ACCOGLIENZA E LODE
Saluto
Nel nome del Padre, il Dio che si lascia
incontrare in quella Parola che affiora sulle sue labbra soltanto per poter
raggiungere i nostri cuori, là dove, poi, germoglia in una pioggia di colori
Nel nome del Figlio, che questa Parola ha
annunciato e incarnato, spargendola in mille meraviglie sugli animi dei
semplici e delle escluse, di cui, insieme col Padre, difende il diritto e
protegge la vita, con dolcezza e fermezza
E nel nome dello Spirito di Dio, che quella
stessa Parola innerva e vivifica, donandocene, a ogni ascolto, rinnovata, mai
conclusa comprensione, che si traduce nel gesto silenzioso e coerente di chi,
nella sua vita, la mette in pratica. Amen
Invocazione (Salmo 119:160) - (Luigi Pareyson)
«La verità è il principio della Tua Parola»
«La verità non si offre che alla libertà: ed è
attraverso questa via rischiosa, segnata dal dubbio, che essa si consegna ad
un'interpretazione, mantenendo sempre, tuttavia, un'irriducibile riserva (...)
È soltanto da un'indebita confusione, infatti, che nasce il falso dilemma tra
l'unicità della verità e la molteplicità delle formulazioni, come se, unica
essendo la verità, ne dovesse esistere un'unica formulazione legittima (...)
Eppure l'esperienza più comune basterebbe a metterci in guardia da posizioni del
genere, purtroppo così diffuse: un esempio evidentissimo, in tal senso, ci
viene fornito dall'esecuzione musicale. Anche in musica, infatti, l'opera è
accessibile solamente all'interno di una sua esecuzione.
E anche in musica la molteplicità delle esecuzioni non
compromette l'unicità dell'opera (...) L'esistenza dell'opera musicale,
difatti, non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora
dell'esecuzione, la quale, tuttavia, per il suo carattere personale e quindi
interpretativo, è sempre nuova e diversa, cioè molteplice (...) Così la verità,
lungi dal disperdersi nelle proprie formulazioni, ne alimenta essa stessa la
pluralità e, proprio come avviene per l'opera musicale rispetto alle sue
esecuzioni, non permette a nessuna di esse di monopolizzarla, né dimora in una
soltanto di esse in modo privilegiato ed esclusivo, ma tutte le suscita e tutte
le esige»
Confessione di peccato (Salmo 119:9)
«Come potrà un giovane, una giovane, mantenere limpido il suo
sentiero? Custodendo le Tue parole»
Cosa è ormai rimasto, o Dio, di limpido? Troppe cose, lo sappiamo bene, si
muovono e si celano nel torbido, dove il gioco è quello di rimestare le acque
per confondere ogni cosa, chiamando giusto ciò che è iniquo e gettare ogni
evento nell’opacità. In questo quadro sconfortante è chi è più giovane a
risultare più esposto, a smarrirsi con più facilità: perché regna sovrana
l’ambiguità, perché la menzogna si ammanta di credibilità, perché inganno e
onestà vengono presentati come equivalenti o, peggio, indifferenti. Come può,
allora, il sentiero di chi si è appena messo in cammino lungo la strada
affascinante e complessa della vita, mantenersi limpido? Facendo affidamento a
quella Tua Parola, o Dio, che denuncia l’ingiustizia, soccorre l’oppresso, si fa
accanto a quante avvertono nell’intimo sconcerto e smarrimento, per
accompagnarli nella costruzione di un cammino lungo il quale il gesto gratuito
si distingue dall’opportunismo e la speranza di relazioni più umane riposa,
oltre che nelle Tue, anche nelle nostre mani. Amen
Annuncio del perdono (Salmo 119:25)
«La Tua Parola mi dona la vita»
Quando Tu ci parli, o Dio, carezze ci sfiorano
l’anima e i sensi e tutto, dentro di noi, fiorisce: rinverdiscono le speranze
infrante, si ridestano le primavere dimenticate, si rivestono di foglie i rami
secchi delle nostre delusioni. La Tua Parola, o Dio, è balsamo sul cuore
ferito, dono inatteso che dirada le nubi di un cielo plumbeo e riapre ai nostri
sguardi orizzonti che credevamo preclusi, squarci d’azzurro che ridanno respiro
al nostro affanno, ci restituiscono fiducia e ci fanno avvertire, leggero e
sicuro, il suono del Tuo passo a rendere meno cupo lo smarrimento. Amen
TESTO PER LA PREDICAZIONE (Nehemia 8:8)
Essi leggevano il libro dell’insegnamento a piccoli brani e con ricerche
del senso: e così ne rendevano più chiara la lettura
PREDICAZIONE
Domenica scorsa ci siamo lasciati sulla soglia di una porta presso la quale
abbiamo condiviso, in un abbraccio ideale con chi rientrava da un lungo esilio,
l’esperienza dell’ascolto di pagine antiche e sempre nuove. Il libro da cui
esse sono tratte è chiamato, nella tradizione ebraica, Torah,
ovverosia Insegnamento, e non, come spesso viene reso in
italiano, legge: la differenza non è affatto di poco conto, poiché
a una legge si è chiamate e chiamati ad ubbidire, senza che ci venga
necessariamente richiesto di comprenderla e di condividerne il contenuto; non
così, invece, per l’insegnamento, che, per essere seguito e realizzato, deve
prima essere vagliato, compreso e accolto. Per tutta la tradizione ebraica, di
cui lo stesso Gesù è figlio e per ciò stesso espressione, il rapporto con le
Scritture si configura in questo modo: si tratta di una relazione vivente, di
un reciproco, instancabile interrogarsi, che va dal testo a chi lo ascolta e
viceversa. Non è materia inerte, il testo: al contrario, è cuore pulsante che
alimenta una gioiosa irrequietezza, un desiderio che si rinnova ad ogni nuovo
ascolto e non si spegne nella spiegazione, ma si ridesta e si riaccende, ogni
volta di nuovo, nel commento. Ogni testo, infatti, ogni racconto, è un invito a
scavare, alla ricerca di sensi che fioriscono ad ogni passo, custoditi nel
cuore stesso di parole che sono come indizi che ci mettono sulle tracce di una
ricerca che non ha fine e che si chiama fede. Credere, difatti, significa
rimanere viandanti, mantenere il cuore e la mente aperti a quel dono di novità
in cui Dio si lascia incontrare, ma mai identificare una volta per tutte e, men
che meno, imprigionare. Fede è freschezza che si alimenta di una lettura sempre
rinnovata e mai conclusa, quella stessa che fa sì che, giorno dopo giorno, ci
rechiamo presso una fonte che ci dona, al contempo, la sete e l’acqua. Questo è
la bibbia: acqua di sorgente che, mentre spegne la sete, torna a ridestarla.
Noi ci accostiamo a questa fonte con le piccole anfore dei nostri cuori,
che si ricolmano della sua acqua per poi svuotarsi e tornare ad attingere a
lei, incessantemente. La nostra sete può placarsi, ma mai estinguersi: quella
stessa Parola che la spegne, difatti, torna anche ad alimentarla.
Ma perché ciò avvenga, le Scritture vanno accostate, interrogate,
interpretate: non sempre, difatti, la loro comprensione è immediata, come del
resto accade con tutti gli incontri significativi che trasformano le nostre
vite e i nostri sguardi. Bisogna sostare nei pressi delle Scritture, radicarsi
in loro come l’albero che mette radici profonde per nutrirsene, come narra
l’inizio del libro dei salmi. Ed ecco che, sulla soglia della Porta delle
Acque, in una Gerusalemme che sta ancora provando a scrollarsi di dosso la
polvere delle sue macerie, l’ascolto si fa sosta che acuisce i sensi.
Narra il libro di Nehemia, al versetto 8 dell’ottavo capitolo:
“Essi leggevano il libro dell’insegnamento a piccoli brani e con ricerche
del senso: e così ne rendevano più chiara la lettura”
A piccoli sorsi: così un popolo dal cuore ferito per il ricordo ancora vivo
di un esilio prolungato e doloroso attinge alla Parola. Non si tratta, per così
dire, di una ubriacatura che stordisce, per poi non lasciare di sé che la
traccia di uno stordimento fugace e sterile. No: si tratta di un ascolto
attento e paziente, che contempla pause, domande, riflessioni, chiarimenti. Su
pagine che trasudano senso non si può correre distrattamente: altrimenti, esse
scivolano via e non penetrano nel profondo. Forse il tempo scandito da pause
che – per un periodo breve a tanti apparso così lungo – hanno rallentato la
nostra irrefrenabile corsa, ha provato a insegnarci che un respiro senza pause
diventa corto e affannoso.
Eppure, a così poca distanza da eventi che hanno interrotto bruscamente il
ritmo sincopato delle nostre vite accelerate, ho come l’impressione che il
nostro goffo tentativo sia quello di tornare in tutta fretta a quella follia
che chiamiamo “normalità”, guardando al recente passato come a un incubo da cui
ci si è risvegliati, ridestandoci, insieme, alla medesima indifferenza.
Un tempo più disteso, inizialmente gradito, ha finito per turbare quante e
quanti non sanno che farsene, inquietati più che confortati dalla possibilità
di stare troppo a lungo in compagnia di uno sconosciuto che porta casualmente
il nostro stesso nome. Così, in men che non si dica, siamo tornati a correre,
con l’unico, insensato obiettivo, di allontanarci il più possibile da
quell’essere che sembra avere le nostre sembianze e la cui indistinta,
ingombrante presenza non fa che metterci a disagio.
L’ascolto della Parola, al contrario, rappresenta lo spazio dell’incontro
con Dio così come del ritorno a sé: aspetti distinti, certamente, ma non
estranei l’uno all’altro. Il testo biblico, difatti, è insieme sentimento di
Dio ed esperienza di sé, avvicinamento all’uno come all’altro. È avventura di
autenticità, domandare lieto e inesausto, itinerario che porta a Dio mentre
riconduce a sé: nell’ascolto della Parola, infatti, si riabbracciano entrambi
questi universi intimi e ignoti, diversi eppure intrecciati. Ricercare
incessantemente gli infiniti sensi che il testo biblico custodisce e, se
opportunamente accolto e interrogato, sprigiona, significa al contempo gettare
una luce su di sé, su quel mistero inesauribile che siamo a noi stesse, a noi
stessi. Leggiamo e rileggiamo la bibbia per comprenderla meglio, senza dubbio,
ma anche – e questo spesso ce lo dimentichiamo – per comprenderci meglio.
Perché questo viaggio affascinante e interminabile possa avere inizio,
dobbiamo riacquisire familiarità con una Parola indomita e viva, libera e
provocatoria, che si agita dentro e sotto le pagine di ogni testo che ci
raggiunge e ci interpella. Di questo narra il bellissimo comento del biblista
ebreo francese David Banon, che, nel suo splendido libro La lettura
infinita, scrive, anche per noi, queste parole:
“Le Scritture non dovrebbero essere oggetto di devozione o sacralizzazione,
pratiche, generalmente, legate al culto dei morti; non un “testamento”, dunque,
quanto, piuttosto, un fidanzamento: un’esperienza di vita, di scoperte, di
incontri, di imprevisti, di novità. Un’avventura del senso (…) Non si tratta di
un pacchetto sigillato che si passa di mano in mano e di generazione in
generazione senza aprirlo, ma di un tesoro inesauribile, a cui attingere a
piene mani”.
[Tratto da: David Banon, La lettura
infinita, Jaca Book, Milano, 2009, cit. pp. 70-71 – orig. francese del
1987]
Un libro, insomma, che parla a noi perché parla di noi:
pagine su cui fare ritorno ogni giorno di nuovo, perché ogni giorno hanno
qualcosa da dire a quel cambiamento che siamo e che la bibbia ci aiuta ad
accogliere e a comprendere, aiutandoci in quel cammino costante in cui consiste
una fede da apprendere a ogni passo, in compagnia di quel Dio, come noi, amante
dei sentieri e degli incontri di cui ogni cammino è costellato.
Alessandro Esposito – domenica 21 giugno 2020
BENEDIZIONE (Giuseppe Centore)
Di silenzio in silenzio la tua anima cresca
come una linea tra la neve e il sole
come una cosa salda in un paese d'ombre
Ed abbia la tua voce odore d'erba dopo la pioggia
E ciò che dalla vita hai ricevuto
profondità sofferta o estasi goduta
ti sia nella memoria come una primavera ripetuta
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