Culti
Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9
Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11
30/09/2019
“QUALCOSA IN COMUNE”: PICCOLO DIZIONARIO DI SPIRITUALITÀ EBRAICA
Nell’arco di questo trimestre autunnale, presso la Biblioteca Comunale di Verbania, il Pastore Alessandro Esposito terrà un corso dal titolo: “Piccolo dizionario di spiritualità ebraica”. Attraverso questo ciclo di lezioni, le/i partecipanti saranno introdotti ai primi rudimenti dell’ebraico biblico, non soltanto nei suoi aspetti squisitamente linguistici e grammaticali, ma, ancor prima, avventurandosi nell’affascinante universo delle parole e dell’inesauribile fonte di senso che esse rappresentano e custodiscono. Un viaggio, prima ancora che nella lingua, nella cultura e nella spiritualità ebraiche, mondo dalle mille sfumature che finiscono per colorare l’anima di chiunque è disposto a lasciarsene coinvolgere e trasformare. Il corso si articolerà in cinque lezioni della durata di due ore ciascuna, avrà cadenza quindicinale, e si terrà il giovedì dalle 17 alle 19 nei giorni: 17 e 31 ottobre; 14 e 28 novembre; 12 dicembre
UNITRE DI VERBANIA E DOMODOSSOLA: NARRAZIONE BIBLICA E PSICOLOGIA
Presso le Università della Terza Età di Verbania e Domodossola, il Pastore Alessandro Esposito terrà un ciclo di incontri dal titolo: “I racconti biblici come itinerario psicologico”.
Nell’arco delle lezioni si cercherà di accostare alcuni testi della tradizione ebraico-cristiana secondo una prospettiva che intenderà metterne in luce i risvolti di carattere psicologico che li contraddistinguono.
Entrambi i corsi avranno cadenza settimanale e si articoleranno come segue:
1. Sei lezioni a Verbania, presso Villa Olimpia, il lunedì dalle 14:30 alle 16:30, a partire da lunedì 11 novembre
2. Dieci lezioni a Domodossola, presso il Liceo Scientifico Statale Giorgio Spezia, il martedì dalle 14:30 alle 16, a partire da martedì 15 ottobre
STUDI BIBLICI ECUMENICI AD OMEGNA
Insieme con le sorelle ed i fratelli cattolici delle parrocchie di Omegna e Armeno daremo vita a un’attività di approfondimento biblico che si svolgerà due volte al mese presso la Sala CEDI della nostra chiesa e che avrà quale tema:
"L’integrità della persona come preoccupazione di Gesù".
Lo studio, nell’arco del mese di ottobre, si svolgerà nelle serate di:
Martedì 1 Ottobre alle 20:45 Primo incontro del nuovo anno
Martedì 15 Ottobre alle 20:45 Il risanamento come sfida socio-religiosa
STUDI BIBLICI ECUMENICI AD INTRA
Insieme con le sorelle ed i fratelli cattolici delle parrocchie di Verbania daremo vita a un’attività di approfondimento biblico che si svolgerà una volta al mese presso la Sala Pestalozzi della nostra chiesa e che avrà quale tema:
"L’integrità della persona come preoccupazione di Gesù".
Lo studio si svolgerà in tre momenti:
1. Lunedì 14 Ottobre alle 20:45 Il risanamento come sfida socio-religiosa
2. Lunedì 4 Novembre alle 21:00 Liberazioni: tornare in sé per ripartire (I Parte)
3. Lunedì 2 Dicembre alle 21:00 Liberazioni: tornare in sé per ripartire (II Parte)
26/08/2019
Testo biblico e un pensiero dalla predicazione su Isaia 55, 6 - 7 tenuta nel Tempio di Intra (Vb) domenica 11 Agosto 2019
"6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7 L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona." (Isaia 55, 6-7)
Isaia viene spesso definito, e a ragione, “il sommo dei profeti” di Israele. Ma ancor più, forse, sarebbe giusto
chiamarlo “il sommo dei poeti”: pochi sono infatti coloro che hanno trovato parole come le sue per parlare,
parlarci, di Dio. Isaia, da buon poeta, sa che a Dio si addicono assai più le immagini che non i concetti: perché
un'immagine dipinge, non definisce, allude, non stabilisce, rimanda, non rinchiude. Isaia dipinge Dio, perché gli
interessa che il suo volto si imprima nei cuori più che nelle menti di chi ascolta: poiché nel cuore più che nella
mente, secondo la tradizione ebraica di cui Isaia è figlio, si realizza un'autentica comprensione.
Nel primo appello che ci rivolge, Isaia ci chiede di “cercare il Signore”: perché la fede altro non è che ricerca,
costante, interminabile. A Dio non si approda mai definitivamente, di Dio si va in cerca, ogni giorno. La lingua
ebraica possiede un termine per indicare questa attitudine di inesausto domandare: darash, la cui radice significa
proprio cercare. Per questo la tradizione ebraica è convinta che la comprensione di ogni passo biblico richieda un
midrash, ovverosia un’interpretazione, la quale, propriamente, è un andare in cerca di significati inediti, che
incoraggiano a svolgere di testi considerati noti una lettura sempre nuova: non esiste un senso stabilito, ma un
fiorire di sensi, che sbocciano soltanto sotto i passi di chi ne va in cerca.
Ma c’è di più: darash, in lingua ebraica, significa anche pregare: perché la preghiera, in verità, non affiora sulle
labbra di chi crede di aver trovato Dio, ma su quelle di chi rimane in cerca di Lui, di Lei. La preghiera è atto di
fede, soltanto nella misura in cui credere significa continuare a cercare, a interrogarsi, a camminare. Mai, infatti, si
è distanti da Dio come quando si crede di averlo trovato; perché Dio non si trova: Dio, soltanto, si lascia trovare. E
non dove noi vorremmo, ma dove vuole Lui. È Lui a farsi vicino e a chiederci un'attenzione che si riveli capace di
percepirne la presenza, per poi farle spazio. È Dio a venire: a noi Isaia chiede di essere in grado di accoglierlo.
Quella che Dio ci rivolge attraverso le parole del suo poeta Isaia è un'esplicita esortazione ad andare oltre noi stessi,
oltre la nostra presunzione di autosufficienza, oltre i confini delle nostre convinzioni, di ciò che ci illudiamo di aver
compreso. Dio ci chiama ad essere chiesa a partire da Lui e da Lui soltanto, liberandoci così dalla prospettiva di
una realtà modellata secondo i nostri parametri. Dio è sempre oltre, sempre altrove. Proprio per questo, quindi,
come abbiamo detto, sempre da cercare. E ci chiama a farlo insieme, consapevoli del fatto che nessuno può, né
potrà mai, possederlo. Dio, infatti, resta un orizzonte verso il quale dirigere i nostri sguardi e spiegare le nostre
vele. Il Dio biblico ci chiama, insieme, a dipingere il Suo volto, perché esso possa arricchirsi dei colori dell'altro,
delle tonalità e delle sfumature che i nostri sguardi ignorano e che l'altro, soltanto, ci può insegnare a percepire.
Pastore Alessandro Esposito
23/08/2019
"La parola che ci convoca", di Alberto Corsani. 20 agosto 2019
A pochi giorni dall'apertura del sinodo valdese e metodista a colloquio con Eugenio Bernardini, che termina il mandato di moderatore della Tavola valdese: sette anni in cui la società è cambiata e chiede alle chiese nuove strategie per testimoniare l’Evangelo
La prima considerazione riguarda lo stabile che ci ospita, a Torre Pellice, provincia di Torino, ristrutturato poco più di un anno fa. A fine agosto si riempirà di membri del Sinodo, osservatori, bambini schiamazzanti, villeggianti incuriositi, giornalisti spiazzati da una realtà piccola e coesa, ancorché un po’ litigiosa. Al pastore Eugenio Bernardini, che sta per terminare il proprio mandato di moderatore della Tavola valdese, chiediamo perché questo posto si chiami “Casa valdese”.
«In questo quartiere dove ora sorgono il tempio più grande, il Centro culturale, il liceo con le sue “case dei professori”, un quartiere che ora chiamiamo valdese, ma che nell’800 era una successione di prati, venne costruito questo stabile nel 1889, nel 2° centenario del Glorioso Rimpatrio. Da allora il Sinodo si tiene qui ogni anno, prima la sede era a rotazione in una delle chiese delle Valli. Il termine “casa” rispecchia il concetto sobrio, e laico, che i valdesi hanno delle loro istituzioni. Così, qui ci sono parte degli uffici [altri sono a Roma, nda] e la sede legale, ma casa valdese è anche quella di Torino, ci sono anche alcune case per ferie. Per segnalare che la chiesa è la comunità dei credenti convocata da Cristo, e non un edificio, si usa la dizione “tempio”, ricavata dal francese, e in epoca risorgimentale, quando l’analfabetismo era dilagante, al tempio era spesso associata una piccola scuola, in questo similmente alla tradizione metodista».
– Si tratta, dunque, di essere presenti nel vivo di una società che cambia: ma oggi, a questa società disorientata che cosa dicono le chiese?
«Siamo di fronte a dei processi che tendono a un individualismo sempre più accelerato: lo “stile di vita” sembra l’elemento che orienta e pervade ogni ambito dell’esistenza. È vero, le chiese “tradizionali” occupavano uno spazio importante nella vita delle persone: si imparava come si discute, come si accettano le decisioni, come si può stare in minoranza senza offendersi. Il progresso successivo, dalla tv al computer fino agli smartphoneda consultare senza sosta, ci ha portati a un modello di società in cui l’aspetto dell’incontro con gli altri e le altre viene a ridursi. Le chiese “storiche”, tutte, sono da tempo alla ricerca di un antidoto per arginare questo eccesso di individualizzazione: per di più in nome di questo individualismo si promette molto, e si realizza pochissimo. In pratica, fino a qualche decennio fa il “contenitore” (chiesa o partito...), proponendo dei contenuti forti, suscitava anche il piacere di ritrovarsi insieme, mentre oggi conta in primo luogo proprio l’aggregazione, che deve essere empatica, emozionale e riconoscibile a prima vista come soddisfacente. I contenuti sono passati in secondo piano. Le chiese come la nostra un tempo erano dei riferimenti visibili, oggi devono continuamente proporsi per farsi vedere e – difficoltà ulteriore – alcuni fra quelli che potrebbero essere interessati credono di sapere già tutto da altri canali, in realtà sapendo poco. Altre chiese, e anche altre fedi religiose, hanno un appeal diverso, che viene anche semplicemente dal carattere di novità che presentano. Noi siamo alle prese con il rischio del “già visto”».
– Come reagire?
«Paradossalmente, ricorrendo a ciò che abbiamo di più “nostro”: dobbiamo reimparare a dire che la Parola antica, che ci convoca da duemila anni, è sempre moderna e attuale. La lettura biblica quotidiana ci dice che si rivolge a ognuno e ognuna di noi, in quel preciso momento... Questo annuncio è l’unica pratica che possa fornire alla chiesa una legittimazione per la sua esistenza. In questa fase storica, in cui abbondano le associazioni che perseguono scopi molto precisi, dall’ambiente alla cultura, e che magari si esauriscono una volta raggiunto l’obiettivo, dobbiamo continuare a trasmettere una Parola che contiene una sapienza non effimera, di cui nutrirsi. Poi, certo, intorno a questo scopo primario, c’è una serie “cose da fare”, di segnali che possiamo dare al mondo, che vengono anche da altre culture e tradizioni, nella cura, nel sociale: nell’800 si trattava di rispondere all’abbandono dei minori e a dar loro un’istruzione, e poi via via altre necessità sociali fino a quelle che l’attualità ci pone davanti agli occhi quotidianamente. Ma anche questi interventi concorrono a illustrare al mondo quello che resta il compito primario della chiesa: “voi mi sarete testimoni fino all’estremità della terra” (Atti 1, 8)».
– Qualcuno dirà che le chiese fanno politica...
«I rischi ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ogni volta che una chiesa parla e agisce. Gesù stesso fu accusato di sovversione politica oltre che di eresia. Con tutti i rischi del caso, l’idea che abbiamo sempre, come valdesi e metodisti, è di stare “sulla frontiera”: abbiamo davanti a noi la percezione di continue divisioni. O si è dentro o si è fuori. La chiesa deve poter indicare una possibilità diversa, non basata sull’esclusione. Una bellissima espressione che Martin L. King rivolgeva ai suprematisti bianchi, negatori dei diritti degli afroamericani, suonava così: noi non vogliamo vincervi, bensì convincervi. Bisogna favorire un vero cambio di mentalità. Le nostre chiese non possono che stare in questa zona di frontiera».
– Come conciliare questo compito con una realtà di chiese che vanno assottigliandosi?
«In questi anni la Tavola valdese ha ritenuto di dotare le nostre chiese di strumenti nuovi, cercando di migliorare la comunicazione e tessendo rapporti nuovi, anche con il cattolicesimo – la visita del papa al tempio valdese di Torino, nel 2015, è solo l’episodio più evidente. Cerchiamo di essere una chiesa che sa stare con gli altri, consapevole di non poter essere da sola. Ci siamo dotati anche di strumenti “oggettivi” per riflettere e capire come vivono le nostre chiese. L’analisi sociologica [ora pubblicata da Claudiana con il titolo Granelli di senape] ci parla di fenomeni e tendenze non nuovi né sconosciuti ma ci consente, con i suoi dati, di lavorare sugli elementi di crisi con meno emotività e quindi con più efficacia. Vediamo che continuano ad arrivare nelle nostre comunità dei nuovi membri adulti: persone in ricerca, disponibili a diventare nuovi valdesi e nuovi metodisti, a trovare una casa in cui compiere un pezzo importante della loro vita. Questo elemento, da valorizzare, purtroppo ha il suo contraltare nelle nostre famiglie, che non riescono a trasmettere la fede alle nuove generazioni. C’è il rischio che le nostre realtà si vadano conformando al “secolo presente”. Ma in risposta a questo conformismo credo che vada rilanciata l’esortazione data dal presidente della Repubblica a Capodanno: nessuno tema di essere buono, di dire parole buone; di fronte al mito della forza e della semplificazione, non rinunciamo a educare e a educarci a non cedere ai pregiudizi, perché essere buoni non è di impedimento alla realizzazione di nessuno e nessuna di noi. “Benedite, e non maledite” (Rom 12, 14)».
Foto di Pietro Romeo
Efesini 5, 8 - 10. Testo e predicazione. Chiese Evangeliche di Trieste. Scala dei Giganti. Domenica 11 Agosto 2019
Care amiche, amici, sorelle e fratelli,
nella Parola del Signore, la Bibbia, vi è un libro che ci può aiutare a capire quale
possa essere il comportamento più idoneo da seguire per piacere al Signore da
parte di tutte/tutti noi, questo libro non è altro che l'epistola dell’apostolo
Paolo agli Efesini, Capitolo 5, versetti da 8 a 10 :
“8 perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce
nel Signore. Comportatevi come figli di luce 9 - poiché il
frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - 10 esaminando
che cosa sia gradito al Signore.”
Nel brano è scritto che: “Siamo figli di
luce e dobbiamo comportarci come figli di luce!”
Comportarsi come figli di luce…vuol dire…avere
atteggiamenti e modi di fare che rispecchino Dio…perchè Dio è luce e ci ha
salvati dalle tenebre facendoci diventare luce in Lui.
Chi non cammina nella luce si troverà
nelle tenebre ed è per questo motivo che è importante capire che non ci sono
vie di mezzo su chi dobbiamo seguire: o seguiamo Dio…oh seguiamo il peccato!
Quindi…giorno dopo giorno dobbiamo scegliere se seguire: “le tenebre”…che
significa voler fare quello che ci sentiamo di fare senza seguire i consigli
del Signore scritti nella Sua Parola, oppure…seguire la via della “luce”, cioè la
via di Dio, la Sua Parola, agendo secondo lo Spirito di Dio e dicendo no al
desiderio della mente.
Agendo secondo lo Spirito di Dio e come
Gesù Cristo, produrremmo il frutto della “Luce”, il quale consiste in
tutto ciò che è: bontà, giustizia, è verità.
(Consideriamo queste tre qualità.)
La Bontà…
La
Bontà è una virtù…che è il contrario della cattiveria e del peccato.
La
Bontà descrive il cuore della persona, il carattere, il modo di pensare
e di agire…è un cuore che desidera il bene degli altri, una persona piena di
bontà rispecchia Dio, purtroppo…non sempre riusciamo ad avere un cuore pieno di
bontà!
La
chiave per poter essere ripieni di bontà è di considerare e meditare sulla
immensa bontà che Gesù Cristo ha dimostrato di avere nel corso della Sua vita
di uomo qui sulla terra, così da poterlo imitare.
Gesù
Cristo ha sacrificato sé stesso per liberarci dal peccato, Cristo si dedica
giorno e notte ad intercedere per noi davanti al Padre Suo e Padre nostro! Alla
luce di tutto ciò possiamo ben dire che la Sua bontà è immensa verso noi
peccatori!
Ricordandoci dunque…della bontà di Cristo…diventarà
molto più facile per noi avere bontà verso gli altri e ravvederci ogni volta
che il nostro modo di pensare non è pieno di bontà verso gli altri, come quando,
anziché agire con bontà, siamo egoisti o usiamo cattiveria verso il nostro
prossimo.
La giustizia…
Mentre
la bontà riguarda il nostro cuore verso il prossimo, la giustizia riguarda il
nostro comportamento giorno dopo giorno nei confronti del prossimo, per far ciò
pensiamo al comportamento tenuto da Gesù Cristo nel corso della Sua vita
terrena e avremmo chiaramente in mente come dobbiamo comportarci nella vita di
tutti i giorni.
Gesù si è comportato sempre con giustizia
in ogni aspetto della Sua vita terrena, ogni parola che Egli ha detto, il suo
modo di reagire in ogni situazione, il Suo modo di comportarsi quand'era stanco,
quando aveva problemi…era sempre con giustizia e nonostante fosse tentato come
noi ogni giorno in ogni cosa, non commise mai peccato, ed è per questo che capisce
le nostre debolezze, capisce ogni nostra tentazione e ci è vicino per combattere
con noi ogni prova che ci si presenta davanti, ma solo se…camminiamo nell’unica
via che un figlio di luce deve seguire: “che è quella di camminare nella
giustizia”, per far ciò…dobbiamo evitare di peccare in ogni campo della vita, questo
vuol dire che dobbiamo comportarci con giustizia ed onestà in tutti i nostri rapporti
con il prossimo, nei nostri rapporti in casa, nei nostri rapporti con i
colleghi di lavoro, nei nostri rapporti nella società e nei rapporti con i
fratelli della Chiesa.
La verità…
Oltre
alla bontà e alla giustizia, per camminare come figli di luce dobbiamo anche
essere straripanti di verità, ed è un'immensa grazia per noi, se Dio ci ha dato
la possibilità di conoscere la verità. Pensate a quanto sarebbe terribile se
Dio non ci avesse dato la Bibbia e Gesù Cristo per conoscere cosa è la verità,
la vita sarebbe senza certezze! Infatti, pensate a com'è il mondo per coloro
che non credono nella Bibbia. Nel mondo troviamo un numero immenso di religioni
e di filosofie che cercano di spiegare la vita e l'eternità. Ognuna di esse
contraddice l'altra. Umanamente parlando, se non avessimo la rivelazione di
Dio, sarebbe impossibile distinguere il
falso dal vero. Sarebbe impossibile veramente capire chi è Dio e saremmo
nelle tenebre più profonde, per fortuna non è così, Dio si è rivelato al mondo,
prima di tutto tramite le Sacre Scritture, e poi, per mezzo di Gesù Cristo.
Tramite Gesù Cristo, abbiamo la verità, e perciò, possiamo veramente conoscere
Dio come Egli è veramente. In Gesù Cristo vediamo la gloria di Dio, il Quale è
pronto a perdonare qualsiasi peccatore che si umilia e si ravvede tramite Suo
figlio Gesù Cristo, ma sopratutto, Gesù Cristo deve essere un esempio per noi,
così da imitarlo per avere un comportamento di assoluta verità per il motivo
che:
“Gesù sempre parlava con
verità e si comportava con verità”.
Alla
luce di tutto questo, possiamo capire che essere “figli di luce” vuol
dire che in ogni campo della vita dobbiamo vivere sempre utilizzando la verità.
Anche in questo caso, non esiste una via
di mezzo. O camminiamo nella verità, o camminiamo nella falsità.
Vi
sono tanti modi di camminare nella falsità: …“mentire” è una forma di camminare
nella falsità… “l'ipocrisia” è falsità…in quanto cerchiamo di apparire ciò che
non siamo… “ingannare”…è falsità, tutto questo ci deve far capire che, essere “Figli
di luce”, vuol dire: “impegnarsi” allo scopo di vivere la verità in
tutto quello che diciamo o facciamo (cfr. Efesini 4:25).
Questo
significa, per chi è genitore, vivere ed agire in modo che i propri figli
imparino cosa vuol dire agire e vivere nella verità.
Nel
matrimonio come nei rapporti con gli altri, dobbiamo agire e dire la verità, per
far si che…dal nostro comportamento…tutti sanno di potersi veramente fidare di
quello che noi diciamo o facciamo…ma per far tutto ciò…è indispensabile rispecchiare
il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, per il fatto che…Egli è verità, ma
sopratutto, Gesù stesso faceva sempre la volontà di Dio, ovvero, ciò che era “Piacevole”
a suo Padre.
In
altre parole…deve essere quello che “piace molto a Dio”.
Al
fine di comprendere meglio la parola “Piacevole”, farò un Esempio: “Immaginate
il cuoco di un grande re, questo cuoco…non deve servire al re nessun cibo
velenoso, come non deve servire qualcosa che non sia di gradimento al re. Se il
cuoco, dovesse cucinare delle pietanze che non siano di gradimento per il Re,
sarebbe ben presto licenziato dal suo ruolo di cuoco, quindi…deve scegliere i
cibi che più piacciono al re.
Se
tutto ciò può essere vero per un cuoco che serve un Re umano, quanto di più noi…che
abbiamo il privilegio di servire il Re dei Re…dovremmo scegliere ciò che è più piacevole
a Dio e non a noi, il nostro versetto infatti, ci insegna a scoprire ciò che
più piace a Dio, dicendoci di esaminare ciò che “piace” oh…accettevole
e amabile al Signore!
In
pratica…questo vuol dire…che dobbiamo impegnarci a capire, in ogni comportamento
della nostra vita, come possiamo piacere a Dio, in modo tale di farlo diventare
uno stile di vita, che non sia solo un'azione che si compie una volta sola, ma
piuttosto, deve essere un modo di vivere ogni giorno sempre nello stesso modo…e
lo possiamo realizzare solo conoscendo sempre meglio la Bibbia ed esaminando
ogni nostro comportamento alla luce dei principi biblici.
Qualcuno
però…potrebbe avere da ridire su questo modo di fare! … dicendo che dover
esaminare ogni nostro modo di fare, sia pesante, ma posso assicurarvi che non è così, per il motivo che tutte e tutti
noi, in realtà…facciamo ogni giorno, più o meno le stesse cose.
Per
Esempio: …“Abbiamo
modi di fare al lavoro, modi di fare in famiglia, modi di parlare e tante altre
abitudini che facciamo volta dopo volta”…quasi sempre allo stesso modo…giorno
dopo giorno”. Ebbene…basta
esaminare solo una volta…se quei modi di fare…alla luce dei principi biblici,
magari consigliandoci con chi conosce la Bibbia meglio di noi…se i nostri
comportamenti…sono veramente piacevoli a Dio senza dover riesaminare la cosa
ogni volta; ora…
torniamo
all'esempio del cuoco del re…una volta che il
cuoco, capisce in che modo il re apprezza un certo cibo, quel cuoco non dovrà
sempre informarsi di nuovo, perché sa già…quello che piace al re. Certamente…un re umano potrebbe
cambiare gusti, ma Dio non cambia mai, e perciò quello che piace veramente a
Dio oggi, piacerà a Dio anche domani, questo doversi informare tramite la
Parola del Signore su come dobbiamo comportarci per piacere al Signore, sarà
senz’altro un beneficio per tutti noi, anche per il fatto che, non voler
piacere a Dio e non gradire i suoi consigli (cfr. Ebrei 11, 6), può portarci a
commettere gli errori di Adamo ed Eva I quali…nel giardino dell’Eden…hanno
cercato benedizioni migliori al di fuori delle benedizioni di Dio e anziché
trovare benedizioni migliori hanno perso l'immensa gioia, la pace e i benefici
della comunione con Dio stesso, essendo
poi stati allontanati dal giardino dell’Eden e dovendo lottare ogni giorno per
superare una vita di difficoltà.
Ci sarebbero molte più cose da dire, ma il
punto che voglio far notare è questo, è molto importante per ognuno di noi
esaminare se stesso alla luce del comportamento di Gesù Cristo verso Dio…per
vedere se veramente stiamo camminando come “figli di luce”! Se dovessimo
riscontrare…che un comportamento della nostra vita non è secondo bontà,
giustizia e verità…confessiamo quel peccato a Dio, per far ciò ci può essere di
esempio Dietrich Bonhoeffer che dal campo di prigionia nazista scrisse questa
preghiera: “Spirito Santo, / donami la Fede, / che dalla disperazione, dale brame
e dai vizi mi salva; / donami l’amore per Dio e per gli uomini, / che estirpa
ogni odio e amarezza; / donami la Speranza, / che mi libera dal timore e dallo
scoraggiamento. / Insegnami a conoscere Gesù Cristo e a fare il Suo volere”.
Questa preghiera ci può servire come esempio
per il motivo che…Dio ci perdona e ci purifica da ogni peccato…e dopo…riprendiamo
la via di camminare come “figli di luce” vivendo in maniera da dare
piacere a Dio che ha mandato lo Spirito Santo per consolarci e guidarci nella
vita di tutti i giorni e alla vera “Luce”…Gesù Cristo, il quale ha sacrificato
se stesso sulla croce per salvare tutti noi dal Peccato originale causato da
Adamo ed Eva e che vive alla destra del padre per intercedere come avvocato…mediatore
e sommo Sacerdote per noi giorno e notte, così che possiamo essere perdonati da
Dio.
Camminando come Figli di Luce avremo gioia
e felicità nei nostri cuori oggi e nel prossimo futuro. Sia così per tutti noi.
AMEN
Giampaolo Castelletti
03/08/2019
Andando, predicate e dite: “Il regno dei cieli è vicino”. (Matteo 10:7)
Cari fratelli e sorelle,
“Il regno dei cieli è vicino”: Questa era un'affermazione
centrale del messaggio di Gesù,
è ciò che hanno predicato i primi discepoli e poi tante
generazioni fino ai giorni nostri.
Qualcuno potrebbe obiettare: Se era già vicino al suo tempo,
non dovrebbe essere già
arrivato? Qui si potrebbe rispondere che il regno dei cieli
è infatti già arrivato e sempre
arriva ed è sempre vicino. Anche Gesù afferma che il regno
di Dio è già tra di noi.
Infatti dovremmo comprendere il regno di Dio in primo luogo
come una realtà
trascendentale, cioè una realtà che trascende la nostra
realtà terreste spazio temporale. È
una realtà determinat dalla presenza di Dio, dal suo amore e
dalla sua pace. Dio ci è
sempre vicino e questo lo possiamo sperimentare (non per
libera volontà, ma come
possibilità) perché siamo creati ad immagine di Dio, cioè
siamo creati aperti verso una
realtà trascendentale.
L'apertura verso una realtà trascendentale ci distingue
dagli animali e fa sì che solo nella
fede possiamo realizzare la nostra piena umanità. Una vita
egocentrica in funzione dei
propri piaceri può escludere completamente ogni forma di
trascendenza, ma è una vita
senza senso e destinata alla morte. A chi vive così come
credenti dovremmo annunciare:
“Il regno dei cieli è vicino”. La dimensione della
trascendenza non solo non è lontana,
ma è anche molto pressante, perché qui si gioca il senso o
non senso della nostra
esistenza. Dio è vicino ad ognuno di noi e più ci apriamo
alla sua presenza, più ci
sembra vicino e più la sua vicinanza diventa importante.
Perciò quasi sempre nei tempi
di intensa spiritualità, l'idea della vicinanza del regno
diventò più dominante (d'altronde
anche Lutero vedeva la fine dei tempi vicina)
Dove viviamo a partire dalla fede, il regno di Dio si
realizza nel mondo e trasforma la
nostra vita e la nostra società. Siccome viviamo nel mondo è
comprensibile e a volte
necessario che la vicinanza di Dio venga oggettivata in
un'aspettativa spazio temporale,
per cui la vicinanza del regno di Dio spesso fu espressa
nella aspettativa della fine
imminente del mondo e del tempo. Oggi abbiamo demistificato
il mondo per cui non
usiamo più oggettivare la vicinanza di Dio. Ciò però non
significa che il regno dei cieli
ci sia meno vicino, anzi, riscoprendo la dimensione
trascendentale della nostra umanità
troviamo che la nostra esistenza dipende direttamente da
Dio. E questa è una buona
notizia.
Vostro
Pastore Dieter Kampen
06/07/2019
28/06/2019
Che fine farà il samaritano? . La difficoltà di farsi prossimo oggi
C’è un testo
nella Bibbia che tutti conosciamo: la parabola del buon samaritano. Una figura
scomoda, un uomo considerato da Israele impuro ed eretico, uno da cui non ci si
aspetta nulla di buono e da cui tenersi lontani. Eppure quest’uomo, nel
racconto del vangelo di Luca, presta aiuto a un uomo ferito che è stato
aggredito da dei banditi e lasciato per strada. Questa figura, nei secoli, è
servita a mettere sull’avviso tutti coloro che si sono trincerati dietro una
fede formalmente corretta ma incapace di avvicinarsi a chi è in difficoltà. Non
è stato capace di farlo il levita, né il sacerdote e molto spesso non sono state
capaci di farlo le chiese. Per secoli l’amore verso il prossimo è stato
incarnato da quest’uomo che presta le prime cure, spende il suo tempo e il suo
denaro per trovargli un alloggio e si preoccupa per la sua salute. Il buon
samaritano sfida la nostra pigrizia, il nostro egoismo, la nostra vocazione e
ci chiama a farci prossimi di chi incontriamo per strada anziché chiedere quali
siano le persone di cui dobbiamo occuparci. In questi ultimi anni ho cercato,
come molte e molti altri nel mondo, di farmi prossimo di coloro che, in fuga
dal proprio paese, hanno scelto di cercare futuro in Europa. Io come molti
altri credenti, semplici cittadini, membri di Ong, pescatori, membri del
Soccorso alpino, volontari di associazioni, ci siamo lasciati interrogare e
abbiamo cercato di dare un senso alla parola biblica con cui si conclude la
parabola: «Va’ e fa’ la stessa cosa». Ma da tempo sono sempre più sgomento. Il
buon samaritano non è più un paradigma da imitare, è diventato invece un
fuorilegge. La capitana della Sea Watch, Pia Klemp, rischia vent’anni di carcere
per aver soccorso in mare persone che stavano affogando, numerosi amici
francesi a Briançon sono sotto processo da mesi, perché hanno raccolto per
strada persone che rischiavano di morire in mezzo alla neve al colle del
Monginevro. Chi espone pubblicamente una sciarpa su cui è scritto «Ama il
prossimo tuo» viene picchiato da militanti di destra e infine deriso dal
ministro dell’Interno. Penso ai due francesi che la settimana scorsa sono stati
arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, semplicemente
perché hanno dato un passaggio a persone dalla pelle scura che si erano perse
nei boschi di notte sotto la pioggia. Come se aiutare qualcuno, considerato che
non si è tenuti a chiedere i documenti a meno di appartenere alle forze
dell’ordine, costituisse di per sé un reato. Penso a quelli che, in questi anni, hanno
aiutato con un paio di scarponi,
un posto letto, qualcosa da mangiare, con il calore umano di chi cerca di
ascoltare la storia altrui e prova, almeno per un attimo, a strapparti alla
solitudine e alla disperazione che hanno la forma di un foglio di respingimento,
di una notte gelida in mezzo alla neve e degli affetti che da anni sono solo un
messaggio su WhatsApp. Penso a B., vittima del circuito della prostituzione,
respinta alla frontiera due anni fa, che ho ospitato a casa mia per qualche
settimana; penso alle diecimila persone che in questi due anni hanno valicato
il Monginevro per raggiungere la Francia; penso ai minorenni non tutelati e
rimandati in Italia, quelli a cui la gendarmerie ha rifiutato il diritto di
fare domanda di asilo con metodi poco democratici. Penso alla ragazza morta
annegata in un torrente, dopo esser stata inseguita di notte dalla polizia.
Penso a Mamadou, di cui è stato ritrovato poco più di un braccio nei boschi di
Bardonecchia. Penso alle ragazzine stuprate nei campi libici che hanno
attraversato il Colle della Scala, in inverno, incinte all’ottavo mese.
Molti come
me si sono lasciati interrogare dal buon samaritano e hanno risposto che non si
poteva fare diversamente, che non si lascia la gente in giro in montagna come
non la si lascia in mare. Penso però che avremmo potuto fare molto di più. Nei
giorni scorsi il governo ha dichiarato fuorilegge la figura del buon
samaritano: mi preoccupa il fatto che sia diventato lecito lasciar affogare
creature umane o normale mandare a processo chi cerca di farsi prossimo. Mi
preoccupano le duemila persone che manifestano a difesa del tabaccaio che spara
per difendere il proprio negozio. Il diritto di migrare, la possibilità di
usare il proprio passaporto per muoversi, il diritto di vivere in un paese dove
istruzione, sanità e lavoro siano possibilità reali non sono più percepiti come
tali. La colossale disuguaglianza economica tra i paesi da cui si emigra e
quelli nei quali si vorrebbe vivere non è percepita come ingiustizia, bensì come
il giusto benessere che nessuno ci può togliere. E coloro che non sono
d’accordo vengano pure derisi, imprigionati e messi a tacere. Mi preoccupo
perché per la prima volta in vita mia, dopo aver a lungo riletto, ho avuto
paura e ho cancellato delle righe.
Davide
Rostan
Iscriviti a:
Commenti (Atom)