Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

05/07/2020

“Il Figlio dell’Uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto.” (Luca 19,10)


SALUTO DI ACCOGLIENZA
Prima dell’ascolto della Parola del Signore, vorrei porre all’attenzione di tutte e tutti un racconto e una riflessione che sono degli Inni alla fratellanza:
Un vecchio Rabbì chiese un giorno ai suoi allievi: “Chi di voi saprebbe dirmi come si può distinguere il momento in cui finisce la notte ed inizia il giorno?”.
"Io direi, rispose prontamente un allievo: quando, vedendo un animale a distanza, uno sa distinguere se è una pecora o un cane".
"No", rispose il Rabbì.
"Potrà essere l’inizio del giorno, disse un altro, quando, vedendo da lontano un albero, si può dire se è un fico o un pesco”.
"Neppure", insistè il Rabbì..
"Ma allora?", chiesero i discepoli, quando mai si può capire quando finisce la notte ed inizia il giorno?.  “Quando, rispose il Rabbì, guardando in volto un uomo qualunque, tu vedi che è tuo fratello o tua sorella: perché se non riusciamo a fare questo, qualunque sia l’ora del giorno, è sempre notte…nel tuo cuore”.
"Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli" (Martin Luther King). 


ASCOLTO DELLA PAROLA
PREGHIERA DI ILLUMINAZIONE

Signore, quest’oggi mediteremo il tuo evangelo usando le nostre parole, perché non siamo capaci di fare altrimenti. Aiutaci, tuttavia, a percepire il senso che va al di là di quello che pronunciamo, il messaggio che tu vuoi farci ascoltare. Dacci di comprendere che la tua Parola dà spessore e
significato alla nostra vita. Donaci il tuo Spirito perché la tua Parola porti frutto in noi, alla tua gloria, in Gesù Cristo, Signore nostro. Amen.

TESTO BIBLICO  DELLA MEDITAZIONE
Luca 15 ,  1 – 10
1 Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. 2 Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3 Ed egli disse loro questa parabola: 4 «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? 5 E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; 6 e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta". 7 Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.
8 «Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova? 9 Quando l'ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta". 10 Così, vi dico, v'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede».
MEDITAZIONE

L’insegnamento di Gesù sull’amore senza limiti di Dio è risuonato sconcertante alle orecchie dei farisei e degli scribi del suo tempo ed ha inasprito la loro ostilità nei suoi confronti. Ma…per noi…oggigiorno, tutto questo come risuona?
Questa che vi ho posto, non è una domanda scontata. È una domanda vera, perché noi non dobbiamo illuderci, né tanto meno sopravvalutare l’ampiezza del nostro cuore.
   Anche per noi è difficile accettare l’annuncio di un amore divino così “spericolato”, e più in generale non ci è facile accettare il Dio che Gesù ci presenta.
   Abbiamo visto come, con le sue parabole, Gesù non si limiti a difendersi dal mormorio dei suoi interlocutori, ed invece passi decisamente all’attacco. Per questo invita proprio i pii per eccellenza del suo popolo ad immedesimarsi con la figura disonorevole di un “pastore” e con l’altra figura, ugualmente emarginata, di una “donna”. Però, con un salto vertiginoso, ecco che sulle labbra di Gesù queste due figure così misere si trasfigurano a diventare l’immagine stessa di Dio!
   Sì, Dio – niente meno che lui! – è rappresentato dal “pastore”, che abbandona il suo gregge nel deserto e corre alla ricerca della “pecora perduta”, ed è allora Dio stesso che si mette quella povera bestia sulle spalle e la tiene ben stretta perché non cada a terra; ed è sempre ancora Dio che, arrivato a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “rallegratevi con me!”. E Dio è ancora quella povera “donna” che accende il lume e spazza la sua abitazione alla ricerca della “dramma smarrita” e s’affanna a cercarla finché non l’ha trovata e poi una volta che l’ha trovata, esce fuori e festeggia anche lei con le sue amiche…
   In questo racconto, vediamo Dio, come uno scomunicato dagli uomini di Dio…e vediamo Dio come una donna a cui non era concesso di studiare la legge…Dio – ed è il tocco finale di Gesù – che nei cieli è felice quando un suo figlio smarrito si converte e torna a lui…e ride ed invita gli angeli a ridere con lui…
   Ci è facile accettare un Dio così? Francamente, non lo credo, anche perché un Dio così, che ama in maniera illimitata, è come un’onda, come uno tsunami, è un vento di tempesta che ti investe e che non può non scuoterti…non puoi non ritrovarti trasformato, costretto a rinnovarti, a rinnovare tutta la tua vita…
   È strano, ma è così. Il Dio esigente dei “farisei” e degli “scribi”, il Dio che fissa regole che ingabbiano il tuo agire entro schemi obbligati e che poi ti sorveglia occhiutamente e ti condanna se non le rispetti, è molto meno esigente del Dio di queste parabole di Gesù che normalmente chiamiamo “della misericordia”…perché il Dio di queste parabole non si accontenta del tuo agire obbediente, della tua scrupolosa osservanza delle regole, il Dio “pastore e donna”, il Dio che prova gioia e ride su nel cielo…vuole te! Ti vuole tutto intero! Vuole “darti la scossa” col Suo amore che non conosce limiti e ti chiama ad amarlo senza limiti…Vuole – ricordiamo la terza richiesta del Padre Nostro – che “la Sua volontà diventi la tua volontà”! E non è forse, questa, un’esigenza sconcertante e scandalosa?
   È lo scandalo dell’Evangelo di Gesù. Lasciamoci stupire quindi da questa “impossibile” rivelazione di Dio…dal Dio delle parabole della misericordia e dell’amore per i lontani, gli esclusi, i peccatori…Lasciamo risuonare nel nostro cuore quell’invito che oggi ci è risuonato due volte nelle orecchie: “Rallegratevi con me!”. Così, allo stupore farà seguito la gioia… Amen

Preghiera di Intercessione
Dio nostro, ti preghiamo per quelli e quelle che abbiamo incontrato sul nostro cammino e a cui abbiamo dato in qualche modo solidarietà.
Ma soprattutto ti preghiamo per quelli e quelle a cui non abbiamo voluto o saputo darla. Ti preghiamo ugualmente per coloro che non abbiamo incontrato, perché la distanza ce ne separa. E ti preghiamo per coloro che non abbiamo incontrato, malgrado ci fossero vicini, perché barriere umane ce lo hanno impedito. Solo tu, Padre di tutta l’umanità, vinci queste barriere. Con questa consapevolezza ti eleviamo la Preghiera che il Tuo amato figlio ci ha insegnato: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.” Amen


BENEDIZIONE  (Dietrich Bonhoeffer)
Il Signore ci guidi con benevola mano attraverso i tempi difficili che viviamo,             ma soprattutto ci guidi a sé.
Amen

(Giampaolo Castelletti, domenica 28 giugno 2020. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

23/06/2020

Chiesa Evangelica Metodista di Intra e Omegna LITURGIA PER IL CULTO PUBBLICO DI DOMENICA 21/06/ 2020 «Essi leggevano il libro dell’insegnamento a piccoli brani e con ricerche del senso» (Nehemia 8:1)


ACCOGLIENZA E LODE

Saluto
Nel nome del Padre, il Dio che si lascia incontrare in quella Parola che affiora sulle sue labbra soltanto per poter raggiungere i nostri cuori, là dove, poi, germoglia in una pioggia di colori

Nel nome del Figlio, che questa Parola ha annunciato e incarnato, spargendola in mille meraviglie sugli animi dei semplici e delle escluse, di cui, insieme col Padre, difende il diritto e protegge la vita, con dolcezza e fermezza

E nel nome dello Spirito di Dio, che quella stessa Parola innerva e vivifica, donandocene, a ogni ascolto, rinnovata, mai conclusa comprensione, che si traduce nel gesto silenzioso e coerente di chi, nella sua vita, la mette in pratica. Amen

Invocazione (Salmo 119:160) - (Luigi Pareyson)
«La verità è il principio della Tua Parola»

«La verità non si offre che alla libertà: ed è attraverso questa via rischiosa, segnata dal dubbio, che essa si consegna ad un'interpretazione, mantenendo sempre, tuttavia, un'irriducibile riserva (...) È soltanto da un'indebita confusione, infatti, che nasce il falso dilemma tra l'unicità della verità e la molteplicità delle formulazioni, come se, unica essendo la verità, ne dovesse esistere un'unica formulazione legittima (...) Eppure l'esperienza più comune basterebbe a metterci in guardia da posizioni del genere, purtroppo così diffuse: un esempio evidentissimo, in tal senso, ci viene fornito dall'esecuzione musicale. Anche in musica, infatti, l'opera è accessibile solamente all'interno di una sua esecuzione.
E anche in musica la molteplicità delle esecuzioni non compromette l'unicità dell'opera (...) L'esistenza dell'opera musicale, difatti, non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora dell'esecuzione, la quale, tuttavia, per il suo carattere personale e quindi interpretativo, è sempre nuova e diversa, cioè molteplice (...) Così la verità, lungi dal disperdersi nelle proprie formulazioni, ne alimenta essa stessa la pluralità e, proprio come avviene per l'opera musicale rispetto alle sue esecuzioni, non permette a nessuna di esse di monopolizzarla, né dimora in una soltanto di esse in modo privilegiato ed esclusivo, ma tutte le suscita e tutte le esige»
        
Confessione di peccato (Salmo 119:9)
 «Come potrà un giovane, una giovane, mantenere limpido il suo sentiero? Custodendo le Tue parole»

Cosa è ormai rimasto, o Dio, di limpido? Troppe cose, lo sappiamo bene, si muovono e si celano nel torbido, dove il gioco è quello di rimestare le acque per confondere ogni cosa, chiamando giusto ciò che è iniquo e gettare ogni evento nell’opacità. In questo quadro sconfortante è chi è più giovane a risultare più esposto, a smarrirsi con più facilità: perché regna sovrana l’ambiguità, perché la menzogna si ammanta di credibilità, perché inganno e onestà vengono presentati come equivalenti o, peggio, indifferenti. Come può, allora, il sentiero di chi si è appena messo in cammino lungo la strada affascinante e complessa della vita, mantenersi limpido? Facendo affidamento a quella Tua Parola, o Dio, che denuncia l’ingiustizia, soccorre l’oppresso, si fa accanto a quante avvertono nell’intimo sconcerto e smarrimento, per accompagnarli nella costruzione di un cammino lungo il quale il gesto gratuito si distingue dall’opportunismo e la speranza di relazioni più umane riposa, oltre che nelle Tue, anche nelle nostre mani. Amen

Annuncio del perdono (Salmo 119:25)
«La Tua Parola mi dona la vita»

Quando Tu ci parli, o Dio, carezze ci sfiorano l’anima e i sensi e tutto, dentro di noi, fiorisce: rinverdiscono le speranze infrante, si ridestano le primavere dimenticate, si rivestono di foglie i rami secchi delle nostre delusioni. La Tua Parola, o Dio, è balsamo sul cuore ferito, dono inatteso che dirada le nubi di un cielo plumbeo e riapre ai nostri sguardi orizzonti che credevamo preclusi, squarci d’azzurro che ridanno respiro al nostro affanno, ci restituiscono fiducia e ci fanno avvertire, leggero e sicuro, il suono del Tuo passo a rendere meno cupo lo smarrimento. Amen 

TESTO PER LA PREDICAZIONE (Nehemia 8:8)

Essi leggevano il libro dell’insegnamento a piccoli brani e con ricerche del senso: e così ne rendevano più chiara la lettura

PREDICAZIONE

Domenica scorsa ci siamo lasciati sulla soglia di una porta presso la quale abbiamo condiviso, in un abbraccio ideale con chi rientrava da un lungo esilio, l’esperienza dell’ascolto di pagine antiche e sempre nuove. Il libro da cui esse sono tratte è chiamato, nella tradizione ebraica, Torah, ovverosia Insegnamento, e non, come spesso viene reso in italiano, legge: la differenza non è affatto di poco conto, poiché a una legge si è chiamate e chiamati ad ubbidire, senza che ci venga necessariamente richiesto di comprenderla e di condividerne il contenuto; non così, invece, per l’insegnamento, che, per essere seguito e realizzato, deve prima essere vagliato, compreso e accolto. Per tutta la tradizione ebraica, di cui lo stesso Gesù è figlio e per ciò stesso espressione, il rapporto con le Scritture si configura in questo modo: si tratta di una relazione vivente, di un reciproco, instancabile interrogarsi, che va dal testo a chi lo ascolta e viceversa. Non è materia inerte, il testo: al contrario, è cuore pulsante che alimenta una gioiosa irrequietezza, un desiderio che si rinnova ad ogni nuovo ascolto e non si spegne nella spiegazione, ma si ridesta e si riaccende, ogni volta di nuovo, nel commento. Ogni testo, infatti, ogni racconto, è un invito a scavare, alla ricerca di sensi che fioriscono ad ogni passo, custoditi nel cuore stesso di parole che sono come indizi che ci mettono sulle tracce di una ricerca che non ha fine e che si chiama fede. Credere, difatti, significa rimanere viandanti, mantenere il cuore e la mente aperti a quel dono di novità in cui Dio si lascia incontrare, ma mai identificare una volta per tutte e, men che meno, imprigionare. Fede è freschezza che si alimenta di una lettura sempre rinnovata e mai conclusa, quella stessa che fa sì che, giorno dopo giorno, ci rechiamo presso una fonte che ci dona, al contempo, la sete e l’acqua. Questo è la bibbia: acqua di sorgente che, mentre spegne la sete, torna a ridestarla.
Noi ci accostiamo a questa fonte con le piccole anfore dei nostri cuori, che si ricolmano della sua acqua per poi svuotarsi e tornare ad attingere a lei, incessantemente. La nostra sete può placarsi, ma mai estinguersi: quella stessa Parola che la spegne, difatti, torna anche ad alimentarla.
Ma perché ciò avvenga, le Scritture vanno accostate, interrogate, interpretate: non sempre, difatti, la loro comprensione è immediata, come del resto accade con tutti gli incontri significativi che trasformano le nostre vite e i nostri sguardi. Bisogna sostare nei pressi delle Scritture, radicarsi in loro come l’albero che mette radici profonde per nutrirsene, come narra l’inizio del libro dei salmi. Ed ecco che, sulla soglia della Porta delle Acque, in una Gerusalemme che sta ancora provando a scrollarsi di dosso la polvere delle sue macerie, l’ascolto si fa sosta che acuisce i sensi.
Narra il libro di Nehemia, al versetto 8 dell’ottavo capitolo:
“Essi leggevano il libro dell’insegnamento a piccoli brani e con ricerche del senso: e così ne rendevano più chiara la lettura”
A piccoli sorsi: così un popolo dal cuore ferito per il ricordo ancora vivo di un esilio prolungato e doloroso attinge alla Parola. Non si tratta, per così dire, di una ubriacatura che stordisce, per poi non lasciare di sé che la traccia di uno stordimento fugace e sterile. No: si tratta di un ascolto attento e paziente, che contempla pause, domande, riflessioni, chiarimenti. Su pagine che trasudano senso non si può correre distrattamente: altrimenti, esse scivolano via e non penetrano nel profondo. Forse il tempo scandito da pause che – per un periodo breve a tanti apparso così lungo – hanno rallentato la nostra irrefrenabile corsa, ha provato a insegnarci che un respiro senza pause diventa corto e affannoso.
Eppure, a così poca distanza da eventi che hanno interrotto bruscamente il ritmo sincopato delle nostre vite accelerate, ho come l’impressione che il nostro goffo tentativo sia quello di tornare in tutta fretta a quella follia che chiamiamo “normalità”, guardando al recente passato come a un incubo da cui ci si è risvegliati, ridestandoci, insieme, alla medesima indifferenza.
Un tempo più disteso, inizialmente gradito, ha finito per turbare quante e quanti non sanno che farsene, inquietati più che confortati dalla possibilità di stare troppo a lungo in compagnia di uno sconosciuto che porta casualmente il nostro stesso nome. Così, in men che non si dica, siamo tornati a correre, con l’unico, insensato obiettivo, di allontanarci il più possibile da quell’essere che sembra avere le nostre sembianze e la cui indistinta, ingombrante presenza non fa che metterci a disagio.
L’ascolto della Parola, al contrario, rappresenta lo spazio dell’incontro con Dio così come del ritorno a sé: aspetti distinti, certamente, ma non estranei l’uno all’altro. Il testo biblico, difatti, è insieme sentimento di Dio ed esperienza di sé, avvicinamento all’uno come all’altro. È avventura di autenticità, domandare lieto e inesausto, itinerario che porta a Dio mentre riconduce a sé: nell’ascolto della Parola, infatti, si riabbracciano entrambi questi universi intimi e ignoti, diversi eppure intrecciati. Ricercare incessantemente gli infiniti sensi che il testo biblico custodisce e, se opportunamente accolto e interrogato, sprigiona, significa al contempo gettare una luce su di sé, su quel mistero inesauribile che siamo a noi stesse, a noi stessi. Leggiamo e rileggiamo la bibbia per comprenderla meglio, senza dubbio, ma anche – e questo spesso ce lo dimentichiamo – per comprenderci meglio.
Perché questo viaggio affascinante e interminabile possa avere inizio, dobbiamo riacquisire familiarità con una Parola indomita e viva, libera e provocatoria, che si agita dentro e sotto le pagine di ogni testo che ci raggiunge e ci interpella. Di questo narra il bellissimo comento del biblista ebreo francese David Banon, che, nel suo splendido libro La lettura infinita, scrive, anche per noi, queste parole:
“Le Scritture non dovrebbero essere oggetto di devozione o sacralizzazione, pratiche, generalmente, legate al culto dei morti; non un “testamento”, dunque, quanto, piuttosto, un fidanzamento: un’esperienza di vita, di scoperte, di incontri, di imprevisti, di novità. Un’avventura del senso (…) Non si tratta di un pacchetto sigillato che si passa di mano in mano e di generazione in generazione senza aprirlo, ma di un tesoro inesauribile, a cui attingere a piene mani”.
[Tratto da: David Banon, La lettura infinita, Jaca Book, Milano, 2009, cit. pp. 70-71 – orig. francese del 1987]

Un libro, insomma, che parla a noi perché parla di noi: pagine su cui fare ritorno ogni giorno di nuovo, perché ogni giorno hanno qualcosa da dire a quel cambiamento che siamo e che la bibbia ci aiuta ad accogliere e a comprendere, aiutandoci in quel cammino costante in cui consiste una fede da apprendere a ogni passo, in compagnia di quel Dio, come noi, amante dei sentieri e degli incontri di cui ogni cammino è costellato.

Alessandro Esposito – domenica 21 giugno 2020


BENEDIZIONE (Giuseppe Centore)
 Di silenzio in silenzio la tua anima cresca
come una linea tra la neve e il sole
come una cosa salda in un paese d'ombre
Ed abbia la tua voce odore d'erba dopo la pioggia
E ciò che dalla vita hai ricevuto
profondità sofferta o estasi goduta
ti sia nella memoria come una primavera ripetuta



21/06/2020

DOMENICA 21 GIUGNO 2020


Buongiorno e buona domenica a tutte e a tutti, quest’oggi è la 3ª domenica dopo Pentecoste e questo è il versetto biblico che ne fa da riscontro “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo.” (Matteo 11:28)
SALUTO e ACCOGLIENZA
Il nostro aiuto, la nostra speranza e la nostra consolazione sono in Dio che ci ha creati e che ci salva in Gesù Cristo. Amen
ASCOLTO DELLA PAROLA
Preghiera di illuminazione
Grazie, Signore nostro, perché la tua parola ci raggiunge con tutta la sua ricchezza e con la meravigliosa notizia del tuo invito. Tutti sono chiamati alla comunione con te: quelli che stanno facendo un faticoso cammino di fede, quelli che si sentono estranei alla vita delle chiese, quelli che sono resi indifferenti dal vuoto spirituale del nostro tempo. Tu vuoi raggiungere tutti, a tutti vuoi donare il pane vero della comunione con te. Fa’ che anche noi percepiamo nuovamente l’invito che proviene dalla tua parola. Non vogliamo smettere di cercarti mentre tu ti lasci trovare; di invocarti mentre sei vicino. Vogliamo nutrirci con la verità che tu ci doni generosamente, senza condizioni. Perché la tua parola non delude, ma porta sempre a…effetto le tue promesse. Donaci lo Spirito, perché la tua parola compia anche in noi la sua opera, e noi possiamo rispondere con fede e allegrezza. Nel nome di Gesù. Amen.
TESTO PER LA MEDITAZIONE
Luca 14,  (12 – 14) . 15 - 22
12 Diceva pure a colui che lo aveva invitato: «Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta invitare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio; 13 ma quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14 e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti».
Parabola del gran convito
15 Uno degli invitati, udite queste cose, gli disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!» 16 Gesù gli disse: «Un uomo preparò una gran cena e invitò molti; 17 e all'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: "Venite, perché tutto è già pronto". 18 Tutti insieme cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: "Ho comprato un campo e ho necessità di andarlo a vedere; ti prego di scusarmi". 19 Un altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi". 20 Un altro disse: "Ho preso moglie, e perciò non posso venire". 21 Il servo tornò e riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa si adirò e disse al suo servo: "Va' presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi". 22 Poi il servo disse: "Signore, si è fatto come hai comandato e c'è ancora posto".
MEDITAZIONE
Proprio la menzione della “risurrezione dei giusti” provoca la reazione di un invitato che esclama queste parole: “Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!”. Chiaramente, colui che dice questo, annovera se stesso tra i “beati” di cui parla. Non ha minimamente colto l’esigenza né l’urgenza della provocazione di Gesù. E Gesù ci pensa lui a fargliela cogliere…
   È La parabola del “gran convito”, che elimina ogni equivoco sull’urgenza della decisione da prendere, percorsa come è, lungo il suo svolgimento da queste espressioni: “è l’ora”, “tutto è già pronto” , “bisogna fare presto”.
Il racconto poi, molto sobrio e molto animato, oppone fra di loro due gruppi: coloro che – invitati – hanno fatto la scelta di non partecipare al banchetto, e quelli che alla fine, in maniera inaspettata, beneficeranno della scelta dei primi.
Ma come vanno le cose in questa parabola?
L’etichetta dell’epoca prescriveva che un invito a un banchetto pervenisse con un anticipo sufficiente per permettere al destinatario di prevenire un eventuale impedimento. Le scuse dell’ultimo minuto presentate dai vari invitati al servo incaricato di ricordare che ormai ogni cosa è pronta, nella sensibilità dell’epoca, sono quanto mai urtanti.
Giustamente, allora – dice Gesù: “Il padrone di casa si adirò”. È una collera che richiama alla mente di chi ascolta un motivo ricorrente negli scritti profetici: il rifiuto di Israele di accogliere l’appello a convertirsi e l’annuncio del giudizio di Dio su quel rifiuto. Qui è la dichiarazione finale: “Io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena”, che funge da giudizio, ma – all’epoca della stesura del vangelo – anche da constatazione di come le cose effettivamente sono andate: tutti quelli (i “molti” invitati alla “gran cena”) che, in Israele e fuori di Israele, sono rimasti o resteranno chiusi al messaggio di Cristo, subiranno le conseguenze del loro rifiuto. E anche se poi dovessero ripensarci ed andare al banchetto… beh, troveranno tutti i posti occupati da una corte di mendicanti e di poveri malati…
Perché intanto, il padrone di casa non s’è arreso: vuole fare il suo banchetto e lo farà! E manda un’altra volta in giro il servo che, instancabile, si aggira “per le piazze e per le vie” per reclutare gente da condurre alla festa: prima percorre tutta la città, poi passa alla campagna circostante (per molti commentatori, questo doppio “va e vieni” prefigura la predicazione apostolica, nel libro degli Atti prima rivolta “in casa” ad Israele e poi “fuori casa” ai non ebrei ).
E quando “i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi” (notate come questa lista è tale e quale a quella degli invitati da privilegiare che Gesù ha presentato a colui che l’aveva invitato) hanno riempito la sala del banchetto, il padrone, che voleva proprio questo: “Va’ … e costringili a entrare, affinché la mia casa sia piena”, è pronto a fare festa assieme a loro, e così gode pienamente la “beatitudine” annunciata da Gesù: “Quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti”.

Sorelle e fratelli, se gli ebrei del tempo di Gesù avevano le loro regole di comportamento, le loro etichette, il loro protocollo, le loro inclusioni ed esclusioni, noi siamo un po’ tutti darwiniani. Questo vuol dire che, anche se normalmente non ce ne rendiamo conto, la concorrenza e la competitività sono scritte nel nostro DNA. Le leggi dell’evoluzione, infatti, implicano che ogni forma di vita si procura il suo posto e lo difende, se necessario distruggendo l’altro e nutrendosi dell’altro. La regola universale è proprio questa: difendere il mio spazio vitale, e per questo attrezzarmi e combattere contro chi me lo vuole toglier via. Al nostro livello umano, questa regola si traduce in una serie di comportamenti individuali e sociali: ambizione o frustrazione, costrizione o umiliazione, potere o discriminazione. Insomma, al di là delle tante belle parole che ci diciamo, la nostra è un’etica segnata dalla violenza.
L’Evangelo di Gesù sostituisce a tutto questo la pratica dell’apertura all’altro e del servizio, che assicura a ciascuno il suo posto e smorza le rivalità. Anche il richiamo della pagina di oggi ai convitati bramosi di occupare i primi posti, va in pieno in questo senso. La parola che conta è quella sorridente del padrone di casa che ti dice con affetto: “Amico, vieni più avanti”.
Dev’essere anche la nostra parola: liberati dall’accoglienza incondizionata di Dio dalla “lotta per lo spazio vitale”, riceviamo da lui la missione di offrire un posto al banchetto della vita ai feriti dalla vita, ai fragili e indifesi, anticipando così anche per loro la gioia del Regno di Dio.
E anche, insieme, rendendo piena e autentica la nostra gioia. Perché coloro che si limitano a rapportarsi solo alla cerchia dei parenti e degli amici, e che si preoccupano solo di se stessi e dei propri bisogni, si privano della vera ricchezza della vita, che consiste nello scoprire quelli che sono “totalmente altri” e la ricchezza della loro diversità.
La collera del “padrone di casa” davanti al rifiuto degli invitati, e la sua decisione di chiamare quelli sino ad allora esclusi, come abbiamo visto, gli hanno fatto scoprire una nuova “beatitudine”. Vogliamo anche noi scoprire e vivere la “beatitudine” annunciata da Gesù? Cambiamo allora la nostra mentalità e i nostri comportamenti: spezziamo il cerchio chiuso dei soliti legami e la rete dei rapporti fondati sul “do ut des” (“io do affinché tu dia”)e impegniamoci invece alla sequela di Gesù in un servizio agli altri che sia senza preconcetti e senza limiti prefissati. Osiamo la sorpresa della condivisione e della gioia della condivisione. Sbarazziamoci dello spirito di possesso che spesso ci fa trovare delle scuse che ci rendono tanto simili a quegli invitati che hanno detto di no: “Ho comprato un campo e ho la necessità di andarlo a vedere…”; “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli…”; “Ho preso moglie e non posso venire…”, e aderiamo a un nuovo modo di avere relazioni. Impariamo l’agape cantato dall’Apostolo nel suo “inno all’amore”: l’amore disinteressato, benevolo, generoso, senza partito preso (cfr. 1° Corinzi 13).
Così daremo al regno annunciato da Gesù una visibilità vera, concreta e procureremo veramente a noi stessi ed agli altri una gioia reale. Sì, nella prospettiva spalancata dall’Evangelo, l’apertura agli altri non è un’alienazione ma un invito a gustare fin da adesso la pienezza della vita.
E insieme finalmente, potremo costruire un mondo nuovo. È l’ultimo pensiero che sgorga dalla pagina di oggi.
Le parole e le immagini forti dell’“invitato scomodo” Gesù, sono una consegna. Ci chiamano a rovesciare l’ordine delle priorità: operare a fondo perduto piuttosto che difendere ostinatamente i propri interessi, preferire le gioie condivise ai piaceri egoisti, privilegiare le relazioni umane anziché i beni materiali.
Sempre ricordando che, al di là dei comportamenti personali, l’attenzione ai più deboli è una priorità collettiva. La nostra società non può ignorare i cosiddetti “perdenti”, né i paesi sviluppati non tener conto delle popolazioni alla deriva… Indirizzate nella pagina di oggi ad una tavolata di farisei, le parole di Gesù si dilatano ad una dimensione universale e stigmatizzano le pratiche politiche, economiche, sociali che mantengono o accrescono lo scarto fra ricchi e poverissimi, privilegiati e miserabili, a scapito di una visione generosa e solidale dei rapporti fra gli umani.
Non si tratta, beninteso, di instaurare il Regno di Dio su questa terra… Si tratta di inalare la speranza del Regno nel nostro quotidiano, e così di permetterle di agire sulla visione e sui valori che determinano il nostro impegno nella chiesa e nella società, anche nell’immediato, a corto termine…
Ed è proprio della nostra teologia riformata difendere con una forza particolare la sovranità di Dio sul mondo. Proprio questa sovranità del nostro Dio la cui accoglienza incondizionata sfida gli interessi partigiani e le logiche interessate (ricordiamo ancora una volta il padrone che dice sorridendo a colui che è all’ultimo posto: “Amico, vieni più avanti”), ci dà il coraggio e la pertinenza per intervenire nel dibattito odierno sulla possibilità di una società diversa e più umana.
Sì, difesi con forza e convinzione, i vecchi e sempre nuovi concetti biblici della pace e della giustizia per tutti, potranno giocare pienamente il loro ruolo… essere un lievito di speranza per un mondo che non riesce più a sperare. AMEN

PREGHIERA DI INTERCESSIONE

Signore, intercediamo per i fratelli e le sorelle che aspettano da noi consigli, parole che confortano e che edificano, gesti che sollevano dagli affanni e dalle ingiustizie. Sono tanti, Signore, nelle nostre città e nelle contrade del nostro paese quelli che cercano una porta aperta, un’occasione di riscatto e di liberazione. Signore, tu ci hai accolti, ci hai ascoltato, e a nostra volta possiamo condurre a te tutte queste creature; donaci perciò coraggio e sapienza nell’accoglierle affinché, nell’incontro con noi, possano scoprire te, il Signore, da cui viene la consolazione eterna. Ti chiediamo questa grazia nel nome di Gesù. Amen

BENEDIZIONE
Conservatevi nell’amore di Dio, aspettando la misericordia del nostro Signore Gesù Cristo per aver la vita eterna. A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria, al Dio unico, nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere prima di ogni tempo, ora e per tutti i secoli. (Giuda 21. 24. 25) Amen


(Liturgia e predicazione curata da Giampaolo Castelletti, domenica 21 giugno 2020.  Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994)



16/06/2020

Chiesa Evangelica Metodista di Intra e Omegna LITURGIA PER IL CULTO PUBBLICO DI DOMENICA 7/06/ 2020


«Allora il popolo si radunò (…) sulla piazza antistante alla Porta delle Acque» (Nehemia 8:1)


ACCOGLIENZA E LODE

Nel nome del Padre, che abita in silenzio il cuore più nascosto di ogni dolore, nel cui solco getta il seme da cui fioriscono, per la bontà della Sua mano, inattese, ripetute primavere, in cui trovano sollievo e ristoro i nostri passi stanchi e le nostre speranze deluse.

Nel nome del Figlio, la cui Parola intrisa di dolcezza e il cui gesto pronto vengono a fasciare esistenze ferite, per tornare a donarci uno sguardo fiducioso su vite così spesso incerte e sospese, che Gesù accompagna e rinfranca con passo lieve e sicuro

E nel nome dello Spirito di Dio, soffio che genera la vita e la ridesta nei cuori ogniqualvolta sembra affievolirsi, vento che sospinge i nostri passi verso sentieri inediti, forza che ci innerva e ci sostiene, donandoci respiro e rinnovato vigore. Amen

Invocazione  (Salmo 10:17) -  (David Maria Turoldo)
«O Eterno, Tu esaudisci il desiderio degli umili»

Signore, per Te solo io canto onde ascendere lassù
dove solo Tu sei, gioia infinita
E in gioia si muta il mio pianto quando incomincio a invocarTi
e solo di Te godo, paurosa vertigine
Io sono la Tua ombra, sono il profondo disordine
e la mia mente è l'oscura lucciola nell'alto buio
che cerca di Te, inaccessibile Luce
Di Te si affanna questo cuore
conchiglia ripiena della Tua eco, o infinito Silenzio

(Tratto da O sensi miei, BUR, Milano, 1993, p. 167)


TESTO PER LA PREDICAZIONE

“Allora tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza antistante alla Porta delle Acque e disse a Esdra, lo scriba, di portare il libro dell’insegnamento di Mosè, di cui Dio aveva fatto dono a Israele”  (Nehemia 8:1)


MEDITAZIONE

Ogni storia, personale e comunitaria, possiede dei momenti che la segnano in maniera peculiare e, spesso, indelebile: attimi in cui si sperimenta, talvolta, lo smarrimento, oppure si ricorda con nostalgia una carezza, avendo quasi l’impressione di avvertirla nuovamente a sfiorarci sottopelle. Nei labirinti della memoria questi ricordi si rincorrono e si intrecciano, sino a darci come l’impressione che ogni dolore ci abbia raggiunto soltanto perché potessimo avvertire quella carezza che lo segue e che gli dona, per un istante, la parvenza di un senso.
Per il popolo di Israele questo taglio sul vivo ebbe il volto dell’esilio: una quarantena vera e propria, che abbracciò quattro decenni, lo spazio di una generazione. In un lasso di tempo così lungo, molte sono le cose che accadono e più ancora le ripercussioni che gli avvenimenti hanno sugli animi: i figli di alcuni dei deportati in Babilonia si integrarono nel nuovo contesto, finirono con l’amarne i luoghi e la cultura, e non desiderarono fare ritorno a Gerusalemme. Del resto, ormai, dell’antica città dei padri non possedevano che l’eco lontana di racconti sospesi tra memoria e mito, più simili a favole che a storie degne di credito: il loro universo, nel frattempo, era cambiato e aveva assunto il volto affascinante di Babilonia, con i suoi giardini pensili e quell’inebriante fragranza di spezie che ne inondava i vicoli. Perché lasciarla? Non ve ne era motivo. E difatti, nel cuore di quella terra fertile abbracciata tra due fiumi, fiorì l’altra storia di Israele, quella che i testi biblici non narrano, che prese poi forma nelle sinagoghe e nelle loro scuole, dove si imparava a leggere e a interpretare il testo biblico con fantasia e libertà, sino a dar vita a quel mosaico variopinto, fatto di infinite e vivaci discussioni, che prese il nome di Talmud.
Altri, nel frattempo, decisero invece di far ritorno a Gerusalemme: tutto, però, era stato distrutto della città amata; in particolare le mura e il tempio. Ecco che allora gli esuli, di rientro da una quarantena sfibrante, si risolvono immediatamente a metter mano a quel cumulo di macerie, per dedicarsi a una delle arti più nobili e rinfrancanti che la vita ci offre di sperimentare: la ricostruzione, che non riguarda soltanto edifici e strade, ma – prima ancora, forse – stati d’animo, tradizioni, speranze infrante. Ce la racconta in maniera vivida e carica d’emozione un libro ricco di descrizioni dettagliate, che va sotto il nome del governatore che guiderà il ritorno degli esuli: Nehemia. All’inizio del capitolo otto dell’omonimo libro, leggiamo:

"Allora tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza antistante alla Porta delle Acque e disse a Esdra, lo scriba, di portare il libro dell’insegnamento di Mosè, di cui Dio aveva fatto dono a Israele"

A celebrare il ritorno e la ricostruzione c’è il ritrovarsi, che prevede, come in ogni festa che si rispetti, un regalo da scartare: questo dono è rappresentato dal libro che reca tra le sue righe parole che attendono di staccarsi dalle pagine per librarsi in volo e raggiungere cuori in cui dimorare e continuare a scavare – come più tardi avrebbe detto Gesù – fiumi d’acqua viva. C’è un aspetto curioso, però, a dominare la scena: l’apertura del dono viene fatta all’aperto, nonostante i lavori di ricostruzione del tempio abbiano già avuto termine. Così come noi oggi, sia pure di ritorno da un esilio assai più breve, Israele si riunisce all’aperto, e non entro lo spazio, per così dire, “consacrato” all’azione cultuale: e questo, probabilmente, perché gli insegnamenti di cui si darà lettura riguardano la vita assai prima che il culto.
Sono parole rivolte agli animi per rinfrancarli e farli vibrare, parole che cercano la vastità del cielo per danzare e cuori pronti all’ascolto come spazi sconfinati, da ampliare costantemente. Il Dio biblico manterrà sempre i tratti del Dio che predilige gli spazi aperti, come aveva fatto quando parlò ad Abramo e a Mosè, e come farà attraverso le labbra di Gesù, infaticabile viandante che, sotto la volta del cielo, annuncerà a pescatori e contadine il volto di un Dio più grande del tempio, restio ad accettare i vincoli del sacro. La Parola si spande nelle libere distese di cieli aperti e di quei cuori che, figli suoi, ne conservano la vastità e l’anelito: senza l’invito all’ascolto e alla ricerca sempre rinnovata di un senso, lo stesso spazio del tempio non sarebbe che un involucro vuoto, a rivestire il nulla. Corpo di Dio è la Parola, come Lui pregnante e sottile, densa di significato e inafferrabile, nata per intraprendere il viaggio – mai concluso, sempre in atto – da cuore a cuore.
Gli esuli rincasati in una Gerusalemme irriconoscibile sotto il manto delle sue macerie, la riedificano e, una volta rimessa in piedi, mettono mano a una più difficile e delicata opera di ricostruzione: quella di animi gettati nello sconforto, che vengono rinfrancati all’aria aperta attraverso l’ascolto di una Parola libera e incontenibile, che insieme sprona e accarezza. Il luogo scelto non è casuale: una porta, spazio di confine, feritoia che consente l’ingresso come l’uscita. E noi siamo questo: esseri di confine, perennemente sospesi su soglie che, talvolta, la vita ci costringe ad attraversare, chiamandoci ad abbandonare lo spazio rassicurante di quelle mura che, in verità, non danno se non l’illusione del riparo. La Parola dischiude varchi nelle mura, dà respiro e apertura, ci fa comprendere che oltre la cinta ci sono universi, storie, che chiedono ascolto e asilo e che portano novità.
Ecco perché la chiesa non è il tempio, ma la comunità riunita sulla soglia, attenta a non chiudere quegli spiragli che le donano respiro e uno sguardo più ampio, capace di travalicare mura che ne restringono gli orizzonti.
E la porta, nel nostro testo, possiede un nome: è chiamata Delle Acque, perché l’ascolto della Parola farà scaturire zampilli che ristoreranno una sete antica, che domanda, inesausta, il senso: quello stesso che sfugge e si inabissa quando un dolore muto lo ricopre, quello stesso che riemerge inatteso, improvviso, quando il soffio di Dio riattizza le braci sopite di una speranza infranta. La Parola che affiora da quegli insegnamenti antichi che tornano a risuonare sulla soglia di una porta è come acqua di sorgente che disseta, come fonte che chiama a sé per tornare, ogni volta di nuovo, ad attingere a lei per abbeverarsi. Potrà capitare che, per un tempo, continui a scorrere inavvertita sotto la superficie intatta della roccia: ma non si estinguerà; attenderà, soltanto, di essere portata nuovamente alla luce.  
Ci reca, dolce, l’eco di questo riaffiorare Donata Doni, là dove scrive:
Ti cerco nelle radici della mia pena, nella notte dei sensi,
nel bagliore che accende la mente e il cuore
Disperi la mia vita. Non sei mai bella come la struggente voglia di cercarti,
né semplice come la roccia, l’acqua, lo stelo,
né vera come l’anima che manifesti.
Ma sei tutto, Parola: dolore dell’uomo, amore di Dio

Alessandro Esposito – Domenica 7 Giugno 2020


PREGHIERA DI INTERCESSIONE
In questo tempo durante il quale molte sono state le risorse che sono venute a mancare, anche la vita della nostra comunità è risultata più esposta a quella fragilità che intesse di sé ogni realtà. Siamo tornati, così, a scoprire il valore delle piccole cose, del gesto gratuito e spontaneo che permette a ciò che è minimo di continuare a sussistere. Per questo oggi mettiamo insieme i piccoli granelli che in tempo di difficoltà siamo riusciti a serbare, perché, nel riprendere la gioiosa fatica del cammino, quanto sapremo condividere si riveli capace di scacciare via la preoccupazione, rendendo leggeri i nostri passi lungo il sentiero di un evangelo vissuto e annunciato come comunità di discepole e di viandanti. Amen

BENEDIZIONE (Isaia 43:2-4)
Quando dovrai attraversare le acque, Io sarò con te
e quando attraverserai i fiumi essi non ti sommergeranno
Quando camminerai nel fuoco non rimarrai bruciato
e la fiamma non ti consumerà
Perché Io sono il Signore, il tuo Dio
Perché tu sei prezioso ai Miei occhi
e Io ti amo