Buongiorno e buona domenica a tutte e a tutti, quest’oggi
è la 1ª domenica dopo Pentecoste, la Domenica della Trinità, auguro a tutte e a
tutti una buona lettura.
SALUTO
e ACCOGLIENZA
“Per favore, non rubatemi la mia serenità.
E la gioia che nessun tempio ti contiene, o nessuna chiesa t’incatena: Cristo
sparpagliato per tutta la terra, Dio vestito di umanità: Cristo sei nell’ultimo
di tutti come nel più vero tabernacolo: Cristo dei pubblicani, delle osterie,
dei postriboli, il Tuo nome è colui che-fiorisce-sotto-il-sole.” Amen
(David Maria Turoldo)
ASCOLTO
DELLA PAROLA
Preghiera di illuminazione
“Signore nostro Dio, ti supplichiamo, per l’amore di
Gesù Cristo, luce
del mondo, di rischiarare le nostre menti, i nostri
cuori e di donarci il tuo Spirito Santo, perché ci guidi nella conoscenza della
verità e ci santifichi.
Concedici di intendere con attenzione la tua parola,
di comprenderne il significato e di conformare la nostra vita alle istruzioni
che essa ci dona, che quello che udremo sia alla gloria del tuo nome, e serva alla
nostra consolazione e alla nostra salvezza.
Per Gesù Cristo, nostro Signore.” Amen.
Questa
domenica vorrei lasciare che sia il Pastore Paolo Ricca a guidarci con la sua
meditazione dal titolo: “La Trinità: una storia d’amore”
TESTO
PER LA MEDITAZIONE
“Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio.
Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signor Gesù Cristo e l’amore di Dio e
la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. (II Corinzi 13, 12-13)
MEDITAZIONE
Cari Fratelli e Sorelle, il saluto
conclusivo di questa lettera dell’apostolo Paolo siamo abituati a sentirlo alla
fine del culto come benedizione finale. Oggi invece lo sentiamo al centro del
culto come testo della predicazione, perché oggi, secondo il calendario
liturgico della Chiesa antica, è la domenica Trinitatis, la
Domenica della Trinità, e questo saluto è la formula più trinitaria del Nuovo
Testamento, dopo quella contenuto nell’ordine missionario di Gesù che prima
della Ascensione comandò ai discepoli di evangelizzare uomini e donne «di tutte
le nazioni», battezzandoli «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo» (Matteo 28,19).
E che cosa ci dice questa formula? Ci dice due cose. La prima è che il
problema N. 1 della Bibbia non è se Dio esista o non esista, che invece viene
spesso sollevato nell’opinione pubblica. Semmai la domanda è se esista o non
esista l’uomo, cioè se sia ancora degno di essere chiamato «uomo» la creatura
che porta questo nome, creata, a suo tempo, a immagine di Dio. La grande
domanda della Bibbia non è se Dio ci sia o non ci sia, ma chi sia e come sia. E
la seconda cosa che questa formula ci dice è la risposta alla domanda: Chi
è Dio? Come è Dio? E la risposta è questa: per dire chi è Dio non basta dire
una cosa, ad esempio che è Padre, ma devi dire anche che è Figlio, e poi non
basta neppure dire che è Padre e Figlio, devi dire ancora un’altra cosa, e qui
c’è la sorpresa, la grande sorpresa: ci aspetteremmo che il terzo nome di Dio
sia «Madre», e così Dio sarebbe Padre, Madre e Figlio, sarebbe perfetto, il
modello divino della cellula umana originaria e fondamentale da cui tutti
proveniamo. In questa Trinità: Padre, Madre, Figlio, ci riconosceremmo
facilmente tutti, e questa sarebbe sicuramente la Trinità, se Dio l’avessimo
inventato noi. Ma non siamo noi che abbiamo inventato Dio, è Dio che ha
inventato noi, perciò la Trinità non è Padre, Madre, Figlio, ma è, a sorpresa,
Padre, Figlio, Spirito Santo! Ora è vero che nella lingua ebraica lo «Spirito»
è femminile e costituisce l’elemento femminile in Dio, e vero che il Padre è, nella
Bibbia, una figura molto materna, questo sì. Ma pur essendo molto materno, Dio
è Padre e non Madre.
Un’altra volta vi spiegherò perché Dio è Padre e non Madre, oggi non c’è
tempo. Oggi dobbiamo riflettere sulla Trinità così com’è, cioè come risulta dalla
Sacra Scrittura e in particolare da questo testo dell’apostolo Paolo, che certo
non dice tutto sulla Trinità, anzi dice il minimo, ma è un minimo che contiene
l’essenziale. E qual è questo minimo essenziale? È anzitutto questo, che nella
formula di Paolo la Trinità non comincia dal Padre, ma dal Figlio: «La grazia
del Signore Gesù Cristo» è il primo articolo. Siamo abituati altrimenti: sia il
Credo Apostolico sia il Credo Niceno, detto «ecumenico», cominciano dal Padre:
«Credo in Dio Padre, Creatore del cielo e della terra…» Sarebbe più corretto
cominciare dal Figlio, come fa l’apostolo Paolo, perché è vero che è il Padre
che manda il Figlio, ma è il Figlio che rivela il Padre. È Gesù la porta della
Trinità. È a partire da lui che la concezione tradizionale di Dio è stata
letteralmente rivoluzionata. Si trattava infatti di combinare il monoteismo
ebraico, irrinunciabile, con la fede nell’uomo Gesù riconosciuto come Dio. La
Trinità è stata e continua ad essere una rivoluzione teologica. Ecco perché c’è
voluto tanto tempo per elaborarla. Non era per niente facile concepirla e
ancora meno formularla. Solo il Concilio di Nicea nel 325 ci è riuscito, dopo una
discussione pubblica infuocata durata decenni. Questo traguardo, così
faticosamente raggiunto, è parso talmente importante che la Trinità è stata
stabilita come dogma, cioè come articolo di fede, non di scuola, cioè non come
una dottrina opinabile e facoltativa, ma come un principio basilare, un
caposaldo, una colonna portante della religione cristiana, che proprio per
questo articolo di fede si distingue profondamente da tutte le altre grandi
religioni del mondo.
Ma questa dottrina è stata fin dall’antichità
e continua a essere molto contestata non solo dagli Ebrei e dai Musulmani, ma
anche da un settore dello stesso cristianesimo che la rifiuta del tutto. Esiste
anche una Chiesa, diffusa soprattutto negli Stati Uniti (ma con radici
europee), che si chiama Unitariana, che
sostiene appunto che Dio è uno, ma non è trino, e non è trino proprio perché è
uno, e che può vantare alcuni «padri nobili», come gli italiani del XVI secolo
Gian Paolo Alciati, Valentino Gentili, Fausto e Lelio Socino, e altri ancora, e
il medico spagnolo Michele Serveto, arso vivo in quanto antitrinitario nella
Ginevra di Calvino il 27 ottobre 1553. La dottrina trinitaria non è dunque
innocente neppure lei, ha fatto delle vittime, e non poche. Rendiamo omaggio
alle vittime di una Trinità capita male e applicata peggio, perché concepita
come possibile fonte di violenza e di morte, invece che come circolazione di
amore.
Ma torniamo al nostro testo che, pur nella sua estrema concisione, è come
una finestra aperta nel cielo di Dio, che ci consente di vedere con l’«occhio
interiore», cioè con lo sguardo dell’anima, non più «da dietro» come Mosè mentre
la gloria di Dio passava davanti a lui (Esodo 33,22), ma davanti, con Gesù,
nella nuvola, sul monte Tabor (Marco 9,7) – di vedere, dicevo, cose che non
avevamo mai pensato, né immaginato e neppure sognato, per capire le quali non
basta la nostra piccola intelligenza, neppure quella della fede, e non basta la
nostra debole pietà, per quanto sincera e devota possa essere: sono «cose
nascoste», direbbe Gesù (Matteo 11,26), cioè quelle che l’apostolo Paolo chiama
«le cose profonde di Dio», che «occhio non ha vedute, che orecchio non ha udito
e che non sono salite nel cuore dell’uomo, ma che Dio ha preparato per quelli
che lo amano e a noi le ha rivelate per mezzo dello Spirito che scruta le cose
profonde di Dio» (I Corinzi 2, 9-10).
Affacciamoci dunque alla finestra aperta nel cielo di Dio dal nostro testo
e vediamo che cosa ci dice sulla Trinità. Come ho già detto, sulla Trinità ci
dice il minimo, però il minimo essenziale, non speculando su quelli che possono
essere i rapporti interni tra Padre, Figlio e Spirito Santo, ma riassumendo in
una parola – una sola, essenziale – quella che è l’opera, anzi di più, quella
che è la natura profonda di ciascuno di questi tre nomi di Dio. Di Gesù, la
parola-chiave è «grazia». Se uno vi dicesse: «Tu che sei cristiano o cristiana,
dimmi in una parola, una sola, non due, che cosa rappresenta Gesù per
l’umanità», rispondete senza esitare come l’apostolo Paolo: «grazia!». È
«grazia» la sua venuta, «grazia» la sua vita e il suo insegnamento, somma
«grazia» la sua morte e la sua risurrezione, «grazia» la sua ascensione alla
destra di Dio dove intercede per noi, sì, «grazia» dice l’essenziale di Gesù,
che è tante altre cose, però quella è sicuramente la cosa principale, che non
riassume solo il significato di tutta la sua opera, ma svela anche qual è la
natura profonda della sua persona. Un discorso analogo si deve fare per Dio
Padre. Qui la parola-chiave è «amore». Se uno vi dicesse: «Tu che credi in Dio,
dimmi in una parola – una sola, non due – chi è Dio, cioè che cosa devo pensare
quando sento o pronuncio questa parola» rispondete senza esitare come
l’apostolo Paolo: «amore»! Certo, di Dio si possono dire tante altre cose, ma
«amore» le dice tutte, le comprende tutte, le riassume tutte, le abbraccia
tutte; è la parola dopo la quale non c’è nulla da aggiungere, la parola
iniziale e finale, che apre e chiude il discorso su Dio. Dio ama: amare è il
suo fare tanto quanto è il suo essere; è il suo fare perché è il suo essere.
Così pure sullo Spirito Santo ci sarebbe moltissimo da dire (domenica scorsa abbiamo
celebrato Pentecoste!), ma la parola-chiave, essenziale, qui è «comunione».
Pensate a quello che è successo a Pentecoste: uomini e donne di ogni nazione
che parlavano lingue diverse, si capivano come se avessero parlato la stessa
lingua. Una cosa mai accaduta sulla terra! Questa infatti è l’opera dello
Spirito: creare comunione dove c’è separazione, unità dove c’è divisione,
pace dove c’è guerra o conflitto. La Chiesa è comunione proprio perché è il
«tempio dello Spirito» (I Corinzi 3,16): comunione di diversi, di ebrei e
pagani, di uomini e donne, di bianchi e neri, di schiavi e liberi, di ricchi e
poveri. Sì, la comunione è ciò che lo Spirito crea, perché è ciò che lo Spirito
è. Figlio, Padre e Spirito Santo: grazia, amore e comunione. Questo è
l’essenziale della Trinità, che noi oggi confessiamo e celebriamo: non
celebriamo solo la Domenica della Trinità, celebriamo la Trinità stessa, perché
crediamo appunto in un Dio che è eternamente in sé stesso Padre, Figlio e Spirito
Santo.
Potremmo fermarci qui, ma grande è il desiderio di sostare ancora un po’
sulla soglia alla quale ci ha condotti il nostro testo, per cercare di balbettare
ancora qualcosa in presenza della «cose profonde di Dio». Questo mio balbettare
si svolgerà in due tempi: nel primo dirò molto semplicemente quello che ho
capito della Trinità; nel secondo solleverò tre domande, che non sono nel
nostro testo, ma sono sorte in me riflettendo sul nostro testo.
1.
I. Che cosa ho capito della Trinità? Ho capito che la Trinità
è una storia di amore. È un altro modo, più bello, di dire che Dio è amore. Ma
la Trinità non è un modo di dire, è un modo di essere Dio. Non dunque un dogma
oscuro e astruso, non una dottrina complicata di nessuna utilità, non un
mistero incomprensibile da accettare a occhi chiusi, ma – lo ripeto – una
storia di amore. Padre, Figlio, Spirito Santo sono le tre forme dell’amore
divino. Padre, l’amore che crea; Figlio, l’amore che redime; lo Spirito Santo,
l’amore che ricrea, rinnova, risuscita. Padre, l’amore sopra di noi; Figlio,
l’amore accanto a noi; lo Spirito Santo, l’amore dentro di noi. Padre, colui
che ama; Figlio, colui che è amato; lo Spirito, l’amore che li unisce. Che la
Trinità sia una storia di amore, lo si può intuire dal fatto, forse casuale, ma
forse no, che il versetto che precede quello trinitario (come se questi due
versetti si richiamassero a vicenda), parla di baci, e il bacio – lo sappiamo –
se non è quello di Giuda, è un classico modo per dire: «Ti amo!». «Salutatevi
gli uni gli altri con un santo bacio» dice Polo, e Pietro precisa: «con un
bacio d’amore» (I Pietro 5,13). Il primo bacio che abbiamo ricevuto è quello di
nostra madre quando siamo nati. Il primo bacio che abbiamo dato è quello di quando
perla prima volta ci siamo innamorati: anche quelli erano «santi baci» perché
erano «baci d’amore». Questo è quello che ho capito della Trinità: è la
trascrizione e descrizione della natura profonda di Dio, che è amore,
attraverso tre nomi, che sono, appunto, i nomi della vita di amore che Dio vive
in sé e della storia di amore che Dio vive con noi. Forse è pensando alla vita
d’amore che Dio vive in sé che Agostino, in un brano famoso delle sue
Confessioni, chiama Dio «Bellezza tanto antica e tanto nuova»[1].
La Trinità è bella. Bellezza che suscita stupore, Amore che suscita amore,
Mistero che suscita domande.
2.
Veniamo allora alle domande. Sono tante. Ne ho selezionate tre sole,
immaginando che potrebbero essere anche le vostre. La prima: È davvero
possibile essere uno e nello stesso tempo tre? La Trinità non mette forse
in serio pericolo l’unità e l’unicità di Dio? La seconda: Che cosa significa,
propriamente, che Dio è uno? E che cosa significa che è trino, cioè trinitario?
La terza: Qual è il dono specifico, particolare, che Dio mi fa come Padre? E
qual è quello che mi fa come Figlio? E quello che mi fa come Spirito?
[1]. La risposta alla prima domanda non
è difficile. È possibile che Dio sia nello stesso tempo uno e trino come è
possibile a ciascuno di noi essere nello stesso tempo molte cose pur essendo
un’unica persona. Ad esempio, una stessa persona può essere nello stesso tempo
figlio dei suoi genitori, padre dei suoi figli, marito di sua moglie, fratello
di fratelli e sorelle, amico di amici, e così via. Con i genitori si comporterà
come figlio, con i figli come padre, con la moglie come marito, con fratelli e
sorelle come fratello, con amici e amiche come amico, e così via. È sempre la stessa
persona in diversi modi di essere (non solo modi di dire!) e diversi ruoli,
secondo le diverse relazioni della sua vita. Così Dio è uno, ma in tre diversi
modi di essere (non modi di dire!). La Trinità significa che Dio ci ama in modi
diversi. Ci ama come Padre perché ci ha creati, e la creazione è un atto
d’amore; anche noi siamo nati da un atto d’amore dei nostri genitori; ci ama
come Figlio, incarnandosi e assumendo la nostra natura per guarirla e
redimerla; ci ama come Spirito, che ha soffiato su di noi portandoci alla fede
e alla vita nuova. Tre diversi modi di amare, ma è sempre l’unico Dio che ama.
La Trinità non pregiudica minimamente il monoteismo, anzi lo esalta
manifestando la sua ricchezza, purché però non adoperiamo più, quando parliamo
della Trinità, la parola «persona», e non diciamo più «un Dio in tre persone»,
perché il termine «persona», nel IV secolo, significava «maschera»: era la
maschera che l’attore indossava per interpretare un certo personaggio, e che
cambiava cambiando il personaggio da interpretare. Ma oggi «persona» vuol dire
«individuo»; dire «tre persone» equivale a dire «tre individui», cioè tre
diversi soggetti, e allora salta il monoteismo: sono tre divinità, e non più
una. Diciamo dunque: un Dio in tre diversi modi di essere Dio. Dio è uno, i
modi di esserlo sono tre. Non solo è possibile, ma è anche bello che Dio sia,
insieme, uno e tre.
[2]. Veniamo alla seconda domanda: Che
cosa diciamo quando diciamo che Dio è uno? Diciamo due cose. La prima è che Dio
non è doppio, non è un Giano bifronte, non dice una cosa e ne pensa un’altra,
non è ambiguo, non è equivoco. Diciamo anche che è unico, che non ce ne sono altri,
ma soprattutto che di lui ci si può fidare, è fedele alla sua Parola, mantiene
le promesse. Ma dicendo che Dio è uno, diciamo anche un’altra cosa, la seconda,
e cioè che Dio unifica, è il meeting point dell’umanità.
Purtroppo, però non è così, non lo è mai stato e non lo è neppure oggi. Dio
dovrebbe unire l’umanità, invece la divide. Non Dio la divide, ma lei si divide
nel nome di Dio! Ciascuna religione crede in Dio a modo suo, ed è come se ci
fossero tanti dèi quanto sono le religioni. Che triste spettacolo! Un triste spettacolo
è la divisione tra i cristiani, ma non meno triste è la divisione tra i
credenti delle diverse religioni. Tutti o molti dicono che c’è un solo Dio, ma
nessuno ci crede veramente. Tutti o molti si dichiarano monoteisti, ma si
comportano come politeisti, e di fatto lo sono.
E ora l’altra domanda, sorella della
precedente: Che cosa diciamo quando diciamo che Dio è trinitario? Diciamo una
cosa fondamentale, anzi la cosa
fondamentale, quella di gran lunga più importante per varcare la soglia del
mistero di Dio, e anche per amarlo: Dio è trinitario perché è relazione, lo è in sé, nella sua vita interna, nella
sua natura profonda. «Relazione»: questo è il senso della Trinità e la chiave
per capirla; questa è la parola che dischiude il mistero di Dio, che è mistero
di luce... Ma «relazione» è anche la parola-chiave della vita, perché tutto è
relazione: lo è la fede, lo è l’amore, lo è la Chiesa, lo è l’esistenza umana,
proprio perché Dio è relazione e la Trinità è lì a testimoniarlo nella maniera
più bella e convincente.
[3]. E veniamo alla terza e ultima
domanda: Qual è il dono particolare che Dio ci dà come Padre, poi come Figlio,
e poi come Spirito? Che cosa possiamo aspettarci dalla Trinità? La risposta
sarà telegrafica: Il dono particolare del Padre è la vita, la sua grande invenzione.
Il dono particolare del Figlio che è il Dio dal volto umano, è la nuova
umanità, quella alla quale siamo chiamati. Infine, il dono particolare dello
Spirito è la libertà: «Il Signore è lo Spirito, e dov’è lo Spirito del Signore
ivi è libertà» (II Corinzi 3,17). Lo Spirito è Dio in libertà. Se sei un uomo
libero, una donna libera, vuol dire che lo Spirito Santo ha soffiato su di te.
Il più bel dono che Dio possa fare a chiunque è proprio questo: la libertà.
È tempo di concludere. Abbiamo celebrato – spero – la Trinità. Abbiamo imparato
e capito che la Trinità è una storia d’amore e che Padre, Figlio e Spirito
Santo sono i tre nomi dell’amore di Dio. E se volete sapere com’è questo amore,
udite come lo descrive l’apostolo Paolo: «… l’amore non sospetta il male, non
gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni
cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno» (I
Corinzi 13, 5-7). Amen.
[1] Agostino,
Confessioni, X, 27. «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova,
tardi ti ho amato! Ecco, Tu eri dentro di me, io stavo al di fuori: e qui ti
cercavo e, informe nella mia irruenza, mi buttavo su queste cose belle che Tu
hai creato. Tu eri con me, io non ero con Te, tenuto lontano da Te proprio da
quelle creature che non esisterebbero se non fossero in Te. Mi chiamasti,
gridasti, e vincesti la mia sordità …».
PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in
cielo anche in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li
rimettiamo ai nostri debitori
e non esporci alla tentazione,
ma liberaci dal Male.
Tuo è il Regno, la
potenza e la gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
BENEDIZIONE
“Fratelli e
sorelle, rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati,
abbiate un
medesimo sentimento, vivete in pace. La grazia del Signore Gesù Cristo e
l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.” Amen.
(2 Corinzi
13, 11.13)
Amen
(Liturgia curata da Giampaolo Castelletti, domenica 7 giugno
2020. Meditazione di Paolo Ricca. Tutte le citazioni bibliche, salvo
diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994)
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