Culti
10/01/2023
31/12/2022
PREDICAZIONE SUL TESTO BIBLICO DI MATTEO 2, 13 - 23 TENUTA NEL TEMPIO DI OMEGNA IL 25 DICEMBRE 2022
Matteo 2 , 13
- 23
Dopo che (i magi) furono partiti, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico, perché Erode sta cercando il bambino per farlo morire”. Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre e si ritirò in Egitto. Là rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta: “Fuori dall’Egitto chiamai mio figlio”.
Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò moltissimo e mandò a uccidere tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era esattamente informato dai magi. Allora si adempì quello che era stato detto per bocca del profeta Geremia: “Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”.
Dopo la
morte di Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe, in Egitto, e
gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele,
perché sono morti coloro che cercavano di uccidere il bambino”. Egli, alzatosi,
prese il bambino e sua madre, e rientrò nel paese d’Israele. Ma udito che in
Giudea regnava Archelao al posto di Erode suo padre, ebbe paura di andare là e,
avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e venne ad abitare in
una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai
profeti, che egli sarebbe stato chiamato “Nazareno”.
La parola stessa “Natale” non ha più quasi nulla a che fare con la nascita avvenuta a Betlemme. Natale è diventato la festa non più tanto “del bambino Gesù”, ma “dei bambini”, in cui è bello che anche gli adulti tornino un po’ bambini...vi è la festa delle luci…degli addobbi…ma anche dei regali che non sono poi nemmeno una brutta cosa…vedete…Natale è diventato un soffio di poesia…anche se in genere non di una grande poesia che…ogni anno viene a dare un po’ di arte poetica alla tanta, sgangherata quotidianità della nostra vita…questo…in fondo non è un dramma, non è una situazione sconveniente contro cui puntare il dito, e men che meno l’occasione per rivendicare solo per noi cristiani il monopolio sul Natale come la nostra festa…ognuno…laico o agnostico che sia…ha il diritto di viversi come vuole il suo Natale. Sapete che…in assenza di ogni indicazione biblica in merito…la data del 25 dicembre per celebrare la nascita di Cristo fu un vero e proprio “furto” che i cristiani operarono ai danni di coloro che credevano negli antichi dèi, appropriandosi della grande festa pagana del Sole Vincitore, che proprio alla fine di dicembre torna a prolungare la sua permanenza in cielo, e così, dopo sei mesi di costante diminuzione, il giorno torna a crescere in lunghezza ai danni della notte, la paura del buio totale è esorcizzata, il sole vince e l'uomo assieme a lui.
Insomma, l’attuale “paganizzazione” del Natale non è altro che il riappropriarsi del bottino di quell’antico furto cristiano…e forse è giusto così…perché…se alla fine…la nostra minorità numerica sempre più accentuata…significherà che l’essere cristiani non sarà più la conseguenza quasi inconsapevole di una tradizione familiare e culturale…ma il frutto di una decisione di fede personale…dovremo solo che essere contenti… avremo delle chiese meno piene e meno ricche…ma proprio per questo… probabilmente…“più chiese”... più povere come Gesù…che era povero…e più creature e servi dell’Evangelo…
C'è però un altro motivo…che mi sembra più fondato e reale…che deve preoccuparci oggi a Natale, ed è la realtà concreta del mondo in cui viviamo. Tutti…cristiani e agnostici, vorremmo che questi giorni di Natale fossero diversi da tutti gli altri giorni…che ci avvolgessero…un po’ come le sfere colorate dell’albero di Natale, in un’atmosfera di serenità e di pace. Ma non è così. Certo, come ogni anno, anche quest’anno sentiremo nell’aria il clima un po smielato e che però ci è caro delle festività: il carillon di Natale s’è messo in movimento, ci sono le luci, ci sono i dolci, si aprono i regali e siamo contenti se vediamo la gioia negli occhi e nel sorriso dei bambini e di tutte le persone che ci sono care, ma tutt'attorno a noi restano in soffocabili le voci orali e scritte che portano il fracasso e insieme il gemito degli avvenimenti della cronaca quotidiana: il caos della politica, le paure della crisi economica, l'assenza di futuro per i nostri figli e figlie, i tanti senza casa perché venuti fra noi in cerca di speranza da paesi lontani come la Nigeria, la Somalia, la Siria, l’Afghanistan, coloro che arrivano dall’Ucraina, gli sfollati di Ischia ed infine la spaventosa e ingiusta ordinarietà delle morti sul lavoro.
Vorremmo
che almeno a Natale queste voci tacessero, vorremmo dimenticare per un po’
tante brutture, liberarci dal senso di inquietudine che tutto questo ci provoca,
ma non è così…anche a metterci i tappi nelle orecchie, certe cose entrano dalle
finestre e dai camini ben più veloci di Papà Natale…e una mano di nero va a
incupire il brillio degli addobbi natalizi…e così, anziché sentirci…come
vorremmo…tutti più bambini, ci sentiamo…come invece non vorremmo…tutti più
piccoli e impotenti.
A volte…forse possiamo far qualcosa per quello che ci tocca direttamente…possiamo fare la scelta opportuna come dire la parola che serve…dare il consiglio giusto…ma sui grandi eventi, quelli che fanno l’attualità e decidono della qualità della vita di tutte e tutti noi…non abbiamo presa…non possiamo far niente…siamo…appunto…troppo piccoli e le cose ci passano sulla testa, perchè l’essenziale si decide altrove, ed è un essenziale che ci tocca la pelle e così…alla fine…il nostro Natale sembra fatalmente meno Natale…
Forse vi stupirete se vi dico che non è così!
Che proprio perché la realtà del nostro mondo non possiamo afferrarla e trattenerla…e tanto meno la possiamo cambiare…per questo motivo…il nostro Natale 2022 trascorrerà come è giusto che scorra ogni Natale…come dal primo Natale.
Abbiamo riportato sopra dal vangelo di Matteo, il racconto degli eventi che hanno fatto seguito alla nascita di Gesù…eh…nostro malgrado…ci siamo resi conto che questa storia non è stata solo poesia, delicatezza e gioia, ma risuona anche di violenze e di gemiti, schiamazzi e paure…come i telegiornali che siamo spesso tentati di non vedere perché ci fanno star male…ebbene…abbiamo visto il furore di Erode, ingannato dai magi…che a sua volta aveva tentato di ingannare…massacrare i neonati di Betlemme…la fuga in Egitto di Giuseppe e dei suoi…gli anni dell'esilio; e poi…dopo la morte di quel terribile re Erode…il ritorno nella terra di Giuda…e ancora la paura…che spinge Giuseppe…Maria e Gesù…a trasferirsi nella Galilea…perché al posto di Erode c’è sul trono il figlio Archelao, un pazzo sanguinario…peggiore di suo padre...
Quella partenza e quel ritorno di Giuseppe, Maria e Gesù si sono decisi nel segreto di un sogno, nell’intimità di una parola sussurrata dall'angelo di Dio…senza fare rumore. E cosa c’è di più inavvertibile…di più sottile e di più contestabile di una voce nel sonno?
Tuttavia…la Bibbia…ci parla di quel sogno e ancora prima…di molti altri sognatori (Abramo, Giacobbe, Samuele, Davide, Isaia e gli altri profeti) a cui Dio s’è rivolto dolcemente, ma anche con una forza tale che si son messi in moto…hanno percorso la via che Egli indicava senza tenere conto di ciò che li colpiva o entusiasmava e terrorizzava il mondo attorno a loro. Hanno ignorato il mondo…quei sognatori…e spesso sono stati ignorati dal mondo…ma proprio in questo modo…con la loro obbedienza silenziosa a una parola appena mormorata…hanno cambiato il mondo!...Sì…il sogno di Giuseppe, il viaggio con sua moglie e il suo bambino, sono stati un “dettaglio”…un particolare secondario rispetto a ciò di cui si parlava in quel tempo…ma ad ogni Natale…noi cristiani ricordiamo la venuta al mondo di quel bambino che nelle braccia di sua madre andava verso l’Egitto nel buio della notte. E ci ritroveremo al culto di Natale per Gesù, e non per Erode! Perché Dio cambia la storia con i dettagli…agisce nei dettagli…da Abramo in poi è stata la sua scelta…ed è ancora la sua scelta.
Ci sono tanti eventi che riempiono le
cronache e la storia di dettagli… colpiscono e emozionano…fanno felice o fanno
disperata la pubblica opinione…ma se noi!…non cerchiamo Dio nei dettagli…rischiamo
di passargli accanto senza trovarlo…e sempre a proposito di dettagli… nessuno
storico dell’antica Roma ha dedicato un rigo alla nascita e alla morte di Gesù,
né alla sua vita…Svetonio…è l’unico storico che forse ci riporta il nome di
Gesù…mentre racconta di alcuni disordini all’interno della comunità ebraica
romana…lo fa in maniera sbagliata…volendo parlare degli ebrei convertitisi a
“Cristo” e della loro rivalità con gli ebrei rimasti ebrei…parla dei
sostenitori di “un certo Cresto”…ha sbagliato a scriverlo…quel nome…perché era
un nome del tutto sconosciuto…e siamo già in pieno secondo secolo.
La
vita e le vicende di quell'agitatore erano agli occhi dei Romani troppo poco
importanti, non più di un trascurabile dettaglio della loro grande storia. E
invece i loro storici ci hanno parlato a lungo di una folla di personaggi di
cui oggi non parla più nessuno…ma per gli storici romani Gesù era
insignificante anche perché apparteneva ad un popolo insignificante. Era solo un
ebreo. Anche qui, davvero Dio agisce nei dettagli, ha scelto per sé un popolo
che è sempre stato un “dettaglio” nella storia…non è mai stato un grande
popolo Israele. Non è mai stato il più forte, né il più grande, né il
più colto, e neanche il più promettente in fatto di “mercato religioso”…anche
al tempo del massimo splendore…il tempio di Salomone avrebbe fatto una meschina
figura di fronte ai grandi templi dell’Egitto, o ai templi della Grecia. Sì!...nella
sua lunga storia…Israele è stato quasi sempre un piccolo popolo sottoposto a popoli
ed imperi ben più grandi di lui.
Ma proprio lì…nel cuore di quel “popolo che era esso stesso un “dettaglio” del mondo…incastrato fra i grandi che facevano la storia, attraverso la violenza dei conflitti, delle minacce, degli esili, della dominazione straniera, Dio s’è fatto conoscere come una forza…una sicurezza…una fonte di pace…S’è manifestato con l’ostinazione e la tenacia di una candela che brilla nella notte…sappiamo che non c’è nulla di più fragile di una candela…eppure…non c’è nulla che…come una candela…ti possa far capire che cosa è davvero la notte…se accendi un faro, la notte scappa via e non sai più che cos’è per davvero, e che al tempo stesso ti possa anche far capire che la notte non è che la notte…proprio così, come una candela accesa nella notte che nulla più può spegnere…Dio ci si è oggi rivelato nel racconto di Matteo, e ci ha anche rivelato la nostra realtà di oggi. Matteo avrebbe potuto censurare il ricordo della strage comandata da Erode. Invece, ha preferito fissare nella nostra memoria quella pagina nera della storia, farci ascoltare il grido del dolore innocente ed inerme di fronte a quella bestialità…opera di esseri umani. E noi non possiamo non renderci conto che…quei bambini massacrati a Betlemme appartengono al nostro quotidiano…fanno parte della stessa realtà di sangue e lacrime di cui fanno parte le ragazzine che…un giorno… all'improvviso…spariscono da casa e non le trovi più, o le trovi cadavere, vittime innocenti della ferocia umana…e con loro…tutte e tutti i violentati…abusati, devastati dalle guerre…gli annegati che toccano la nostra coscienza e ci fanno misurare la nostra impotenza…vedete…per le piccole vittime di ieri…e per quelle di oggi…l’evangelo non ci fornisce giustificazioni...non c’è giustificazione per le sofferenze ingiustificabili…ma apre delle vie. La 1ª è la via del diritto al lamento…al grido di dolore e anche di rabbia levato verso Dio…come “Rachele che piange i suoi figli, e non vuole essere consolata”…d’altronde…non c’è consolazione neanche da Dio…di fronte a certe cose…
La 2ª via…è quella che ognuno di noi deve
custodire…la memoria di ciò che…nel mare ribollente di violenza e di strage…tesse
la trama di una luce che resta e non si spegne.
Così…il
pianto disperato delle madri di Betlemme…è la piccola… struggente luce
dell’amore…il dettaglio d’amore che illumina la notte della furia delle belve
di Erode. Un dettaglio prezioso…che ci fa lacrimare e insieme anche sperare
che...no...la violenza non avrà l'ultima parola…la violenza finirà…e resterà
quel pianto che sarà consolato.
È
la parola che…nell'Apocalisse…chiude l'intera Bibbia: “Dio asciugherà ogni
lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né
dolore, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21,4).
Oggi…celebriamo questo Natale come la festa di un Dio che si manifesta nei dettagli.
Festeggiamolo
così…il Natale…e allora potrà insegnarci ancora molto.
Ci
insegnerà…ad esempio…che tutta la nostra vita è fatta di dettagli… l’attenzione
accordata a qualcuno…un pensiero ascoltato oppure letto che continua a
frullarci per la testa…una frase ricordata di una predicazione…perché a volte
può capitare persino proprio questo…di ricordare una frase di una predicazione...un
brano musicale che ci prova che l’essere umano è anche capace di creare
meraviglie…il sorriso di uno sconosciuto per la via…oh…la domanda ingenua e
profonda di un bambino...
“Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.....Alzati, prendi il bambino e sua madre e torna in Israele” …
Sì!...Natale è la festa in cui il dettaglio prende il posto che gli spetta, perché Dio si rivela nel dettaglio.
Una
festa…in cui scopriamo che…se i grandi eventi e i grandi personaggi ricolmano
di sé l’attualità…l’essenziale però si gioca altrove.
Valeva circa duemila anni fa…e vale anche per noi oggi: "una mano che si tende…una
parola che si offre…un gesto di pace"...questi gesti di amore…sono ogni volta il
dettaglio che fa vivere.
Amen
Giampaolo Castelletti
CIRCOLARE CHIESE EVANGELICHE METODISTE DI OMEGNA E INTRA: NATALE 2022
L’angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore”. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia»
(Luca 2,10-12)
L’evangelo
viene dall’alto. Viene dal cielo, dalla voce dell’angelo, del messaggero
inviato da Dio.
L’evangelo che viene dall’alto, dalla voce angelica, consiste nel fatto che “è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore”. É nato: è nato come nasce ogni neonato da che mondo è mondo, è nato come te e come tutti/e noi. Colui che incarna l’evangelo che viene dall’alto, da Dio, è venuto al mondo “dal basso” uscendo dall’utero di sua madre che lo ha partorito. Non scende trionfalmente dal cielo, ma nasce dal basso, da una giovane mamma, per di più in una situazione molto precaria, e viene deposto in una mangiatoria di una stalla di Betlemme.
Nasce dal basso, lui che è “Salvatore, Cristo e Signore”. È Salvatore dei miseri e degli ultimi, salvatore di tutti a partire da quelli che stanno più in basso. È Cristo, cioè il messia promesso dai profeti, è il compimento di una promessa antica che Dio mantiene, e per questo è degno di fiducia. È Signore, più Signore di Erode che, secondo il vangelo di Matteo, appena viene a sapere che è nato lo vuole immediatamente eliminare; più Signore di Cesare, dell’imperatore romano, il cui rappresentante lo farà crocifiggere. Più Signore di tutti gli altri signori di ieri e di oggi, perché è il Signore del Regno di Dio, del regno di pace e giustizia che lui inaugura.
Nasce così in basso che c’è bisogno che una voce dall’alto venga a dirci che è proprio lui il Salvatore, Cristo e Signore. Altrimenti nessuno lo crederebbe; e infatti molti non lo crederanno. Se non ci fosse una voce che ce lo viene a dire, anche noi non potremmo credere che il Salvatore, Cristo e Signore è nato.
Anzi: che è “nato per voi”. Colui che è nato come te e come me, è nato per me e per te, per noi; egli è nato, cioè è venuto nel mondo, Dio lo ha mandato per noi. Per noi è nato, per noi vivrà, per noi insegnerà e guarirà, perdonerà, rialzerà, darà una vita nuova a molte donne e uomini perché per loro e per noi è venuto nel mondo.
E questa è la grande gioia di cui parla l’angelo: la gioia sta nel fatto che è nato colui che farà tutte queste cose per noi, per amore verso di noi. Noi che stiamo qui in basso, come i pastori, a cui l’angelo dà il gioioso annuncio. Noi riceviamo l’annuncio della nascita del Salvatore, Cristo e Signore, la buona notizia, la gioia. Per ascoltare questo annuncio dobbiamo tendere l’orecchio alla voce che viene dall’alto; per incontrare il Salvatore, Cristo e Signore dobbiamo invece volgere gli occhi verso il basso, verso il “bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia” di cui parla l’angelo.
Orecchie verso l’alto, perché l’evangelo viene dall’alto; occhi verso il basso, perché è qui, nella mangiatoia, nella bassezza dell’umanità piccola e periferica che incontriamo il Salvatore, Cristo e Signore. E non solo a Natale: ogni giorno continuiamo ad incontrarlo nell’evangelo che viene dall’alto e nel prossimo che vive qui in basso, accanto a noi. Ogni giorno ci è data questa grande gioia iniziata la notte di Natale. Questa grande gioia nessuno ce la toglie, perché non viene da noi, ma ci è donata da Dio e ci è dato di riceverla ascoltando l’evangelo che viene dall’alto, che ce l’annuncia. Per noi è nato, a noi è annunciata questa grande gioia, che inizia la notte di Natale, ma non ha fine e ci accompagna ogni giorno della nostra vita.
Marco
Gisola
20/12/2022
PREDICAZIONE SUL TESTO BIBLICO DI FILIPPESI 4, 4 – 7 TENUTA NEL TEMPIO DI INTRA DA Giampaolo Castelletti IL 18 DICEMBRE 2022
4 Rallegratevi sempre
nel Signore. Ripeto: rallegratevi. 5 La vostra mansuetudine sia nota a tutti
gli uomini. Il Signore è vicino. 6 Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa
fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate
da ringraziamenti. 7 E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà
i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.
Care
sorelle e cari fratelli, a dir la verità…di questi tempi c’è poco di cui essere
allegri…visti tutti i vari cambiamenti che vi sono stati in questi ultimi mesi,
dalle varie guerre sparse nel mondo che oltretutto sono anche la causa
principale di quelle morti che avvengono in mare e nei tragitti terrestri da parte
di coloro che scappano per avere una vita migliore senza governi tiranni o
guerre fratricide…ci sono i vari cambiamenti climatici che causano
problematiche non indifferenti…le varie rivolte contro governi totalitari e soprattutto
vi sono i vari rincari dei prezzi…che fanno sì che in molte persone e anche in
noi stessi…prevale l’ansia…la preoccupazione…ed il problema è che a Dio
facciamo conoscere ben poco di questo nostro
stato d’animo ansioso e angustiato… ma lo facciamo pesare sugli altri. Ed è per
questo motivo che siamo noti per tante cose, ma non certo per la nostra mansuetudine…e
spesso vi sono persone che con la loro intelligenza cercano sempre di superare
la pace di Dio, anzi… cercano di superare Dio… soprattutto per il motivo che i
loro cuori e i loro pensieri non sono custoditi nel Figlio di Dio…Gesù il Cristo…anzi…non
sono proprio custoditi…cosicchè…potremmo dire che il mondo in cui viviamo, lo percepiamo
come un mondo che sta perdendo l’anima e la pace di Dio, tutto questo…fa sì che
si diventa sempre più ansiosi…Sempre più tristi…Sempre meno allegri e sempre meno
mansueti.
Ora…la
parola apostolica che contrasta apertamente questa immensa gravità,
quest’avversità insuperabile della nostra esistenza e della nostra situazione umana
ci viene incontro con le parole dell’Apostolo
Paolo che ci dice…“Rallegratevi sempre nel Signore!”
Qualcuno…visto i tempi difficoltosi…potrebbe dire: “facile
a dirsi, ma difficile da realizzare”, anche perché verrebbe da pensare che l’apostolo
Paolo abbia pronunciate queste parole in un momento in cui tutte le sue cose
gli andassero bene, ma era veramente così? Guardiamo allora il contesto in cui
queste parole sono state pronunciate e scritte…l’Apostolo le scrisse circa 2000
anni fa…e la situazione
nella quale si trovava Paolo, mentre scrive queste righe alla sua amata chiesa
di Filippi, è una situazione tutt’altro che allegra, Paolo è in un carcere
romano dell’epoca, dal quale l’apostolo sarebbe
uscito “o libero o ucciso”. All’epoca, non esisteva la carcerazione
detentiva che c’è ai giorni nostri, anzi all’epoca di Paolo…la carcerazione era
soltanto preventiva, cioè…in attesa della sentenza…che avrebbe potuto essere
solamente una: “un’assoluzione” o “una condanna a morte”…eh…nonostante
tutto questo…Paolo dice: “Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi.”
Paolo, vista la sua situazione, avrebbe
avuto ogni ragione del mondo di essere ansioso, angustiato, aggressivo…invece….nulla
di tutto ciò…nulla!!…a tal punto che ci esorta dicendoci: “non angustiatevi
di nulla. Ma in ogni cosa…pregate…pensate a Dio…parlate con Dio…vivete e
rallegratevi in Dio.”
Vedete!...Paolo…qui non ci indica di essere ansiosi…non
ci indica di avere poca mansuetudine o poca gioia e poca pace, anzi…in
questa lettera, Paolo…ci parla del perché essere gioiosi…
Ci
annuncia perché dobbiamo essere mansueti…
Ci
predica il perché della pace…che potremmo riassumerle in queste tre parole: “Gesù
il Cristo è la fonte della gioia. L’esempio della mansuetudine. La sorgente
della pace”.
In
effetti…Gesù…predicando dal monte degli ulivi…ci dice: “Non siate in ansia per la
vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro
corpo, di che vi vestirete” (Matteo 6,25).
Vedete?
In mezzo a questa ansia disperata, divampa la gioia, tanto che la gioia
si apre un varco in maniera efficace perchè il Signore Gesù Cristo…il nato a
Betlemme, il crocifisso, il risorto, il celebrato nei cieli e che ora regna per
la nostra pace con Dio, deve essere il motivo della nostra gioia… “La gioia
nel Signore”. Vedete?...Paolo ci fa capire…che
qui non si tratta di una percezione o di una sensazione. Non si tratta di carattere,
di ottimismo, di atteggiamento. Tutt’altro…Paolo ci scrive queste parole in un
periodo difficile della sua vita, anzi difficilissimo, e da cui non sa se ne uscirà
vivo, ma dentro a questo tempo, trova la gioia nel Signore. Non dice che la
sofferenza è finita, ma riconosce una gioia nel Signore…in Cristo si
trova a poter vedere Dio, a vedere se stesso e la sua situazione con
una chiave di lettura che sono completamente diverse. Il male, la morte, il silenzio…ed
improvvisamente…la vita nuova che non muore più. Davanti alla vita nuova, cioè
davanti al Cristo risorto, il male non può più colpire, quindi…vittoria e
trionfo.
E noi…sorelle e
fratelli…come viviamo queste parole dell’Apostolo Paolo? Noi…che viviamo in un
mondo in cui conta prima di ogni altra cosa come ci vestiamo, cosa mangiamo,
cosa beviamo, come ci divertiamo…vedete…in pratica viviamo in un mondo che conta
sulla propria forza…e il nostro mondo è particolarmente evoluto a tal punto che
ci fa capire che la preghiera appartiene a un mondo arretrato…l’allegria fa
parte di una umanità sviluppata...mentre la mansuetudine è considerata appartenente
ad una umanità di perdenti. E nonostante che…viviamo in una parte del mondo
particolarmente sviluppata, la maggior parte dell’umanità vive nell’ansia e
nell’angustia…ciò nonostante…si deve sempre andare avanti…tirare avanti.
Dobbiamo diventare sempre più forti, sempre più bravi, sempre più intelligenti
e insuperabili… Facciamo tante cose, e le facciamo sempre meglio, a tal punto
che poi non siamo più capaci di fermarci e salutarci. Siamo sempre più evoluti,
e poi non siamo più capaci delle cose elementari come fermarci e sorridere…fermarci
e parlare…fermarci e ringraziare. Sì!!...forse dobbiamo fermarci e riconoscere
che siamo diventati così evoluti che ci sentiamo tutti professori, e poi…ci scopriamo
analfabeti nelle cose elementari…come guardarci negli occhi e salutarci per
nome. Siamo diventati operatori sociali e culturali…poi ci scopriamo poco
propensi ad ascoltare. Siamo diventati pastori…anziani…diaconi…e poi siamo
incapaci di renderci conto della presenza dell’altro, di riconoscere che il Signore
è vicino. In queste parole sta tutta la ragione, anzi, tutta l’anima della
parola apostolica: il Signore è vicino. Forse aveva ragione Giovanni Miegge
quando scrisse nel lontano 1940: «La perdita delle virtù segue con qualche
ritardo, ma segue fatalmente, la perdita della fede. È naturale che sia così,
perché le virtù che sono sostenute soltanto dall’abitudine, dall’esempio o
dall’opinione, sono virtù senz’anima». Queste parole di Miegge devono far
riflettere e quindi capire che Gesù è l’anima della pace, della mansuetudine e
della gioia. Se rimaniamo con Gesù Cristo, i nostri cuori e i nostri pensieri
saranno custoditi…e la fede non verrà mai meno.
Si !!!...Gesù è la verità di
Dio che viene ad illuminare la nostra reale condizione e quella di tutte e tutti quanti che oggigiorno siamo fatalmente
alle prese con le preoccupazioni e coi problemi della vita, anche perché una
vita senza problemi non esiste…ed i problemi esigono attenzione…cura…e se non
accettiamo d’avere anche noi…i nostri pesi, Gesù che nasce non se ne può far
carico e non può venirci incontro…in sostanza…è soltanto se accettiamo di
avere le nostre angustie… che oggi…possiamo
ascoltare come rivolto a noi l’invito dell’apostolo Paolo che ci dice e ti dice:
“Non angustiatevi di nulla”…Sì, “non angustiatevi di nulla”…noi che
pure siamo venuti qua nel Tempio con le nostre angustie…perché qui c’è Gesù o meglio qui c’è
“il Signore”….Dio stesso…Dio in persona che “s’è fatto carne”, s’è fatto essere
umano come noi, ha preso su di sé quello che tutti siamo…il nostro “essere donne
e uomini” dalla nascita…che ci ha visto uscire da nostra madre…fare il primo
respiro insieme al primo pianto senza averne coscienza né ricordo, fino alla
morte che ci terrorizza lungo tutta la vita…e in mezzo…tra la nascita inconsapevole
e la morte che impaurisce…le oscurità e le difficoltà che il nostro “essere
donne e uomini” comporta e portiamo sempre con noi…davvero…“non angustiatevi di
nulla”, perché questo fatto…che a Betlemme…Dio è diventato uno come noi…un essere
umano fragile…tribolato…esposto alla tentazione…al dolore e alla morte…significa
che…in Gesù…nella sua storia umana…è già accaduto quello che per noi deve
accadere…tutte le pene sono già finite…già trasformate in risurrezione…
Tutti i desideri…le
aspirazioni…le brame e gli slanci…sono già arrivati alla meta…già esauditi e
compiuti…rendendo completamente superato ed inutile il nostro preoccuparci.
E’ proprio così…care sorelle
e cari fratelli…tutto è già stato fatto! Tutto è già accaduto! Questo è il segreto…il
mistero del Natale…che oggi contempliamo con 7 giorni di anticipo…ma del resto…Gesù
nasce ogni giorno…ogni ora…ogni momento in ogni cuore che si converte a
lui…e gli si apre nella fede!
Possiamo davvero “non
angustiarci”, perché Dio si è fatto uomo, e perciò si è angustiato lui…si è
preoccupato lui per noi una volta per tutte! Davvero…sorelle e fratelli…“Non
angustiamoci di nulla”…sarebbe ridicolo continuare a farlo…continuare a volerci
aiutare da noi stessi…dopo che l’aiuto ci è già stato dato dal nostro Signore.
AMEN
Auguro a tutte e tutti un Buon Natale nel Signore
14/11/2022
Predicazione di Domenica 6 NOVEMBRE sul testo di Romani 13, 1 - 8 tenuta nel Tempio di Intra da Giampaolo Castelletti
Romani 13 , 1 – 8
Ogni persona stia sottomessa alle autorità
superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono,
sono stabilite da Dio. Perciò chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di
Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna; infatti i
magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive.
Tu, non vuoi temere l’autorità? Fa’ il
bene e avrai la sua approvazione, perché il magistrato è un ministro di Dio per
il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano;
infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il
male. Perciò è necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della punizione,
ma anche per motivo di coscienza.
È anche per questa ragione che voi pagate
le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono
ministri di Dio. Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta a chi è
dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore; l’onore a
chi l’onore
Non abbiate altro debito con nessuno, se
non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la
legge.
All’inizio
dell’epistola ai Romani…Paolo saluta i suoi interlocutori come fa
in tutte le sue lettere…annuncia che sono loro donate “la grazia e
la pace”.
Penso che noi possiamo domandarci, in
tutta buona fede: dove si situa la grazia nella pagina, peraltro molto nota,
che oggi abbiamo letto?
Già la prima affermazione è imbarazzante: “Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori”.
È imbarazzante per il tono…molto chiaro,
troppo chiaro…un tono che non ammette discussioni…A pensarci, sembra quasi che
l’Apostolo abbia messo nel suo discorso più incertezze e sfumature
quando spiegava la giustificazione per fede, che non qui, quando impone come
regola assoluta di “stare sottomessi alle autorità”…fare
questo è bene, non farlo, opporsi alle autorità, è male! Ma è davvero sempre
così?
E l’imbarazzo cresce se pensiamo a quali erano le autorità a cui, secondo Paolo, “ogni persona deve stare sottomessa”! Sono i principi, i governatori, i magistrati dell’Impero Romano, che con la forza delle loro legioni avevano ridotto il mondo ad un dominio da sfruttare e che, nell’esercizio di questo dominio, pur senza esserne stato l’inventore, aveva diffuso dalla Britannia alla Nubia e dall’Iberia al Caucaso la pratica della crocifissione, applicata di preferenza agli schiavi disobbedienti o rivoltosi…applicata anche allo stesso Gesù.
Cosa hanno potuto fare di una pagina così i nostri antenati valdesi quando uno Stato dai pieni poteri scatenava contro di loro la persecuzione? O accettare in uno spirito di obbedienza rassegnata la morte e le catene scaraventate loro addosso dalle “autorità superiori”, magari condendo il tutto con un “condimento dalla Prima epistola di Pietro”, dove è scritto: “Se soffrite perché avete agito bene e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio” (1 Pt 2,20)…hanno fatto così i Valdesi di Calabria e sono stati tutti massacrati o costretti alla sconfessione; …oppure arrampicarsi sugli specchi per trovare di fronte a quanto Paolo afferma con tanta sicurezza, la scappatoia che consentisse loro di difendersi in buona coscienza, e provare a salvare la loro vita, i loro cari, le loro cose, così come hanno fatto, nel medesimo anno delle stragi di Calabria i Valdesi delle Valli, quando si sono francamente inventati che in realtà chi aveva mandato le soldataglie armate contro di loro non era stato proprio il Duca di Savoia loro legittimo signore, ma il Papa che non era il loro legittimo signore…e così…hanno preso le armi in mano ed hanno imposto ad Emanuele Filiberto il cosiddetto “Trattato di Cavour” che garantiva la loro sopravvivenza.
In breve…c’è quasi da rimpiangere il buon
vecchio Antico Testamento!
Perché lì almeno, i profeti non avevano
problemi a denunciare nel nome della giustizia di Dio i re…i sacerdoti…i ricchi
e i potenti come fecero Amos e Michea…e c’è da domandarsi, anche con una
punta di malizia…che sorte avrebbe riservato a quei profeti il Paolo della
pagina di oggi, che ha affermato in maniera molto chiara che “chi
resiste all’autorità si oppone all’ordine voluto da Dio”?…
Allora, veramente, cosa fare davanti a questa pagina? Forse solo una cosa: riprenderla in mano e provare a rileggerla.
“Non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio”. Ecco un primo piccolo barlume di luce: le autorità sono stabilite da Dio, dipendono da lui…è un limite importante al potere assoluto, perché questo vuol dire che le autorità riconosciute come tali nel mondo, non sono mai…esse stesse…“Dio”. Se pensiamo poi…a come certi augusti imperatori romani avessero la tendenza a considerarsi dei veri e propri dèi e rivendicassero per sé un sacerdozio apposito ed un culto obbligatorio per tutti i loro sudditi…qui c’è davvero qualche cosa a cui pensare…
Ma c’è ancora dell’altro, evocando proprio le parole che abbiamo ricordato prima: “chi resiste all’autorità si oppone all’ordine voluto da Dio”?…
C’è un “ordine di Dio”? E di fatto qual è? Qui si pone un problema…
E poi però, ecco un’altra parola che ci va per traverso: “chi resiste all’autorità si oppone all’ordine voluto da Dio e si attirerà addosso una condanna”…
Quanti eretici…quanti uomini e donne sono
stati condannati prendendo spunto da questa piccola frase e da altre simili a
questa…Anche il piccolo bagliore che avevamo visto prima…qui sembra spegnersi…
In sostanza…siamo ancora “nella pancia del tunnel”…dobbiamo quindi continuare a rimanere all’interno del testo…e leggerlo un po’ come a tastoni…
“I magistrati non sono da temere
per le opere buone, ma per le cattive”…non li devi temere se fai il
bene, ma se fai il male.
Se solo fosse vero! Sarebbe una bellezza!
Ma…qualche volta capita?… È capitato mai?…Non è che qui l’Apostolo è
diventato un povero idealista che vede il mondo come dovrebbe essere e non come
invece è?
Ma ecco poi l’altra frase: “Non
vuoi temere l’autorità? Fa’ il bene e avrai la sua approvazione, perché il
magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene”.
Oh, ci siamo! Eccolo finalmente “l’ordine
voluto da Dio”…l’autorità che t’incoraggia al bene! Ed ecco allora
perché “stare sottomessi”, non è soltanto
qualcosa che devi fare “per timore della punizione”, ma
anche per un “motivo di coscienza”! Si tratta di
aderire al programma e all’ordine di Dio, che è “fare il bene”.
Ancora uno sguardo ai profeti. È scritto
in Isaia 1, 16-17:“Smettete di fare il male imparate a fare il
bene”. È il punto attorno a cui ruotano le critiche del profeta
alle autorità del suo tempo. Ed è anche…come abbiamo ascoltato…il punto su
cui Paolo fonda il suo appello alla
sottomissione alle autorità…viste appunto come lo strumento necessario per fare
il bene…
In questo modo…allora…evidenziando la loro ragion d’essere nel progetto di Dio…l’Apostolo ricorda davvero alle autorità anche il loro limite. Quello che conta non è che le autorità facciano la loro volontà qualunque sia, ma che esse facciano sì…che le persone facciano il bene e non il male. Per questo forse…Paolo ha rivolto un richiamo alla sottomissione alle autorità così netto e perentorio…come abbiamo detto senza sfumature: “State sottomessi alle autorità”…senza se e senza ma, perché non è possibile opporre un contro-potere a coloro il cui incarico è promuovere il bene.
Paolo allora, non è un povero idealista…è come al solito estremamente concreto. Ed è per noi singolarmente attuale, e anzi ci interpella.
Non perché la sua situazione rassomiglia
alla nostra…non siamo più ai tempi dell’Impero Romano…ma perché il punto di
riferimento che ci dà in questa pagina può dare luce alla nostra ricerca,
sovente affannosa, di punti di riferimento per “fare il bene”, per
vivere bene come credenti e come cittadini.
Perché questa è la sfida che dobbiamo affrontare.
La prima cosa che oggi noi impariamo è che
non ci è consentito…e Paolo ce lo ricorda proprio col suo chiarissimo “ogni
persona stia sottomessa alle autorità superiori”, crederci
come cristiani al di sopra o al di fuori dei poteri politici e civili come
fanno i Testimoni di Geova, ma anche di non pochi esponenti di
chiese evangelicali dicendo: “Gesù è la sola autorità, l’evangelo è l’unica
legge, lo Spirito Santo è la sola guida, e poco importano le pretese delle autorità
di questo mondo corrotto e decaduto, che sta ormai per scomparire”…questa
non è la posizione dell’Apostolo…e non può essere la
nostra…
Ma ci sono anche almeno altri tre aspetti della nostra attualità, su cui le venerabili parole di Romani 13 gettano una luce che è la benvenuta.
C’è di ben peggio della sottomissione alle autorità. C’è il potere di qualcuno che si è eretto in autorità al posto delle autorità istituite. Faccio un esempio: come si leggono i nostri versetti in tantissimi luoghi nel Sud, nel centro e nel Nord del nostro paese in cui dominano le mafie? A Roma e a Milano ormai interi quartieri sono controllati dalla ‘ndrangheta…
Nei giorni di campagna elettorale sono
riemersi, in un modo in cui forse non dovevano riemergere, i nomi di Falcone e Borsellino…Chi
erano costoro, e con loro tanti altri magistrati, giudici, ufficiali dei
carabinieri e semplici agenti di polizia che sono caduti sotto i colpi della
mafia, se non delle “autorità stabilite da Dio” per “fare
il bene”, per lottare contro quel cancro criminale?
Non sottomettersi al potere mafioso e
invece sottomettersi a quello dei magistrati, è ancora oggi in molte situazioni
fare un atto di coraggio altrettanto grande di quello di chi, in un’altra epoca
come Bonhoeffer si è opposto ad autorità inique.
Qui allora, la fermezza
dell’apostolo Paolo nella “sottomissione alle autorità
stabilite da Dio” che di primo acchito ce l’aveva fatto criticare,
si rivela un monito chiaro e forte a stare dalla parte di chi “fa il
bene”.
E ancora, sempre a partire da Romani 13, un terzo e ultimo flash sulla nostra attualità. Avete fatto caso a quel che viene detto quasi alla fine del testo? “Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa”…
Di questi tempi…è dura! Ma è sempre stata
dura…soprattutto in Italia dove c’è l’abitudine, da parte dei burocrati…di
trattare i cittadini come sudditi.
Capite allora che non è davvero facile
accettare quest’invito dell’Apostolo? Anche perché se poi io so che
i miei soldi finiscono nelle tasche dei tanti “Onorevoli” di
turno perché ci si paghino Suv o ostriche… in fin dei conti è proprio dura!…
E però, nonostante tutto, se vogliamo costruire uno Stato in cui pagare le imposte significhi sostenere le autorità incaricate di promuovere il bene di tutti, e che questo bene si chiami poi in concreto…
“ricerca scientifica…scuola pubblica…sanità…solidarietà
verso i più deboli”…allora ha ragione Paolo…le
imposte vanno pagate…è una “questione di coscienza”…
Per tornare al nostro primo punto sulle
mafie…bisogna pagare l’imposta e non pagare
il pizzo! So che è difficile…ma è meglio pagare l’imposta…perché
così si costruisce uno Stato in cui nessuno debba più pagare il pizzo! È
l’apostolo Paolo “versione cittadino di oggi”.
Vedete allora come valgono anche per noi queste parole sulla “sottomissione alle autorità stabilite” che non erano ieri e non sono certo oggi, le parole di un rivoluzionario, ma piuttosto, allora come adesso…sono per noi…un kit di sopravvivenza quotidiana e responsabile.
In conclusione…decisamente…vale la pena
anche oggi continuare a leggere Romani 13.
AMEN
20/10/2022
Predicazione di domenica 9 ottobre su Isaia 49,1-6 a cura di Marco Gisola
1 Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. 2 Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra 3 e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». 4 Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio». 5 Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza. 6 Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
“Ascoltatemi”, dice il servo del Signore. Ascoltatemi,
vuol dire ascoltate Dio, ascoltate quello che Dio ha da dirvi.
Perché il servo del Signore è il servo della Parola del
Signore, ciò che egli dice non è la sua parola, la sua volontà, la sua
opinione, ma la parola e la volontà di Dio.
Chi è il servo del Signore, questo personaggio di cui
parlano alcuni brani del profeta Isaia? Non è chiaro chi sia: è una persona singola,
forse Isaia stesso? È il popolo di Israele? È il messia, atteso da Israele?
Lasciamo un attimo da parte questa domanda e
concentriamoci sul compito del servo, più che sulla sua identità.
Egli parla e la sua parola è rivolta al popolo ebraico in
esilio in Babilonia. Un popolo deportato, spogliato di tutto, della sua terra,
del suo tempio, della sua unità: parte del popolo deportato, parte rimasto in
patria, in una patria distrutta dai babilonesi.
Un popolo che ha perso speranza, rassegnato, che ha toccato
il fondo. Che si chiede se Dio lo abbia abbandonato. A questo popolo Dio manda
Isaia a dire parole di consolazione: “consolate, consolate il mio popolo”:
inizia con queste parole il discorso del profeta al cap 40, poco prima di
introdurre il personaggio del servo del Signore, inviato da Dio per ricondurre
Israele a casa.
Il servo del Signore è stato scelto da Dio: “fin
dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre”.
È stato scelto, eletto, Dio lo rende suo servo, che non ha
un significato negativo, ma esprime il fatto che il servo dice e fa la volontà
di Dio, non la sua, come un servo non fa quello che vuole, ma fa quello che
vuole il suo padrone.
Solo che quando qualcuno è servo di un altro essere umano
ciò significa schiavitù, cioè annullamento della persona e sfruttamento, essere
servo di Dio invece vuol dire libertà, il servo di Dio è il più libero degli
esseri umani, perché deve rendere conto solo a Dio.
La vita del servo si identifica con il progetto di Dio. Il
progetto di Dio diventa la sua vita. Dio sceglie e manda il suo servo al suo
popolo esiliato, per annunciargli la liberazione.
Il servo ha il compito di parlare, per questo invita
all’ascolto: ascoltate! Non ha altro compito che quello di parlare, di
annunciare: Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha
nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita...
Si menzionano armi, ma non confondiamoci: il servo di Dio
non è un combattente, non è un soldato, è un annunciatore, la cui unica arma è
la Parola di Dio, ovvero la parola che Dio gli dà da dire, da annunciare.
La bocca è come una spada, come dice la lettera agli Ebrei
(4,12): “la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque
spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le
giunture dalle midolla”.
La parola di Dio entra dentro, agisce, trasforma. Ma è
anche una freccia, che va lontano. Spade e frecce erano le armi rispettivamente
per i combattimenti da vicino, corpo a corpo, e da lontano. La Parola di Dio va
lontano, non ha limiti.
Deve manifestare la gloria di Dio non solo al e nel popolo
d’Israele ma a tutti i popoli. Per questo dice “isole, ascoltatemi, popoli
lontani state attenti”.
E come sarà manifestata la gloria di Dio? Nel fatto che
Dio libererà Israele, facendolo tornare alla sua terra, ma prima di tutto
facendolo tornare a sé, donando al suo popolo un nuovo inizio.
Dio – tramite il suo servo - va dal popolo, perché il
popolo torni a lui. Lo va a cercare nel dramma dell’esilio per ridargli futuro
e speranza.
La spada e la freccia sono immagini della Parola di Dio:
la Parola di Dio vincerà la battaglia contro l’oppressione babilonese e contro
la rassegnazione degli Israeliti.
Questo brano inizia insomma con una dichiarazione solenne
e una promessa: Israele tornerà al suo Dio e alla sua terra e la gloria di Dio
sarà così manifestata.
Ci stupisce quindi che il servo di Dio reagisca
così: Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho
consumato la mia forza”.
“Invano”: la parola che spesso ci tormenta. Invano ho
faticato. Non serve a nulla, tutto è inutile.
Persino il servo del Signore ha un momento di sconforto,
proprio come noi ne abbiamo, anche e proprio nell’impegno che mettiamo nella
vita delle nostre chiese e nella società.
Invano: la tentazione di mollare, di pensare che non serva
a nulla, che le cose non potranno che andare di male in peggio.
Ma – grazie a Dio – c’è un ma: ma certo, il mio diritto è
presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio».
Come se si fosse dimenticato per un attimo che c’è Dio
dietro al suo compito, come se ricordasse di nuovo che non è il suo progetto
che sta portando avanti, ma il progetto di Dio.
Il mio diritto e la mia ricompensa, potremmo dire il senso
e lo scopo di ciò che sto facendo, sono presso Dio, sono in lui, non in me.
Si riprende dallo sconforto perché Ora
parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo,
per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele;
Dio parla, o forse il servo lo ascolta di nuovo, perché
Dio non ha smesso di parlare.
Come capita a noi, che pensiamo che Dio non parli, mentre
siamo noi che abbiamo smesso di ascoltarlo. Dio parla e il servo ritrova senso
e speranza: io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia
forza.
Ridiventa consapevole che Dio è la sua forza, che non è la
sua forza che conta, ma è la sua debolezza nelle mani di Dio che diventa forza.
Persino il servo del Signore ha un momento di sconforto,
cade nella trappola dell’ “invano” e del “tutto è inutile”, ma poi ascolta di
nuovo, perché Dio parla e ritrova la sua vocazione, ritorna alla fonte della
sua vocazione e ritrova il progetto di Dio.
Dio parla e che cosa dice? Dio rilancia: Egli
dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e
per ricondurre gli scampati d’Israele;
È troppo poco: ecco un’altra perla della parola profetica,
della Parola di Dio: è troppo poco. Troppo poco ricondurre gli scampati di
Israele, troppo poco riportare gli esiliati nella loro terra, ridare libertà
agli schiavi, donare al suo popolo una nuova vita nella libertà.
Tutto ciò è troppo poco: voglio
fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle
estremità della terra».
All’estremità della terra: forse vi ricorda il racconto
dell’ascensione, quando Gesù manda i discepoli ad essergli testimoni fino
all’estremità della terra.
Il servo – o forse Israele come popolo, sono possibili
tutte e due le letture – deve diventare luce delle nazioni, strumento nelle
mani di Dio per portare la salvezza fino all’estremità della terra.
Ma noi come cristiani non possiamo non vedere nella figura
del servo del Signore la persona di Gesù, non possiamo cioè non leggere questo
brano in senso messianico.
Per noi è lui il servo, chiamato fin dal grembo di sua
madre, eletto prima della sua nascita per essere luce delle nazioni, salvatore
dell’umanità.
Luce delle nazioni, non solo del suo popolo Israele, e non
solo dei cristiani, ma dell’umanità intera.
La buona notizia infatti non è mai solo per te che
l’ascolti, non è mai solo per noi che l’ascoltiamo. È anche per chi non
l’ascolta, per chi non l’ha mai ascoltata e per chi non la vuole o non la può
più ascoltare.
Il Signore annuncia a noi che siamo qui il suo perdono, ci
dona consolazione e speranza per la nostra esistenza individuale e comunione
per la nostra vita comunitaria, ci dona momenti di condivisione e di gioia.
Ma questo è troppo poco. Tutto ciò è troppo poco,
l’orizzonte di Dio è più largo, Dio guarda sempre un po’ più in là di dove
arriva il nostro sguardo.
È troppo poco che tu, chiesa metodista di Intra o di
Omegna, ti occupi di annunciare la Parola a te stessa, che tu cerchi la tua
consolazione, la tua speranza e la tua gioia nell’evangelo. È troppo poco!
Perché la luce dell’evangelo non è solo per te, è per l’umanità.
Per questo il servo del Signore Gesù di Nazaret ha inviato
i suoi discepoli ad essergli testimoni fino all’estremità della terra.
Per questo anche noi siamo chiamati ad annunciare
l’evangelo, se non fino all’estremità della terra, almeno in ogni luogo dove
egli ci pone.
Ma prima di tutto anche a noi il Signore dice: ascoltatemi!
Perché Dio parla e nella sua parola è la nostra forza,
nella sua parola è la nostra consolazione quando cadiamo nel vortice dell’
“invano” e del tutto è inutile.
Ma non solo: nella sua parola è il riscatto, la speranza e
la gioia per tutta l’umanità.
Meno di questo, per il Dio di Isaia, che ha mandato il suo
figlio Gesù Cristo per essere strumento della sua salvezza fino alle estremità
della terra, sarebbe troppo poco.
E dunque: ascoltiamolo! La nostra fede, la nostra gioia e
il nostro amore per l’umano e per l’umanità possono solo nascere da questo
ascolto.