Accoglienza
Buongiorno e buona domenica a
tutte e a tutti, il versetto che accompagna questa decima domenica dopo
Pentecoste è preso dalla lettera di Paolo indirizzata a Timoteo con queste
parole: “Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e
l'immortalità mediante il vangelo,”. (2° Timoteo 1: 10b)
Saluto (Dietrich Bonhoeffer)
Spirito Santo, donami la fede, che dalla
disperazione, dalle brame e dai vizi mi salva; donami l’amore per Dio e per gli
uomini, che estirpa ogni odio ed amarezza; donami la speranza, che mi libera
dal timore e dallo scoraggiamento. Insegnami a conoscere Gesù il Cristo e a
fare il Suo volere. Amen.
Lode
Padre, tu sei il nostro creatore, che chiami alla vita le cose che non
sono e in Cristo manifesti e rinnovi la nostra vita, perché in essa si rifletta
la luce del tuo evangelo.
La tua parola ci raggiunge anche nell’abisso del dolore e della morte e
ci dona la forza della consolazione, come è vero che Cristo Gesù hai distrutto la
morte e hai messo in luce la vita e l’immortalità, così risplenda in noi questa
luce, mediante il tuo Spirito consolatore. Amen.
Ascolto della parola di dio
Preghiera di illuminazione
Signore…tu ci parli
costantemente, le tue parole sono preziose, ogni giorno ci rallegrano, ci
interpellano…ci disturbano e ci
sorprendono.
Le tue parole ci meravigliano e vorremmo accoglierle come tu accogli
noi, prenderle sul serio come tu prendi sul serio noi.
Vorremmo ascoltarti come tu ci ascolti: con attenzione e con sollecitudine.
Signore…tu ci parli in ogni frangente della nostra giornata, le parole che
tu ci rivolgi sono preziose ed è per questo che ti chiediamo che ci facciano
vivere mediante il tuo Santo Spirito. Amen
Testo biblico
2° Timoteo 1 , 7 – 12
7 Perché lo Spirito Santo, dono di Dio, non
vuole che tu abbia paura, ma che tu sia saggio, forte e pieno d'amore. 8 Se mantieni viva
in te questa potenza interiore, non avrai mai paura di parlare agli altri del
Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione per amore di Cristo, ma
sarai pronto anche tu a soffrire con me per il Signore, perché egli te ne darà
la forza. 9 È lui
che ci ha salvati e ci ha scelti per portare avanti il suo santo lavoro; non
per merito nostro, ma per sua decisione e generosità. Da sempre questo era il
suo piano preparato per noi: donarci la salvezza per mezzo di Gesù Cristo. 10 Ora tutto questo
ci è stato rivelato con l'arrivo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, che ha
infranto la potenza della morte e ci ha indicato la via della vita eterna, per
mezzo della fede in lui. 11 E
Dio mi ha scelto come apostolo per predicare e insegnare questo messaggio ai
pagani. 12 Ecco perché sto
soffrendo qui in prigione, ma non me ne vergogno, perché io so in chi ho
riposto la mia fiducia e sono certo che egli ha la potenza di custodire tutto
ciò che mi ha affidato fino al giorno del suo ritorno.
Esposizione del brano
biblico
Paolo…ormai…è quasi giunto alla fine della sua
vicenda umana e scrive queste parole che sono, in parole pratiche, un suo
testamento rivolto a Timoteo, suo figlio spirituale; quando Paolo le scrive, si
trova a Roma imprigionato e quasi tutti i suoi collaboratori lo hanno
abbandonato, al punto che può parlare con riconoscenza di una sola persona, Onesiforo, l’unico
tra i suoi collaboratori che s’è recato a Roma, lo ha cercato e
dopo averlo trovato è andato a visitarlo in prigione e in questo modo è stato
il suo conforto, perché…dice l’Apostolo…“non si è vergognato della mia
catena”: quella catena che lo legava al soldato romano incaricato
della sua sorveglianza.
Ma in questa situazione molto triste, Paolo non è triste. Perché
non si considera un prigioniero del potere romano, ma…l’abbiamo udito nella
pagina di oggi, quando scrive a Timoteo: “non avrai mai paura di
parlare agli altri del Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione”…in
pratica Paolo è prigioniero di Gesù, che s’è impadronito di lui quando gli è
apparso sulla via di Damasco. E questo cambia tutto! Non si può essere
prigionieri di due realtà diverse, e il suo vincolo col Signore non consente a
Paolo che la catena che gli serra le caviglie…gli serri pure il cuore e lo
condizioni nella libertà spirituale che Cristo gli ha donato, Paolo…infatti…vive
il suo carcere e l’ormai quasi certa sua condanna a morte nella prospettiva della “promessa
della vita che è in Cristo Gesù”.
E proprio la “promessa della vita”, gli fa
apprezzare tutte le cose belle di cui la vita, nonostante tutto, continua a
fargli dono. E ce ne parla, di queste cose belle, le fa apprezzare anche a noi.
La prima cosa bella è proprio colui a cui scrive la sua lettera,
il suo “caro figlio” nello spirito, Timoteo, sempre presente
nei suoi ricordi, nelle preghiere e nei ringraziamenti che eleva a Dio dal
carcere. Sì, anche nelle catene, Paolo è riconoscente. Riconoscente per le
catene stesse, che lo uniscono in maniera più stretta a Gesù, che anche lui è
stato incatenato durante la passione; ma soprattutto riconoscente per Timoteo
stesso, per l’affetto filiale che nutre per lui, perché è stato ed è ancora un
collaboratore premuroso nel suo ministero…poi…per la sua fede e per tutti gli
altri doni che il Signore gli ha elargito…
E questa catena…è un dono per cui Paolo ringrazia…Timoteo che ha preso
così sul serio la sua origine ebraica da parte della madre da avere chiesto la
circoncisione, e sappiamo anche che Paolo, che pure s’era opposto con tutte le
sue forze alla circoncisione di Tito perchè era un’uomo greco, per quanto
riguarda Timoteo invece, non ha avuto problemi, proprio sulla base della sua
discendenza materna da Israele, a circoncidere Timoteo. E tanto Paolo quanto
Timoteo sono rimasti legati ad Israele, grati per la loro formazione ebraica
tramite la Torah e per la profezia che fluiva da Israele verso il suo pieno
compimento e al suo culmine in Cristo. Contrariamente a quello che sovente si
pensa, Paolo non ha mai considerato la sua fede in Gesù come una brusca rottura
con la religione dei suoi padri e delle sue madri, ma piuttosto appunto come il
suo compimento. Ancora nel libro degli Atti, ma anche nelle sue
lettere, si presenta senza alcun problema come un “fariseo figlio di
farisei” che continua a adorare e servire “il Dio dei padri…
credendo in tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti” (cfr. Atti
23,6; 24,14). Ciò che egli ha combattuto non è mai stata la legge in
sé, da lui sempre considerata come un dono di Dio, ma l’interpretazione
distorta della legge, da un lato assolutizzata fino a prendere il posto stesso
di Dio, e dall’altro completata e ricoperta da una serie infinita di regole e
tradizioni umane. Nelle due lettere a Timoteo vi sono delle
belle espressioni che vi voglio riportare: è come se Paolo dica al suo “caro
figlio” nella fede: “Io sono ebreo, tu sei ebreo, e non lo siamo di
meno essendo diventati tutti e due cristiani”. E credo di non sbagliarmi a
pensarla così…
Insomma, qui sinora per Paolo e per Timoteo tutto è dono: la fede,
la discendenza familiare e la discendenza da Israele, il servizio nella chiesa.
Ma se tutti i doni vengono da Dio…è certo che “i doni e la vocazione di
Dio sono irrevocabili” (Romani 11:29), ma è anche pur vero che questa
irrevocabilità deve essere regolarmente ravvivata. I doni…Dio ce li mette nelle
mani, e nelle nostre mani, come una pianta che non viene curata, si possono
appassire…e allora è necessario il nostro impegno quotidiano perché restino
freschi ed efficaci…e a questo impegno Paolo richiama Timoteo: “Per questa ragione, ti
raccomando di ravvivare il dono di Dio, che hai ricevuto quando ti ho posto le
mani sul capo” (cfr. 2 Timoteo 1:6).
Qui c’è da fare molta attenzione, Paolo non sta insinuando che
Timoteo sia stato negligente, semplicemente vuole che egli si renda pienamente
conto di quanto siano grandi i doni che gli sono stati concessi da Dio, e di
quanto sia importante per il presente e per il futuro della chiesa in cui serve
che quei doni siano conosciuti, accolti e messi in pratica. Non è una cosa che
si fa una volta e basta. Chi accende nell’inverno come me…una stufa, sa che
occorre spesso riattizzare la fiamma che in essa arde. Lo stesso accade per il
ministero di Timoteo e di tutte e tutti noi: la fiamma deve essere
continuamente ravvivata in risposta alla costante attività ispiratrice e
produttrice di Dio…insomma, sta a noi accostare al nostro cuore ed alla nostra
bocca la scintilla dello Spirito Santo del Signore.
Ma questo che significa in concreto? Rileggiamo il versetto sette: “Perché lo Spirito Santo,
dono di Dio, non vuole che tu abbia paura, ma che tu sia saggio, forte e pieno
d'amore. ”.
Sì, nel nostro battesimo noi abbiamo ricevuto il carisma
della “forza” (cioè dell’energia che, rafforzata dalla grazia,
ci fa agire nella vita quotidiana), e quello dell’“amore” e della “saggezza”.
Questi tre doni che il Signore ci concede noi li dobbiamo fare
agire insieme: la forza deve essere diretta e plasmata dall’amore; in mancanza
d’amore infatti, la forza è pericolosa: può facilmente diventare fanatismo, e
allora (come sappiamo bene in questi tempi che ci troviamo a vivere) sono davvero
guai! E dall’altra parte, un amore senza forza non riesce a fare molto…e però è
anche vero che, un amore che possiede la forza ma è privo di una mente equilibrata
rischia di essere avventato e alla fine infruttuoso. Insomma, “forza”,
“amore” “saggezza”, sono davvero tutti e tre complementari fra di
loro.
Ma prima di parlare a Timoteo di questi doni, Paolo gli ha ricordato
che lo spirito di cui Dio gli ha fatto dono “non vuole che tu abbia
paura”. Lo ha fatto giustamente, perché quello che più di ogni altra cosa
può impedire di ravvivare i carismi ricevuti, è uno spirito di rifiuto o di
rinuncia alla loro messa in pratica, dovuto alla paura di fronte a qualche pericolo.
È l’ansia che ci blocca davanti ad una minaccia o anche solo ad un impegno che
ci sembra sia al di sopra delle nostre piccole forze, che poi è quel medesimo
timore che…nella celebre parabola di Gesù…ha impedito al terzo servo di mettere
a frutto il talento ricevuto e glielo ha invece fatto seppellire,
nell’illusione di metterlo e di mettersi al sicuro… (cfr. Matteo
25,25).
Qui…invece…Paolo ci invita alla preghiera per avere da Dio il dono
della forza che ci viene dall’alto, la stessa che è discesa a Pentecoste sulla Chiesa
neonata, trasformando dei pescatori impauriti…nei predicatori che seppero
portare l’evangelo nel mondo. Se vogliamo…anche noi…che il nostro mondo lo
conosciamo abbastanza bene, non possiamo procedere con timidezza, ma dobbiamo
rinnovare questa fiamma, questo dono di Dio: “lo spirito di potenza che vive
nell’amore ed è guidato da una mente che conosce se stessa e si sa controllare”.
Ecco allora perché Paolo ricorda a Timoteo che il dono di Dio per
lui e per tutti i credenti è che…“lo Spirito Santo”, dono di Dio, non vuole
che lui abbia paura, ma che sia saggio, forte e pieno d'amore”.
A questo punto, ci è possibile dire che quest’espressione con le
sue quattro parti, la possiamo descrivere in un’unica parola: “coraggio”. Sì,
Dio ci dona “uno spirito di coraggio”.
Ed è proprio al coraggio che Paolo chiama Timoteo; lo fa
presentandogli se stesso prigioniero e la catena che lo lega: “non avrai mai paura di
parlare agli altri del Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione”. Timoteo
deve parlare ai membri della sua comunità dell’arresto e della prigionia di
Paolo “senza alcuna vergogna”.
Ma perché mai dovrebbe vergognarsi di Paolo incarcerato? Prendiamola
un po’ alla lontana: scrivendo ai Galati lo stesso Paolo li
aveva lodati per il fatto che, la prima volta che era arrivato in Galazia,
s’era fermato per un certo tempo e vi aveva annunciato l’evangelo solo perché
era stato colto da una grave malattia che gli aveva impedito di proseguire
oltre; e però loro, i Galati, non lo avevano disprezzato a causa della sua
infermità, dicendo: “Ma come? Quest’uomo afferma di essere un inviato del Dio
altissimo e del Messia suo Figlio; dice anche di saper operare guarigioni, e
s’è ammalato lui stesso? Che Dio da quattro soldi è allora il suo, che non riesce
neanche a preservarlo da questa malattia di cui ora sta soffrendo?”, ma avevano
saputo superare quella umanissima tentazione lo avevano accolto come un angelo
di Dio (cfr. Galati 5, 13-14). Come un apostolo ammalato, così
anche un apostolo in catene può rappresentare uno scandalo: anche qui qualcuno
potrebbe osservare che è ben strano e ben debole un Dio che non riesce a
sottrarre il suo rappresentante dalla prigione e dalla sofferenza…
In realtà il Dio che Paolo e Timoteo sono stati chiamati a servire
e ad annunciare non rivela sé stesso in termini di potere e sconfitta dei
nemici. È un Dio, sicuramente, anzi l’unico vero Dio Creatore e Signore del
cielo e della terra, ma insieme è il “Dio che è amore” (cfr. 1
Giovanni 4, 8); il Dio che “ha tanto amato il mondo che ha
dato il suo Figlio unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma
abbia vita eterna” (Giovanni 3, 16). Per questo, proprio il “Figlio
unigenito di Dio”, è stato lui per primo ad essere incatenato, e ha
sofferto ed è morto su un patibolo. Vergognarsi delle catene di Paolo
significherebbe allora in primo luogo vergognarsi di Gesù. Ed è questo che
Paolo ricorda qui a Timoteo: se avete fatto caso…prima gli dice: “non avrai mai paura di
parlare agli altri del Signore”, e
solo dopo aggiunge: “né ti vergognerai di me che sono in prigione”, cioè: “Non
vergognarti di me che, con le mie sofferenze, non faccio altro che seguire il
Signore che ha sofferto per primo, perché vergognandoti di me, ti vergogneresti
di lui”. Il discepolato cristiano, è la via della croce, cioè la condivisione
delle sofferenze di Gesù, che hanno redento e redimono il mondo. Ecco perché
l’invito a “non aver vergogna” si trasforma subito dopo in un
appello: “ma sarai pronto anche tu a soffrire con me per il Signore, perché
egli te ne darà la forza”. Un appello alla sofferenza che non ha proprio nulla di masochistico,
ma che è invece…la chiamata…valida in ogni tempo e per ogni cristiano…a
testimoniare con le parole e con la vita la presenza del Signore che vive in
noi e per noi, e ad assumerci la responsabilità di eventuali conseguenze anche
spiacevoli, ricordando la parola del Signore che dice: “Se hanno perseguitato
me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15, 20).
Per noi…oggi…almeno fino adesso, nei nostri paesi occidentali…non
è più questione di persecuzioni, ma è ancora, invece…e forse più che mai,
questione di “paura”: “non avrai mai paura di parlare agli altri del
Signore”, così scrive Paolo a Timoteo. Quante volte, di fronte alla ricerca
ossessiva del benessere che domina la nostra società, che ci vuole tutti uomini
e donne di successo, tutti belli, ricchi, sani, giovani (o almeno giovanili),
abbiamo paura di dire alto e forte che Dio odia il peccato…già dire questa
parola così terribilmente fuori moda e così terribilmente moralistica, ci fa
sentire strani…che noi siamo peccatori, che la storia umana continua a essere
una storia di peccato, e che Dio in Cristo ha sofferto per noi per salvarci dal
peccato, perché da soli noi non potremmo mai riuscirci…
Ed è proprio della salvezza come dono di Dio che Paolo parla, in
una frase che è un bellissimo riassunto della sua predicazione: “È lui che ci ha salvati e
ci ha scelti per portare avanti il suo santo lavoro; non per merito nostro, ma
per sua decisione e generosità. Da sempre questo era il suo piano preparato per
noi: donarci la salvezza per mezzo di Gesù Cristo”.
Qui c’è davvero tutto: il dono e la chiamata; “il
dono” è che è Dio che “ci ha salvati non a motivo delle nostre
opere (una volta ancora, Paolo è molto protestante), ma
secondo il suo proposito e la grazia”. “Il compito” è che Dio, chiamandoci
a credere in lui e nella sua salvezza, ci chiama ad una vita di santità: appartenere
a lui e a nessun altro potere sulla terra o nei cieli o sottoterra.
Questo è... la piena realizzazione del progetto eterno di Dio, la
sua salvezza per pura, immeritata grazia…e Paolo continua così: “Ora tutto questo ci è
stato rivelato con l'arrivo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, che ha infranto
la potenza della morte e ci ha indicato la via della vita eterna, per mezzo della
fede in lui”. ” Morendo
sulla croce “il Figlio unigenito di Dio”, ha trionfato sulla
morte, l’“ha distrutta” e ha distrutto il suo potere: ora la morte
non è più un orrore, ma la porta attraverso cui si passa da questo mondo
corrotto alla vita con Dio. Sì Gesù ha davvero dato alla luce, ha come generato
per noi, nel travaglio della morte, “la vita e l’immortalità”, e
adesso, finalmente il significato della vita, la vita terrena e quella eterna,
come Dio le ha concepite da prima che il mondo cominciasse, tutto è stato
compiuto e tutto è rivelato, ed è reso presente “mediante l’evangelo”.
Oggi…abbiamo ascoltato questa pagina che ci ha detto che…c’è
qualcosa che in Gesù è stato reso manifesto una volta per tutte…è l’evangelo di
cui Paolo è stato “costituito araldo, apostolo e dottore”. Non
si tratta di titoli accademici, e neanche della scelta di una professione o di
un mestiere…uno non sceglie di diventare “predicatore dell’evangelo di
Gesù Cristo” ma invece…viene scelto. Un predicatore è come chi è stato
risvegliato dal sonno, buttato giù dal letto e scaraventato in mezzo
all’avventura: non a caso c’è in Paolo come una costante nota di sorpresa per
essere stato scelto e chiamato ad essere quello che è, e ad assumersi i rischi
che s’è dovuto assumere… Quei rischi che adesso hanno per lui il nome di “catena”,
“tribunale”. “condanna a morte”, “boia ed esecuzione”. Ma…ancora una volta, non
se ne vergogna, e nemmeno si rattrista: “Ecco perché sto soffrendo qui in prigione,
ma non me ne vergogno, perché io so in chi ho riposto la mia fiducia e sono
certo che egli ha la potenza di custodire tutto ciò che mi ha affidato fino al
giorno del suo ritorno.” Paolo è pieno di fiducia verso Colui alla
cui fedeltà ha dedicato sé stesso, la fatica, i dolori e le gioie di tutta
quanta la sua vita intera. Ed è convinto che Dio gli ha elargito gli strumenti
per portare avanti la sua missione e l’evangelo stesso che è il suo dono e il suo
compito. E questo, fino all’ultimo giorno, quando la sua corsa arriverà al suo
termine e troverà il sorriso e troverà l’abbraccio di quel Gesù…nelle cui mani
ha a sua volta affidato tutto quello che lo riguarda: la sua persona, le sue
speranze, i suoi sogni, le sue chiese, il suo popolo Israele, il mondo intero.
Questa lettera in fondo è un testamento. Nel testamento c‘è sempre
un erede. Qui l’erede è Timoteo. Che ora…adeguatamente incoraggiato…è pronto a
caricarsi la predicazione dell’evangelo.
Certo, con tutta la sua buona volontà, Timoteo non è Paolo, e non
lo sarà mai… Ma in fondo poco importa: in realtà i doni della grazia,
l’evangelo, tutto quanto che Dio ha affidato a Paolo e Paolo affida a
Timoteo, è sempre saldamente custodito da Dio stesso. Lui veglia su di esso,
come veglia su Paolo e su Timoteo e su ciascuno di noi.
Perché anche noi sappiamo in chi abbiamo creduto! Non abbiamo
paura, e non ci vergogniamo! Diamo la nostra testimonianza all’evangelo. Siamo
qui solo per questo.
È la nostra “grazia”, la “misericordia” e
la “pace” che vengono a noi e restano con noi da parte “di
Dio Padre e di Gesù il Cristo nostro Signore”.
AMEN
PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Dio nostro, notizie
cattive e storie di disperazione ci giungono incessantemente da ogni parte del
mondo.
Vediamo immagini di
persone uccise dalle guerre, dalla miseria.
Vediamo i visi dei
bambini morti sulle spiagge a causa dell’esodo per una vita migliore, bambini
sottoposti ad abusi e distrutti dall’avidità e dall’egoismo degli adulti.
Sentiamo il lamento
degli anziani abbandonati a sé stessi.
Sentiamo e vediamo
queste persone e riconosciamo noi stessi nei loro visi,
nel loro silenzio, nel
loro gridare.
Tu sei colei che, come
una madre, consola. Per questo ti chiediamo: aiutaci a circondare di affetto le
persone sole; insegnaci a cercare i perduti, a sfamare gli affamati, ad aprire
le porte ai rifugiati, a soccorrere i feriti nel corpo o nell’anima; insegnaci
a incontrare le persone colpevoli come fratelli e sorelle e a dar loro la
certezza di non aver perso la loro dignità.
Signore, quando noi
non riusciamo a procedere, ad aiutare come dovremmo, porta tu a termine l’opera
che hai iniziato con noi.
Consola per mezzo
nostro, e consola anche noi: rendici forti nelle difficoltà, e aiutaci a dare sfogo al nostro dolore quando
il lutto rischia di soffocarci.
Rendici riconoscenti
nei momenti di gioia, e conservaci il dono del sorriso liberante. Tutto questo
te lo chiediamo nel nome di Gesù tramite la preghiera che ci ha insegnato: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato
il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in
cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche
noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione,
ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli
dei secoli.” Amen
INVIO (2° Corinzi 4,
13 – 14)
“Noi parliamo con franchezza di ciò che crediamo
(fiduciosi che Dio agisce per noi), proprio come dice il Salmo: «Ho
creduto, perciò ho parlato». Noi pure crediamo e perciò parliamo. Siamo
convinti infatti che lo stesso Dio che resuscitò il Signore Gesù, resusciterà
anche noi insieme con Gesù, e con voi ci farà comparire alla sua presenza”.
BENEDIZIONE (Fernando Pessoa)
“Dobbiamo fare:
dell’interruzione un nuovo cammino,
della caduta un passo di danza,
della paura una scala,
del sogno un ponte,
del bisogno un incontro”.
Amen
(Giampaolo Castelletti, domenica 27 settembre
2020. Tutte le
citazioni bibliche, salvo il testo biblico di 2° Timoteo 1, 7-12 e il testo
biblico dell’Invio, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione
1994).
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