. Nzolo
Dom. 05/10
A. Daloué  Culto con s. Cena
A.Daloué
Dom. 12/10
ASSEMBLEA DI CHIESA
A cura del VI° Circuito
Dom.19/10
M.Lapetina
ASSEMBLEA DI CHIESA
Dom.26/10
Past. Nzolo
Past. Nzolo
CAMBIO ORARIO DA NOVEMBRE
INTRA ORE 11,00
OMEGNA ORE 9,15
Dom 02/11
Past. Nzolo ( Culto con s.Cena)
Past. Nzolo
Dom.09/11
Past. Nzolo
Past. Nzolo
Dom.16/11
Past.Nzolo
Past.Nzolo (Culto con s.Cena)
Dom.23/11
Past.Nzolo
A. Daloué
Dom. 30/11
Past.Nzolo
Past.Nzolo

17/09/2014

Tempo del Creato 2014


“Spegnete i fuochi, ma non lo Spirito di Dio”. 
E' questo il titolo della raccolta di materiali preparati dalla Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), per il "Tempo per il Creato" 2014. Anche quest'anno, le chiese cristiane di tutto il mondo sono invitate ad osservare un particolare periodo liturgico tra settembre ed ottobre dedicato alla preghiera e all'azione per l'ambiente. I testi elaborati dalla GLAM comprendono materiali teologici e liturgici, approfondimenti e spunti per azioni concrete, proposte per l'animazione di incontri giovanili.

Il Tempo del Creato di quest'anno (1 settembre - 4 ottobre) si colloca all'interno del Pellegrinaggio per la giustizia e la pace, lanciato dalla decima assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), tenutasi nell'autunno dello scorso anno a Busan (Corea del Sud). 

27/08/2014

Lo Spirito Santo sostiene e difende la fede del credente nell'agire quotidiano


Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 15-21

15 «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani; tornerò da voi. 19 Ancora un po', e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi. 21 Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui»

Predicazione tenuta Pastore Jean-Félix Kamba Nzolo durante il Culto mattutino del Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste, lunedì 25.08.2014




Gesù ha appena condiviso l’ultimo pasto con i suoi discepoli, pasto durante il quale aveva loro lavato i piedi (Gv 13,1-17). Ma il momento del suo arresto è vicino (Gv13,33). Il testo che abbiamo letto poc’anzi fa parte del discorso di addio ai discepoli. A loro Gesù fa le sue ultime raccomandazioni, prima di essere consegnato nelle mani dei suoi uccisori e prima lasciare questo mondo. In questo modo, egli prepara i discepoli a vivere senza di lui, rassicurandoli che la sua assenza non sarà che apparente e ch’essa si tradurrà in un’altra forma di presenza.

Ma immaginiamo un po’ la situazione: Gesù parla ai suoi discepoli per prepararli al momento in cui la sua morte an­nunciata diventerà una realtà. Guarda i suoi compagni di avventura, gli amici più cari, e coglie in pieno la loro confusione e la loro incertezza rispetto al futuro che li attende senza più la sua presenza. I discepoli sono angosciati perché devono perdere la loro guida spirituale e, secondo alcuni di loro, colui che doveva liberarli dal giogo romano. Devono perdere colui che li aveva chiamati e che hanno seguito durante tutto il tempo del suo ministero abbandonando tutto. Cosa sarebbe stato di loro? Cosa sarebbe diventata la loro vita?  Dove avrebbero trovato la forza per tirare avanti? La loro fede in Gesù li avrebbe permesso di continuare la sua opera?

Certo è che, Dio conosce la debolezza dello spirito umano, la precarietà dell’esistenza delle donne e degli uomini, la loro incapacità a rimanere fedeli. Dio sa che gli esseri umani non possono essere lasciati soli. Per questo Gesù promette ai suoi discepoli che, appena giunto dal Padre, lo pregherà affinché Egli invii presso di loro un “altro Consolatore”, lo Spirito Santo. Questa è la prima promessa. La seconda promessa riguarda la presenza di Gesù stesso. Con la promessa del Consolatore Gesù promette che egli stesso tornerà, che il mondo non lo vedrà, i discepoli, invece, lo vedranno. La terza promessa è quella riguardante la vita in Gesù Cristo, in lui, il vivente, essi vivranno.

Non è tutto! Se fosse tutto, la vita di fede sarebbe solo rose e fiori, là dove tutti gli altri vedono solo buio cupo. Invece con la quarta promessa che ha per oggetto l’amore, Gesù inquadra le tre precedenti, in effetti, l’amore supera ogni cosa. "Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti"(Gv 14, 5) dice Gesù. E ancora: "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama"(v.21).  L’amore richiesto da Gesù non è da intendere in modo romantico ma concretamente: l’espressione pratica dell’amore è l’osservanza dei comandamenti, degli impegni lasciati da Gesù. Gesù subordina l’invio del consolatore all’osservanza dei suoi comandamenti, vale a dire di tutte le sue parole e istruzioni. A queste condizioni egli pregherà il Padre di inviare il paraclito, "colui che è chiamato vicino" a noi per assisterci, per difenderci e aiutarci a sormontare gli ostacoli che ci troviamo sul nostro cammino.
"Non si può fare a meno di notare con sorpresa l’avvicinamento fra l’amore e i comandamenti. Giovanni lo spingerà avanti a tal punto da parlare del comandamento dell’amore, del “comandamento nuovo” (Gv 13, 34). La sorpresa viene dal fatto che nella nostra mentalità, l’amore e il comando appartengono a due esperienze di vita, a due universi totalmente differenti: l’amore fa riferimento al mondo del dono gratuito, il comando a quello del diritto e dell’autorità. Questo modo di pensare non è quello biblico: tutta la storia biblica sta nel rapporto che Javhé ha costruito con il suo popolo, sta nella sua potente e trasformante presenza. Dio è un padre e una madre che porta il suo popolo come si porta un bambino; Dio è uno sposo che abbraccia il suo popolo e lo rende fecondo e gioioso. L’amore è il fulcro dei rapporti di Dio con il popolo. In questo quadro va collocato il “comandamento”: non si deve ridurre l’amore a misura dei comandamenti ma leggere questi come una prima espressione dell’adesione all’amore di Dio. In questa linea l’adesione o il rifiuto dei comandi di Dio diventa adesione o rifiuto di Dio stesso: l’amore si lega così all’esercizio dei comandamenti" (G.Colzani)
Invitandoci a osservare i suoi comandamenti, Gesù colloca la fede nella dimensione dell'agire cristiano. La questione ci tocca da vicino in quanto pone a noi, singoli credenti e alla chiesa nel suo insieme il problema del rapporto tra la nostra fede e l’agire quoti­diano nella nostra esistenza. L’opera dello Spirito consiste nel rendere vivo in noi l’amore di un Dio che ci ama di un amore viscerale e che ci invita ad amarLo e servirLo, amando e servendo il nostro prossimo; nel rendere presente in noi Gesù stesso che, partecipa alla nostra vita interiore, continua ad ammaestrarci e guidarci nella Verità di Dio, per cambiare in profondità il nostro modo di vivere. Gesù non c’invita a rifugiarci nella sfera dell’interiorità e della contemplazione di lui, (ah che bello!), ma di testimoniare concretamente l’amore di Dio. Lo Spirito Santo promesso da Gesù è un alleato strategico per la testimonianza dei discepoli che, da lì a poco diventeranno degli apostoli, cioè degli inviati che hanno il compito di annunciare quest’amore al mondo.
La promessa di Gesù "non vi lascerò orfani", carica di incoraggiamento, di fiducia e di speranza, ci raggiunge questa mattina, all’inizio dei lavori del nostro Sinodo, e in mezzo a tante e legittime preoccupazioni per il futuro delle nostre chiese. In noi ci sono più domande che risposte, più dubbi che certezze, e forse anche lo scoraggiamento per i problemi che sono senza soluzioni. Gesù c’invita a sentire la sua presenza in mezzo a noi, a vivere i suoi comandamenti e a ricevere la vita ch’egli ci offre. La vita della Chiesa non dipende, prima di tutto, da ciò che fa. Non è essa ad assicurare la sua sopravvivenza. Per vivere, la Chiesa ha bisogno di ricevere la vita da colui che è vivente, Gesù Cristo. Egli è il cuore e capo della Chiesa. E' lui - che attraverso lo Spirito, il soffio vitale, la potenza dall'alto - dà ai cristiani e alla loro comunione vitalità, slancio e dinamismo per accompagnarli nella loro testimonianza e nell'impegno a favore del più piccolo dei loro fratelli.
La speranza alla quale siamo chiamati è un impegno e un mettersi in movimento, una chiamata a testimoniare in parole e opere, assumendosi tutti i rischi possibili e immaginabili, nella certezza che non siamo soli, come possono farci pensare, a volte, la precarietà, la povertà dei nostri mezzi e il senso di impotenza di fronte a quello che succede intorno a noi e nel mondo, penso alla situazione tragica dei cristiani come noi in fuga dai jihadisti in Iraq, ma anche ad altre tragiche situazioni in cui si trovano i cristiani in altre parti del mondo. Per non parlare   dell’indifferenza religiosa dei nostri contemporanei nella quale c’imbattiamo ogni giorno, e del movimento di defezione che impoverisce quantitativamente le nostre comunità.
Il forte e chiaro messaggio che ci raggiunge dal Vangelo di Giovanni, è un messaggio di speranza. Possiamo essere un piccolo gregge esposto all’odio e all’indifferenza del mondo, ma non siamo soli. Gesù Cristo, il Buon Pastore continua a prendersi cura di noi e della nostra testimonianza.
Abbiamo bisogno oggi - come ai tempi dei primi cristiani – di un difensore, lo Spirito di Verità, lo Spirito Santo che Gesù ci ha promesso e che è presente nella nostra storia e si manifesta in mezzo a noi. Abbiamo bisogno del difensore per difenderci da noi stessi, dalle nostre paure e resistenze e per difendere la nostra fede da tutto ciò che vuole soffocarla, privarle vitalità, di impegno. Amen.


Preghiera

Dio nostro,

che in Gesù Cristo, Tuo Figlio,

Sei venuto nel mondo,

per essere nostro Salvatore.

Non ti chiediamo di ri-cominciare , ogni volta,

La tua opera per noi.

Ti chiediamo, invece, di farci rinascere alla Tua Vita.

Ti chiediamo di venire continuamente nello Spirito santo,

per donarci la certezza della Tua salvezza;

Per insegnarci ad affidarTi le nostre vite; e per insegnarci a vivere nella gioia della Tua pre­senza.

Vieni continuamente per farci crescere nella fede,

speranza e amore. Grazie Dio nostro. Amen.

14/07/2014

Onora il Padre, non il padrino

di Luca Baratto, curatore della rubrica radiofonica RAI “Culto Evangelico”

Ogni persona di fede diffida dalla religione. Diffida da quella ritualità formale, da quella pietà codificata, da quelle cerimonie collettive nelle cui pieghe i poteri di questo mondo fingendo di onorare Dio, trovano invece il modo di onorare se stessi e ingabbiare la dirompente buona notizia di Gesù. E' da questo è punto di vista – da quello della critica alla religione che parte dalla fede – che un protestante ascolta le parole di papa Francesco che scomunica i mafiosi e dei vescovi cattolici che propongono una moratoria sui padrini nei battesimi delle proprie diocesi ad alta densità mafiosa.
Naturalmente un protestante non può dare dei consigli su come si dovrebbe svolgere una processione. Un protestante, anzi, potrebbe obbiettare che da un suo punto di vista, una processione è un modo “sbagliato” di onorare Dio. Ma qui siamo di fronte a ben altro rischio: non l'onorare Dio in modo sbagliato, ma addirittura inchinarsi davanti ad un altro dio, totalmente diverso da quello di Gesù Cristo. Il rischio è quello di apostasia e rispetto a questo pericolo ogni cristiano, indipendentemente dalla chiesa a cui appartiene, deve sentirsi interpellato e unire la sua voce a quella dei suoi fratelli e delle sue sorelle.
C'è stato un tempo in cui il silenzio sulla mafia era assordante. Grande fu il silenzio che accompagnò nel 1963 a Palermo la strage di Caciulli, rotto solo dalla piccola chiesa valdese del capoluogo siciliano e dal suo pastore Pietro Valdo Panascia, che fecero affiggere sulle vie cittadine un manifesto che ricordava il comandamento “non uccidere”. Una parola profetica che pesò sulle coscienze di chi non aveva alzato la propria voce. Nella consapevolezza che il silenzio è ciò che prima di tutto fa prosperare le mafie, le chiese metodiste e valdesi del sud Italia hanno da qualche anno istituito una Giornata della legalità, quest'anno estesa a livello nazionale a tutte le chiese locali da Aosta a Pachino.

Le mafie – qualunque nome e localizzazione geografica abbiano – sono un problema di tutta Italia e di tutti gli italiani. I cristiani non possono su questo tema non avere una sola voce, offrire un'unica testimonianza. Ogni ritualità religiosa non può allontanarsi dallo spirito della fonte che l'ha originata. Ogni rito cristiano sia una festa di accoglienza, di inclusione, di guarigione e riconciliazione, dia vita a una comunità come quella di Gesù, che sa onorare gli ultimi. Questo il concetto affermato in modo chiaro da Francesco, ed è anche quello che può dire, con la stessa autorità, ogni pastore, ogni pastora, ogni sacerdote e ogni credente che la domenica sale sul pulpito per aprire la Parola di Dio. (nev-notizie evangeliche, 28/2014)