C'è una parte della bibbia
ebraica che è composta interamente da una serie di libri che si occupano della
sapienza e che per questo sono detti, per l'appunto, sapienziali. Si
tratta di libri che, così come fa il versetto di quest'oggi, esortano ad
acquistarla: sì, perché la sapienza si acquista, anche se non certo nel senso
del mercato che invade ormai dimensioni sempre più vaste del nostro vivere
quotidiano. La sapienza, del resto, si acquista, sì, ma non si può comprare. La
sua acquisizione, infatti, è frutto di un percorso che non si esaurisce mai e
che dura tanto quanto la vita di chi la ricerca. Un percorso fatto di fatica,
di tempo speso, di esercizio, di costante disposizione ad apprendere attraverso
il silenzio e l'ascolto. Sapienza, infatti, significa disciplina, rinuncia,
sudore. Non viene infusa in modo improvviso e magico, ma si deposita con
lentezza sui giorni e sui cuori delle donne e degli uomini. Non è, o non
dovrebbe essere, almeno, privilegio di pochi, ma prezioso bene alla portata di
tutti, via senza impedimenti, sentiero faticoso ma aperto. L'autore del libro
dei Proverbi invita i suoi ascoltatori e le sue ascoltatrici a mettersi su
questo sentiero, li sprona a percorrerlo, con umiltà e con audacia.
Perché mai? Che benefici trae
l'uomo dalla sapienza? Varrà poi davvero la pena di cercarla tanto? Qual è, in
definitiva, la sua utilità per quanto riguarda i nostri percorsi di fede? Si
tratta di un passaggio obbligato o di una semplice opzione? Ovvero: la fede ha
poi necessariamente bisogno della sapienza? O non è forse vero che la sapienza,
in realtà, allontana dalla fede? Incontro donne e uomini feriti nell'anima
dalla predicazione di un Dio asfissiante ed ossessivo, un Dio che ha perso i
tratti biblici di Colui che chiama ad un percorso di liberazione. Vedo alcune
chiese diventare luoghi dell'esclusione anziché dell'accoglienza, spazi in cui
si condannano quelle ambiguità e quelle contraddizioni che abitano i nostri
cuori e che ci rendono umani, associazioni il cui unico scopo è la
manipolazione ed il controllo delle coscienze, il soffocamento della libera
ricerca. Bene: se la sapienza è una via per liberarci da tutto questo, ben
venga: perché ci allontana da una struttura oppressiva, non da Dio; perché ci
restituisce a noi stessi, a noi stesse, a quella fede certamente imperfetta, ma
comunque personale.
Possibile che la sapienza sia
un qualcosa di così negativo? Allora uno per credere deve per forza rassegnarsi
all'ignoranza? No. E non perché lo dico io: lo dicono, a più riprese le
Scritture, lo dice il nostro versetto di oggi. La sapienza non è in lotta con
la fede, non è uno strumento di demolizione: è un invito ad andare oltre, a non
accontentarsi di rimanere sulla superficie delle cose. Perché in ogni campo
della cultura umana è necessario studiare, approfondire, prima di esprimere
un'opinione in merito, mentre riguardo alla fede tutti si sentono autorizzati a
parlare, non di rado a sproposito? Perché se uno cerca di mettere in relazione
la propria fede con le letture che l'hanno aiutato a crescere e a maturare, a
mettersi in discussione, deve essere subito “bollato” come intellettuale, come
qualcuno che intende escludere i semplici dalla fede! La cultura, l'istruzione
non possono essere esclusivamente oggetto di una condanna tanto ferma quanto
ottusa. Certo, non bisogna ritenere che la sapienza esaurisca in sé il tema in
verità inesauribile della fede: ma non si può nemmeno accettare che fede e
sapienza siano realtà reciprocamente estranee, quando non addirittura ostili.
Il legame che le unisce è profondo, fatto di dialogo, tensioni, conflitti, così
come di queste cose sono fatti anche il nostro cuore e le nostre relazioni.
La fede è dei semplici e da loro e con loro io per primo ho bisogno di
tornare ad impararla ogni giorno. Ritengo, però, che tra i miei compiti di
predicare la Parola, rientri anche quello di educarmi insieme con questi
semplici, fornendo loro tutti gli strumenti necessari perché non siano dominati
da presunte autorità. Fede è percorso di liberazione e nessun tema mi è
più caro di questo. Se invito, e in un certo qual modo “costringo” i semplici a
pensare e a non cadere vittime di semplificazioni tese a controllarne
l'opinione e la creatività, credo, attraverso questa prassi, di star
rispondendo con fedeltà alla mia vocazione, spendendola, con sincerità e
dedizione, al loro servizio, come il Dio di Gesù e delle Scritture, che è Dio
dei semplici, mi chiama a fare. Amen
(Alessandro Esposito)
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