Culti
26/02/2025
27/01/2025
Isaia 61, 1-11. Testo biblico e predicazione tenuta durante il culto di domenica 5 gennaio 2025 in Omegna e Intra durante il Culto di Rinnovamento del Patto.
"Lo spirito del Signore,
di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia
agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per
proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai
prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta
del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti; per mettere, per
dare agli afflitti di Sion un diadema invece di cenere, olio di gioia invece di
dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto, affinché siano
chiamati terebinti di giustizia, la piantagione del Signore per mostrare la sua
gloria. Essi ricostruiranno sulle antiche rovine, rialzeranno i luoghi desolati
nel passato, rinnoveranno le città devastate, i luoghi desolati delle trascorse
generazioni. Là gli stranieri pascoleranno le vostre greggi, i figli dello
straniero saranno i vostri agricoltori e i vostri viticultori. Ma voi sarete
chiamati sacerdoti del Signore, la gente vi chiamerà ministri del nostro Dio;
voi mangerete le ricchezze delle nazioni, a voi toccherà la loro gloria. Invece
della vostra vergogna, avrete una parte doppia; invece di infamia, esulterete
della vostra sorte. Sì, nel loro paese possederanno il doppio e avranno
felicità eterna. Poiché io, il Signore, amo la giustizia, odio la rapina,
frutto d’iniquità; io darò loro fedelmente la ricompensa e stabilirò con loro
un patto. Eterno. La loro razza sarà conosciuta fra le nazioni, la loro
discendenza, fra i popoli; tutti quelli che li vedranno riconosceranno che sono
una razza benedetta dal Signore. Io mi rallegrerò grandemente nel Signore,
l’anima mia esulterà nel mio Dio; poiché egli mi ha rivestito delle vesti della
salvezza, mi ha avvolto nel mantello della giustizia, come uno sposo che si
adorna di un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli. Sì, come
la terra produce la sua vegetazione e come un giardino fa germogliare le sue
semenze, così il Signore, Dio, farà germogliare la giustizia e la lode davanti
a tutte le nazioni."
Questo spavento,
questa incredulità, assieme allo stupore e alla riconoscenza, è il senso acuto
della forza di Dio che ha afferrato Isaia per essere il Suo Profeta, e nel nostro
testo di oggi è presente tutto questo, che non è altro che il proclama di un uomo che sa d’essere stato inviato da Dio ad
annunciare un messaggio di salvezza, e sa anche che Dio lo ha reso idoneo, lo
ha messo in condizione di realizzare quello che deve annunciare.
“Lo
spirito del Signore è sopra di me, poiché egli mi ha unto”. Lo “spirito” è la forza di Dio, il “vento di
Dio” che può accarezzare con dolcezza i fiori e farli dondolare, ma che sa
anche scuotere le montagne. Questo vento – dice adesso il profeta – ora “è
sopra di me”, e mi ha fatto suo. E così non mi appartengo più. Sono di Dio!
Sono il suo “consacrato”, che vive non per sé, ma per il servizio che gli è
stato affidato. Davvero…Dio mi ha riempito col Suo soffio, e “mi ha mandato ad
annunciare…a proclamare e curare…a consolare…a dare…”.
Sì, Isaia “annuncia”. Solo questo può fare, e solo
questo fa. Ma ora…nel suo annunciare…c’è in lui una scintilla della forza di
Dio…un soffio di quello stesso “spirito divino” che…nel caos primordiale…aleggiava
sulle acque (cfr. Genesi 1:2). E come allora…lo Spirito di Dio diede alla Sua
Parola un potere creatore…per cui…in quei sette giorni…“Dio disse”…e l’universo
fu…così adesso…la parola che Isaia annuncia…trasforma chi lo ascolta, in quanto
Isaia annuncia la salvezza, e la dona realmente a coloro a cui parla: perchè
parla di libertà, i prigionieri sono liberati, gli schiavi riscattati; predica
un lieto annuncio, e consola gli afflitti, dona gioia a chi è triste, cura i
cuori mortificati e li fà esultare…e non soltanto questo…con Isaia irrompe un
tempo tutto nuovo: “l’anno della benevolenza del Signore”.
In effetti…all’epoca
di Isaia…vigeva in Israele…il “giubileo”…che ogni cinquant’anni…cioè…quando
erano passati “sette volte sette anni”, al suonare del corno (del jobel), si
annunciava a gran voce che tutti i debiti contratti in quei cinquant’anni erano
rimessi e che ogni debitore ridotto in schiavitù veniva liberato. Ora il
profeta è il nuovo “giubileo”, l’araldo della grazia che dona libertà ai poveri
che incontra. Dà loro “gloria invece di cenere…olio di letizia invece di lutto…canto
di lode invece di sconforto”.
Noi quindi…ci rendiamo conto, a questo punto, della
continuità e anche della distanza che c’è tra questo profeta di Isaia 61 e gli
altri grandi profeti di Israele.
In effetti…il
primo Isaia, Geremia, Osea, Amos, avevano dovuto minacciare il giudizio di Dio
sui peccati del popolo, annunciare la catastrofe immane che avrebbe posto fino
al regno della casa di Davide. Il giudizio c’è stato, la catastrofe è arrivata.
E adesso c’è bisogno della grazia! Adesso, sul popolo sconfitto, punito e
deportato, sul piccolo e spaurito “resto d’Israele”, è ora che risuoni
l’annuncio della salvezza. Per questo…per ridare speranza a chi non spera più…e
coraggio a chi trema…Dio ha unto ed ha mandato il Suo profeta! Che allora…da
profeta diventa “evangelista”…cioè portatore del lieto annuncio della “volontà
buona” del Signore, strumento del cambiamento che la proclamazione di questa
“volontà” già opera nei cuori e negli sguardi di coloro che ascoltano, della
trasformazione con cui, trasformando gli esseri umani, Dio rinnova il Suo
popolo ed il mondo.
Sì, qui c’è
davvero il “nuovo”, mai visto prima e mai sentito fino ad allora, nella parte
iniziale dell’oracolo, in mezzo a tante espressioni luminose, c’è una parola
che ci fa paura, è la parola “vendetta”. In effetti…nella parte centrale del
V.2…Isaia dice: “…..un giorno di vendetta del nostro Dio”.
In realtà questo “giorno della vendetta” è
piuttosto il “giorno della consolazione”; in effetti…nella parte finale
del V.2 e nel V.3 abbiamo letto che…chi ha dovuto subire violenza e schiavitù…all’irrompere
del tempo della salvezza annunciato dal profeta…vedrà il suo pianto trasformato
in sorriso e la loro sofferenza farsi gioia. Sì!...Al profeta sembra quasi di
vedere gli esuli “non più esuli”, ma rientrati in Israele dopo la deportazione
a Babilonia, impegnati al lavoro per ricostruire quello che la guerra, nella
sua furia cieca, aveva demolito: “Costruiscono le antiche rovine, rialzano
ciò che era prima distrutto; rinnovano le città desolate, ciò che da
generazioni era in rovina, risorge”. E la consolazione dei poveri rientrati
sarà tanto più piena in quanto i loro oppressori saranno i loro servi: “Degli
stranieri pascolano i loro greggi, gente d’altre terre saranno vostri contadini
e vignaioli …Gusterete la ricchezza delle nazioni e vi adornerete con il loro
splendore…”. Tutto questo – davvero – non è un semplice canto di vendetta, cioè
il grido di rancore degli oppressi che si leva ad ammettere l’oppressione degli
oppressori. E’…come dicevo prima…una questione di consolazione…e soprattutto è
la rivelazione dell’onnipotenza di Dio, il Suo intervento a “rovesciare i
potenti dai troni e a innalzare gli umili” e, in questo modo, a manifestare al
mondo la Sua gloria. “Voi vi chiamerete sacerdoti del Signore, vi
chiameranno servi del nostro Dio” che “ama il diritto e odia la rapina, e
ricompensa con fedeltà e conclude con i suoi un patto eterno”, un’alleanza che
non verrà mai meno.
Come…di
fronte a tutto questo…non dar spazio alla gioia? Come non sciogliere il canto
della lode? E così…il profeta Isaia canta. E con lui canta tutto il popolo
redento: “Sì, voglio rallegrarmi nel Signore, e l’anima mia esultare nel mio
Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza, mi ha ricoperto con il manto
della giustizia. Come uno sposo che cinge il suo turbante, come la sposa che si
adorna di monili”.
Ma ora…ritorniamo ai giorni nostri con quanto abbiamo
letto in Luca, lì nella Sinagoga di Nazareth, in cui era cresciuto, Gesù ha
applicato a sé stesso l’oracolo di Isaia 61…s’è alzato dal suo posto, s’è fatto
dare il libro del profeta e ha letto il nostro testo di oggi. Poi, “mentre gli
occhi di tutti nella Sinagoga erano fissi su di lui”, ha esclamato: “Oggi
questa scrittura, che voi udite, si è compiuta” (cfr Luca 4:16).
Sì!...Gesù è
“l’unto del Signore”…è il profeta ed è l’evangelista che “porta il lieto
annuncio dell’amore di Dio per tutti i poveri…che fascia gli affranti di cuore
e annuncia la libertà ai prigionieri”. E fa questo non solo per un tempo, e
non solo per un popolo, non solo per alcuni…ma per sempre, e per tutti! Gesù
è “l’anno della benevolenza di Dio” che non ha fine! Con lui…i sogni…le speranze degli
“ultimi” del mondo…di quelli che egli stesso chiama “i minimi di questi miei
fratelli”…non sono più illusioni…né la vita è soltanto una breve sequenza di
sconfitte e dolori. Perché Gesù è la “vendetta” e la “consolazione” di Dio! È
la giustizia che denuncia il disordine ingiusto dell’ordine creato dei più
forti…la forza dell’amore che vince la violenza subendola su di sé stesso, la
verità che mette in luce e smaschera la menzogna dei compromessi e delle vigliaccherie
umane.
Là a Nazareth, Gesù nella Sinagoga, ha fatto sue le
parole del profeta, e oggi le passa a noi. E adesso sono nostre, sono le nostre
parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, poiché Egli mi ha unto. Mi ha
mandato ad annunciare la buona novella ai poveri, a fasciare quelli che hanno
il cuore spezzato, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazione ai
detenuti …A proclamare un anno di benevolenza del Signore”. Questo è il
programma, il senso del nostro essere al mondo. Essere per gli altri “la buona
novella, la liberazione, la benevolenza del Signore”…
A questo punto, già conosco l’obiezione: “Chi di noi
può farcela ad essere tutto questo?”.
Certamente noi da soli e senza l’aiuto dello Spirito
di Dio, non possiamo farcela…ma qualcuno di voi, forse conosce l’album “Sono
solo canzonette” del compianto Pierangelo
Bertoli e la bellissima canzone di cui ne fa parte: “Il vento soffia ancora”? Ebbene…potremmo
dire: “Sì!”…“Il vento soffia ancora”! Per il motivo che lo spirito di Dio
continua a soffiare e ci rinnova. Ci mette in grado di fare quello che non
sappiamo fare, d’essere quello che in realtà non siamo. Copre le nostre piccole
miserie con l’abito splendente della festa di nozze.
Come l’antico profeta, come l’antico Israele e come
Gesù il Vivente, noi possiamo cantare: “Voglio rallegrarmi nel Signore, e
l’anima mia esultare nel mio Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza,
mi ha ricoperto con il manto della giustizia”.
AMEN
Giampaolo Castelletti. Tutte le citazioni bibliche, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994
20/01/2025
08/10/2024
Predicazione di domenica 29 settembre
Marco 10:17-27
Mentre stava per
rimettersi in cammino, arrivò un uomo correndo, s'inginocchiò davanti a lui e
gli chiese: “Buon Maestro, che devo fare per vivere per sempre?” Gesù rispose “Perché
mi chiami buono? Solo Dio è veramente buono. Ma in quanto alla tua domanda, tu
conosci i comandamenti di Dio: non uccidere, non commettere adulterio,
non rubare, non dire il falso contro nessuno, non ingannare, rispetta tuo padre
e tua madre”. “Signore, non sono mai venuto meno a nessuno di questi
comandamenti”, rispose l'uomo. Gesù, guardandolo, provò affetto per lui e gli
disse: “Ti manca solo una cosa: vai a vendere tutto ciò che hai, dà il denaro
ai poveri, ed avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi”. L'uomo si
rabbuiò in viso e se ne andò via tristemente, perché era molto ricco. Gesù,
guardandosi attorno, disse rivolto ai discepoli: “È quasi impossibile che un
ricco entri nel Regno dei Cieli!” Questa affermazione li lasciò stupiti. E Gesù
aggiunse: “È davvero difficile entrare nel Regno di Dio per quelli che
confidano nelle ricchezze! È più facile per un cammello passare per la cruna di
un ago, che per un ricco entrare nel Regno di Dio!” I discepoli erano piuttosto
scettici e cominciarono a chiedersi fra loro: “Ma allora chi potrà mai essere
salvato?” 27 Gesù li guardò attentamente, poi disse: “Per gli
uomini è impossibile, ma non per Dio. Perché a Dio tutto è possibile”.
Esposizione del brano biblico
Abbiamo letto la storia dell’incontro tra Gesù
e un uomo…ebbene… quest’uomo rivolge a Gesù una domanda: “Buon Maestro, che devo fare per vivere per
sempre?”.
Potremmo senz’altro dire che la domanda di quell’uomo è anche la nostra
domanda. La domanda che ognuna e ognuno di noi…nella sua preghiera personale rivolge
al Signore.
Il “tale” di questa storia…più avanti…si
scopre che è un uomo “ricco”…e parla a Gesù anche a nome nostro. In lui
insomma siamo noi che ci avviciniamo a Cristo e parliamo con lui. Ed è anche a
noi che il “maestro” risponde chiamandoci…all’osservanza dei
comandamenti che Dio…tra lampi e terremoti…ha donato a Israele nella nube del
Sinai come scritto in Esodo.
Sì!! “se vogliamo entrare nel Regno di Dio, dobbiamo osservare i
comandamenti”…e così la risposta di Gesù suona un po’ generica…ed il
giovane allora…non esita a dare a Gesù una risposta con queste parole precise: “Signore, non sono mai venuto meno a nessuno di
questi comandamenti”…
E Gesù sta al gioco…e dà la spiegazione che gli è stata chiesta. La dà in
maniera forse inaspettata e forse addirittura deludente. Infatti…non parla al
suo interlocutore di osservare con rigore ed impegno le norme di purità e
quelle legate al Culto e alla Preghiera come avrebbe fatto un qualsiasi maestro
in Israele…ma cita il decalogo…e precisamente quella seconda parte delle “dieci
parole” che riguarda il nostro rapporto con gli altri, e così dice al
giovane che…se vuole “avere la vita eterna” deve: “Non uccidere,
non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo
padre e tua madre”…Insomma…una risposta quasi scontata…quindi potremmo
dire:
¿ Ma come? Uno ha il dono di incontrare Gesù aspettandosi
chissà quali rivelazioni…quali meravigliosi nuovi insegnamenti…e si sente
ripetere per l’ennesima volta il catechismo?…Veramente c’è da dire : “Tutto
qui?”.
Ed infatti…il nostro giovane ci rimane un po’ male…e con lui forse anche noi…e
se come lui…anche noi siamo dei credenti impegnati…noi diciamo con lui: “Ma
tutte queste cose io le ho già osservate; che mi manca ancora?”.
E a questo punto…c’è la grande impennata…Gesù
fa il Gesù…ed ecco uno sconvolgente salto di qualità. No! Non è affatto
“tutto qui”! Non
basta “osservare tutte queste cose”. Non basta comportarsi da persone per
bene…da credenti rispettabili…Se davvero si vuole imparare da Gesù…ci vuole ben
altro…serve qualcosa di vertiginosamente meno rispettabile…come una frase così:
“Va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei
cieli; poi vieni e seguimi”.
“Va’, vendi, vieni, seguimi”. Questa serie serrata di 4 imperativi ha un
senso molto chiaro…anzi…come vedremo…persino troppo chiaro…
Finora il discorso era stato impostato dal giovane sul piano del fare…e
dell’osservanza concreta delle regole. Ricordate la sua domanda iniziale: “Che
cosa devo fare per avere la vita eterna?”, e poi, ancora: “Tutte queste
cose le ho osservate”. E Gesù aveva rispettato quell’impostazione: e a lui
che gli aveva domandato “cosa doveva fare”…aveva risposto appunto con il
“fare”…cioè…doveva “non uccidere…non commettere adulterio…non rubare…non
testimoniare il falso…onorare suo padre e sua madre…amare il suo prossimo come
se stesso”.
Ma poi il giovane stesso ha commesso la bellissima imprudenza di voler andare
oltre quel volere e dover fare…così ha chiesto: “Cosa mi manca ancora?”.
Ed ha scatenato l’uragano. Se davvero non s’accontenta di essere un pio
israelita…“se vuole essere perfetto” della perfezione che solo Gesù può
dare…deve mandare all’aria tutta la sua vita e diventare un altro. Sinora il
nostro giovane è vissuto in modo irreprensibile…e adesso questo maestro unico e
in maniera sconcertante gli chiede di spogliarsi di tutto e di seguirlo (e non
possiamo non ricordare come, secondo le cronache del tempo, Valdo di Lione si
sia convertito proprio ascoltando questa stessa parola “Va’, vendi, vieni,
seguimi”, e come, stando alla testimonianza dello scrittore inglese Walter
Map, abbia, assieme ai fratelli del suo gruppo, “seguito nudo un Cristo
nudo”).
Davvero!!!...con Gesù non si tratta di fare i bravi e i buoni…ma di mettere in
gioco la propria vita. Vengono qui alla mente allora…quelle sue parole: “Va’,
vendi, vieni, e seguimi”. Davanti a quest’abisso che gli si è spalancato
sotto i piedi…il giovane non se la sente di fare il grande salto. Così…esce
malinconicamente dalla scena: “Ma egli, rattristato da quella parola, se ne
andò dolente perché aveva molti beni”…a cui era molto attaccato, e non sono
necessariamente solo i suoi beni materiali, era amato da tanti…era stimato per
la sua onestà…era apprezzato per la sua pietà… Come si fa a lasciare tutto
questo…così…di punto in bianco?…
Ma al colloquio tra Gesù ed il giovane ricco…era anche presente qualcuno che
quel salto l’ha fatto. Come sempre…infatti…Gesù non era solo…con lui c’erano “i
discepoli”. E con loro vi ricordate cosa avvenne? “Mentre passava lungo il mare di Galilea, egli vide Simone e
Andrea, fratello di Simone, che gettavano la rete in mare, perché erano
pescatori. Gesù disse loro: «Seguitemi, e io farò di voi dei pescatori di
uomini». Essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Poi, andando un
po' più oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni, suo fratello, che
anch'essi in barca rassettavano le reti; e subito li chiamò; ed essi,
lasciato Zebedeo loro padre nella barca con gli operai, se ne andarono dietro a
lui.” (cfr. Marco 1, 16 ss.). Sì!!...“Simone”,
“Andrea”, “Giacomo”, “Giovanni”, e tutti quanti gli altri…hanno abbandonato
tutto e hanno seguito Gesù.
E se noi questi episodi…adesso li abbiamo ricordati…i discepoli non c’è
pericolo che li abbiano mai dimenticati. Così…dopo il primo momento di “sbigottimento”
di fronte alle parole del “maestro” sull’impossibilità che “un ricco entri nel
regno dei cieli” (sbigottimento che è dovuto al fatto che – come tutti gli
Israeliti – i discepoli erano cresciuti nella convinzione che le ricchezze
fossero il segno della benedizione di Dio per i giusti),…sono subito passati a
chiedere a Gesù: “Chi dunque può essere salvato?” e la risposta di Gesù
tutta intessuta di misericordia fu questa: “Agli uomini questo è
impossibile, ma a Dio ogni cosa è possibile”, così subito dopo…fecero il
confronto fra loro ed il giovane che se ne è appena andato “tutto triste”…e
furono orgogliosi di quello che ebbero fatto! Tanto che…lo ricordano a Gesù: “Ecco
noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?”.
Gesù li rassicura: “Io vi dico in verità che nella nuova creazione,
quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi,
che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù
d’Israele. E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o
madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed
erediterà la vita eterna”. E senz’altro…mentre conferma ai discepoli la
piena fedeltà alle sue promesse…avrà pensato a quel giovane che era venuto gioioso
all’incontro con lui e se ne è andato via in crisi…avrà pensato alla sua
tristezza e sperato che un giorno sia così coraggioso di “andare, vendere tutto
e seguirlo”…
Certo…Gesù vuole bene ai suoi discepoli che ora sono contenti e fieri della
loro sequela…ma forse in quel momento…si sente più vicino a quel giovane
che s’è allontanato a capo chino che non ai discepoli che stanno lì tutti fieri
davanti a lui…e così li ammonisce dicendo: “Voi ora vi sentite
superiori a quel giovane, e lo siete…siete “i primi” al cospetto di Dio. Però
state attenti!...perché vi ho appena detto che “a Dio tutto è possibile”,
e allora può capitare che Dio rovesci tutte le carte in tavola, e che “molti
che ora sono primi saranno ultimi, e molti che ora sono ultimi, saranno primi”…
Ritornando al nostro giovane e sul significato
di ricchezza, ebbene…Gesù lo ha messo alla prova nel suo punto più debole e
vulnerabile…la sua ricchezza, che il giovane pensava fosse il suo punto di
forza e la sua sicurezza del domani, in quanto, quel giovane, pensava di
ottenere la vita eterna compiendo qualche cosa di buono, ma la salvezza non la
si ottiene con le opere buone (Efesini 2:8; Tito 3:5) ma soltanto arrendendosi
alla signoria di Gesù, e questa ricchezza però, gli impediva di seguire Gesù e andandosene fece capire che non era disposto a
mettere Gesù prima dei suoi beni. Quindi…l’affermazione di Gesù: “Va’,
vendi, vieni, e seguimi” significa forse che tutti i credenti debbano
liberarsi delle proprie ricchezze? No!! Non è necessariamente sbagliato
possedere delle ricchezze, fino a che queste non seducono il nostro cuore ostacolando
la comunione con Dio e distogliendoci dalla nostra attenzione verso il Signore.
(cfr. 1° Timoteo 6:10).
“Sì!!...Dio può dare a quel giovane e a tutte
e tutti noi, la forza che quel giovane non ha avuto, cioè…mettere in primo
piano l’amore verso Dio e in secondo piano i propri beni materiali così da
poter seguire le orme di Gesù. Solo così facendo si potrà ricevere la “vita
eterna”.
AMEN
(Giampaolo Castelletti, domenica 29 settembre
2024. Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a
cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).
23/09/2024
Predicazione di domenica 22 settembre 2024 su Galati 3,26-29 a cura di Marco Gisola
perché siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù. Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. Se siete di Cristo, siete dunque discendenza di Abraamo, eredi secondo la promessa.
Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina… Una delle parole più belle, più rivoluzionarie e più citate della Bibbia.
Ma che cos’è questa parola? È un desiderio? È un sogno? È un’utopia?
No, è una realtà: qui non c'è né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina. Paolo usa verbo all’indicativo presente: non dice “non dovrebbe esserci”, non dice “non ci sarà”, magari riferendosi al regno di Dio. No, dice non c’è, qui, adesso.
Ma qui dove? Qui in Cristo. È di questo che sta parlando l’apostolo. In Cristo non c’è né Giudeo né greco, né italiano, né brasiliano, né svizzero, né inglese, né africano, né asiatico. Né schiavo, né libero. Né maschio né femmina, né etero, né omosessuale, né transessuale.
In Cristo questo è una realtà, cioè per Dio è veramente così, per Dio non c’è né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina. Per Dio le nostre differenze umane, sociali, culturali, etniche, di genere non contano.
Questo “non c’è” non significa che le differenze, cioè le diverse identità e le diverse situazioni non esistono più. Significa che non contano più, che in Cristo non contano più. Significa che le differenze ci sono, ovviamente, ma non sono più causa né di divisione, né di discriminazione.
E pensate a che tipo di differenze sta facendo riferimento Paolo! Quella tra giudei e greci – ovvero tra ebrei e non ebrei, tra ebrei e tutti gli altri popoli – è quella che da sempre distingue chi appartiene al popolo di Dio e chi no.
Quella tra schiavi e liberi è una differenza sociale su cui si è fondata tutta la società antica - i templi greci, il Colosseo o le piramidi egizie li hanno costruiti gli schiavi! - ma anche la società cosiddetta occidentale fino alla fine dell’ottocento.
Quella tra uomini e donne è tristemente attuale ancora oggi, anzi attualissima, e non solo nei paesi in cui per legge le donne sono ancora oggi considerate inferiori, ma anche qui nella nostra società dove le differenze nel carico del lavoro domestico e di cura e le differenze di paga sono evidenti.
Sono dunque enormi le differenze di cui parla Paolo e di cui dice: in Cristo non ci sono più.
Una parola talmente grande, talmente meravigliosa che dopo duemila anni che è stata scritta nero su bianco facciamo fatica a viverla davvero. Anche noi facciamo ancora fatica a viverla.
Ma prima di parlare di noi e di dire che tra noi differenze e discriminazioni ci sono eccome, è importante dire che invece, qui, in Cristo non c’è né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschi né femmina. È importante dire che questa è una realtà.
È importante dirlo perché questo è l’evangelo, questa è la rivoluzione dell’evangelo che è vera, che è già vera in Cristo anche quando non è vera nella nostra società o nelle nostre chiese.
In Cristo è così, in Cristo le differenze non sono discriminazioni, non comportano scale di valori, non danno vita a gerarchie.
È importante che – per usare le categorie di Paolo – greci, schiavi e femmine sappiano che in Cristo non sono più inferiori a giudei, liberi e maschi.
E se Paolo menziona queste tre enormi differenze che al suo tempo volevano dire che alcuni erano superiori e altri inferiori, noi possiamo estendere il discorso a tutte le differenze umane:
Le differenze esistono, ma non implicano differenze di valore e quindi superiorità degli uni e inferiorità degli altri. Siamo tutti uguali.
Potremmo dire: diversi ma uguali. Diversi nelle caratteristiche personali, nelle abitudini, nella cultura, nel modo di parlare, anche di pensare.
Ma uguali in Cristo, di ugual valore, perché uguale è l’amore che Dio ha manifestato a tutti e tutte noi, uguali sono le parole che Cristo ha detto per ciascuno e ciascuna di noi.
E uguale è la croce, la stessa e unica croce su cui Cristo è morto per ciascuno e ciascuna di noi.
E uguale è la parola dell’evangelo di Pasqua che a tutti e tutte dice “Cristo è risorto”: è risorto per te giudeo, per te greco, per te schiavo, per te libero, per te maschio, per te femmina.
E potremmo aggiungere tutti i “per te” che ci vengono in mente, potremmo aggiungere l’elenco di tutte le umane differenze che ci vengono in mente, di età, di genere, di luogo di provenienza, di istruzione, di ricchezza, di orientamento sessuale, di cultura…
Diversi, in tutte le nostre umanissime differenze, ma uguali, perché ugualmente amati e redenti in Cristo.
Umanamente parlando, io sono diverso da te, forse in alcune cose diversissimo. In Cristo invece sono uguale a te e tu sei uguale a me. Perché siamo ugualmente amati e salvati in Cristo.
E quindi: umanamente per te io sono un maschio di una certa età, con le mie idee e la mia cultura, le mie abitudini, i miei pregi e i miei difetti.
E in Cristo? In Cristo tutto ciò passa in secondo piano, in Cristo tutto ciò non conta, in Cristo siamo semplicemente figli e figlie di Dio: “siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù”, dice Paolo.
In Cristo siamo semplicemente figli e dunque sorelle e fratelli, che non è un titolo, non è un appellativo, non è una formula di cortesia: è la conseguenza del fatto che in Cristo tutte le nostre differenze passano in secondo piano e siamo prima di tutto figli e figlie di Dio e quindi sorelle e fratelli.
Lo siamo non per nostra decisione, ma “per la fede in Cristo Gesù”, che ha reso possibile questo.
Non siamo più nient’altro che sorelle e fratelli. Siamo semplicemente sorelle e fratelli.
“Semplicemente” per modo di dire. Perché non è affatto facile essere sorelle e fratelli gli uni delle altre. Perché la croce di Cristo ha cancellato i miei peccati, ma non i miei difetti, non il mio carattere, non il mio modo di essere. E lo stesso vale per te.
E quindi se l’essere figli di Dio e l’essere uguali in Cristo è una realtà, è evangelo, è dono, vivere la fratellanza e la sorellanza invece è un compito, è la nostra vocazione, è il nostro lavoro quotidiano.
Che inizia dal credere a questa parola, inizia dal prenderla sul serio e quindi dal nostro modo di guardare l’altra persona.
Nell’altra persona vedo il giudeo, il greco, il maschio, la femmina? O prima di questo, e prima di tutto, vedo il mio fratello e la mia sorella?
Il mio sguardo ha bisogno di essere convertito da questa Parola e liberato da tutti i pregiudizi.
E poi è necessario lavorare su se stessi e sulla relazione, vuol dire imparare cose che non sempre vengono spontanee, come ascoltarsi, cercare di comprendersi e di mettersi nei panni dell’altro – cosa molto difficile – vuol dire qualche volta perdonare e qualche altra volta saper chiedere scusa.
Questo lavoro ricomincia ogni giorno, ad ogni incontro che facciamo, in ogni relazione che intessiamo, per provare a vivere nella nostra vita quello che in Cristo è una realtà che lui stesso ha realizzato e ci ha donato: l’essere figli e figlie di Dio e quindi sorelle e fratelli, uguali in lui.
Il segno di questo essere uno in Cristo, di essere uguali in Cristo è il battesimo: “Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo”.
Il battesimo è il segno dell’appartenenza a Cristo. Non alla chiesa, a Cristo. Questa è la ragione per cui il battesimo è unico e le nostre chiese non lo ripetono.
Il battesimo è il segno che ci lega a Cristo nella sua morte e resurrezione. In Cristo muore il giudeo, il greco, lo schiavo, il libero, il maschio e la femmina e risorge il figlio di Dio, la figlia di Dio, ovvero la sorella, il fratello.
Questo ovviamente non accade nel battesimo, ma accade – anzi è accaduto – in Cristo, nella sua morte e resurrezione. Ma il battesimo né è il segno, il battesimo significa questo.
Significa che chi viene battezzato non è né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né maschio, né femmina. È solo più figlio e figlia di Dio. È solo più tuo fratello e tua sorella.
Ogni volta che celebriamo un battesimo, o che abbiamo celebrato un battesimo - anche il nostro battesimo, quello che abbiamo ricevuto ciascuno e ciascuna di noi – affermiamo una cosa molto importante:
affermiamo che quello che è vero in Cristo è vero anche per noi, che non solo in Cristo, ma anche per noi non vi è più né giudeo né greco, né altra differenza che ci impedisca di essere tutti uguali e di essere uno in Cristo.
Vivere questo è la nostra sfida e il nostro compito. Saperlo e crederlo è la nostra gioia e la nostra speranza.
Omegna-Intra-Luino, 15 settembre 2024
Luca 7,11-17
11
Poco dopo egli si avviò verso una città chiamata Nain, e i suoi discepoli e una
gran folla andavano con lui. 12 Quando fu vicino alla porta della
città, ecco che si portava alla sepoltura un morto, figlio unico di sua madre,
che era vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Il
Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: «Non piangere!» 14
E, avvicinatosi, toccò la bara; i portatori si fermarono, ed egli disse:
«Ragazzo, dico a te, àlzati!» 15 Il morto si alzò e si mise seduto,
e cominciò a parlare. E Gesù lo restituì a sua madre. 16 Tutti
furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è
sorto tra di noi»; e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 E questo
dire intorno a Gesù si divulgò per tutta la Giudea e per tutto il paese
intorno.
La
vita incontra la morte e la vince. La vita vince sulla morte.
Questo
è in due parole il significato di questo racconto, che inizia appunto come un
incontro, un incontro tra due gruppi di persone, entrambi molto numerosi. Gesù
sta entrando nella città di Nain insieme ai suoi discepoli e una gran folla,
mentre dalla città sta uscendo un corteo funebre, per portare a sepoltura un
giovane. I cimiteri si trovavano infatti al di fuori delle mura delle città.
Quando
muore una persona giovane, molta gente partecipa al funerale e condivide il
dolore di quella famiglia; magari anche chi non la conosce direttamente
partecipa per dare un segno di presenza, perché è innaturale morire in
gioventù.
Una
gran folla accompagna la madre di questo ragazzo, la quale già era rimasta
vedova e aveva quell’unico figlio. Siamo davanti al massimo del dramma che può
accadere: la morte di un figlio unico di madre vedova.
Fatto
che nel contesto della società del tempo voleva anche dire che la donna
rimaneva sola e una donna senza uomini che lavorassero era condannata alla
povertà.
Questo
corteo funebre, questo dolore che cammina verso il cimitero, incontra un altro
corteo, probabilmente festoso, quello che accompagna Gesù verso la città di
Nain.
Gesù
e i suoi accompagnatori stanno per entrare in città, laddove si svolge la vita
sociale e religiosa, il corteo funebre invece esce dalla città, verso il
cimitero, dove vi è soltanto la morte. I due gruppi vanno in direzioni opposte.
Potevano semplicemente passarsi accanto e invece i due gruppi si
incontrano, e quell’incontro cambia tutto. Il messaggio di questo racconto è in
fondo un anticipo della Pasqua e ci vuole dire che laddove la morte incontra
Gesù, essa viene sconfitta.
Gesù
vede la donna, ha pietà di lei e le rivolge la parola, la sua Parola, quella
con la P maiuscola. L’incontro nasce dallo sguardo di Gesù, che è lo sguardo di
Dio, lo sguardo della misericordia.
Gesù
vede la donna vedova che ha perduto il suo unico figlio. La vede e ne ha pietà,
cioè ne ha compassione, nel senso che partecipa al suo dolore. Il verbo che
viene usato deriva dal nome delle viscere materne, è una compassione che
potremmo definire “uterina”.
Nel
vangelo di Luca questo verbo viene usato solo tre volte: qui, dove è la
compassione di Gesù; nel racconto del samaritano, che prova compassione
dell’uomo ferito che trova sulla strada; e nella parabola del figlio prodigo o
padre misericordioso, dove è appunto la misericordia che il padre prova quando
vede il figlio arrivare da lontano. Tre testi molto significativi del vangelo
di Luca.
Lo
sguardo di Gesù e la sua com-passione si concretizzano poi nella sua parola,
che sono in realtà due parole, una rivolta alla madre e una rivolta al figlio
morto:
Alla
donna dice «Non piangere!». Era più che naturale che la donna piangesse, che
altro poteva fare? Aveva perso tutto, tranne le lacrime…
Solitamente,
è meglio evitare di dire “non piangere” a chi piange: chi piange di solito non
solo ha tutte le ragioni per piangere, ma ne ha anche il diritto. C’è un tempo
per piangere – dice il Qoelet – un tempo in cui è giusto poter esprimere in
questo modo il proprio dolore.
Soltanto
Gesù può dire “non piangere”, perché soltanto Gesù può eliminare la causa del
dolore che porta al pianto, in questo caso la morte.
Il
nostro dire “non piangere” esprime in fondo il nostro desiderio che la persona
a cui lo diciamo non pianga più. Il “non piangere” pronunciato da Gesù invece è
una promessa, la consolazione che viene da Dio è quella che elimina la causa
del dolore.
Infatti
subito dopo si rivolge al ragazzo morto: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Ma
prima tocca la bara, che probabilmente è una sorta di barella, perché non si
usavano delle bare chiuse come facciamo noi oggi.
Qualcuno
dice che Gesù tocca la bara solo per fermare i portantini, altri dicono che in
questo modo Gesù mostra di non avere paura di diventare impuro toccando un
cadavere, perché quel cadavere un attimo dopo non sarà più un cadavere.
In
ogni caso, non si tratta di un tocco magico, è la parola di Gesù che rialza il
ragazzo, che gli restituisce la vita, che lo rimette in piedi. È la parola di
Dio che è più forte della morte.
Non
si tratta di una “resurrezione” come quella che Gesù stesso sperimenterà a
Pasqua, perché quel ragazzo torna in vita ma rimane mortale. È però una sorta
di anticipo, di preavviso del fatto che in Gesù Dio è venuto a vincere la
morte.
Il
ragazzo si alza e parla, segno che è vivo, che è di nuovo una persona in
relazione. Gesù lo restituisce a sua madre, che rimane al centro dello sguardo
e della misericordia di Gesù.
Quella
donna che aveva perso tutto, il suo unico affetto, che costituiva anche la
persona che poteva darle un futuro, che pensava di aver perso per sempre e che
invece Gesù le restituisce.
Quella
donna ha ora di nuovo il suo affetto e il suo futuro. La morte ha incontrato il
Signore della vita e il Signore della vita ha vinto la morte.
A
quella anonima donna e a quell’anonimo ragazzo, Gesù restituisce il loro
futuro, che la morte aveva loro tolto.
Ora
potranno cambiare direzione, non più verso il cimitero, ma potranno ritornare
in città, dove c’è la vita e dove si vive con gli altri.
Questo
accadimento porta la folla dei due gruppi, che ora diventa un gruppo solo, a
dire «Un grande profeta è sorto tra di noi» e «Dio ha visitato il suo popolo».
Le persone presenti riconoscono in Gesù un grande profeta e nell’opera di Gesù
l’opera stessa di Dio: «Dio ha visitato il suo popolo».
Quando
Dio visita il suo popolo lo fa per salvarlo, per liberarlo. In Gesù, Dio visita
il suo popolo – e non solo il suo popolo in senso stretto – per liberarlo dal
potere della morte.
La
gente non dice “Dio ha visitato la mamma Tizia e suo figlio Caio”, ma «ha
visitato il suo popolo», riconosce che l’opera di Gesù non è soltanto per
quelle persone toccate dal suo miracolo, ma per tutto il popolo.
Dio
ci ha visitati! Questa è la fede che i testimoni del miracolo confessano alla
fine di questo racconto.
E
l’obiettivo di questo racconto è portare anche noi che lo leggiamo oggi a dire
“Dio ci ha visitati”.
Non
“Dio ha visitato quella donna e suo figlio, qual giorno mentre stava andando
nella città di Nain”. Non è una storia vecchia e che riguarda qualcun altro,
riguarda noi, è raccontata per noi!
È
vero che Gesù non ha riportato in vita molti bambini e ragazzi che ogni giorno
muoiono, non ha detto “non piangere” a molte donne che piangono i loro figli
morti ingiustamente e senza senso in molti luoghi del mondo, da Gaza a Israele,
dall’Ucraina alla Russia, dal Sudan alla Siria e in molti altri paesi del
mondo.
E
poi qui vicino a noi, sulle nostre strade o nelle nostre periferie violente.
Gesù
non ha eliminato il male dal mondo, non ha eliminato la morte. Ma l’ha vinta, e
questo racconto, dicevamo, è un anticipo, una prefigurazione della Pasqua, è
una promessa che per la madre e quel ragazzo si realizza subito nell’incontro
con il Signore della vita e per noi si realizzerà quando il Signore vorrà.
Questo
racconto è però anche un segno di ciò che la Parola di Dio dice e può fare:
essa dice anche a noi: Non piangere. Rialzati.
È
una parola detta non soltanto a quella donna e a quel suo unico figlio. È una
parola detta a chiunque piange e a chiunque è morto dentro.
Gesù
rialza, restituisce futuro a chi lo incontra e può così smettere di piangere.
Lo
fa anche oggi, nell’evangelo annunciato e creduto. Anche oggi l’evangelo rialza
e restituisce futuro, rende possibile a chi lo incontra di rialzarsi,
riprendere la parola e riprendere a camminare verso il futuro.
Noi
non facciamo miracoli, non possiamo riportare in vita chi non c’è più; questo
lo ha fatto soltanto Gesù e soltanto con alcune persone.
Lo
ha fatto per lasciarci un segno e una testimonianza per aiutarci a credere in
lui e nella sua Parola.
La
Resurrezione con la R maiuscola è e sarà opera soltanto di Dio, quando Dio
vorrà. Ma oggi molte resurrezioni, molti nuovi inizi, molte ripartenze sono
possibili per chi incontra Cristo sulla sua strada.
“Rialzati”
dice il Signore anche a noi, oggi e ogni volta che riceviamo il suo evangelo e
ci fa rivivere e ripartire con lui, verso la vita e verso la vita nuova che
egli ci dona.
Il
Signore ci aiuti ad accogliere con fede e con gioia questa parola che fa
rivivere e a dire anche noi con fiducia e riconoscenza “Dio ha visitato il suo
popolo”.
Anzi:
Dio, in Cristo, ci ha visitati!
Marco
Gisola