Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

11/04/2020

VENERDI SANTO, 10 aprile 2020


Il Venerdì santo è il venerdì che precede la Pasqua cristiana. In questo giorno i cristiani commemorano la passione e la crocifissione di Gesù Cristo, questo è il testo di questa sera tratto da Giovanni, capitolo 18, versetti da 28 a 38 e Giovanni, capitolo 19, versetti da 17 a 37, seguirà una meditazione sul testo di : Giovanni 18, 37 – 38

Gesù davanti a Pilato
18:28 Poi, da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua. 29 Pilato dunque andò fuori verso di loro e domandò: «Quale accusa portate contro quest'uomo?» 30 Essi gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani». 31 Pilato quindi disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge». I Giudei gli dissero: «A noi non è lecito far morire nessuno». 32 E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, indicando di qual morte doveva morire. 33 Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» 34 Gesù gli rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?» 35 Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?» 36 Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui». 37 Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». 38 Pilato gli disse: «Che cos'è verità?»

La crocifissione di Gesù
19:17 Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, giunse al luogo detto del Teschio, che in ebraico si chiama Golgota, 18 dove lo crocifissero, assieme ad altri due, uno di qua, l'altro di là, e Gesù nel mezzo. 19 Pilato fece pure un'iscrizione e la pose sulla croce. V'era scritto: GESÙ IL NAZARENO, IL RE DEI GIUDEI. 20 Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; e l'iscrizione era in ebraico, in latino e in greco. 21 Perciò i capi dei sacerdoti dei Giudei dicevano a Pilato: «Non lasciare scritto: "Il re dei Giudei"; ma che egli ha detto: "Io sono il re dei Giudei"». 22 Pilato rispose: «Quello che ho scritto, ho scritto». 23 I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato. Presero anche la tunica, che era senza cuciture, tessuta per intero dall'alto in basso. 24 Dissero dunque tra di loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocchi»; affinché si adempisse la Scrittura che dice: «Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato a sorte la mia tunica».
Questo fecero dunque i soldati. 25 Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. 26 Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!» 27 Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua. 28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29 C'era lì un vaso pieno d'aceto; posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto, in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla sua bocca. 30 Quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: «È compiuto!» E, chinato il capo, rese lo spirito. 31 Allora i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la Preparazione e quel sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe, e fossero portati via. 32 I soldati dunque vennero e spezzarono le gambe al primo, e poi anche all'altro che era crocifisso con lui; 33 ma giunti a Gesù, lo videro già morto, e non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. 35 Colui che lo ha visto, ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è vera; ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate. 36 Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato». 37 E un'altra Scrittura dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Giovanni 18, 37 – 38
Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?» Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». 38 Pilato gli disse: «Che cos'è verità?»

L’insostenibile questione della verità. Valeva sia per Pilato come vale per noi oggi. Almeno per noi donne e uomini della vecchia Europa non è più l’epoca della verità. Al massimo è l’epoca delle…verità, che è meglio chiamare “convinzioni” o forse addirittura “opinioni condivise”. Abbiamo le nostre “verità collettive” che giustificano le regole che ci diamo per la nostra convivenza. Per uno Stato c’è la costituzione che contiene ed esprime i principi e i valori fondativi di quella particolare comunità umana…ed ogni Stato ha la sua Costituzione, perché ha la sua storia, e ogni storia produce le sue verità. Per un gruppo religioso si parlerà di “confessione di fede” ma anche di principi, di riti e anche perché no?, di “miti fondativi”, è l’insieme di queste verità o di queste convinzioni o di queste opinioni condivise, che permette alla società politica e civile o al gruppo religioso di definire ciò che gli è conforme da ciò che non lo è, quello che va bene da quello che non va. Poi ci sarà il problema, ed è un grossissimo problema di riuscire e far condividere fra loro i vari Stati, le varie società, i vari gruppi religiosi, ed è per questo che allora si ricorre all’ “orientamento secondo il quale non esistono valori e verità assolute”…
Non è di questo tipo di verità, “vere” perché ammesse dal gruppo, che Gesù ha parlato a Pilato, e Pilato lo ha capito a tal punto di sentirsi a disagio ed ha reagito con questa domanda: “cos’è la verità?”  Gesù parla di quella “verità” a cui ha già reso testimonianza quando, durante l’ultima cena con i suoi, ha detto loro: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv. 14:6). Ebbene, quell’iniziale “Io sono”, è anche il modo che il Gesù del Vangelo di Giovanni usa per rendere il nome “Io sono colui che sono” che Dio ha rivelato a Mosè e che Gesù rivendica per sé, ecco quindi, la verità di cui Gesù sta parlando a Pilato, è un altro nome di Dio, un altro nome della Grazia. E certo, una verità così, nessuno la può rivendicare per sé, nessuno la può tenere nella mano…
Allora, resta vero che ogni società e ogni gruppo hanno le loro verità, come hanno le regole, i riti, le convinzioni e anche i loro anatemi, ma tutte queste verità necessariamente relative e parziali, vanno viste e vissute nell’orizzonte della verità inafferrabile eppure anche vicina “che è Dio” di cui parla Gesù, e che Gesù è in se stesso, perché Gesù è l’ “Io sono” e il “Dio con noi”.
Sì, le nostre verità sono sempre provvisorie, sempre “da riformare”…nella tensione verso la “verità” che è sempre oltre, perché Dio è sempre oltre…quella “verità vera” che noi non possediamo, perché lei possiede noi e che possiamo e dobbiamo solo “testimoniare”, sapendo che nel momento in cui ci fermiamo a parlare, lei è già oltre, perché Gesù è sempre in cammino, va sempre innanzi a noi…ed è la verità che rende testimonianza a se stessa…in una dinamica continua…in un continuo andare oltre, in cui la parola “testimonianza” (in greco: “martyria”) può anche diventare vero e proprio “martirio”, come lo è stato per Gesù. Amen  

10/04/2020

GIOVEDI' SANTO, 09 APRILE 2020


Tutte e tutti noi sappiamo che, la tradizione cristiana, in questa settimana si ricorda la sofferenza di Gesù, ed è per questo motivo che, la ragione principale per la quale in questi giorni ci vengono riproposti i testi biblici sulla Passione di Gesù, cioè la via che porta alla mattina di Pasqua e alla risurrezione è una sola, questa via passa per il Giovedì Santo e il Venerdì Santo, che la tradizione ricorda quale: “La lavanda dei Piedi” e l’“Ultima Cena”, che sancisce anche l’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli, dopo di che, come dice la scrittura avverrà la cattura di Gesù, quindi, una strada che passa obbligatoriamente per Giovedì, Venerdì e Sabato, se non comprendiamo meglio questi giorni, non comprenderemo nemmeno la Pasqua; nella mentalità odierna si cerca di “avere tutto e subito”, arrivare al successo senza passare per la porta stretta, se usassimo questa mentalità anche per la Pasqua, nel senso di non passare per il “Calvario” (Golgota), ecco che perderemmo il senso della presenza di Cristo nella nostra vita.
Questa sera lascerò che sia lo scritto del Pastore Alessandro Esposito a condurci per mano in questa prima serata dedicata alla “Lavanda dei Piedi” con il testo di Marco capitolo 14 versetto 32 e poi i versetti da 35 a 36 interamente tradotti dall’ebraico e la sua predicazione.

E vengono in un campo, chiamato Getsemani. E dice ai suoi discepoli: “Sedete qui, fin quando preghi” (...) Ed essendo andato un po' più avanti, si gettò a terra e pregava perché, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. E diceva: “Abbà, Padre, tutto ti è possibile: allontana da me questo calice. Pure, non come voglio io, ma come Tu vuoi”
(Marco 14:32.35-36)

Cammina, Gesù, come ha fatto sempre. Lo fa insieme con le donne e con gli uomini che da tempo, ormai, lo seguono in questo perenne itinerare. Soltanto il paesaggio è cambiato: dalle aperte campagne della Galilea al cielo chiuso di Gerusalemme, stretto fra i muri dei vicoli. Senso di soffocamento, di oppressione: mura che restringono la libertà dello sguardo e dei movimenti. Gesù si sente animale in gabbia dentro la città: e allora decide di uscirne, di andare in cerca di quella terra profumata che per lui è tutto: è cresciuto tra i suoi odori; quelli artificiali della città non gli appartengono, lo nauseano. Cerca rifugio tra gli ulivi antichi, tra i loro tronchi nodosi, che recano come ferite i segni del tempo. Corre là, a sentire la frescura della notte, a percepire la brezza che accarezza i rami e gioca con le foglie. Sa che tra quegli alberi potrà udire più distintamente la voce silenziosa di Dio, le vibrazioni con cui il suo cuore sobbalza per poi, d'improvviso, acquietarsi. Ha bisogno d'aria, Gesù; di quel vento della sera che gli accarezza il volto e i ricordi; di quelle tenebre che proteggono le nostre solitudini quando anche nel cuore, piano, si fa notte. Ed è notte nel cuore di Gesù, ed è solitudine.
Esce con i suoi da Gerusalemme; ma da solo va incontro a quel buio che gli altri, ancora, non vedono. Solo: perché soli stiamo dinanzi a Dio quando il cerchio della vita sta per stingersi. Solo: perché ci sono luoghi dell'anima, istanti dell'esistenza, in cui non c'è spazio se non per Dio e per il Suo silenzio dentro di noi.

Giunti in quel podere carico di fragranze, Gesù chiede ai suoi di sedersi: che lo attendano là. Lui ha bisogno di ritagliarsi i suoi istanti con Dio, di stare un po' con Lui, con Lei: senza interferenze, stretto come in un abbraccio intimo e segreto. Soli, come si desidera stare con l'amato. Allora va un po' più avanti, si inoltra tra gli ulivi, tra le figure che i rami disegnano per terra, nella notte, quando la luna intesse con loro la sua trama d'ombre e di luce. Così, tra luce ed ombra, Gesù va incontro a Dio: e cerca di afferrare la Sua voce nel respiro della sera.

Ecco che però, avanzando a passi lenti, pesanti, d'improvviso Gesù cade a terra: è prostrato, nell'animo prima che nel corpo, e lascia che Dio lo veda in tutta la sua fragilità. Non ne ha vergogna, non si nasconde, non simula; sa che dinanzi a Lui può mostrarsi così com'è: smarrito, sopraffatto dalla paura e dalla tristezza. Sa che Dio non gli rinfaccerà questa sua debolezza. Anzi: gli aprirà le braccia, lo accoglierà in grembo, lo conforterà. Così: nudo, spogliato di sé, Gesù si getta a terra come tra le braccia di Dio. E tutt'intorno è silenzio: solo il canto del vento tra le foglie, solo la notte che bisbiglia.
Nell'orto del Getsemani, alle porte di Gerusalemme, Gesù e Dio sono stretti in un abbraccio notturno: l'ultimo, prima che le tenebre scendano a coprire ogni bagliore, ogni scampolo di luce.

Sussurra Gesù, non grida: appena muove le labbra per dar voce alla sua supplica. “Padre”, chiama quel suo Dio amato, nel quale ha riversato, come acqua in un otre, tutta la propria vita, “Padre”, gli dice, quasi a volerlo commuovere, a domandargli ragione di quello che gli sembra, ormai, un destino inevitabile. Soffre Gesù, e il volto gli si riga di lacrime: “Passi da me questo calice, Padre! Traghettami al di là di quest'ora cupa, di questo dolore che mi stringe l'anima come in una morsa. Tendi verso di me il Tuo braccio e soccorrimi: non abbandonarmi negli istanti interminabili della mia angoscia. Mai come oggi Ti ho avvertito lontano e mai così vicino da percepirti come un palpito, uno sfiorarmi di dita invisibili a lenire quel dolore che, in silenzio, mi divora. Tu, assente presenza, orma impressa sulla sabbia del cuore che, muta, dice del Tuo passaggio. Tu, come vento tra le foglie di questi ulivi: lieve canto notturno, carezza della sera. Ti avverto, invisibile e intenso, come l'Amore: intima, inconfessabile certezza del cuore”. Parla Gesù, stretto al Padre: nell'ora del suo smarrimento lo chiama, ne va in cerca. Non attende risposta, non gli rinfaccia il silenzio: semplicemente, gli confida il suo dolore, il timore che lo invade tra le pieghe dell'anima. Non gli chiede nient'altro che ascolto: muta, intensa presenza, invisibile agli occhi, percepibile al cuore.

L'ora s'avvicina: Gesù lo sa, lo avverte. Come accade all'animale braccato che d'improvviso comprende di non aver più scampo. Vengono a prenderlo, come si fa con i malfattori. Vengono a gridargli, muta, la loro rabbia, l'insofferenza che ingenerano in loro le sue parole irriverenti, i suoi insegnamenti scomodi, la sua indigesta pietà.
Lo metteranno a tacere, non potrà più nuocere. Eppure, in quella brezza notturna, in quel sussurro del vento tra le foglie, Gesù intuisce, come d'incanto, che non c'è bavaglio in grado di sopprimere una voce. Quanto ha detto impregna l'aria e altri cuori: quanto ha annunciato gli sopravvivrà. Danzerà, in spazi aperti e irraggiungibili, l'eco della sua parola: si introdurrà nelle insenature dell'anima, attraverserà, in segreto, i mari e percorrerà, in fragoroso silenzio, le terre al di là dell'orizzonte.
Dà le spalle a Gerusalemme, Gesù, mentre si abbandona all'abbraccio del Padre. Allora, lento, si volta ad osservare il volto notturno della città antica: persino lei sembra dormire in pace. Poi, alza di nuovo lo sguardo al cielo, muta carezza sugli occhi: e sembra scorgere il volto di Dio dietro i rami, a varcare la notte. Sorride Gesù a quella timida promessa d'aurora, a quel tiepido raggio di sole che schiude, come un fiore, le sue labbra:

“L'ora è giunta, Padre: e trema l'anima mia al pensiero di non udire più il canto del vento, di non tornare a sentire la carezza della sera. Mi invade la nostalgia di questa terra che esala profumi, delle voci amiche che hanno vinto la mia solitudine, di quei volti amati a cui mi lega il misterioso laccio del ricordo. E sorrisi, e lacrime: mani che s'intrecciano, piedi impolverati e l'odore del sole sulla pelle.
Questo e altro che dire non so è ciò che piango questa notte: questo quanto il cuore non si rassegna a lasciare, questo lo strappo che avverto nell'intimo e che colma l'anima di una tristezza ignota, di uno sconforto muto. Ecco perché mai come questa notte, Padre, ho desiderato la vita, quella stessa che, un giorno lontano, Tu mi hai donata. Pure, non come voglio io, ma come Tu vuoi”.

[Predicazione per il Giovedì di Passione – 9 aprile 2020]



05/04/2020

Domenica 5 Aprile - DOMENICA DELLE PALME -


Buongiorno a tutte e a tutti voi che state leggendo, oggi come introduzione, prima dello svolgimento del Sermone, di questa Domenica delle Palme, lascio che siano le parole scritte, nel lontano 11 marzo 1928, da un grande uomo che rispondeva al nome di Dietrich Bonhoeffer ad ammaliarci per introdurci al futuro Sermone tratto da Matteo capitolo 21 i versetti che vanno da 1 a 11.
“Siamo vicini al Venerdì santo e alla Pasqua, ai giorni delle azioni strapotenti compiute da Dio nella storia; delle azioni nelle quali il giudizio di Dio e la grazia di Dio divennero visibili a tutto il mondo: giudizio in quelle ore, in cui Gesù Cristo, il Signore, pendette dalla croce.
Grazia in quell'ora,
in cui la morte fu inghiottita dalla vittoria.
Non gli uomini hanno fatto qui qualcosa,
no, soltanto Dio lo ha fatto.
Egli ha percorso la via verso gli uomini
con infinito amore. Ha giudicato
ciò che è umano.
E ha donato grazia
al di là del merito.”
Possa il Signore guidarci attraverso il Suo Santo Spirito affinchè nella Sua Parola possiamo trovare la presenza viva del Suo Figlio, il Re e il Messia che nella fedeltà a te Signore, si è fatto carico del nostro peccato per la nostra salvezza e per il rinnovamento della creazione. Amen
Lettura biblica e svolgimento

Ingresso di Gesù in Gerusalemme

Matteo 21:1-11
1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2 dicendo loro: «Andate nella borgata che è di fronte a voi; troverete un'asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. 3 Se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà». 4 Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta: 5 «Dite alla figlia di Sion: "Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un'asina, e un asinello, puledro d'asina"». 6 I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; 7 condussero l'asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. 8 La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 Le folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!» 10 Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» 11 E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazaret di Galilea».


 In quel mezzo millennio, il sogno di Zaccaria (cfr. Za 9:9) era diventato il sogno “ad occhi aperti” di tutti in Israele: tutti immaginavano, desideravano, aspettavano la venuta del “re giusto, vittorioso e umile”. E poiché fra quei “tutti” c’erano anche i discepoli di Gesù, di fronte a quel suo comando inaspettato e a quel giovane animale che gli viene portato perché vi monti sopra, essi non possono non concludere che allora, finalmente, Gesù s’è deciso a mostrarsi per quello che è! L’avevano capito già da tempo, almeno dalla confessione di Pietro Cesarea di Filippo, che Gesù è il “Cristo di Dio”, il nuovo Re, il Messia che porta a compimento l’antica profezia, il sogno centenario! Adesso finalmente lo capiranno tutti. Perché entrerà in Gerusalemme e caccerà i pagani, ed instaurerà il suo regno che non sarà mai scosso, perché regno di Davide, ma anche regno di Dio.

Ora veniamo al nostro testo di questa domenica delle Palme.
Gesù, col gruppo dei discepoli è ormai in prossimità di Gerusalemme, quindi, decide di entrare nella Città di Davide proprio secondo l’immagine del “re di sogno” finora mai arrivato (cfr. Za 9:9).
Per questo, lui che è sempre andato a piedi, dà a due dei suoi discepoli lo strano incarico di prendere in prestito un “puledro d’asina”, dopodiché avviene un’esplosione di gioia da parte dei discepoli e della folla, ognuno contribuisce come può a questo giorno trionfale, c’è chi si toglie il suo mantello, alcuni dei quali finiscono sull’asino per essere la sella di Gesù e gli altri sono stesi sulla strada a formare il tappeto per il re!
Alcuni discepoli fanno da battistrada, altri vengono dietro, e tutti agitano le frasche che hanno colto dai campi, e cantano a gran voce la gioia che hanno in cuore: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di Davide, nostro padre! Osanna nei luoghi altissimi!”.

Gli altri pellegrini che sono come loro sulla strada, osservano stupiti quel piccolo corteo che procede festoso tra la marea di gente che sale per la Pasqua, e poi fanno un sorriso un po’ beffardo, a questo punto potremmo chiederci come mai alcuni fanno un sorriso “un po’ beffardo?…ebbene, proviamo un attimo a metterci nei loro panni: vedendo l’asino e udendo le parole dei discepoli, anche loro hanno ripensato al “re di sogno” del profeta Zaccaria. Ma poi, guardando e anche odorando loro malgrado quei mantelli su cui siede quel “re”…i poveri mantelli impolverati, laceri, sudati, che chissà da quanto tempo ricoprivano il corpo dei discepoli, si sono forse detti: “Questi poveretti gridano ‘Benedetto’… inneggiano al ‘regno che viene’… Certo però è che…se anche quell’uomo sull’asinello è un re, come essi dicono, è il re degli straccioni!”.
 E davvero – se la guardiamo con un pizzico di distacco – è una scena che in fondo è un po’ ridicola: Gesù, seduto sul suo somarello preso in prestito, su quei mantelli sporchi e scoloriti, doveva proprio sembrare “il re dei poveracci”!

Ma se alzi i tuoi occhi dai mantelli e arrivi fino a lui, fino al suo volto, allora il sorriso beffardo ti si spegne in bocca… allora capisci perché quei suoi discepoli non pensano affatto d’essere ridicoli, inneggiano e gridano felici; bè, capisci che quel piccolo corteo è davvero “regale”, perché cogli nel viso di quell’uomo una luce speciale, ed i suoi occhi ti parlano di Dio, del suo potere e della sua bontà. E anche se non ha né diadema, né scettro, ti dà veramente l’impressione d’essere più re lui, nella sua povertà, che il Cesare di Roma, con tutte le sue porpore e i suoi ori. E ti viene di unirti a quelle voci, e di cantare “Osanna!” (“Dio salva!”), anche te; ti viene di aprire il cuore alla speranza che…davvero…in quel “re tra gli stracci”, Dio interverrà a salvare. Rimane però un’altra cosa da dire, lungo tutta la strada percorsa fino all’arrivo a Gerusalemme, Gesù tace, per questo è detto re “silenzioso”.

Il suo ingresso è trionfale solo per i discepoli, che nella loro euforia hanno già cancellato dalla mente le sue parole sulla passione e la croce che l’attendono, ma non per lui che sceglie di portare a compimento la profezia di Zaccaria e…con l’entrata in Gerusalemme ha fatto la prima mossa nella partita mortale che gli sta davanti e sa che ora sta entrando nel cuore del dolore e che va incontro alla sua fine. Certo…quando tutto sarà compiuto, sarà lui a vincere e sarà pienamente il “re giusto e vittorioso” desiderato e atteso… ma sarà una vittoria a caro prezzo: “a prezzo della sua vita!”
 Per questo Gesù tace. Per questo non si unisce e nemmeno sconfessa le acclamazioni di coloro che sono attorno a lui; da un lato essi s’ingannano aspettandosi da lui l’immediata restaurazione delle fortune di Gerusalemme e tuttavia, al tempo stesso, non s’ingannano quando affermano e cantano che è il Messia.
 Il suo silenzio, allora, accoglie le speranze e le corregge. È un silenzio che dice: “Sì, io sono il Messia, e io salverò. Ma non come voi vi aspettate”.

Seduto su quel mucchio di poveri mantelli, Gesù non è meno sovrano di quanto le parole dei discepoli suggeriscano, ma il suo “regno che viene” è “altro da”, ed insieme è “più di” di quanto essi non osino pensare.

 Il senso del nostro essere qui oggi, a leggere questo sermone, lo troviamo proprio in quella strana e magnetica figura che abbiamo contemplato in groppa a un somarello: il “re degli straccioni”, che però è il solo vero re a cui vale la pena di affidare noi stessi, i nostri sogni e le nostre speranze, per una vita che non sia solamente un sopravvivere…
 Rispondendo alla sua Parola, abbiamo confessato la nostra fede in Dio, quel Dio che per noi è e non può non essere il Dio di Gesù Cristo.
E in questa fede, nei giorni che verranno, vogliamo camminare tutti insieme, proprio come Zaccaria che sognava di andare incontro al suo “re del sogno”, proprio come quei discepoli che sulla salita di Gerusalemme cantavano l’“osanna”… Lo vogliamo fare anche noi questo canto, “Osanna” (Dio che salva) lo cantiamo come persone che cercano, perché siamo stati trovati; persone che vogliono amare, perché – sia pure in maniera forse anche un po’ confusa – sentono che qualcuno da sempre già le ha amate; che vogliono sperare – nonostante le incertezze, le paure, la mancanza di prospettive che affliggono il nostro tempo – perché intuiscono che ci deve essere…ed anzi…c’è un progetto e se c’è un progetto, allora ci deve essere e c’è un significato per tutte le cose, per tutte e tutti noi e per ciascuno di noi, che il male, l’ingiustizia, la violenza e la morte non avranno l’ultima parola sulla nostra esistenza, ma c’è un’altra parola, luminosa e più grande, che alla fine ci farà comprendere anche quello che oggi sembra assurdo, ebbene, tutto… il nostro ricercare, amare, sperare… tutto questo è Gesù, lui viene a noi e  ci rende possibile quello che altrimenti possibile non è: la riconoscenza.

 Il grido entusiasta… l’ “osanna” che la folla ha rivolto a Gesù quando è entrato a Gerusalemme, è stato infatti anche questo: il miracolo della riconoscenza. Proprio così… “il miracolo della riconoscenza”, perché, per essere riconoscenti gli esseri umani hanno bisogno di un prodigio interiore che li renda capaci di contraddire se stessi, la loro natura.
 Non è infatti vero che in noi regna la legge del risentimento verso chi ci ha fatto del bene? Perché il bene ricevuto ci fa sentire debitori, ed essere debitori non ci piace, non è vero? E non è forse vero che siamo sempre pronti all’ironia verso chi è troppo buono?
 La riconoscenza umana non è amore: è altro, è l’avvinghiarsi al beneficio ricevuto, sperando di poterlo conservare o che ci sia dell’altro da ricevere; sì, la nostra gratitudine non ama il benefattore per quello che è, ma per ciò che ci ha dato e che ci potrà ancora dare.

Certo! Nel corteo che grida a Gesù la sua riconoscenza, c’è tanta, troppa riconoscenza umana: tanti di quelli che gridano “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, il regno di Davide, nostro padre!”, lo fanno perché sperano che colui che proclamano re, includa anche loro nel Suo Regno per il motivo che, dietro a lui già vedono spuntare la gloria e la vendetta contro le legioni romane, sognano ingenti eserciti, un ingente bottino e le flotte di Israele che entrano a vele spiegate nel mare di Roma…

 Però non ci sono solo loro. In quel corteo che avanza piano piano, c’è Bartimeo figlio di Timeo, il cieco di Gerico appena risanato da Gesù, ed insieme con lui a gettare i mantelli sulla via e a cantare l’“osanna”, noi possiamo pensare che ci siano anche tutti gli altri a cui Gesù ha ridato perdono, salute, dignità, magari ci sono gli indemoniati liberati in Galilea, il lebbroso risanato e purificato, l’uomo con la mano paralizzata della sinagoga di Cafarnao, l’emorroissa, la figlia di Giairo che era morta e ora vive…tutti gli ammalati portati a lui sui loro giacigli “nei villaggi, nelle città, nelle campagne” (cfr Mc10, 56 ss.), il sordomuto al quale Gesù ha detto “Effatà”, aprendogli così bocca ed orecchie…il cieco di Betsaida e tanti altri…

Sì, possiamo pensare che anche loro siano tutti lì e che vivono il miracolo della riconoscenza, che cantano l’”osanna” perché sono grati a Gesù perché vogliono bene a lui e sono felici di quel suo bel momento.
 E dinanzi al loro canto, forse stonato, perché gli ex muti non hanno ancora imparato a cantare bene, non importa più tanto che fra sei giorni gli altri che cantano con loro capovolgano il loro “Benedetto” nel grido “Crocifiggilo!”…quando Giuda tradirà, Pietro rinnegherà e gli altri fuggiranno…loro, i beneficati da Gesù, non lo tradiranno e piangeranno la sua morte di croce…
 Uniamoci con loro al corteo di Gesù, anche se forse siamo un po’ “fuori posto”: siamo tutti vestiti troppo bene; non abbiamo mantelli un po’ sudati che ci possiamo togliere e possiamo gettare sulla groppa dell’asino o per terra…però va bene anche così, Gesù è così buono che ci accetta anche vestiti bene…
 È importante, però, vestiti a parte, il modo in cui ci uniamo al suo corteo. Unirsi alla piccola folla mentre canta il suo “osanna!” non è poi così difficile: non è mai troppo difficile far festa, anzi…è spontaneo ed è bello…però, se tutto quanto è solo “osanna!”, se è soltanto la gioia delle Palme, domani tutto già sarà finito.
Per fortuna si canta con la bocca. E non con gli occhi e neanche con le orecchie, ed allora, mentre cantiamo anche noi il nostro “osanna!”, teniamo gli occhi fissi su Gesù e con le orecchie ascoltiamo il suo silenzio… lasciamoci incantare dalla quieta dignità e dalla celata maestà del solo vero re degno di questo nome…e poi…mettiamoci dalla parte dei “più poveri dei poveri”, di quegli sventurati che Gesù ha risanato e che ora vivono il miracolo della riconoscenza… Noi lo possiamo e lo dobbiamo fare: quanti motivi abbiamo di essere grati al Signore!

Se sarà così, se ci uniremo a loro, noi come loro non lo tradiremo.
 E allora non soltanto questa storia non finirà con il Venerdì Santo, ma ogni giorno sarà un giorno d’inizio. L’inizio della “seconda parte del cammino” con Gesù.
 Dovremo camminare e camminare stanca e forse qualche volta la paura avrà la meglio anche sulla nostra riconoscenza ed allora ci fermeremo, o forse addirittura ci tireremo indietro…scapperemo, come sono scappati i dodici e tanti altri.
 Ma dopo il fallimento e dopo la sconfitta, se l’abbiamo davvero conosciuto anche soltanto un poco, ritorneremo da Gesù, perché sappiamo che ci accoglierà. Ci chiederà soltanto, come ha fatto con Pietro: “Di’ un po’: ma mi vuoi bene?”. E noi diremo “Sì”, e torneremo a stare assieme a lui e gusteremo ancora la riconoscenza.
 E sarà bello ritrovarci insieme, tutti quanti; vedere come il sogno, sognato da un profeta tanti secoli fa, s’è realizzato oltre ogni speranza e fa vera la vita… la fa già vera adesso.
 E non importa se per molti di noi la vita è ormai un po’ appassita; insieme con Gesù, insieme fra di noi, la vita è sempre bella, è sempre una realtà, anche quando le lacrime ci solcano le guance…perché noi siamo amati e ci possiamo amare, siamo consolati e possiamo consolare, siamo beneficati e possiamo vivere il miracolo della riconoscenza.
AMEN

Benedizione
Il Signore ci benedica e ci guardi. Il Signore faccia risplendere su di noi il Suo volto e ci sia propizio. Alzi il Signore il Suo volto su tutte le creature umane che soffrono e faticano a causa del COVID-19 e non solo, e possa dargli sollievo.
Andiamo in Pace e il Dio della Pace sia con tutti noi. Amen

29/03/2020

DOMENICA 29 MARZO – 5ª DEL TEMPO DI PASSIONE - JUDICA



Buon giorno e buona domenica a tutte e tutti, ci stiamo avvicinando alla Pasqua e questa di oggi è l’ultima domenica della Passione prima della Domenica delle Palme, questa domenica è denominata “Judica” il cui significato è preso dal Salmo 43 versetto 1 che dice così: “Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente malvagia; liberami dall’uomo falso e malvagio”.  Per questa domenica ho pensato anche su consiglio del lezionario di far dono a tutte e tutti voi del testo biblico e del Sermone tratto da Matteo capitolo 20 i versetti che vanno dal 17 al 28, auguro a tutte e tutti voi una buona lettura con l’augurio che tutto questo possa entrarci nei nostri cuori  per confermarci in ogni opera buona e in ogni buona parola.

Matteo 20, 17 – 28

17
 Poi Gesù, mentre saliva verso Gerusalemme, prese da parte i dodici; e strada facendo, disse loro: 18 «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso; e il terzo giorno risusciterà». 20 Allora la madre dei figli di Zebedeo si avvicinò a Gesù con i suoi figli, prostrandosi per fargli una richiesta. 21 Ed egli le domandò: «Che vuoi?» Ella gli disse: «Di' che questi miei due figli siedano l'uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra, nel tuo regno». 22 Gesù rispose: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete voi bere il calice che io sto per bere?» Essi gli dissero: «Sì, lo possiamo». 23 Egli disse loro: «Voi certo berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre mio». 24 I dieci, udito ciò, furono indignati contro i due fratelli. 25 Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. 26 Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; 27 e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti».




Questo…sarà l’ultimo viaggio di Gesù verso Gerusalemme insieme ai discepoli.

Altre due volte Gesù ha parlato ai suoi discepoli di quello che l’attende: “la cattura, l’esplosione dell’odio, le percosse, gli oltraggi e la morte sulla croce”. L’ha fatto per far sì che la tempesta di violenza e di sangue che sta per scatenarsi su di lui e perciò di conseguenza anche su coloro che sono i suoi seguaci, non abbia a scoraggiarli totalmente, e soprattutto l’ha fatto per il motivo che, quando ogni cosa si sarà compiuta, capiscano che lui, Gesù, non è stato la vittima di un fallimento irreparabile, ma che tutto quello che sta per avvenire sarà il frutto della sua obbedienza alla volontà del Padre; sarà, per così dire, lo sbocco conclusivo del progetto divino per la salvezza d’Israele e del mondo, e che “i capi dei sacerdoti e gli scribi” i quali metteranno le mani su di lui, saranno gli strumenti inconsapevoli di quel progetto che Dio porterà avanti ben al di là e al di sopra di ogni malvagità e ribellione umana, e, anzi, proprio servendosi di esse.
 Ma proprio perché qui c’è Dio in azione, la morte che Gesù dovrà subire non pronuncerà la parola “fine” sulla sua storia. Ecco il perché di quella strana e straordinaria aggiunta che egli ha fatto seguire alla parola sulla sua uccisione: il terzo giorno risusciterà”
 Siccome nella nostra esistenza terrena di creature, l’ultima parola è sempre invece quella della morte, i discepoli non riescono a comprendere cosa mai voglia dire quell’aggiunta, non afferrano il senso di quello strano verbo “risusciterà”. E poiché quello che non comprendi tendi ad accantonarlo, i discepoli s’arrestano nei loro pensieri alla cattura, ai dolori, alla morte che attendono il maestro. Non vanno oltre. E l’angoscia ricolma il loro cuore e chiude le loro bocche: non riescono a domandare spiegazioni, né su quello che non hanno capito, né su quello che invece hanno capito forse anche troppo bene: “Temevano” – così Marco ci descrive i discepoli dopo il secondo annuncio di passione – “d’interrogarlo” (Mc 9, 32).
 Certo, c’è qui un’enorme differenza tra l’impressione di forza e di coraggio che viene a noi dalla visione di Gesù che va incontro alla sua croce, e di quelli che lo seguono in preda allo sgomento. Però, vorrei difendere quei poveri discepoli impauriti. E li vorrei difendere proprio perché, nonostante i presagi di morte e nonostante il loro turbamento, sono ancora “discepoli”: continuano a seguire Gesù. Non lo abbandonano, né lo lasciano solo nel suo “salire verso Gerusalemme”. Verrà poi per loro il momento in cui la paura prenderà il sopravvento e allora, nel Getsemani, fuggiranno via tutti e lasceranno solo Gesù: lui e i suoi aguzzini. E sarà la passione.
 Qui però…ancora “reggono”; per il motivo che, l’amore nei confronti di Gesù vince la loro angoscia. E vanno avanti.
 Perciò, non disprezziamoli, come ogni volta siamo tentati di fare davanti a queste pagine. Proviamo invece a chiederci. “Noi, al posto loro, come ci saremmo comportati? Saremmo andati avanti, o piuttosto avremmo rinunciato a seguire Gesù sulla sua via?”.

Davvero…domandiamocelo…e forse apprezzeremo quei discepoli, pur nella loro paura, ma in qualche modo anche coraggiosi.

 Gesù, lui, li ha apprezzati. Ha accolto come un dono quel loro andare avanti assieme a lui, pur col cuore in tumulto. Ed ancora una volta, s’è chinato su loro, ed ha tentato di mettere in loro quel coraggio che avrebbero voluto avere, e invece non avevano: “Prese di nuovo da parte i dodici, e cominciò a dir loro: “Noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi. Essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, i quali lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e l’uccideranno, ma (è lo straordinario “ma” che introduce ancora una volta l’annuncio della sconfitta della morte) dopo tre giorni egli risusciterà”.
 E stavolta, qualcuno afferra il senso di speranza e vittoria di quel “risusciterà”. Lo fa in maniera goffa, un poco comprendendo e un poco no; e…in maniera sbagliata, lasciandosi coinvolgere in un gioco di potere, ma comunque lo fa…e questi sono i due “figli di Zebedeo”, che insieme alla loro madre s’avvicinano a Gesù, e la madre chiede: Di' che questi miei due figli siedano l'uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra, nel tuo regno”.
 Ho detto: “un poco comprendendo e un poco no”. Perché, se ”Giacomo e Giovanni” hanno giustamente intuito che la via di Gesù è una via di vittoria, questa intuizione li porta ad ignorare tutto ciò che precede il “tre giorni dopo risusciterà”. Per loro, adesso tutto è solo “gloria”! E a questa gloria vogliono aver parte al massimo livello: direttamente al fianco di Gesù!
 “Voi non sapete quello che chiedete”, è l’amara risposta di Gesù. Sì, come Pietro, di fronte al primo annunzio della passione, s’era messo a rimproverare Gesù, meritandosi l’appellativo “Satana”, perché anche lui sognava solo gloria, così qui i due fratelli deludono Gesù. Vedete? Pietro, Giacomo, Giovanni. I tre “prediletti” del Signore, quelli che aveva voluto accanto a sé sul monte della Trasfigurazione… anche loro fraintendono il Maestro, perché amano il trionfo, la vittoria, la gloria… perché amano il successo, come tutti…
 Ma il successo è qualcosa che ti abbaglia. Così, malgrado il duro rimprovero di Gesù a Pietro; malgrado il suo continuo insegnamento a rinunciare a se stessi e prendere la croce; malgrado i suoi rimproveri ogni volta che i discepoli si sono messi a disputare su chi tra loro fosse il più grande; malgrado il suo triplice annunzio di passione e di morte, Giacomo e Giovanni fantasticano sulla sua e sulla loro gloria prossima ventura, e tramano per ottenere posizioni di privilegio.
 A questo punto, Gesù non li rimprovera nemmeno…a cosa servirebbe? ...cerca piuttosto di orientare il loro attaccamento a lui, verso la verità. Ecco il senso della sua strana domanda: “Potete voi bere il calice che io sto per bere?”, che significa: “Per giungere alla gloria a cui voi due pensate, è necessario che io beva il calice della mia passione e che sia immerso nella morte. Siete voi in grado di condividere con me questo percorso?”.
 E alla risposta subito positiva – ma forse non riflessa – dei due impetuosi “figli di Zebedeo”, Gesù ricorda loro che la via di dolore e di gloria che li attende, non è quella di chi cerca il successo “a tutti i costi”. La via di Gesù non è il percorso di chi cova ambizioni per sé stesso, ma è, dall’inizio alla fine, sottomissione alla volontà di Dio.

Giacomo e Giovanni potranno un giorno percorrere questa strada solo perché sarà loro concesso dalla grazia divina di dimenticare se stessi per vivere e morire nell’obbedienza a Dio. Senza cercare posti privilegiati o seggi da occupare, per questo Gesù disse loro: “Voi certo berrete il mio calice; ma quanto al sedersi alla mia destra e alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre mio”.
 “Quelli per i cui è stato preparato dal Padre mio”, ebbene, coloro a cui Dio darà di sedere alla destra e alla sinistra di Gesù saranno i due ladroni che saranno appesi al patibolo accanto a lui sul Golgota. Proprio così: Gesù diverrà re, ma il suo trono sarà la croce e la sua corona sarà di “rami spinosi di acanto”. E chi vorrà trovarsi accanto a lui, dovrà anch’egli stare appeso a una croce. Perché Dio agisce così, “chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo”, come vedete, le sue vie sono diverse dalle nostre vie!  
   Ma con Gesù sulla via per Gerusalemme non c’erano soltanto Giacomo e Giovanni. C’erano anche gli altri dieci discepoli. E la domanda dei due fratelli non è passata inosservata. E accade quello che non può non accadere: I dieci, udito ciò, furono indignati contro i due fratelli”.
 Certo, questa indignazione può dare l’impressione di una giusta reazione contro le ambizioni dei figli di Zebedeo, ma noi ormai li conosciamo bene tutti quanti, quei dodici discepoli, e abbiamo più di un motivo per sospettare che la loro giusta collera, in realtà nasca dall’ambizione di chi vorrebbe per sé i due posti privilegiati desiderati dai fratelli.
 E quel che Gesù fa, subito dopo, ci fa pensare che il nostro sospetto sia giustificato: “Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” …  Con queste parole, Gesù vuol dire a loro: “Da tanto tempo ormai siete con me. Sapete che ‘gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, le volpi le loro tane, ma io non ho dove poggiare il capo’; che ho voluto essere “il povero tra i poveri”, ma non vi siete accordati alla mia musica. Voi danzate ancora secondo le melodie del mondo, vi lasciate ammaliare dal canto delle sirene del potere. ‘Ma non è così tra di voi!’. Tra di voi, i miei discepoli, non può essere così! Il mio stile di vita non è questo e non può essere neanche il vostro, sotto pena di non essere più miei: “Chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo, sarà servo di tutti. Poiché (è l’affermazione che chiude in modo splendido il racconto) anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”.                                           
Davvero una grande affermazione. Che ci dice chi è Gesù per noi: è il nostro redentore, che ha pagato “il riscatto” per la nostra libertà. E l’ha fatto a caro prezzo: a prezzo della vita! Ed il solo motivo per cui ha dato la vita è il suo amore per noi.
 Nella Prima lettera di Giovanni, tutto questo, e le sue conseguenze per noi, sono meravigliosamente esplicitati: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi. Anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli … Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 3, 16. 4, 11). Noi non possiamo, come Gesù, redimere né gli altri né noi stessi, ma se davvero vogliamo seguirlo, se vogliamo essere davvero i suoi discepoli, siamo chiamati a dare la nostra vita per gli altri, come ha fatto lui.
 Ho citato la Prima lettera di Giovanni, la cui lettera, molti studiosi affermano che non è stata scritta dal fratello di Giacomo, ma da un altro Giovanni, invece…mi piacerebbe pensare…oggi…che l’autore di queste parole sia proprio lui, Giovanni…figlio di Zebedeo. Perché vorrebbe dire che ha compreso la grande lezione di Gesù. E soprattutto, perché vorrebbe dire che, come lui è cresciuto e cambiato alla scuola del Maestro, come anche noi possiamo crescere nella comprensione del Signore, cambiare idee e cambiare stile di vita!

 Detto questo vorrei porvi due attente valutazioni.

La prima riguarda il discorso sempre difficile del potere. Un discorso particolarmente difficile per noi cristiani che leggiamo queste righe, perché ci verrebbe comodo, e, in questi tempi di un “Atteggiamento critico e ostile nei confronti di privilegi di ogni natura”, anche facile metterci a criticare un po’ tutti i potenti, dagli uomini politici non solo così privilegiati ma per giunta così spesso anche corrotti, ai supermanager dagli stipendi e dalle pensioni d’oro, ai big della finanza con le loro speculazioni milionarie e chi più ne ha più ne metta… E però c’è il piccolo particolare che qui Gesù non sta parlando a loro né di loro. Gesù sa che, da sempre, chi è riuscito ad arrivare ad una posizione comunque di dominio se la tiene ben stretta e la sfrutta finché può… sa che le cose sono andate, vanno e andranno così, perché questo è il gioco del potere. L’abbiamo ascoltato: “Voi sapete che quelli che son reputati principi delle nazioni le signoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio”. Il mondo funziona così, e c’è soltanto da prenderne atto.
 Ma, ed è questo che interessa a Gesù (e allora ci accorgiamo di come questo discorso ci tocchi direttamente), se il mondo funziona così, così non può funzionare la sua chiesa: “Ma non è così tra di voi (non “non può essere così”, né “non deve essere così”, e neanche “non sarà così tra di voi”… qui c’è un presente davvero impressionante, che elimina ogni possibile scappatoia o rinvio della cosa: “tra voi non è così”! “anzi” – continua Gesù – chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo, sarà servo di tutti”.

Nella chiesa non può esserci ambizione, né protagonismo, né ricerca dei primi posti… non c’è nessuno che possa pensare di essere necessario ed insostituibile, perché l’unico che è davvero insostituibile ce lo dice parlando di sé stesso Gesù: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”.

Gesù è venuto a servire veramente, non a esercitare e a prolungare il suo potere con la scusa del servizio. Quando il progetto di Dio per lui è arrivato al compimento ed è venuta la sua ora, “ha dato la sua vita”, e anche dopo la sua risurrezione ha incontrato i suoi discepoli per rinforzarli e donar loro lo spirito d’amore e di sapienza necessario per renderli i suoi apostoli, dopo di che è ritornato al Padre affidando a loro la cura della chiesa…questo è il motivo per cui gli apostoli, andavano, predicavano, fondavano una chiesa e poi andavano altrove per annunciare altrove l’evangelo. Sempre in viaggio… sempre in servizio e al servizio… mai amministratori né gerarchi… ed anche noi dobbiamo stare attenti a non fare del nostro servizio nella comunità, di qualsiasi tipo sia, una ipocrisia che mascheri la detenzione di un potere…

 L’ultima valutazione.
 Per noi oggi, cadere nella tentazione di deplorare i suoi primi discepoli è una cosa che dovremmo evitare, perché – come ho già detto prima – hanno almeno avuto il coraggio di continuare ad andare dietro a lui nonostante siano stati tanto perspicaci da capire che stava per accadere qualcosa di terribile.
 Ebbene, troppo spesso invece, l’evangelo che noi oggi annunciamo lo viviamo e lo presentiamo come privo del benché minimo rischio. Troppo spesso viviamo il nostro essere cristiani come una tranquilla condizione di rispettabilità ed invece come ci è stato detto a chiare lettere oggi, seguire Gesù, è qualcosa che, solo se intuisci che vuol dire, ti fa tremare e ti turba nel profondo, ed è tutto meno che una modalità di realizzarti come essere umano stimato e di successo. Perché seguire le orme di Gesù deve essere “abnegazione”, cioè “negazione di se stesso in favore degli altri” o “nobile martirio”…in quanto…c’è una parola, nell’annuncio che Gesù ha fatto ai suoi discepoli che riguarda quello che lo attende, su cui noi spesso non ci soffermiamo, perché forse è la più spiacevole e più scomoda: “Noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi. Essi lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, i quali lo scherniranno

Il cammino che Gesù deve percorrere, presuppone anche lo “scherno.

Per questo voglio ricordare quello che si diceva dei primi valdesi.
 “Nudi, seguono un Cristo nudo”. 
 E non a caso, questa frase così bella, è stata scritta da un canonico mentre li stava deridendo per la loro impreparazione teologica: “Vogliono predicare, insegnare agli altri, e sono dei veri e propri asini!”. 
 Gesù non è stato rispettato e non possiamo esserlo neanche noi. Ricordiamo quell’altra sua parola: “Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi!”. Non è una condizione estrema o un paradosso, ma è – o dovrebbe essere – la nostra normale condizione di seguaci di Gesù.
 Di fronte a tutto questo, cosa dire? La reazione più spontanea è quella che già non pochi dei suoi hanno avuto al tempo del Signore. È scritto nel vangelo di Giovanni che “molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: “Questo parlare è duro; chi lo può ascoltare?”. E poi l’evangelista nota: “Da allora molti si tirarono indietro e non andarono più con lui”.
 Sì, è davvero “duro” ascoltare Gesù quando dice certe cose… è difficile… e pressoché impossibile… Ma è così. Giovanni, poi, va avanti e ci dice che “Gesù disse ai dodici: – Forse volete andarvene anche voi?” e che “Simon Pietro gli rispose: – Signore, da chi andremmo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.

Parole dure, impossibili… ma le parole del “Santo di Dio” che “è venuto per servire e per dare la vita come prezzo di riscatto per molti”. Noi abbiamo ricevuto la grazia di “credere e conoscere” Gesù. Ci dia il Signore di superare le nostre paure e i nostri turbamenti, e di perseverare dietro a lui sulla via che sale a Gerusalemme: sarà schernito, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e l’uccideranno, ma dopo tre giorni egli risusciterà”, e noi, un giorno, risorgeremo assieme a lui.

AMEN

Signore, donaci di vivere la nostra fede come una Tua chiamata personale, per seguirti sui sentieri che Tu ci vorrai mostrare, giorno dopo giorno, facci sentire la Tua presenza nel difficile cammino della vita, affinchè non ci scoraggiamo mai, soprattutto in questi giorni difficili sii vicino a tutti i malati che si trovano a casa o negli ospedali e vicino a tutti coloro che li curano affinchè possano trovare sollievo. Amen