Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

28/06/2019

Che fine farà il samaritano? . La difficoltà di farsi prossimo oggi



C’è un testo nella Bibbia che tutti conosciamo: la parabola del buon samaritano. Una figura scomoda, un uomo considerato da Israele impuro ed eretico, uno da cui non ci si aspetta nulla di buono e da cui tenersi lontani. Eppure quest’uomo, nel racconto del vangelo di Luca, presta aiuto a un uomo ferito che è stato aggredito da dei banditi e lasciato per strada. Questa figura, nei secoli, è servita a mettere sull’avviso tutti coloro che si sono trincerati dietro una fede formalmente corretta ma incapace di avvicinarsi a chi è in difficoltà. Non è stato capace di farlo il levita, né il sacerdote e molto spesso non sono state capaci di farlo le chiese. Per secoli l’amore verso il prossimo è stato incarnato da quest’uomo che presta le prime cure, spende il suo tempo e il suo denaro per trovargli un alloggio e si preoccupa per la sua salute. Il buon samaritano sfida la nostra pigrizia, il nostro egoismo, la nostra vocazione e ci chiama a farci prossimi di chi incontriamo per strada anziché chiedere quali siano le persone di cui dobbiamo occuparci. In questi ultimi anni ho cercato, come molte e molti altri nel mondo, di farmi prossimo di coloro che, in fuga dal proprio paese, hanno scelto di cercare futuro in Europa. Io come molti altri credenti, semplici cittadini, membri di Ong, pescatori, membri del Soccorso alpino, volontari di associazioni, ci siamo lasciati interrogare e abbiamo cercato di dare un senso alla parola biblica con cui si conclude la parabola: «Va’ e fa’ la stessa cosa». Ma da tempo sono sempre più sgomento. Il buon samaritano non è più un paradigma da imitare, è diventato invece un fuorilegge. La capitana della Sea Watch, Pia Klemp, rischia vent’anni di carcere per aver soccorso in mare persone che stavano affogando, numerosi amici francesi a Briançon sono sotto processo da mesi, perché hanno raccolto per strada persone che rischiavano di morire in mezzo alla neve al colle del Monginevro. Chi espone pubblicamente una sciarpa su cui è scritto «Ama il prossimo tuo» viene picchiato da militanti di destra e infine deriso dal ministro dell’Interno. Penso ai due francesi che la settimana scorsa sono stati arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, semplicemente perché hanno dato un passaggio a persone dalla pelle scura che si erano perse nei boschi di notte sotto la pioggia. Come se aiutare qualcuno, considerato che non si è tenuti a chiedere i documenti a meno di appartenere alle forze dell’ordine, costituisse di per sé un reato. Penso a quelli che, in questi anni, hanno aiutato con un paio di scarponi, un posto letto, qualcosa da mangiare, con il calore umano di chi cerca di ascoltare la storia altrui e prova, almeno per un attimo, a strapparti alla solitudine e alla disperazione che hanno la forma di un foglio di respingimento, di una notte gelida in mezzo alla neve e degli affetti che da anni sono solo un messaggio su WhatsApp. Penso a B., vittima del circuito della prostituzione, respinta alla frontiera due anni fa, che ho ospitato a casa mia per qualche settimana; penso alle diecimila persone che in questi due anni hanno valicato il Monginevro per raggiungere la Francia; penso ai minorenni non tutelati e rimandati in Italia, quelli a cui la gendarmerie ha rifiutato il diritto di fare domanda di asilo con metodi poco democratici. Penso alla ragazza morta annegata in un torrente, dopo esser stata inseguita di notte dalla polizia. Penso a Mamadou, di cui è stato ritrovato poco più di un braccio nei boschi di Bardonecchia. Penso alle ragazzine stuprate nei campi libici che hanno attraversato il Colle della Scala, in inverno, incinte all’ottavo mese.
Molti come me si sono lasciati interrogare dal buon samaritano e hanno risposto che non si poteva fare diversamente, che non si lascia la gente in giro in montagna come non la si lascia in mare. Penso però che avremmo potuto fare molto di più. Nei giorni scorsi il governo ha dichiarato fuorilegge la figura del buon samaritano: mi preoccupa il fatto che sia diventato lecito lasciar affogare creature umane o normale mandare a processo chi cerca di farsi prossimo. Mi preoccupano le duemila persone che manifestano a difesa del tabaccaio che spara per difendere il proprio negozio. Il diritto di migrare, la possibilità di usare il proprio passaporto per muoversi, il diritto di vivere in un paese dove istruzione, sanità e lavoro siano possibilità reali non sono più percepiti come tali. La colossale disuguaglianza economica tra i paesi da cui si emigra e quelli nei quali si vorrebbe vivere non è percepita come ingiustizia, bensì come il giusto benessere che nessuno ci può togliere. E coloro che non sono d’accordo vengano pure derisi, imprigionati e messi a tacere. Mi preoccupo perché per la prima volta in vita mia, dopo aver a lungo riletto, ho avuto paura e ho cancellato delle righe.

Davide Rostan

Calendario Culti Luglio & Agosto


Pensiero tratto dal testo di Isaia capitolo 26, versetto 9a di domenica 2 Giugno 2019


Le mie profondità ti anelano nella notte, lo spirito che vive in me viene in cerca di Te... (Is 26:9a) 

Così Isaia parla al suo Dio: suonano come le parole di un innamorato. Sì: perché Isaia è innamorato del suo Dio. La notte gliene fa desiderare la presenza ed il sentimento che nasce in lui dal profondo sembra quasi involontario, incontrollato, qualcosa che, nell'intimo, lo muove irresistibilmente.  Le traduzioni sono ciò che forse più assomiglia a noi esseri umani: un qualcosa di inevitabilmente imperfetto, incompiuto. Quando Isaia si rivolge a Dio nel breve passo che abbiamo ascoltato quest'oggi, gli parla, naturalmente, in ebraico; e Gli dice: “La mia nefesh ti anela nella notte”. Solitamente, le traduzioni delle bibbie italiane riportano, per nefesh, il termine “anima”, di modo che le parole di Isaia suonano in questo modo: “L'anima mia ti anela nella notte”. Soltanto che, detto così, qualcosa dell'originale si perde. La lingua ebraica, a differenza della nostra, non conosce termini astratti. Che cosa vuol dire? Che ogni parola, in ebraico, si esprime attraverso un riferimento alla realtà concreta. Nefesh, letteralmente, significa gola: il luogo da cui esce la voce. E la voce di ciascuno, si sa, è unica ed inconfondibile. In più, la voce è anche lo strumento con cui, se cerchiamo qualcuno, soprattutto di notte, quando non possiamo vederlo, chiamiamo il suo nome. Isaia chiama Dio e lo chiama con quella voce che sa che Dio riconoscerà tra mille, quella voce che, da sola, sarà sufficiente a Dio per comprendere che, chi lo sta chiamando, è Isaia e non qualcun altro. 
Prosegue poi il nostro testo: “Lo spirito che vive in me viene in cerca di Te”. Traduciamo con spirito il termine ebraico ruah, che letteralmente significa vento. Il vento, com'è noto, è un elemento imprevedibile, sfuggente, che sa essere dolce o furioso: in ogni caso, un qualcosa di indomito, ciò che più ricorda la vita e la libertà. La parte libera di Isaia, quella che più profondamente lo fa sentire vivo, quella che spesso lo mette in moto e gli dà la forza dell'annuncio e della denuncia: questa è lo “spirito”, la ruah di Isaia. L'elemento vitale: non a caso, femminile. Ma la cosa più interessante è che ruah è il termine usato per definire anche lo spirito di Dio, che non è, quindi, un qualcosa di estraneo all'uomo. Spesso il linguaggio religioso pone l'accento sulla distanza che separa Dio dall'essere umano: meglio farebbe a sottolineare quelli che sono gli aspetti che rendono Dio e l'uomo l'uno vicino all'altro. Uno di questi aspetti, forse il più significativo, è che Dio e l'essere umano condividono il medesimo spirito. 
A partire dalla mia meditazione di questo breve versetto di Isaia, vorrei proporvi di riflettere insieme su un aspetto tra i mille che lo spirito possiede. Il primo riguarda quella che chiamerei “la necessità della sosta”. Cerco di spiegarmi. Credo che ognuna ed ognuno di noi abbia sperimentato, nell'arco della propria esistenza, una sensazione di smarrimento, dovuta all'incapacità di trovare un senso a ciò che viviamo. Di solito, questi momenti di lucidità, nascono non appena facciamo ciò che il nostro stile di vita normalmente ci impedisce di fare: una pausa. È quando ci fermiamo che, d'improvviso, ci sembra affannoso e vano il nostro correre, inseguendo desideri che non sono i nostri, convincendoci che il vuoto non sia altro che uno spazio da riempire, mai da abitare. 
Dimentichiamo che il vuoto è lo spazio in cui un suono si propaga, è il luogo dell'ascolto, il silenzio nel quale Dio e la vita ci chiamano a sostare, a rifiatare. È luogo di ristoro, “pieno spazio vuoto”, fonte alla quale dissetarsi. Senza pause non c'è ritmo, non c'è pulsazione, non c'è respiro. Tutto ciò che è vita, vive di pause. La vita che sempre più conduciamo, è una vita priva di pause, una corsa in cui è meglio fermarsi il meno possibile, perché quando si sta fermi si pensa, e pensare, spesso, è doloroso. Eppure questa quiete apparente è il luogo più fertile dell'autentico ricercare. Isaia cerca Dio nella calma del proprio respiro, come sprofondando, lentamente, dentro di sé, come se tornasse per un istante nel grembo da cui, un giorno lontano, è uscito, come se rifiutasse di rimanere sconosciuto a se stesso. Fermarsi mette in movimento l'invisibile che abita in noi e permette a Dio di attraversarci, di sostare un istante nelle nostre vite, di farci avvertire, almeno un attimo, un'ombra di senso, una carezza sui nostri cuori stanchi.
(Domenica 2 Giugno 2019 – Alessandro Esposito)

19/06/2019

Programma Festa delle Scuole Domenicali del VI Circuito


Come arrivare ad Omegna


                                                                                               Chiesa Metodista di Omegna
                                                                                               Via Flli. Di Dio,64
                                                                                                28887  Omegna (vb)

Alla cortese attenzione,
coordinatrice delle Scuole Domenicali del VI Circuito Sig.ra Marlis.

Rispondo alla vostra mail inviata al Past. Alessandro Esposito in merito alla festa delle Scuole Domenicali che si svolgerà ad Omegna il 23 Giugno.

Come arrivare ad Omegna.
In autostrada, si prende la direzione Laghi, si segue la deviazione per Gravellona Toce, si esce a Gravellona Toce, all’uscita a destra, seguendo la direzione per Novara, circa 6 KM siete ad Omegna.

In treno:
Da Milano, direzione Domodossola scendere alla stazione di Verbania Fondotoce, da li c’è un servizio di linea di autobus in direzione Omegna.
Per i posteggi non ci sono problemi, nelle vie adiacenti alla chiesa si trovano facilmente posti.

Pranzo:
Noi organizzeremo un pranzo completo (un primo, un secondo, caffè) compreso il bere, come pure una merenda per i ragazzi.
Per quanto riguarda il prezzo non abbiamo deciso alcuna cifra, lasceremo ad offerta libera.
Riguardo alla passeggiata verso il lago, essendo una piccola cittadina, ne parleremo in mattinata e vi daremo le indicazioni per i vari percorsi.
Vi saremmo grati se ci farete sapere il numero di persone che parteciperanno.

Spero di esservi stato di aiuto, comunque vi lascio il mio N° di telefono per ogni eventualità.
335 6383792 Gianni.


FESTA DELLA SOLIDARIETA' E DELLA COMUNITA' DI OMEGNA (Vb)




Chiesa Evangelica Metodista
                        di Omegna


FESTA DELLA COMUNITÀ E
DELLA SOLIDARIETA'

21 – 22 – 23 GIUGNO 2019

VENERDÌ 21 - SABATO 22
ore 19:30 CENA


DOMENICA  23 GIUGNO

ORE 11:30 CELEBRAZIONE COMUNITARIA
ORE 13:00 PRANZO
ORE 19:30 CENA

Parte del ricavato sarà devoluto alla:
Associazione amici dei bambini cardiopatici

per informazioni e prenotazioni:  0323,60632 / 0323,862380 / 3937534494

27/05/2019

Pensiero tratto dal Vangelo di Marco, capitolo 16, versetto 6



“Cercate Gesù di Nazareth, quello che hanno crocifisso? È resuscitato, non è qui.” (Marco 16:6)

È uscita circa dieci anni fa una biografia originale di Bob Dylan, intitolata I’m not there, “Non sono qui”. Reputato un personaggio molto schivo, Dylan non compare in questo film: sei attori rappresentano le diverse tappe della sua vita.
Questo mi ha fatto pensare a Gesù, al mattino di Pasqua. Per le donne che vengono per ungerlo, Egli è nella tomba, visto che è morto crocifisso. Però il sepolcro è vuoto, la pietra è stata rimossa e un giovane uomo, vestito di bianco, è seduto sulla pietra e dice loro: “Voi cercate Gesù di Nazareth, quello che hanno crocifisso? È resuscitato, non è qui”. Il giorno si alza su questa novità di Pasqua e sulla nuova identità di Gesù, il risorto: questo sarebbe stato scritto sulla sua carta di identità (se ne avesse avuta una!). È stato crocifisso e questo sarebbe stato scritto sull’atto di decesso. E le donne lo cercano là dove dovrebbe essere ma non c’è più. Dove possiamo trovarlo?
E noi? Possiamo cercarlo tra i personaggi che hanno segnato la Storia… ma non c’è, oppure c’è ma come un personaggio importante del passato. Possiamo cercarlo là dove il suo percorso terrestre è terminato: la croce. Ma non è là, non è soltanto là. Non è qui: il sepolcro è vuoto, la pietra è stata rimossa e un essere vivente è lì al suo posto. Allora perché non cercarlo là dove c’è la vita, là dove Egli ci precede? Il giorno della Resurrezione nessuno l’aveva visto ma un messaggero aveva detto: “Andate in Galilea, Egli vi precede”.
Ecco: queste donne che credono partono per annunciare il lieto evento ai discepoli (sappiamo che non sono state credute). Come le donne al mattino di Pasqua, il nostro cammino può iniziare nella notte dei perché? Come? E’ vero? Dove è?, senza la presenza concreta e visibile di Gesù. Ma anche di notte la strada è illuminata, perché Chi ci precede ci indica la strada e ci ha fatto una promessa: “Io sono il cammino, la verità e la vita. Non vi lascerò soli, sarò con voi sino alla fine del mondo”.
Leggiamo nell’evangelo secondo Luca, al capitolo 24, che Gesù appare a due discepoli, che non Lo riconoscono. Bisogna aspettare un bel po' prima che i loro occhi si aprano! Non Lo riconoscono quando cammina con loro e nemmeno quando Egli spiega loro i passi della Bibbia che lo riguardano. Ma quando, a tavola, Gesù prega, spezza il pane e lo distribuisce, allora i loro occhi si aprono… ma Gesù, presenza concreta fino a questo momento, sparisce dalla loro vista. In questo racconto c’è questa progressione: Gesù cammina con loro, parla con loro, spiega le sacre scritture, fa finta di voler continuare il viaggio da solo, non si impone, lascia che siano loro ad invitarlo. Poi, al momento della condivisione del pane, sparisce. Perché?
Infine, vi è una scena narrata da Giovanni, al capitolo 21. Siamo sul lago di Galilea. I discepoli, avendo ripreso il loro lavoro di pescatori, stanno tornando a riva dopo una lunga notte, senza aver pescato nemmeno un pesce. Sono stanchi e tristi, fortemente provati dal dramma della crocifissione. D’improvviso scorgono un uomo che non conoscono, vicino ad un fuoco. Possiamo immaginare la scena. La conversazione inizia: “La pesca è stata buona?” dice l’uomo. “No” risponde uno dei pescatori, “nemmeno un’alborella!”. Riprende l’uomo: “gettate la rete dal lato destro della barca e troverete pesce”. E così fu. Poi l’uomo li invita a fare colazione di pane e pesci (non vi dice niente pane e pesci?). Nessuno ha il coraggio di domandargli: “Chi sei?”, ma hanno capito che è il Signore.
Con questi tre racconti abbiamo visto Gesù presente, visibile e invisibile, presentandosi ogni volta sotto una veste diversa: ad aspettare i pescatori sulla riva del lago, a camminare con i discepoli sulla strada di Emmaus, a dialogare con le donne al sepolcro la mattina di Pasqua. Abbiamo visto un Gesù che ci precede, che ci indica la strada, che ci aspetta sulla riva della nostra vita, quando siamo tristi e scoraggiati. Lo abbiamo visto davanti a noi, con noi, invisibile ma sempre presente. Ancora oggi e più che mai, visti i tempi che viviamo, mantiene la sua promessa: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
(Gigí Dutoit, membro del Consiglio di Chiesa di Intra)

23/09/2018

“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo”



Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo. 45 Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; 46 e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l’ha comperata. 47 Il regno dei cieli è anche simile a una rete che, gettata in mare, ha raccolto ogni genere di pesci; 48 quando è piena, i pescatori la traggono a riva, poi si mettono a sedere e raccolgono il buono in vasi, e buttano via quello che non vale nulla. 49 Così avverrà alla fine dell’età presente. Verranno gli angeli, e separeranno i malvagi dai giusti 50 e li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti. 51 Avete capito tutte queste cose?. Essi risposero: «Sì».
52 Allora disse loro: «Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie».  (Matteo 13 , 44 – 52)


Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo”, ed “è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle”… Così, in parabole, Gesù ha parlato ai discepoli e poi – come scritto – ha chiesto loro: “Avete capito tutte queste cose?”. E la risposta è stata un pronto “Sì”. 
Come i discepoli, la chiesa ha risposto anche lei sempre di “Sì” a questa domanda del Signore: “Sì, Signore, noi abbiamo capito le tue parabole, e adesso le spieghiamo noi agli altri nel tuo nome”. 
Ma come e cosa ha capito la chiesa delle due prime, brevi, fulminanti storie del “tesoro nascosto” e della “perla preziosa”? 
Per secoli le ha lette e le ha spiegate alla luce della frase, presente in tutte e due: “Va e vende tutto quello che ha”, come un’altra versione dell’ammonimento di Gesù al “giovane ricco” :“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli (vedete?… c’è il “tesoro” anche qui…). Poi vieni e seguimi” (Matteo 19,21): solo se rinunci a tutto ciò che hai, potrai davvero, nel caso del “giovane ricco”, seguire Gesù, essere suo discepolo… oppure, nelle nostre due parabole, potrai acquistare “il regno dei cieli”. 
A noi viene subito in mente Valdo di Lione, la cui scelta di povertà sembra sia nata proprio dall’ascolto di queste parole… e sembra che questa sia stata anche l’esperienza di Francesco d’Assisi. E tutti e due, Valdo e Francesco, “sono andati e hanno venduto tutto”, “nudi, hanno seguito un Cristo nudo”. 
E prima di loro e dopo di loro, tanti altri cristiani e cristiane hanno vissuto come “la parola di Gesù per loro” quell’invitoe l’hanno messo in pratica come la norma per la loro vita. Credenti che hanno saputo lasciarci un grande esempio: sono stati, per la grazia di Dio, “luce del mondo” “sale della terra” (cfr Matteo 5, 13 ss.). 
Ma se tutto questo vale pienamente per il “va’ e vendi” di Gesù al giovane ricco, io non so se possiamo fare con la stessa sicurezza il medesimo discorso per le nostre due parabole, e perciò dire che sono essenzialmente un invito del Signore ad un discepolato radicale… c’è come una pulce nell’orecchio, rappresentata dall’apertura delle due parabole: “Il regno dei cieli è simile a”… Con queste parole introduttive Gesù ci dice che il tema di queste sue piccole/grandi storie è appunto il “regno dei cieli”
Ma cos’è il “regno dei cieli” 
Forse, in maniera semplice, potremmo dire così: il “regno dei cieli” o – come lo chiamano gli altri evangelisti – il “regno di Dio”(Matteo, da bravo ebreo, usa “cieli” per non nominare il nome dell’Altissimo), è il “regnare” di Dio, è cioè Dio che esercita fattivamente la sua sovranità. Quando allora Gesù parla del “regno”, e già all’inizio della sua predicazione dice: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo 4, 17), annuncia che nella sua persona, Dio sta per operare e anzi già opera con sovrana onnipotenza e, di più e soprattutto, che proprio perché è presente e opera attraverso lui, questo dispiegamento di potenza sarà tutto nel segno dell’amore, della sua misericordia verso gli uomini. Com’è scritto in Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3, 16)
Ma allora, se il “regno dei cieli” è Dio impegnato nella sua opera d’amore, quando Gesù ci dice che esso“ è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo”, e poi che “è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l’ha comperata”, di chi sta parlando? Chi è l’”uomo che trova un tesoro, e va e vende tutto quello che ha”? E chi è “il mercante” che ugualmente “va e vende tutto” per acquistare la “perla di gran valore”? Siamo proprio sicuri che siano due immagini del credente che deve dare via “tutto quello che ha” per procurarsi il “regno dei cieli”? o non potrebbero essere, queste figure, due inattese, sorprendenti, bellissime immagini di Dio? 
A rileggere il testo partendo proprio da quel ripetuto: “Il regno dei cieli è simile a…”, questa interpretazione “capovolta” è possibile almeno quanto l’altra tradizionale. Ma allora, se è così, qui Gesù ci sta dicendo che non conta quello che noi possiamo fare… non conta nemmeno quello, pure straordinario, che hanno fatto Valdo o Francesco quando “sono andati e hanno dato via tutto quello che avevano”… no, qui conta quello che Dio ha fatto e fa per noi! 
E cosa fa per noi? e come ci considera? Se è proprio lui, Dio, che Gesù ci rappresenta nell’“uomo” e nel “mercante” di queste due parabole, allora il “tesoro” e la “perla di gran valore” siamo noi! Ma allora noi siamo “preziosi” per il Signore! Siamo così preziosi che lui, Dio, “spinto dalla gioia” di averci trovato, “va e vende tutto quello che ha” pur di poterci avere… Sì, Dio “è andato e ha venduto tutto”: ha dato il suo stesso Figlio “per comprarci”. Come dirà poi Paolo: “siamo stati acquistati a caro prezzo!” (cfr 1 Corinzi 6, 20)… 
Qui allora abbiamo una bellissima rivelazione dell’amore di Dio, della sua pura grazia. Ed in questa rivelazione della grazia, torna ad avere importanza un elemento di queste parabole che invece nella lettura tradizionale s’era un po’ disseccato, rattrappito: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo”. Sì, qui ritorna ad esplodere “la gioia”, che era stata sostituita con l’impegno e la grinta richiesti a chi deve saper dare via tutto per il “regno dei cieli”. Ed è la stessa gioia, lo stesso sorriso divino che ricolma di sé altre parabole di Gesù: è la gioia del pastore che trova la sua “pecora smarrita”, e quella della donna che invita a fare festa le vicine perché ha in mano la sua “dracma” che temeva di aver perso, e l’altra incontenibile del “padre” che da lontano scorge il proprio figlio “che era perduto e che era come morto” avvicinarsi timoroso a casa, e “gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia e lo ribacia” (cfr Luca 15, 2 ss.). 
E in risposta alla gioia del Signore, c’è la nostra “gioia”: la meraviglia incredula e stupita di chi fa la scoperta d’essere – proprio lui, lei! – un “tesoro” una “perla” a cui Dio tiene… deve credere questo e ci può credere… e allora il “regno” è suo! Perché lui è del Signore che per lui ha dato tutto, che ci ha dato Gesù che ci racconta queste due brevi storie, luminose della grazia di Dio. 
Grazie alla bella iniziativa degli Itinerari interculturali, abbiamo ospitato nelle nostre chiese tante persone, abbiamo raccontato loro, e ci siamo raccontati, la nostra storia, la nostra spiritualità, la nostra teologia. Abbiamo ricordato la Riforma e i suoi principi… 
In fondo la Riforma è nata proprio da una lettura della Bibbia simile a quella che abbiamo fatto oggi, “capovolta” rispetto a quella tradizionale: la lettura sorpresa e riconoscente di chi ha creduto e ha capito che al cuore dell’evangelo non c’è quello che dobbiamo fare noi per guadagnare il “regno dei cieli”, ma quello che Dio ha fatto per acquistare noi! 
Così molti cristiani hanno ritrovato la gioia di una fede che è il riflesso luminoso della gioia di Dio che non si stanca di cercarci e quando ci ha trovato ne è felice, perché ci ama e ci vuole, e proprio col suo amarci e con il suo volerci ci rende quei “tesori” e quelle “perle” che non siamo, ci stima ben di più di quanto non valiamo… 
Gesù oggi ci ha raccontato anche un’altra parabola, di un colore diverso, un colore inquietante, così com’è inquietante l’ambiente in cui ci porta: “Il regno dei cieli è anche simile a una rete gettata in mare…”. 
Dal campo del tesoro, dalle strade percorse dal mercante, eccoci adesso“in mare”. Per gli Ebrei il mare è sempre stato un profondo angoscioso mistero: un universo che ricorda “le acque che coprivano la superficie dell’abisso” del caos, prima ancora che l’universo fosse fatto (cfr Genesi 1, 2), è un universo sconosciuto: ne vedi solo le onde, ma cosa c’è al di sotto, quello non puoi saperlo. In quel periodo, il mare in Israele era chiamato così: “il mondo delle cose nascoste”. 
Ora, dal “mondo delle cose nascoste”, emerge una rete. E quella rete porta con sé un giudizio. Perché lì tra quelle maglie, mescolati insieme, ci sono “il buono” “il cattivo”, “quel che non vale nulla”. Questa mescolanza sarà poi separata, e “quello che non vale” sarà “gettato via nella fornace ardente”. Là – è l’ultima parola da brivido che chiude la parabola – “sarà pianto e stridore di denti”. 
Anche questa parabola, è compresa con le due che la precedono nella domanda di Gesù ai discepoli: “Avete capito tutte queste cose”?. E anche per Gesù, la risposta dei discepoli prima e della chiesa poi è stata: “Sì”
Ma anche qui, come ha capito la chiesa questa parabola? Abbiamo ascoltato come Gesù la spiega: “Così avverrà alla fine dell’età presente. Verranno gli angeli, e separeranno i malvagi dai giusti”. Se “il regno dei cieli” è il “regnare di Dio nel suo amore”, se tu rifiuti la sua offerta di amore, allora quell’offerta rifiutata diventa il tuo giudizio di condanna. E Gesù qui, parla della terribile possibilità di questo giudizio e di questa condanna, che avverrà attraverso una doppia “separazione” :“alla fine dell’età presente”, “i malvagi” saranno prima “separati dai buoni”, e poi da Colui che loro stessi hanno rifiutato, per andare nel luogo simbolico della disperazione: “la fornace ardente” in cui “sarà pianto e stridore di denti”. 
Ma, se mai questa possibilità dovesse verificarsi, “avverrà” solo alla fine dell’età presente”, e ad opera degli “angeli”. Ed invece la chiesa non ha avuto esitazioni a anticipare questa “fine” al tempo che viveva nella storia, né ha avuto esitazioni a fare suo il compito degli “angeli”. E ha “separato” lei “i malvagi dai giusti”, li ha giudicati e condannati senza battere ciglio. Quanta parte della storia del cristianesimo è caratterizzata anche dalle scomuniche, dalle sanzioni, dalle condanne e dalle esclusioni? “Extra ecclesiam nulla salus”, “Fuori della chiesa non c’è salvezza”. Già poco dopo l’epoca apostolica, questa formula è stata decisiva per esprimere il modo con cui la chiesa ha guardato a se stessa come alla comunità che giudica ed esclude nel nome del Signore. 
Ma se “il regno dei cieli”, a cui la parabola “è simile”, anche qui, Dio instaura in Gesù il suo regno d’amore, allora non è fuori della chiesa che non c’è salvezza, ma al di fuori di Gesù! E lui, Gesù, è incomparabilmente più grande della chiesa. E a lui, in unione col Padre, spetta il giudizio! Sta a lui, e non a noi, “separare fra i buoni e i malvagi”; a lui che sa quel che c’è veramente nel cuore di ogni uomo di chiesa e non di chiesa. 
 E questa parabola di Gesù ci riconferma in questa posizione. Ci ricorda che noi siamo “rete”, e quello che possiamo e che dobbiamo fare è “raccogliere ogni genere di pesci, buoni e cattivi”. Il giudizio appartiene al Signore e solo a lui, e per quello si servirà degli “angeli”, e non di noi…
Questo discorso del giudizio che appartiene solo a Dio, vale per tutti coloro che, nella chiesa e nella vita, noi incontriamo anche a livello della nostra esistenza quotidiana, noi dobbiamo imparare che il Signore ci chiama ad “accogliere e raccogliere” e a evitare i giudizi, che appartengono a lui, che, unico, conosce i nostri cuori.
Vorrei ricordare un episodio della vita di Lutero (che fra l’altro, accusato nel 1519 dal suo avversario Johannes Eck di essere un Hussita, prima negò con sdegno, poi incuriosito lesse le opere di Hus, e alla fine dichiarò: “Che cosa strana! Sono davvero un hussita, e neanche lo sapevo!”). Nel 1521, un monaco e teologo, Johannes Bugenaghen, sino ad allora prudentemente interessato alle sue idee, lesse il suo scritto "La cattività babilonese della chiesa", e, sconvolto dalla rivoluzione che quell’opera introduceva nel modo di pensare e di vivere i sette sacramenti tradizionali della chiesa, fra l’altro riducendoli a due, la gettò a terra con parole di spavento e di collera. Poi però la riprese, la rilesse più volte, e alla fine confessò: “Il mondo sinora è stato cieco”. E uscì dal suo convento, si recò a Wittenberg, e divenne uno dei principali collaboratori del Riformatore. Aveva scoperto la “novità” che smascherava le lacune del “vecchio”, e portava alla luce la verità. 
Il “nuovo” e il “vecchio”… È il tema dell’ultima parola di Gesù di oggi: “Ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie”.
Viviamo tempi niente affatto facili, come credenti e come cittadini… tempi oscuri, di crisi politica, economica, religiosa e morale… Il pericolo che si corre nei momenti difficili è cercare vie d’uscita ai due estremi. Da un lato c’è la tentazione di richiudersi nel “vecchio”: rimpiangere il passato come “l’età dell’oro” e intestardirsi a fare sempre e soltanto quel che s’è sempre fatto: viva “l’antico usato”, senza voli e avventure che non sai dove portano. Ma se si fa così, crediamo di star sempre sulle nostre posizioni, e invece ci sgretoliamo a poco a poco, come una vecchia statua esposta al sole, alla pioggia ed al vento. 
Dall’altro lato, si sceglie invece di buttarsi in avanti: se siamo in crisi, è segno che quel che finora siamo stati, non funziona! E allora, “rinnoviamoci!” e buttiamo via il vecchio. Tutto sia nuovo per avere tempi nuovi! E certo questa strada è migliore di quella del conservatorismo: anche nella parola di Gesù che abbiamo appena riletto, se ci fate caso, il “discepolo del regno tira fuori dal suo tesoro” prima le “cose nuove”, e poi le “vecchie”: ascoltare Gesù, imparare da lui, è essenzialmente avere a che fare con il “nuovo”: una nuova inattesa rivelazione di Dio, un nuovo rapporto con se stessi e col mondo, un nuovo senso che illumina la vita… Anche oggi abbiamo fatto l’esperienza di come la Scrittura possa sempre sorprenderci, aprirci nuove comprensioni e nuove strade… 
E però, dopo le “cose nuove”, dobbiamo tirare fuori anche le “cose vecchie”. Se ci stacchiamo dal tronco che ci porta, finiamo a terra come foglie ingiallite. Crediamo di volare, ed invece cadiamo solamente…
Diamo retta quindi a Gesù. Tiriamo fuori “dal nostro tesoro”, con coraggio e lungimiranza, ma anche con calma e pazienza, “cose nuove e cose vecchie”. È il segreto che Gesù oggi ci insegna: il “nuovo” e il “vecchio”, non solo non si oppongono, come spesso pensiamo, ma anzi appartengono allo stesso “tesoro” e, di più, si rafforzano a vicenda. Se le “nuove” non vengono ad animare le cose vecchie, le “cose vecchie” muoiono. E al contrario, le “cose nuove” hanno un senso e raggiungono lo scopo solo nella misura in cui trovano origine e senso nelle “vecchie”. 
Solo che, dobbiamo imparare a non confondere, come a volte ci capita di fare, quel che è vecchio e quel che è nuovo. E dobbiamo imparare a articolarli. 
E ancora una volta torniamo alla Riforma, che oggi abbiamo più volte ricordato: i Riformatori hanno rinnovato una parte importante della chiesa e della società del loro tempo, non buttandosi avanti in maniera spericolata, ma tornando al più vecchio del vecchio: per ridare alla chiesa del loro tempo quella “forma” che secondo loro aveva perso, sono andati alle fonti, sono andati alla Bibbia (è il senso del “sola Scriptura”), perché lì, in quelle antiche, venerande pagine hanno riscoperto e “tirato fuori” il “nuovo”, il soffio d’aria fresca che rende tutto limpido e spazza via il “vecchiume” anche moderno...
Finiamo con la prima parabola di oggi: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo”. 
Noi abbiamo tutti un po’ la sensazione di essere a terra, coperti dalla polvere. Ma arriva “un uomo”, ci trova e sorride felice. E corre via con gioia e per noi dà via tutto quello che ha. E poi torna, ci prende nelle mani, ci solleva e ci scuote, e manda via la polvere e il vecchiume, ci fa brillare al sole come nuovi.
Quell’“uomo” è il nostro Dio. Noi siamo il suo “tesoro”. Gesù ce l’assicura, ci rinnova la gioia e lo stupore. 
Avete, abbiamo capito tutte queste cose?”. Se “Sì”, allora veramente “beati noi” !
                                                                AMEN