Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

28/09/2022

Culto di domenica 25 settembre, sedicesima dopo Pentecoste, tenuto a Intra con Omegna

 

GALATI 5, 25 – 6, 10

Galati 5, 25 - 26

25 Perciò, se ora viviamo per la potenza dello Spirito Santo, anche la nostra vita deve essere guidata dallo Spirito Santo! 26 Non cerchiamo onori e popolarità, che portano a gelosie e provocazioni.

Galati 6, 1 - 10

1 Fratelli, se scoprite che qualcuno di voi sta commettendo un errore, voi che siete guidati dallo Spirito dovete aiutarlo con dolcezza e umiltà a ritornare sulla strada giusta, tenendo presente che la prossima volta potrebbe capitare anche a voi. 2 Aiutatevi nelle difficoltà e nei problemi, ubbidirete così alla legge di Cristo. 3 Se qualcuno crede di essere troppo importante per sottomettersi a questo insegnamento, s'inganna, anzi non vale proprio niente.
4 Ciascuno si assicuri piuttosto di fare del suo meglio, perché allora avrà la soddisfazione personale di un lavoro ben fatto e non avrà bisogno di paragonarsi a nessun altro. 5 Ognuno di noi deve sopportare i propri errori, i propri pesi, perché nessuno di noi è perfetto! 6 Quelli che imparano la Parola di Dio devono retribuire i propri insegnanti. 7 Non fatevi illusioni, non ci si può beffare di Dio: quello che si semina si raccoglie. 8 Chi vive per soddisfare i propri desideri corrotti, seminerà del male e senza dubbio mieterà la corruzione e la morte spirituale. Chi, invece, semina le buone cose dello Spirito, mieterà dallo Spirito Santo la vita eterna9 Non stanchiamoci allora di fare il bene, perché, a suo tempo, se non ci scoraggiamo e rinunciamo, avremo un raccolto di benedizioni. 10 Questa è la ragione per cui, man mano che si presenta l'occasione, dobbiamo fare sempre del bene a tutti e, in primo luogo, ai nostri fratelli nella fede.

 

 

 

 

Care amiche…care sorelle…cari amici…cari fratelli…oggi abbiamo letto una gran parte della lettera scritta ai Galati  dall’Apostolo Paolo al Cap. 5 e poi i primi 10 vv del Cap. 6, il motivo di questa lettura è dovuta al fatto che nella Parola del Signore (Bibbia), non vi è un altro brano simile che ci mostri…un contrasto molto netto tra lo stile di vita di un credente ancora sotto gli impulsi della natura umana e quindi “schiavo del peccato” (cfr. Gv 8:14) e un credente traboccante di Spirito Santo…il quale serve solo Dio (Rm 1:9). In questi versetti appena letti…Paolo rileva attentamente le 2 differenze presenti nella natura umana e afferma che lo Spirito di Dio e la natura umana peccaminosa…sono opposti e in netto contrasto tra di loro…tanto che per evidenziare la cosa…aggiunge una lista specifica di azioni che sono prodotte dalla natura umana ribelle e peccaminosa opponendola ad un’altra natura umana che invece fa risaltare il “Frutto dello Spirito” ed i suoi effetti.

Questo contrasto è evidente per il fatto che le azioni prodotte dal Frutto dello Spirito, fanno risaltare una condotta che pone Dio al centro della vita del credente ed è governata da un atteggiamento spirituale dove vi è uno spiccato carattere mite, simile a quello di Cristo…questo carattere mite…si sviluppa nei credenti nella misura in cui essi concedono allo Spirito Santo la libertà di cambiare la loro vita.

Per mezzo della Potenza di questo soffio vitale, i credenti sono in grado di combattere e vincere il potere del peccato, godendo i benefici di un’intima e personale comunione con Dio.                          

In contrapposizione alle opere peccaminose della carne, il Frutto dello Spirito comprende vari atteggiamenti da adottare verso quei fratelli incappati in azioni peccaminose, tanto che Paolo nella parte finale del v.1 scrive queste parole: “voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine” nel senso che:  “voi che siete guidati dallo Spirito dovete aiutarlo con dolcezza e umiltà a ritornare sulla strada giusta”, così che…quel credente…quei credenti che hanno commesso peccati gravi o violazioni morali allontanandosi dalle vie consigliate dal Cristo, vengano guidati a ristabilirsi spiritualmente per rinnovare al Cristo la loro devozione.

Questo cammino, non è privo di difficoltà, può anche essere necessario usare della disciplina, la quale deve essere esercitata con fermezza ma “con dolcezza e umiltà”, ricordandosi però che nessuno è immune da cadute, tra cui anche coloro che sono traboccanti di Spirito Santo.   

In questo cammino, bisogna che “portiamo i pesi gli uni degli altri” cioè “Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi, questo significa che dobbiamo caricarci le preoccupazioni, i problemi e le responsabilità gravose dei fratelli, dobbiamo assistere il fratello o i fratelli nella malattia, nel dolore o nelle difficoltà finanziarie, ma anche pregare intensamente e con costanza affinchè possano avere un aiuto tangibile e pratico, quindi…con queste parole, l'apostolo Paolo ci dice che nessuno deve essere lasciato solo, questo è anche il senso della Chiesa, della comunità dei credenti, una chiesa che si fa accogliente e solidale, piuttosto che giudice e carnefice…

La Chiesa esiste perché ha una missione da compiere…che è quella di essere un luogo di condivisione di ogni persona con le proprie caratteristiche e diversità, il luogo in cui può avvenire la riconciliazione nonostante le molteplici culture di pensiero e di spiritualità, cosicché quando la chiesa esclude i diversi o le persone, tradisce la sua vocazione, perché ha smesso di amare e di aiutare le persone nelle difficoltà e nei problemi. L’amore, invece, riconosce sempre l’altra come una sorella l’altro come un fratello con cui condividere la propria storia, la vita, le sofferenze, le gioie….e condividere i pesi degli altri è una qualità particolarmente gradita al Signore. (Sl 55:22 / 1° P 5:7) soprattutto…Paolo ci fa capire che: “finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede”. Questo versetto del testo…vuole indicare un programma di vita cristiana che è allo stesso tempo semplice ed esigente, così come tutta la Parola del Signore è sempre semplice ed esigente. È semplice perché è comprensibile ed è alla nostra portata. È esigente perché non ammette trattative o esitazioni. Questa parola ci parla con una stupefacente concretezza, tanto da dirci che “man mano che si presenta l'occasione, dobbiamo fare sempre del bene a tutti e, in primo luogo, ai nostri fratelli nella fede.”, nel senso che…il tempo dev’essere colto…compreso e vissuto…e non sprecato, e oggi…questo è il cammino di ogni persona spirituale.

Al tempo dell’Apostolo Paolo vi erano degli oppositori della sua predicazione i quali dicevano:

Questa è solamente teoria! Non basta!...Perchè devi diventare…devi fare…”, ma ancora oggi…vi sono persone che continuano a dirlo…tanto che…anni fa…è uscito un libro (Libro nero delle chiese) dove sono elencati tutti i peccati commessi da tutte le Chiese, dalla loro nascita fino ai giorni nostri. È un libro dove si parla delle morti che le chiese hanno tante volte provocato, in effetti pochi giorni fa abbiamo ricordato il martirio di Fra Dolcino avvenuto nel 1307.

Ora…il Vangelo risponde a questa sfida in due parole.

La prima: il libro nero esiste, è Storia, ma è Storia anche l’opera di Gesù Cristo, il cui libro della vita ha coperto il libro della morte con la sua misericordia.

 

Secondo: “dobbiamo sempre fare del bene a tutti, principalmente ai fratelli nella fede”

 

Ebbene…fare del bene a tutti, principalmente ai fratelli nella fede…ma non è anche questa teoria!?

No….perchè con questa frase, si intende principalmente fare del bene ai fratelli nella fede e a coloro che, come descritto nel v.6 insegnano la Parola di Dio; quindi…Paolo ci dice che è anche nostro dovere…sostenere con supporto finanziario e materiale quanti servono il Signore con dedizione¹, come i Pastori, i missionari e quanti sono impegnati nel servizio cristiano². Rifiutare loro l’aiuto, avendone i mezzi…significa “seminare” egoismo e “raccogliere” la morte spirituale (vv. 7-9). Provvedere invece…il necessario a chi serve nel ministero della Parola, rientra nei doveri di fare il bene “ai fratelli nella fede” (v.10).    

Se li sosteniamo fedelmente…ovviamente secondo le nostre possibilità e per amore di Cristo…mieteremo a suo tempo (v.9) tra cui la vita eterna (v.8).

Ma…nel “facciamo del bene a tutti”…è anche sottointesa la Chiesa come casa…come famiglia che condivide il pane della parola di Dio, la chiesa come casa aperta che invita, che si fa trovare. Alla chiesa come luogo di riflessione, di fraternità, di libertà, Chiesa aperta a tutti e aperta per tutti. Nel dono di noi stessi…della nostra testimonianza…del nostro aiuto…della nostra fatica…del nostro denaro…del nostro tempo…del nostro affetto e del nostro ascolto.

25 Perciò, se ora viviamo per la potenza dello Spirito Santo, anche la nostra vita deve essere guidata dallo Spirito Santo facendo del bene a tutti

Nulla da togliere e nulla da aggiungere...

 

Lasciamo quindi che lo Spirito ci faccia camminare nella strada del bene di Dio. Sarà faticoso, ma Dio ci promette un raccolto che ci stupirà:

Vivremo…comprenderemo…proveremo…condivideremo…crederemo… faremo…vedremo e riceveremo insieme cose meravigliose…stupefacenti, che non ci possiamo nemmeno aspettare.

Oggi abbiamo compreso, almeno me lo auguro…che  “Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi, significa riconoscere sempre una donna, un uomo, come una sorella e un fratello e che non deve essere mai lasciato solo, anzi dobbiamo condividere la sua propria storia, la vita, le sofferenze, le gioie. 

Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi significa anche Aiutare nelle difficoltà e nei problemi il mondo, cioè…chi muore a motivo della fame o di chi attraversa i mari per fuggire dalla guerra…da violenze sociali…politiche…o dalla povertà estrema…può significare partecipare alla lotta per la fame nel mondo…partecipare affinché siano riconosciuti i diritti delle persone costrette a lasciare tutti i loro affetti perché vittime di egoismo…odio e guerre. Se non ci saremo su questa scena, continueremo a ritenere difficile applicare la Parola di Dio, ma se ci saremo, avremo cominciato ad Aiutare nelle difficoltà e nei problemi gli altri alla gloria di Dio e per il bene di tutti.

 

AMEN!

 ¹ 1° Co 9:14 / 1° Ti 5:18  -  ² 1° Co 9:14 / 3° Gv 6-8  -  Parole 1303

Giampaolo Castelletti

 

 


14/09/2022

Culto Evangelico di domenica 11 settembre 2022 tenuto a Intra (con Omegna) e Luino

 

Luca 10, 25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

 

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Domande, care sorelle e cari fratelli, che il dottore della legge pone a Gesù, ma che in fondo sono le domande che ci facciamo tutti, domande che si fanno e si sono fatti tutti i credenti – ebrei o cristiani, le stesse domande – da sempre.

Che cosa vuole Dio da me, che cosa devo fare per vivere una vita giusta e piena di senso? Così potremmo parafrasare l’espressione “per ereditare la vita eterna”. La vita eterna è l’esito di una vita terrena vissuta nell’ascolto e nell’obbedienza alla volontà di Dio.

Gesù risponde alla prima domanda del dottore della legge con un’altra domanda che lo rimanda alla Scrittura: che cosa leggi nella legge? - gli chiede - ovvero nella Torah, nell’insegnamento che Dio aveva dato al popolo attraverso Mosè.

E lui risponde con precisione citando i due comandamenti dell’amore per Dio e dell’amore per il prossimo – che si trovano rispettivamente nel libro del Deuteronomio e nel libro del Levitico, due versetti che già i rabbini del suo tempo mettevano insieme per riassumere tutta la Torah.

Gesù dunque fa rispondere il dottore della legge stesso alla domanda che aveva posta, e lui dà una risposta perfettamente in linea con le Scritture di Israele.  «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai» reagisce Gesù.

È molto significativo il fatto che la risposta di Gesù – o la risposta del dottore della legge con cui Gesù concorda – sia una risposta profondamente ebraica, radicata nelle scritture ebraiche. È importante sottolinearlo, dopo che per secoli e secoli la fede ebraica è stata ritenuta dai cristiani inferiore o addirittura superata.

Quando ci si chiede che cosa dobbiamo fare per ereditare la vita eterna, cioè per vivere in obbedienza alla volontà di Dio una vita piena e giusta, la risposta del dottore della legge e di Gesù è la stessa. La risposta ebraica e quella cristiana sono la stessa risposta. Anzi: la risposta cristiana è ebraica!

Ed è una risposta fatta da due risposte. Ama Dio e ama il prossimo. La risposta in realtà sono due risposte e non possono che essere due, perché una risposta per un credente non basta. Se ami il prossimo e non ami Dio non sei un credente; ma anche se ami Dio e non ami il prossimo non sei un credente.

Sarebbe più facile avere una risposta soltanto: o solo Dio o solo il prossimo. E invece no, nella fede entri in una relazione triangolare, non in una relazione a due, ma in una relazione a tre: tu, Dio e il prossimo. E non puoi eliminarne uno senza eliminare anche l’altro.

Ecco dunque la risposta alla prima domanda “che cosa devo fare?”: ama Dio e ama il prossimo. È la risposta che il dottore della legge sapeva già, e infatti è lui stesso a rispondersi.

Gesù qui non porta una nuova dottrina, una nuova idea per ereditare la vita eterna, cioè per vivere una vita piena e giusta sotto lo sguardo di Dio. la risposta è sempre quella: ama Dio e ama il prossimo.

Anche noi la sappiamo già, la risposta, ma abbiamo bisogno ogni tanto di rifarci la domanda e di ricevere nuovamente la risposta: ama Dio e ama il prossimo, tutti e due, non solo uno.

Tienili insieme Dio e il prossimo, ama Dio, che ti perdona e ti salva e ama il prossimo, colui incontro al quale Dio ti invia nel mentre che ti perdona e ti salva.

Già, ma chi è il mio prossimo? C’è bisogno di concretizzare il comandamento, non basta rispondere un generico “tutti”. Risposta teologicamente perfetta, ma troppo teorica.

E qui Gesù risponde con una storia, una parabola. Gesù non dà definizioni – come forse il dottore della legge si aspetterebbe – ma racconta una storia. Una storia che parla di strada, di cammino e di un incontro, o meglio di due incontri mancati e di un incontro realizzato.

La risposta non la si trova a tavolino, la si trova per la strada. E per la strada passa chi passa, e non è per forza chi vorremmo o chi ci aspetteremmo noi.

Quella del samaritano è una parabola che spiazza, spiazza sopratutto il dottore della legge; possiamo provare a immaginarci la sua faccia, quando inizia a sentire le parole di Gesù e sente che il sacerdote e il levita non si fermano davanti all’uomo ferito e passano oltre.

E quando sente che invece un samaritano, cioè un membro di una popolazione rivale di Israele e pure giudicata eretica, lui sì, si ferma e presta al ferito le cure di cui aveva bisogno, avrà iniziato a sudare freddo!

La parabola di Gesù non vuole insegnare soltanto chi è il prossimo, ma anche che cos’è l’amore. Il samaritano vede l’uomo ferito e si ferma; l’amore inizia col vedere, ovvero col guardare in un certo modo. il testo dice che “ebbe pietà” di quell’uomo.

“Pietà” in italiano suona male, altri traducono “ebbe compassione”, comunque è un verbo che significa letteralmente “essere toccati fino alle viscere” e che in Luca ha spesso Dio e Gesù come soggetti. Lo sguardo del samaritano è dunque uno sguardo come quello di Dio!

Da questo sguardo nascono fatti concreti. Il samaritano “si prende cura” della vittima dell’aggressione in modo molto concreto, che gli costa anche qualcosa:

mette non solo il suo tempo, ma anche il suo olio, il suo vino, lo carica sulla sua cavalcatura, e poi ci mette anche il suo denaro per pagare la locanda. Amare costa! Costa tempo, fatica e denaro.

L’amore nasce da quello sguardo che vede un essere umano ferito e nulla più. L’amore non si chiede chi sia quell’uomo ferito, quale sia la sua storia e quali siano le sue idee: è un essere umano e basta. L’amore  è gratuito e non chiede nulla in contraccambio.

Quell’uomo ferito era samaritano come lui o ebreo? O forse pagano? Era protestante o cattolico? Cristiano o musulmano, o buddista, o ateo? Bianco o nero? Era ricco o povero? Di destra o di sinistra?

Era un essere umano, una persona, e questo è bastato al samaritano per averne pietà, com-passione, gli è bastato per partecipare al suo dolore e fare qualcosa.

 

Gesù non definisce l’amore, lo racconta. E non definisce nemmeno il prossimo, lo racconta.

Ma alla fine della parabola, Gesù spiazza ulteriormente il dottore della legge e noi con lui: non gli fa la morale della favola, dicendogli: “ecco hai visto, il tuo prossimo è quell’uomo ferito, è qualunque uomo ferito che incontri per caso, ecc. ecc. Che già sarebbe stata una bella lezione!

Gesù fa di nuovo una domanda al dottore della legge, rovesciando i termini della questione. Non chiede chi è il prossimo del samaritano, come forse ci aspetteremmo.

Chiede «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Chiede chi è stato il prossimo dell’uomo ferito.

Non chiede chi è il prossimo da aiutare, ma chi è il prossimo che ha aiutato. Rovescia la domanda del dottore della legge. Lui aveva chiesto: chi è il mio prossimo? Gesù chiede: di chi sei tu prossimo? Di chi tu puoi diventare prossimo, farti prossimo?

Insomma: prossimo non lo si è, lo si diventa. Lo si diventa per la strada, nell’incontro, quando il nostro sguardo e i nostri piedi non passano oltre chi si incontra, ma si fermano e incontrano veramente l’altra persona. Il sacerdote e il levita hanno scelto di non diventare prossimi dell’uomo ferito, il samaritano invece sì, e si è fermato.

La parola prossimo come sappiamo vuol dire “vicino”, è quindi un termine relazionale; è la relazione che fa diventare vicini e dunque prossimi l’uno dell’altro.

La “prossimità” si vive in una relazione; a volte si sarà nel ruolo dell’uomo ferito, a volte in quello del samaritano, la relazione non è mai a senso unico.

La parabola ci insegna dunque che il prossimo non lo si sceglie, ma lo si incontra, e quindi non corrisponde ai nostri criteri o ai nostri gusti, ma è colui/colei che Dio stesso sceglie per noi.

Il dottore della legge risponde alla domanda conclusiva di Gesù mostrando di aver seguito Gesù nel suo discorso e forse possiamo pensare che nel dialogo con Gesù egli abbia davvero cambiato prospettiva.

La sua risposta letteralmente suona così: “colui che fece misericordia con lui”: c’è dunque il verbo fare, c’è la misericordia e c’è la relazione = con lui.

Ecco gli ingredienti dell’amore del prossimo: la concretezza, perché l’amore nella Bibbia non è mai solo sentimento, ma è sempre fatti, azione.

La misericordia, cioè lo sguardo che nasce dalle viscere, guardare come Dio guarda e dunque vedere non un samaritano, un ebreo, un protestante, un cattolico, un bianco, un nero, un uomo, una donna, ecc. ma un essere umano.

E la relazione, senza la quale non c’è amore e non c’è prossimo, non si diventa prossimi.

L’ultima parola di Gesù è un invito (rivolto anche a noi) a “fare la stessa cosa”, cioè non più a cercare di definire chi sia il prossimo e chi no, ma ad andare a farsi prossimo di chi Dio ci manda incontro. E non è solo un invito, ma anche un invio: “va’ e fa la stessa cosa”.

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Alla fine la risposta arriva: Vai!

Questo devi fare: devi andare e farti prossimo di chi incontri. Chi sia non importa, non lo scegli tu, perché è Dio che lo sceglie per te.

Tu vai, fermati e guardalo con misericordia. E il Signore ti darà – molto più spesso di quanto pensi – di essere tu guardato con misericordia dal tuo prossimo.

Marco Gisola

Festa di Frà Dolcino, Culto Evangelico alla Bocchetta di Margosio (Bi), 11 settembre 2022

 

Luca 10,25-37

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?». Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai». Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?». Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».

 

Care, Cari,

"Fare il buon samaritano" : si dice a volte, a chi cerca di aiutare sempre. Si dice con una critica velata, pensando che le persone devono prendersi la propria responsabilità e cavarsela da sole, e che in molti casi non va bene stare subito lì ad aiutare. La critica sottintesa si riferisce anche al giudizio su chi aiuta: non lo fai disinteressatamente, ma perché vuoi avere dei meriti, davanti agli altri (speri di essere ringraziato e riconosciuto) e davanti a Dio (ti vuoi meritare il paradiso?).

Infatti, predicare su questo racconto di Luca rischia di diventare un esercizio moralista: mentre i due primi uomini vedono il ferito e lo abbandonano, il samaritano lo vede e lo aiuta, perché è buono. Il buon Samaritano, appunto.

Io vorrei invece che oggi noi potessimo leggere questa storia non in modo moralista, ma in modo evangelico. Il centro infatti non è la bontà del Samaritano, ma il cambiamento di prospettiva che Gesù ci porta : una prospettiva diversa che trasforma il nostro punto di vista sulla vita, sulla fede e sul mondo.

 

1.   La situazione del dialogo di Gesù con un maestro di religione

La parabola si trova in mezzo ad un dialogo tra Gesù ed un esperto della legge religiosa ebraica e dell'interpretazione della Bibbia. Tutto inizia perché questo maestro, riconoscendo in Gesù qualcuno con cui avere un confronto, lo vuole mettere alla prova con una domanda molto pratica:  «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Immaginiamo un dialogo tra due maestri della fede ebraica. Le discussioni tra maestri e tra studenti erano e sono ancora il metodo per studiare e approfondire argomenti religiosi.

Non necessariamente questa è una domanda fatta con malizia o per provocazione.

Si apre dunque un dibattito, e Gesù risponde nel modo classico con un'altra domanda: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Cosa dice la Bibbia ? Il dottore della legge risponde. Rimandato alla Bibbia, deve rispondere alla sua stessa domanda, e risponde con la sintesi dell'insegnamento della fede ebraica: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso» L'amore totale e incondizionato per Dio è la confessione di fede di Israele, lo Shemà Israel (Dt. 6:5) che ogni Israelita recita due volte al giorno. L'amore del prossimo come se stessi è la sintesi che riassume tutti i comandamenti.

Questo è il doppio comandamento dell'amore, che il giudaesimo del tempo di Gesù conosceva benissimo. Il maestro ha risposto bene, Gesù lo riconosce e gli dice "Fa questo e vivrai"

Semplice, troppo semplice. Il sapiente di fronte ad una soluzione così semplice deve giustificarsi, trovare difficoltà. Non condanniamo troppo presto quest'uomo, perché anche noi facciamo così. L'Evangelo è semplice, anche i bambini lo capiscono. Quando diventiamo adulti però cambiamo. La semplicità della verità diventa lo specchio della nostra durezza, delle nostre barriere.

Il racconto continua: per giustificarsi l'uomo chiede «E chi è il mio prossimo?»

Forse è proprio qui che lui voleva portare il dibattito: sul terreno di una bella discussione sulle distinzioni da fare, sulle categorie di persone... per scoprire magari delle mancanze nell'insegnamento di Gesù, degli errori del pensiero di questo maestro itinerante.

Invece Gesù non si presta. Non sviluppa una dottrina sul significato e sulla misura dell'amore del prossimo, né offre una definizione di "prossimo".

Invece Gesù parte da un caso concreto, come fa sempre per metterci nella situazione e farci vedere le cose dalla prospettiva del Regno di Dio.

2.   La parabola

Il protagonista della parabola è un Samaritano, che per i Giudei era peggio di uno straniero. Era considerato eretico ed appartenente ad un popolo che aveva tradito, fina dai tempi della Bibbia, alleandosi con gli antichi nemici e – nel presente – con i Romani. Tra Giudei e Samaritani non c'erano relazioni. La strada su cui tutto succede, scenda dalla collina di Gerusalemme verso la valle del Giordano. Strada pericolosa perché il passaggio dei pellegrini era un'occasione di

rapina per le bande di ladri. Un uomo scendeva per questa strada, possiamo pensare che fosse un giudeo che era stato al tempio di Gerusalemme, e dei banditi lo assaltano e feriscono gravemente. Resta a terra. Dalla stessa strada, probabilmente anch'essi di ritorno dal servizio prestato nel tempio, scendono un sacerdote ed un levita. Prima uno e poi l'altro, vedono l'uomo ferito, ma non lo soccorrono. Passano dall'altro lato della strada e se ne vanno. Non è detto perché. Basta constatare la distanza che c'è tra rappresentanti della religione e le necessità dell'umanità ferita. Proprio coloro che incarnano la volontà di Dio, non sanno viverla nelle occasioni che si offrono nella realtà quotidiana.

In contrapposizione a loro, un Samaritano passa di là, vede l'uomo ferito e si ferma perché ne ha compassione.

Ora c'è un problema per noi, che vorremmo identificaci nel Samaritano e condannare il comportamento freddo dei due professionisti della religione. Dovremmo invece lasciare che questa parola ci metta in crisi. Tutto questo infatti non succede nel tempio, o in una chiesa, ma succede per la strada. Sulla strada – dove passano tutti e dove puoi incontrare chiunque – è lì che si gioca la fedeltà alla volontà di Dio.

 

3.   Il cambio di prospettiva

Ecco siamo arrivati al centro del racconto. Gesù chiede ora allo scriba: «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?» Gesù non chiede chi dei tre è stato buono con il suo prossimo, come invece noi facciamo intendere con il titolo del paragrafo che è "il buon samaritano". Gesù chiede chi è stato il prossimo dell'uomo ferito.

Per la religione dei meriti si arriva prima o poi al punto di chiederci chi sia il mio prossimo: chi e fino a quanto devo aiutare. Tutto ruota sulla misura delle opere: quanto basta che io faccia?

Ma l'amore inteso come vita non si può chiudere in categorie. Gesù ci libera dalle nostre categorie e ci mette al centro dell'azione : TU. Sei tu il prossimo di chi incontri?  Siamo noi il prossimo ?

La parabola, separata da Gesù, diviene un brano moralista. Gesù invece rifiuta distinzioni e categorie fra gli esseri umani, perché tutte e tutti siamo creature di Dio. La volontà di Dio si mette in pratica nelle relazioni tra le sue creature.

Così ha sempre fatto Gesù, senza riserve verso tutte le persone, di qualunque origine e religione, che incontrava sulla sua strada. Gesù è l'unico buon Samaritano di Dio, che ci libera dalle corde con cui noi imprigioniamo noi stessi. Gesù ci dà la libertà di vivere con le persone che ci fa incontrare nella vita quanto seriamente crediamo che l'amore di Dio si esprime nell'amore del prossimo.

 

4.   Fra' Dolcino

Ora noi siamo qui per ricordare Dolcino, Margherita e tutti i martiri (donne e uomini) perseguitati dalla chiesa a causa della loro esigenza di vivere l'Evangelo in libertà.

La chiesa cristiana – e non gli ebrei, sacerdoti o leviti – ha perseguitato e sterminato il prossimo. La chiesa cristiana non era cristiana ! Lo è oggi ?  Questa è la domanda che per noi deve restare sempre aperta.

I dolciniani, come i samaritani, sono stati odiati e considerati eretici, sono stati massacrati in nome di Dio. Ma creare un rapporto con l'altro, diventare il suo prossimo, lo può fare anche un Samaritano, straniero ed eretico.

A conclusione, riflettiamo anche su questo: l'istituzione della chiesa (o la chiesa come istituzione), così come le cariche pubbliche o religiose, non sono condizioni che facilitano il rapporto personale del farsi prossimo, vicino all'altro, all'altra.

Non deleghiamo allora alle istituzioni, e nemmeno alla chiesa, la nostra fedeltà al Signore, e con la semplicità di bambini andiamo anche noi e fidandoci di Gesù ascoltiamo il suo insegnamento : Va e fai anche tu la stessa cosa.

Amen

Francesca Cozzi

 

21/08/2022

PREDICAZIONE DEL PASTORE MARCO GISOLA TENUTA DOMENICA 14 AGOSTO, 10 DOMENICA DOPO PENTECOSTE

 

Intra (con Omegna) – Luino, 14 agosto 2022

Matteo 25,14-30

14 «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. 16 Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. 17 Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. 18 Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 22 Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 24 Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". 26 Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse. 28 Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. 29 Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 30 E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti".

 

Non c’è nessuno che non abbia nessun talento. Questo, care sorelle e cari fratelli, è un dato di fatto che spesso passa in secondo piano quando leggiamo questa parabola, perché il nostro interesse è attirato dal fatto che alcuni ricevono più talenti e altri meno e quindi tendiamo a mettere la nostra attenzione sulle differenze che ci sono tra chi ne riceve cinque, chi due e chi uno. E così rischia di passare in secondo piano il fatto che comunque  tutti hanno qualche talento e che dunque non c’è nessuno che non ne abbia nemmeno uno. Questo fatto mi sembra da non sottovalutare quando cerchiamo di interpretare questa parabola e di applicarla alla nostra realtà: nessuno ha zero talenti, tutti ne hanno qualcuno.

Ma che cosa sono i talenti? Il termine Talento indica un valore monetario molto molto alto. Pensate che nella parabola dei lavoratori delle diverse ore di Matteo 20 i lavoratori ricevono un denaro di paga per un giorno lavorativo. Un talento valeva seimila denari! Seimila giorni lavorativi, dunque una cifra enorme!

Spesso noi riferiamo i talenti della parabola alle qualità, alle capacità che ciascuno di noi ha, e infatti nel nostro linguaggio il termine talento indica queste qualità capacità o competenze: talento artistico, talento musicale... Ma in realtà nella parabola di Gesù i talenti non sono le cose che sappiamo fare. Nella parabola è chiaro che i talenti non sono una proprietà dei servitori; sono proprietà del padrone che li affida ai servi e si aspetta che essi ne facciano qualche cosa dei suoi talenti. Non sono qualcosa che i servitori hanno, ma qualcosa che viene loro affidato. Non è un regalo, ma un affidamento di qualcosa di prezioso. Il significato, fuori dalla metafora, è chiaro: Dio ci affida qualcosa, come dicevamo qualcosa di molto molto prezioso.

Quindi: Dio si fida di noi! Un altro aspetto che spesso viene oscurato dall’immagine del padrone duro e spietato: prima di tutto Dio si fida di noi! Si fida di noi, che spesso non ci fidiamo di lui!

Ecco uno dei segni della grazia immeritata di Dio verso di noi: Dio si fida di noi e ci affida non del denaro – perché i talenti sono ovviamente un’immagine che rimanda ad altro - ma l’evangelo del Regno. Questa è una parabola sul Regno e sul giudizio, non una parabola sulle capacità umane. Per questo è poi duro e spietato: anche qui, fuori dalla metafora dovremmo dire: esigente. Si può seppellire il regno di Dio? Si può mettere l’evangelo sotto terra e nasconderlo? Sotterrare la Parola di Dio?

Se il tuo vicino va in vacanza e ti affida il suo gatto, forse che non gli dai da mangiare? Se ti affida la sua pianta, forse che non la annaffi? E se non dai da mangiare al gatto o non annaffi la pianta, ed essi muoiono, come reagirà quando torna? Facciamo le debite proporzioni! Dio ci affida l’evangelo del regno, la buona notizia della salvezza, della libertà, della giustizia in Cristo. E noi che ne facciamo? Dio ci dà delle occasioni per vivere questo evangelo, per tentare di vivere frammenti di questo regno, della sua libertà, della sua gioia, della sua giustizia. E noi che cosa ne facciamo? In questo senso si capisce il giudizio così duro nei confronti di chi lo sotterra, del servo che sotterra il talento, che non lo porta nemmeno dai banchieri, che era la cosa meno impegnativa e più sicura. E lui non fa nemmeno quello.

Il servo dice che si è comportato così per paura. E noi sappiamo che la paura paralizza, impedisce di agire e a volte persino di pensare.  Tutti e tutte noi lo abbiamo sperimentato almeno una volta. Tutti noi abbiamo avuto qualche volta, o spesso, paura di sbagliare e non abbiamo fatto nulla.

Il non fare nulla in questa parabola è condannato, il non fare nulla quando ti è affidato l’evangelo del Regno di Dio è condannato.  Perché non c’è da avere paura di Dio che ci affida il suo regno. Dio non è duro e spietato come il padrone della parabola, è esigente questo sì, ma non è duro e spietato.

E poi c’è un altro aspetto: avete notato che dalla parabola pare che i primi due servi non facciano molta fatica a far fruttare i talenti che sono loro affidati. Sono forse maghi della finanza? Forse le cose stanno un po’ diversamente: la parabola non insiste tanto sulla capacità dei primi due, ma sul fatto che abbiano agito, che abbiano operato, che si siano dati da fare. E del terzo ciò che viene criticato è l’opposto, cioè appunto il suo non aver fatto nulla, il suo non-agire. Il rimprovero del padrone è “Servo malvagio e fannullone”.

Dunque non è solo questione di paura: il servo è malvagio e fannullone, quindi in malafede, ha preferito sotterrare il talento anziché darsi da fare. Non c’è bisogno di essere maghi della finanza per far fruttare i talenti di Dio, non c’è bisogno di essere dei super-cristiani per mettere a frutto il regno di Dio, esso frutta da solo, basta non nasconderlo, non sotterrarlo, cioè non rifiutarsi di viverlo e testimoniarlo. Hai tra le mani l’evangelo del regno, la Parola di Dio. Che cosa ne fai? Questo è il tema di questa parabola che Gesù racconta appena prima che inizi la sua passione, che culminerà con la croce e la sepoltura!

Il finale della parabola ci può sembrare un po’ troppo “capitalista”: chi ha investito di più, ha guadagnato di più. Chi ha ricevuto e investito cinque talenti ne guadagna altri cinque, chi ha ricevuto e investito due talenti ne guadagna altri due. Puro neoliberismo?

Vista da un altro punto di vista, è però anche vero che entrambi raddoppiano il numero dei talenti: è un caso, o forse è un modo per dirci che entrambi hanno raddoppiato senza fatica quanto hanno avuto? Che è bastato darsi da fare per raddoppiare? E del resto la reazione del padrone davanti ai guadagni dei primi due servitori è esattamente la stessa, le stesse parole: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. Questo il padrone lo dice sia al servo dei cinque talenti, sia al servo dei due talenti.

Se il terzo è definito “malvagio e fannullone”, questi due sono definiti “buoni e fedeli”. Non maghi della finanza, ma buoni e fedeli. È sufficiente essere buoni – cioè non malvagi e in malafede come il terzo – e fedeli, cioè non sotterrare, non nascondere ciò che Dio ci affida. E Gesù stesso esce dalla metafora quando, dopo aver detto “ti costituirò sopra molte cose”, che sembra una ricompensa ancora economica, aggiunge poi “entra nella gioia del tuo Signore”.

“Entra nella gioia del tuo Signore” è la parola che Dio stesso dice al discepolo o alla discepola fedele – attenzione: non perfetto, fedele! - che non ha nascosto l’evangelo. È la gioia in Dio che riceve chi non nasconde i talenti che Dio gli o le affida.

Possiamo allora dire che i talenti, più che le nostre capacità umane, sono le occasioni che Dio ci dona di vivere frammenti del suo regno, dell’amore, della giustizia, della speranza, della gioia, della pace che caratterizzano il Regno di Dio.

Sono le opportunità che il Signore ci dona quotidianamente, a volte forse nelle grandi decisioni che dobbiamo prendere, ma più spesso nelle piccole scelte, nei piccoli incontri e situazioni in cui ci troviamo nella nostra vita di tutti i giorni. Dio ti dà molte di queste occasioni e mentre te le dà, ti chiede anche, perché Dio è esigente, ti chiede di non nascondere il suo regno, il suo amore, la sua giustizia, la sua libertà e anzi di viverle con e per gli altri.

Nessuno non ha nessun talento. Tutti ne hanno e tutti sono chiamati a farli fruttare, cioè a condividere l’enorme dono della grazia e dell’amore di Dio che ci è stato dato in Cristo. Dio si fida di noi e ci affida i suoi talenti, che rimangono suoi, ma ci sono affidati. Tutti e tutte noi siamo chiamati a non nascondere questo enorme dono, a non trascurarlo, a non ignorarlo,

a non vivere come se non lo avessimo ricevuto, a non sprecarlo sotterrandolo nella nostra pigrizia, nella nostra indifferenza e nemmeno nella nostra paura.

Senza preoccuparci del risultato, perché esso è nelle mani di Dio.

Ecco l’evangelo di oggi: Dio si fida di noi, ci affida il preziosissimo evangelo e ci chiede di farlo fruttare, di viverlo e condividerlo. E la gioia comincia già qui, perché è una grande gioia vivere e condividere l’evangelo della grazia e della libertà.

Fino a quando davvero il regno di Dio verrà, e lì la gioia sarà senza fine.

 

01/08/2022

 PREDICAZIONE DEL PASTORE MARCO GISOLA TENUTA DOMENICA 31 LUGLIO

8^ DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Intra (con Omegna) – Luino, 31 agosto 2022

Giovanni 6,1-15

1 Dopo queste cose Gesù se ne andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè il mare di Tiberiade. 2 Una gran folla lo seguiva, perché vedeva i segni miracolosi che egli faceva sugli infermi. 3 Ma Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Or la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina. 5 Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva verso di lui, disse a Filippo: «Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?» 6 Diceva così per metterlo alla prova; perché sapeva bene quello che stava per fare. 7 Filippo gli rispose: «Duecento denari di pani non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto». 8 Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli disse: 9 «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cosa sono per così tanta gente?» 10 Gesù disse: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette, ed erano circa cinquemila uomini. 11 Gesù quindi prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, quanti ne vollero. 12 Quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda». 13 Essi quindi li raccolsero, e riempirono dodici ceste con i pezzi dei cinque pani d'orzo che erano avanzati a quelli che avevano mangiato.14 La gente dunque, avendo visto il segno miracoloso che Gesù aveva fatto, disse: «Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo». 15 Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, da solo.

 

“Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?”. Questa è la domanda centrale del racconto della moltiplicazione dei pani secondo Giovanni. Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare? Questa domanda qui la pone Gesù, non i discepoli, come accade per esempio nel vangelo di Marco. In Marco sono i discepoli, dopo che Gesù li ha invitati a nutrire la folla, che, stupiti, chiedono a Gesù come possano fare a sfamare tutta quella gente, e se debbano andare loro stessi a comprare del pane per duecento denari – che ovviamente non hanno.

Qui è diverso, qui è Gesù che pone la domanda e provoca i suoi discepoli. La domanda-chiave è “dove”, dove si trova il pane. Letteralmente in greco è “da dove”: da dove viene il pane? Per comprendere questo brano, dobbiamo tenere presente che nel vangelo di Giovanni il materiale e lo spirituale si intrecciano sempre. Anzi spesso in questo vangelo – che come sapete è molto diverso dagli altri tre – si verificano degli equivoci: Gesù parla di questioni spirituali usando immagini materiali, che puntualmente i suoi interlocutori non capiscono o equivocano. Ed è così è anche qui, materiale e spirituale si intrecciano. “Da dove viene il pane” significa anche: da dove viene il bene, la salvezza, la vita per tutta l’umanità.

In tutto questo capitolo che si apre con la moltiplicazione dei pani c’è questo intreccio: il pane è quello che Gesù dà da mangiare alla folla, ma è anche egli stesso, e infatti più avanti dirà: “io sono il pane della vita”. In Giovanni Gesù non soltanto il pane alla gente che ha fame, ma è il pane per chi è affamato di salvezza, di giustizia, di senso, di speranza. Quindi la risposta di Gesù al “dove” compreremo il pane, o al “da dove” viene il pane, è: Gesù dà il pane da mangiare, ma non solo: Gesù è anche il pane della vita.

Solo che a differenza del pane fatto di farina, che bisogna comprare, il pane della vita non si compra, è gratis, è grazia. È per affermare questo che Gesù compie il miracolo. Gesù dà, dona gratuitamente il pane da mangiare per sfamare la folla, certo, ma anche per dare più forza all’affermazione che verrà più avanti: io sono il pane della vita. Il miracolo materiale in Giovanni non è solo finalizzato a nutrire il corpo. Al centro del racconto c’è il dono, ma c’è soprattutto il donatore; questo racconto è annuncio di chi è Gesù: Gesù, il donatore del pane, è lui stesso il pane della vita. C’è il pane che toglie la fame, che Gesù dà, e il pane che toglie la paura, il peccato, che toglie il muro che abbiamo costruito tra noi e Dio, il pane che Gesù è.

Tra le varie differenze con i racconti dello stesso miracolo che troviamo nei sinottici, avrete forse notato che in questo racconto non ci sono alcuni dettagli che troviamo negli altri racconti degli altri vangeli: non è detto che la folla stava ascoltando Gesù da tanto tempo, che era quasi buio e che la folla era affamata. Nei sinottici Gesù sfama una folla stanca e affamata, qui sfama una folla che non è detto che abbia fame. Non sfama la folla che lo sta ascoltando da ore, sfama “una gran folla [che] veniva verso di lui”. La folla che viene a cercare Gesù.

Perché cerca Gesù?: “Una gran folla lo seguiva, perché vedeva i segni miracolosi che egli faceva sugli infermi”. La folla cerca miracoli. Gesù guariva gli infermi; e chi è che – se è infermo – non vorrebbe essere guarito? Per questo una gran folla accorre e cerca Gesù. Cerca guarigione. Gesù non dà soltanto guarigione, ma le dà anche il pane. Prima le dà il pane di farina e poi le annuncia che lui - che dona il pane da mangiare - è il pane di vita.

Il pane di farina sfama la folla per quel giorno, col pane di farina chi ne mangia arriva fino all’indomani, quando dovrà di nuovo andarlo a comprare. Con il pane di vita che è Gesù invece si arriva fino alla fine dei propri giorni, e oltre, e non si deve comprare mai, perché è sempre gratis, è sempre grazia. Ma intanto le dà il pane di farina, compie un miracolo. Anche se non ci viene detto esplicitamente che era affamata, la gente doveva pur mangiare anche quel giorno. E Gesù dà pane alla folla.

Il miracolo – come  sapete – non è raccontato, è raccontato soltanto il risultato e ce ne accorgiamo solo alla fine. Non viene detto che Gesù moltiplica il pane – e in questo senso il titolo “moltiplicazione dei pani” è impreciso – viene detto che Gesù prende i pani, rende grazie, cioè prega e ringrazia Dio per il dono del pane, e li distribuisce alla gente seduta; e che lo stesso fa con i pesci.

Gesù distribuisce il pane, che nelle sue mani non finisce. Quel pane, quel giorno, nelle mani di Gesù non finisce, perché quel giorno nelle mani di Gesù il pane di farina è segno del pane di vita e dunque non finisce, ce n’è per tutti e ce n’è in abbondanza. Avrete anche notato questa altra differenza rispetto agli altri racconti dello stesso episodio: è Gesù che distribuisce il pane, non i discepoli.

Nei racconti degli altri vangeli Gesù prende il pane, ringrazia, lo spezza e lo dà ai discepoli che lo distribuiscono alla folla. Qui fa tutto Gesù. Non è il caso di chiederci come abbia fatto da solo a distribuire il pane a cinquemila persone o quanto tempo ci abbia messo. Dobbiamo cogliere il senso del messaggio: Gesù il pane perché è il pane, dona il pane come donerà se stesso. Senza intermediari.

Per Giovanni questo è un racconto che ha Cristo al centro, unico protagonista, perché Giovanni vuol dirci chi è Gesù e che cosa fa. È pane di vita che dona pane per lo stomaco, e dona pane per lo stomaco perché è il pane di vita. Gesù fa ciò che è, è dono che dona. E del pane di farina ne avanza, ne avanzano dodici ceste. Un numero simbolico, il numero delle tribù di Israele, che vuol dire che Gesù nutre tutto il popolo, nutre tutti. Mangiano tutti a sazietà e ne avanzano dodici ceste. Ciò significa che del pane – che rappresenta il pane di vita – ce n’è anche per chi non è lì, ce n’è anche per chi non c’è.  Una bellissima immagine per la predicazione dell’evangelo: l’evangelo viene predicato, ovviamente, a chi lo ascolta, ma viene predicato anche per chi non c’è, anche per chi non lo ascolta.

Qual è la reazione della folla davanti a questo miracolo? La folla mangia, si sazia, è contenta, capisce che Gesù non è uno qualunque, anzi afferma che «Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo», cioè il messia. Sì, è vero, è il messia. La folla ha capito!

No, non ha capito, ha capito solo in parte, ha capito quello che voleva capire e cioè che Gesù è il messia perché guarisce gli ammalati e dona pane gratuitamente a tutti! Se qualcuno oggi potesse promettere queste cose nella campagna elettorale in corso – pane e salute! - sai quanti voti prenderebbe! E infatti la folla vuole farlo re! Gesù guarisce gli ammalati e sfama gli affamati quindi è il re ideale. Gesù sa che “stavano per venire a rapirlo per farlo re” e si ritira di nuovo sul monte, da solo. Dopo la folla la solitudine. La solitudine del figlio di Dio, incompreso, non compreso fino in fondo.

Alla folla, o alla maggioranza di essi, interessa il pane per lo stomaco, non il pane di vita. Interessa mangiare oggi, il resto non conta. Gesù dona il pane perché è il pane della vita. Alla maggioranza interessa solo la prima parte, solo il pane di farina. Che ovviamente è un diritto ed è uno scandalo che gran parte della popolazione mondiale non ce l’abbia ogni giorno. E infatti Gesù non dà il pane solo a chi crede, lo dà a tutti!

Ma Gesù è venuto a donare di più, infinitamente di più. È venuto a donare se stesso, il pane della vita, cioè il pane della speranza, della giustizia, della pace, del perdono e della riconciliazione con Dio. È la fame di queste cose che l’incontro con Gesù ci fa venire.

E dove compreremo tutte queste cose? Non c’è da comprarle, perché sono già qui, nel pane di vita, che è venuto lui a noi senza che lo cercassimo per metterci questa fame e donarci questo pane.

Che è gratuito, è grazia, è dono. Ed è abbondante, ne avanza, e ce n’è anche per chi non c’è, per chi non l’ha ancora incontrato e scoperto.

Che il Signore continui a donarci questa fame e questo pane che nutre, che dà gioia, che dà speranza.

E che avanza, perché il pane della vita non ha fine e vuole sfamarci ogni giorno della nostra vita.

 


21/03/2022

4 DOMENICA DI AVVENTO    

 Saluto

 Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. L’opera del creatore è visibile: rispondiamo con lode. L’esempio di Gesù è evidente: rispondiamo con ubbidienza. Il vento dello Spirito soffia: rispondiamo con gioia. Amen.

 

Lettura di accompagnamento da Luca 1, 46-55

 46 Maria rispose: «Sia lode al Signore. 47 Come gioisco in Dio, mio Salvatore! 48 Egli si è accorto di me, dell'ultima sua serva e d'ora in poi tutti mi chiameranno beata. 49 Perché Dio, il Potente, il Santo, ha fatto grandi cose per me. 50 Egli è misericordioso per sempre verso tutti coloro che lo temono. 51 Quanto è forte il suo potente braccio! Come ha disperso gli orgogliosi e i superbi! 52 Egli ha rovesciato i potenti dai loro troni ed ha elevato gli umili. 53 Ha dato a piene mani agli affamati ed ha allontanato i ricchi a mani vuote. 54 E come ha aiutato il suo servo Israele! Perché non ha dimenticato la promessa, 55 che aveva fatto ai nostri antenati. La promessa di essere misericordioso verso Abramo e i suoi discendenti!»

 

Invocazione

 Grazie, Dio nostro, perché in Gesù il Cristo accadono veramente grandi cose: la vita viene affermata, l’ingiustizia è combattuta, la sofferenza è trasfigurata, la morte perde la sua potenza distruttiva. Che notizia meravigliosa ci dai oggi! Che annuncio di gioia ci proponi! Noi confidiamo in te, ci rallegriamo nella tua presenza, aspettiamo che il tuo regno si compia. Tutta la terra ti benedica. Tutto il creato canti la tua gloria. Lode a te, o Dio nostro. Amen.

 

Confessione di peccato da Matteo 10,32-33

 Dice il Signore: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli.”

 

Preghiamo:

 Signore, guardiamo alle nostre giornate…quante volte, per convenienza nostra, abbiamo taciuto! Quante volte, per indolenza, non ci siamo esposti per testimoniare la tua verità! Quante volte, per presunzione, ci siamo tirati indietro dal praticare l’amore, dal ricercare la giustizia, dal fare la pace! Le nostre azioni non sono gesti trasparenti di testimonianza. Intervieni in noi, fai cadere tu stesso la maschera di finta pietà che ci siamo costruiti e dietro la quale nascondiamo il nostro vero peccato. Per noi è difficile ammettere di averti rinnegato. E tuttavia, sappiamo che Tu ci vieni incontro e ci accogli così come siamo e con la forza del Tuo perdono vuoi portarci a riconoscerti quale unico Signore e Salvatore. In questo Tuo perdono, che non conosce limiti né confini, noi confidiamo. E perciò Ti chiediamo di non abbandonarci. Per Gesù Cristo, morto per il nostro peccato e risuscitato per la nostra giustificazione. Amen.

 

 

ANNUNCIO DEL PERDONO

 Ascoltiamo l’annuncio della grazia: “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna.” (Tito 3, 5a.7)

Riceviamo con riconoscenza questa parola di perdono e rallegriamoci in essa. Per la potenza di questo evangelo, a ciascuno di noi è data la possibilità di riprendere il cammino della fiducia e della speranza. Il Signore ci aiuti a fare della nostra vita una risposta a lui gradita, alla sua gloria. Amen.

 

Confessione di fede tratta dal “Credo Apostolico”   

“Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra.
E in Gesù Cristo, Suo Figlio unigenito, Signore nostro,
il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
Discese nel soggiorno dei morti; il terzo giorno risuscitò;
salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:
Di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa universale, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione dei corpi, e la vita eterna. Amen.”

  

 

Ascolto Della Parola Di Dio

Vogliamo far nostre le parole della preghiera di illuminazione prima delle letture bibliche e prima del Sermone.

 

Signore, in questa ultima domenica di avvento vogliamo esaltarti con tutta la forza di cui siamo capaci. Tu sei la nostra difesa, la nostra dignità, la nostra vittoria. Tu sei il nostro Dio paziente, appassionato, sempre pronto a condividere con noi le gioie e gli affanni delle nostre giornate. Per l’opera del tuo Spirito, fa’ che l’annuncio della tua parola sia ascoltato e da questo ascolto nascano in noi frutti autentici di giustizia, pace, riconciliazione. La nostra vita, in parole e azioni, sia una testimonianza efficace al regno che hai inaugurato nel tuo Figlio Gesù. Amen

 

LETTURE BIBLICHE

Salmo 96

Inno alla grandezza e alla gloria di Dio
1Cr 16:23-33 (Sl 97; 98; 67)
1 Cantate al SIGNORE un cantico nuovo, cantate al SIGNORE, abitanti di tutta la terra! 2 Cantate al SIGNORE, benedite il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza! 3 Proclamate la sua gloria fra le nazioni e i suoi prodigi fra tutti i popoli! 4 Perché il SIGNORE è grande e degno di sovrana lode; egli è tremendo sopra tutti gli dèi. 5 Poiché tutti gli dèi delle nazioni sono idoli vani; il SIGNORE, invece, ha fatto i cieli. 6 Splendore e maestà sono davanti a lui, forza e bellezza stanno nel suo santuario. 7 Date al SIGNORE, o famiglie dei popoli, date al SIGNORE gloria e forza. 8 Date al SIGNORE la gloria dovuta al suo nome, portategli offerte e venite nei suoi cortili. 9 Prostratevi davanti al SIGNORE vestiti di sacri ornamenti, tremate davanti a lui, abitanti di tutta la terra!
10 Dite fra i popoli: «Il SIGNORE regna»; il mondo quindi è saldo e non potrà vacillare; il SIGNORE giudicherà le nazioni con rettitudine. 11 Gioiscano i cieli ed esulti la terra; risuoni il mare e quanto contiene; 12 esultino i campi e quanto è in essi; tutti gli alberi delle foreste emettano gridi di gioia 13 in presenza del SIGNORE; poich'egli viene, viene a giudicare la terra. Egli giudicherà il mondo con giustizia, e i popoli con verità.

 

Matteo 1:18-25

18 Ecco i fatti riguardanti la nascita di Gesù Cristo. Sua madre, Maria, era fidanzata con Giuseppe, ma, mentre era ancora vergine, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe, il suo fidanzato, da uomo di giusti princìpi, decise di rompere il fidanzamento, di nascosto però, perché non voleva esporla a critiche infamanti. 20 Ma, mentre faceva questi progetti, gli apparve in sogno un angelo del Signore. «Giuseppe, discendente di Davide», disse l'angelo, «non esitare a sposare Maria, perché il bambino che è dentro di lei è stato concepito dallo Spirito Santo. 21 Maria avrà un figlio al quale metterai nome Gesù (che significa Salvatore), perché è lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati. 22 Questo accadrà, affinché si realizzi ciò che Dio ha detto tramite il suo profeta: 23 "Ascoltate! La vergine sarà incinta! Partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele (che significa Dio è con noi)"». 24 Quando Giuseppe si svegliò, fece come l'angelo gli aveva comandato e portò Maria a casa sua per sposarla. 25 Maria, vergine, partorì il bambino, a cui Giuseppe mise nome Gesù.

Testo biblico della predicazione

Matteo  2 ,  13 - 23

        Dopo che (i magi) furono partiti, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico, perché Erode sta cercando il bambino per farlo morire”. Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre e si ritirò in Egitto. Là rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: “Fuori dall’Egitto chiamai mio figlio”. Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era esattamente informato dai magi. Allora si adempì quello che era stato detto per bocca del profeta Geremia: “Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”. Dopo la morte di Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, in Egitto, e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele, perché sono morti coloro che cercavano di uccidere il bambino”. Egli, alzatosi, prese il bambino e sua madre, e rientrò nel paese d’Israele. Ma udito che in Giudea regnava Archelao al posto di Erode suo padre, ebbe paura di andare là e, avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato “Nazareno”.          

 

Esposizione del brano biblico

 

Sabato prossimo è Natale…molti festeggeranno il Natale, anche chi non va in chiesa…ma il suo…è un Natale diverso…come per lui e per tanti, la parola stessa “Natale” non ha più quasi nulla a che fare con la nascita avvenuta a Betlemme. Natale è la festa non più tanto “del bambino”, ma “dei bambini”, in cui è bello che anche gli adulti tornino un po’ bambini...è la festa delle luci, degli addobbi…dei regali…che poi non sono nemmeno una brutta cosa…Natale…in fin dei conti…è un soffio di poesia, che viene a dare un po’ di rima…alla tanta, sgangherata prosa della nostra vita…questo…in fondo non è un dramma, non è una situazione sconveniente contro cui puntare il dito, e men che meno l’occasione per rivendicare solo per noi cristiani il monopolio sul Natale come la nostra festa…ognuno ha il diritto di viversi come vuole il suo Natale. Credo che tutti noi, nei giorni delle feste natalizie, ci troveremo accanto a qualcuno che festeggia il suo Natale laico e agnostico, andrà bene così e non per questo non gli diremo: “Auguri”! C'è però un altro motivo…che mi sembra più fondato e reale…che deve preoccuparci…a Natale…ed è la realtà concreta del mondo in cui viviamo. Tutti…cristiani e agnostici, vorremmo che questi giorni di Natale fossero diversi da tutti gli altri giorni…che ci avvolgessero, un po’ come le sfere colorate dell’albero di Natale, in un’atmosfera di serenità e di pace. Ma non è così.   

Certo, come ogni anno, anche quest’anno sentiremo nell’aria il clima un po‘ smielato e che però ci è caro, delle festività…il carillon di Natale s’è messo in movimento, ci sono le luci, ci sono anche i dolci, si aprono i regali e siamo contenti se vediamo la gioia negli occhi e nel sorriso dei bambini e di tutte le persone che ci sono care, ma tutt'attorno a noi restano in-soffocabili le voci orali e scritte che portano il fracasso e insieme il gemito degli avvenimenti della cronaca quotidiana: il caos della politica, le paure della crisi economica, l'assenza di futuro per le nostre figlie e figli, i tanti senza casa perché venuti fra noi in cerca di speranza da paesi lontani, la spaventosa e ingiusta ordinarietà delle morti sul lavoro e i disastri causati dalla noncuranza dell’uomo per il territorio e i tanti colpiti dal COVID.   

Vorremmo che almeno a Natale queste voci tacessero, vorremmo dimenticare per un po’ tante brutture, liberarci dal senso di inquietudine che tutto questo ci provoca, ma non è così…

Anche a metterci i tappi nelle orecchie, certe cose entrano dalle finestre e dai camini ben più veloci di Babbo Natale…e una mano di nero va a incupire il brillio degli addobbi natalizi…    

E così, anziché sentirci (come vorremmo) tutti più bambini, ci sentiamo (come invece non vorremmo) tutti più piccoli e impotenti.  Possiamo forse a volte far qualcosa per quello che ci tocca direttamente…possiamo fare la scelta opportuna, dire la parola che serve, dare il consiglio giusto…ma sui grandi eventi…quelli che fanno l’attualità e decidono della qualità della vita di tutte e tutti…noi non abbiamo presa…non possiamo far niente. Siamo, appunto, troppo piccoli…l’essenziale si decide altrove, ed è un essenziale che ci tocca la pelle…e così, alla fine, il nostro Natale sembra fatalmente meno Natale…

 Forse vi stupirete se vi dico che non è così!

Che proprio perché la realtà del nostro mondo non possiamo afferrarla e trattenerla…e tanto meno la possiamo cambiare…proprio per questo il nostro Natale 2021 trascorrerà come è giusto che scorra ogni Natale… come dal primo Natale. Abbiamo riportato sopra dal  vangelo di Matteo, il racconto degli eventi che hanno fatto seguito alla nascita di Gesù…e nostro malgrado, ci siamo resi conto che questa storia non è stata solo poesia, delicatezza e gioia, ma risuona anche di violenze e di gemiti…trambusto e paure, almeno come i telegiornali che siamo spesso tentati di non vedere perché ci fanno star male…abbiamo visto il furore di Erode, ingannato dai magi…che a sua volta aveva tentato di ingannare per poi massacrare i neonati di Betlemme con la conseguente fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e Gesù, gli anni dell'esilio; e poi…dopo la morte di quel vecchio terribile re, il ritorno nella terra di Giuda…e ancora la paura, che spinge il papà, la mamma ed il bambino a trasferirsi nella Galilea, perché al posto di Erode c’è sul trono il figlio Archelao, un pazzo sanguinario peggiore di suo padre...     

Il massacro dei bimbi di Betlemme, la morte del tiranno, la divisione del suo regno tra i figli…ecco gli avvenimenti che all’epoca erano l’attualità di cui parlava la gente…per le strade e al mercato.

E invece?…Chi ha parlato di quella famigliola che in piena notte sì è messa in viaggio verso il lontano Egitto? E chi ha parlato del loro ritorno qualche anno più tardi? Nessuno.   

Ebbene…quella partenza e quel ritorno si sono decisi nel segreto di un sogno, nell’intimità di una parola sussurrata dall'angelo di Dio, senza fare rumore…e cosa c’è di più inavvertibile…di più sottile e di più contestabile di una voce nel sonno!?   

Tuttavia…la Bibbia…ci parla di quel sogno e ancora prima di molti altri sognatori (Abramo, Giacobbe, il primo Giuseppe, Samuele, Davide, Isaia e gli altri profeti) a cui Dio s’è rivolto dolcemente, ma anche con una forza tale che si son messi in movimento, hanno percorso la via che Egli indicava, senza tenere conto di ciò che colpiva…entusiasmava e terrorizzava il mondo attorno a loro…quei sognatori… hanno ignorato il mondo…e spesso sono stati ignorati dal mondo…ma proprio in questo modo, con la loro obbedienza silenziosa a una parola appena mormorata…hanno cambiato il mondo!    

Sì…il sogno di Giuseppe, il viaggio con sua moglie e il suo bambino, sono stati un “dettaglio”, un particolare secondario rispetto a ciò di cui si parlava in quel tempo.   

Ma ad ogni Natale, noi cristiani ricordiamo la venuta al mondo di quel bambino che nelle braccia di sua madre andava verso l’Egitto nel buio della notte…e ci ritroveremo al culto di Natale per Gesù, e non per Erode! Perché Dio cambia la storia con i dettagli…agisce nei dettagli…

Da Abramo in poi è stata la sua scelta. Ed è ancora la sua scelta.    

Ci sono tanti eventi che riempiono le cronache e la storia, colpiscono e emozionano…fanno felice o fanno disperata la pubblica opinione…ma se noi…non cerchiamo Dio nei dettagli…rischiamo di passargli accanto senza trovarlo…    

Un altro dettaglio è questo…nessuno storico dell’antica Roma ha dedicato un rigo alla nascita e alla morte di Gesù, né alla sua vita…l’unico che forse ci riporta il suo nome…mentre racconta di alcuni disordini all’interno della comunità ebraica romana…è Svetonio…ma lo fa in maniera sbagliata…volendo parlare degli ebrei convertitisi al “Cristo” e della loro rivalità con gli ebrei rimasti ebrei, parla dei sostenitori di “un certo Cresto”, ha sbagliato a scriverlo, quel nome, perché era un nome del tutto sconosciuto…e siamo già in pieno secondo secolo. La vita e le vicende di quell'agitatore erano agli occhi dei Romani troppo poco importanti…non più di un trascurabile dettaglio della loro grande storia…ed invece i loro storici ci hanno parlato a lungo di una folla di personaggi di cui oggi non parla più nessuno.    

Ma per gli storici romani…Gesù era insignificante anche perché apparteneva ad un popolo insignificante…era solo un ebreo…anche qui…davvero…Dio agisce nei dettagli…ha scelto per sé un popolo che è sempre stato un “dettaglio” nella storia.     

Israele…non è mai stato un grande popolo, non è mai stato il più forte, né il più grande e anche al tempo del massimo splendore, il tempio di Salomone avrebbe fatto una meschina figura di fronte ai grandi templi dell’Egitto, o ai templi della Grecia.

Sì, nella sua lunga storia Israele è stato quasi sempre un piccolo popolo sottoposto a popoli ed imperi ben più grandi di lui.

Ma proprio lì, nel cuore di quel “popolo che era esso stesso un “dettaglio” del mondo…incastrato fra i grandi che facevano la storia, attraverso le pieghe violente dei conflitti, delle minacce, degli esili, della dominazione straniera, Dio s’è fatto conoscere come una forza…una sicurezza…una fonte di pace. S’è manifestato con l’ostinazione e la tenacia di una candela che brilla nella notte. Non c’è nulla di più fragile di una candela…perchè…non c’è nulla che, come una candela, ti possa far capire che cosa è davvero la notte e che al tempo stesso ti possa anche far capire che la notte non è che la notte…se accendi un faro, la notte scappa via e non sai più che cos’è per davvero, proprio così…come una candela accesa nella notte che nulla può più spegnere…Dio ci si è oggi rivelato nel racconto di Matteo, e ci ha anche rivelato la nostra realtà di oggi.  

Matteo avrebbe potuto censurare il ricordo della strage comandata da Erode. Invece…ha preferito fissare nella nostra memoria quella pagina nera della storia, farci ascoltare il grido del dolore innocente ed inerme di fronte a quella bestialità…opera di esseri umani.   

E noi non possiamo non renderci conto che quei bambini massacrati a Betlemme appartengono al nostro quotidiano…fanno parte della stessa realtà di sangue e lacrime di cui fanno parte le ragazzine/ni che, un giorno, all'improvviso, spariscono da casa e non li trovi più, o li trovi cadavere, vittime innocenti della ferocia umana…e con loro, tutte e tutti i violentati, abusati, annegati, che toccano la nostra coscienza e ci fanno misurare la nostra impotenza…    

Per le piccole vittime di ieri, e per quelle di oggi, l’evangelo non ci fornisce giustificazioni...non c’è giustificazione per le sofferenze ingiustificabili, ma apre delle vie.    

La prima…è la via del diritto al lamento, al grido di dolore e anche di rabbia levato verso Dio: “Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata”. Non c’è consolazione, neanche da Dio, di fronte a certe cose…

    La seconda via è custodire la memoria di ciò che, nel mare ribollente di violenza e di stragi, tesse la trama di una luce che resta e non si spegne. Così, il pianto disperato delle madri di Betlemme è la piccola, struggente luce dell’amore, il dettaglio d’amore, che illumina la notte della furia delle belve di Erode. Un dettaglio prezioso, che ti fa lacrimare e insieme anche sperare che...no...la violenza non avrà l'ultima parola…la violenza finirà, resterà quel pianto che sarà consolato come è scritto nell'Apocalisse che chiude l'intera Bibbia: “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21,4).       

Celebriamo questo Natale come la festa di un Dio che si manifesta nei dettagli. Festeggiamolo così…il Natale…e allora potrà insegnarci ancora molto.   

Ci insegnerà, ad esempio, che tutta la nostra vita è fatta di dettagli…l’attenzione accordata a qualcuno…un pensiero ascoltato oppure letto che continua a frullarci per la testa…una frase ricordata di una predicazione (perché a volte può capitare persino questo…di ricordare una frase di una predicazione...), un brano musicale che ci prova che l’essere umano è anche capace di creare meraviglie…il sorriso di uno sconosciuto per la via o la domanda ingenua e profonda di un bambino...   

“Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto...Alzati, prendi il bambino e sua madre e torna in Israele” …Sì, Natale è la festa in cui il dettaglio prende il posto che gli spetta, perché Dio si rivela nel dettaglio. Una festa in cui scopriamo che se i grandi eventi e i grandi personaggi ricolmano di sé l’attualità…l’essenziale però si gioca altrove. Valeva allora, duemila anni fa, e vale anche per noi oggi…una mano che si tende, una parola che si offre, un gesto di pace...questo è ogni volta il dettaglio che fa vivere e gioire.

AMEN

 

                                     Preghiera di intercessione

 Eterno Iddio e Padre nostro, ti chiediamo che in ogni cosa tu ci renda forti. Aiutaci a trovare gioia nello studio delle Scritture, nella condivisione della nostra vita con i fratelli e le sorelle in fede, nel servizio verso i più deboli e gli emarginati, nell’annuncio dell’evangelo alle persone che ti ignorano. Aiutaci a trovare nella chiesa uno stimolo per la nostra immaginazione, un’emozione che ci scuota dalla nostra pigrizia, una sorgente di forza per fare quello che tu vuoi. Padre nostro, intorno a noi e in noi non sempre c’è pace e serenità. A volte i problemi sono di difficile soluzione e il fardello della vita diventa insopportabile. Manda il tuo Spirito in mezzo a noi e armaci della tua forza e della tua speranza. Concedi a questa comunità, che tu stai costruendo, la gioia che è data a coloro che hanno il cuore aperto alla tua chiamata e al tuo Spirito. Veniamo a te, Padre, sicuri del tuo amore, non per essere strappati dai problemi della vita, ma ‘per imparare da te a vivere in un festoso annuncio dell’Evangelo e in un impegno concreto accanto ai più dimenticati. Signore, ti chiediamo di far vivere la vita e di far morire la morte. Nel nome e per amore di Gesù il Cristo, che per questo è venuto fra noi ad insegnarci questa preghiera: “Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo anche in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori e non esporci alla tentazione ma liberaci dal Maligno. Tuo è il Regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen”

 

                                        Benedizione (Filippesi 4:7)

“La pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e       i vostri pensieri in Cristo Gesù.”

Amen

 (Giampaolo Castelletti, domenica 19 dicembre 2021. Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta a cura della Società Biblica di Ginevra, 1ª edizione 1994, tranne la scrittura di Matteo 1, 18-25 tradotta dall’ebraico).