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01/10/2020

17ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE

 

Accoglienza

Buongiorno e buona domenica a tutte e a tutti, il versetto che accompagna questa decima domenica dopo Pentecoste è preso dalla lettera di Paolo indirizzata a Timoteo con queste parole: “Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo,”. (2° Timoteo 1: 10b)

Saluto (Dietrich Bonhoeffer)

Spirito Santo, donami la fede, che dalla disperazione, dalle brame e dai vizi mi salva; donami l’amore per Dio e per gli uomini, che estirpa ogni odio ed amarezza; donami la speranza, che mi libera dal timore e dallo scoraggiamento. Insegnami a conoscere Gesù il Cristo e a fare il Suo volere. Amen.

Lode

Padre, tu sei il nostro creatore, che chiami alla vita le cose che non sono e in Cristo manifesti e rinnovi la nostra vita, perché in essa si rifletta la luce del tuo evangelo.

La tua parola ci raggiunge anche nell’abisso del dolore e della morte e ci dona la forza della consolazione, come è vero che Cristo Gesù hai distrutto la morte e hai messo in luce la vita e l’immortalità, così risplenda in noi questa luce, mediante il tuo Spirito consolatore. Amen.

 

Ascolto della parola di dio

Preghiera di illuminazione

Signoretu ci parli costantemente, le tue parole sono preziose, ogni giorno ci rallegrano, ci interpellanoci disturbano e ci sorprendono.

Le tue parole ci meravigliano e vorremmo accoglierle come tu accogli

noi, prenderle sul serio come tu prendi sul serio noi.

Vorremmo ascoltarti come tu ci ascolti: con attenzione e con sollecitudine.

Signore…tu ci parli in ogni frangente della nostra giornata, le parole che tu ci rivolgi sono preziose ed è per questo che ti chiediamo che ci facciano vivere mediante il tuo Santo Spirito. Amen

 

Testo biblico

2° Timoteo 1 , 7 – 12

 

7 Perché lo Spirito Santo, dono di Dio, non vuole che tu abbia paura, ma che tu sia saggio, forte e pieno d'amore. 8 Se mantieni viva in te questa potenza interiore, non avrai mai paura di parlare agli altri del Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione per amore di Cristo, ma sarai pronto anche tu a soffrire con me per il Signore, perché egli te ne darà la forza. 9 È lui che ci ha salvati e ci ha scelti per portare avanti il suo santo lavoro; non per merito nostro, ma per sua decisione e generosità. Da sempre questo era il suo piano preparato per noi: donarci la salvezza per mezzo di Gesù Cristo. 10 Ora tutto questo ci è stato rivelato con l'arrivo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, che ha infranto la potenza della morte e ci ha indicato la via della vita eterna, per mezzo della fede in lui. 11 E Dio mi ha scelto come apostolo per predicare e insegnare questo messaggio ai pagani. 12 Ecco perché sto soffrendo qui in prigione, ma non me ne vergogno, perché io so in chi ho riposto la mia fiducia e sono certo che egli ha la potenza di custodire tutto ciò che mi ha affidato fino al giorno del suo ritorno.

 

Esposizione del brano biblico

 

Paolo…ormai…è quasi giunto alla fine della sua vicenda umana e scrive queste parole che sono, in parole pratiche, un suo testamento rivolto a Timoteo, suo figlio spirituale; quando Paolo le scrive, si trova a Roma imprigionato e quasi tutti i suoi collaboratori lo hanno abbandonato, al punto che può parlare con riconoscenza di una sola persona, Onesiforo, l’unico tra i suoi collaboratori che s’è recato a Roma, lo ha cercato e dopo averlo trovato è andato a visitarlo in prigione e in questo modo è stato il suo conforto, perché…dice l’Apostolo…“non si è vergognato della mia catena”: quella catena che lo legava al soldato romano incaricato della sua sorveglianza.

Ma in questa situazione molto triste, Paolo non è triste. Perché non si considera un prigioniero del potere romano, ma…l’abbiamo udito nella pagina di oggi, quando scrive a Timoteo: non avrai mai paura di parlare agli altri del Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione”…in pratica Paolo è prigioniero di Gesù, che s’è impadronito di lui quando gli è apparso sulla via di Damasco. E questo cambia tutto! Non si può essere prigionieri di due realtà diverse, e il suo vincolo col Signore non consente a Paolo che la catena che gli serra le caviglie…gli serri pure il cuore e lo condizioni nella libertà spirituale che Cristo gli ha donato, Paolo…infatti…vive il suo carcere e l’ormai quasi certa sua condanna a morte nella prospettiva della “promessa della vita che è in Cristo Gesù”.

E proprio la “promessa della vita”, gli fa apprezzare tutte le cose belle di cui la vita, nonostante tutto, continua a fargli dono. E ce ne parla, di queste cose belle, le fa apprezzare anche a noi.

La prima cosa bella è proprio colui a cui scrive la sua lettera, il suo “caro figlio” nello spirito, Timoteo, sempre presente nei suoi ricordi, nelle preghiere e nei ringraziamenti che eleva a Dio dal carcere. Sì, anche nelle catene, Paolo è riconoscente. Riconoscente per le catene stesse, che lo uniscono in maniera più stretta a Gesù, che anche lui è stato incatenato durante la passione; ma soprattutto riconoscente per Timoteo stesso, per l’affetto filiale che nutre per lui, perché è stato ed è ancora un collaboratore premuroso nel suo ministero…poi…per la sua fede e per tutti gli altri doni che il Signore gli ha elargito…

E questa catena…è un dono per cui Paolo ringrazia…Timoteo che ha preso così sul serio la sua origine ebraica da parte della madre da avere chiesto la circoncisione, e sappiamo anche che Paolo, che pure s’era opposto con tutte le sue forze alla circoncisione di Tito perchè era un’uomo greco, per quanto riguarda Timoteo invece, non ha avuto problemi, proprio sulla base della sua discendenza materna da Israele, a circoncidere Timoteo. E tanto Paolo quanto Timoteo sono rimasti legati ad Israele, grati per la loro formazione ebraica tramite la Torah e per la profezia che fluiva da Israele verso il suo pieno compimento e al suo culmine in Cristo. Contrariamente a quello che sovente si pensa, Paolo non ha mai considerato la sua fede in Gesù come una brusca rottura con la religione dei suoi padri e delle sue madri, ma piuttosto appunto come il suo compimento. Ancora nel libro degli Atti, ma anche nelle sue lettere, si presenta senza alcun problema come un “fariseo figlio di farisei” che continua a adorare e servire “il Dio dei padri… credendo in tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti” (cfr. Atti 23,6; 24,14). Ciò che egli ha combattuto non è mai stata la legge in sé, da lui sempre considerata come un dono di Dio, ma l’interpretazione distorta della legge, da un lato assolutizzata fino a prendere il posto stesso di Dio, e dall’altro completata e ricoperta da una serie infinita di regole e tradizioni umane. Nelle due lettere a Timoteo vi sono delle belle espressioni che vi voglio riportare: è come se Paolo dica al suo “caro figlio” nella fede: “Io sono ebreo, tu sei ebreo, e non lo siamo di meno essendo diventati tutti e due cristiani”. E credo di non sbagliarmi a pensarla così…

Insomma, qui sinora per Paolo e per Timoteo tutto è dono: la fede, la discendenza familiare e la discendenza da Israele, il servizio nella chiesa. Ma se tutti i doni vengono da Dio…è certo che “i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili” (Romani 11:29), ma è anche pur vero che questa irrevocabilità deve essere regolarmente ravvivata. I doni…Dio ce li mette nelle mani, e nelle nostre mani, come una pianta che non viene curata, si possono appassire…e allora è necessario il nostro impegno quotidiano perché restino freschi ed efficaci…e a questo impegno Paolo richiama Timoteo: Per questa ragione, ti raccomando di ravvivare il dono di Dio, che hai ricevuto quando ti ho posto le mani sul capo” (cfr. 2 Timoteo 1:6).

Qui c’è da fare molta attenzione, Paolo non sta insinuando che Timoteo sia stato negligente, semplicemente vuole che egli si renda pienamente conto di quanto siano grandi i doni che gli sono stati concessi da Dio, e di quanto sia importante per il presente e per il futuro della chiesa in cui serve che quei doni siano conosciuti, accolti e messi in pratica. Non è una cosa che si fa una volta e basta. Chi accende nell’inverno come me…una stufa, sa che occorre spesso riattizzare la fiamma che in essa arde. Lo stesso accade per il ministero di Timoteo e di tutte e tutti noi: la fiamma deve essere continuamente ravvivata in risposta alla costante attività ispiratrice e produttrice di Dio…insomma, sta a noi accostare al nostro cuore ed alla nostra bocca la scintilla dello Spirito Santo del Signore.

Ma questo che significa in concreto? Rileggiamo il versetto sette: Perché lo Spirito Santo, dono di Dio, non vuole che tu abbia paura, ma che tu sia saggio, forte e pieno d'amore. ”.

Sì, nel nostro battesimo noi abbiamo ricevuto il carisma della “forza” (cioè dell’energia che, rafforzata dalla grazia, ci fa agire nella vita quotidiana), e quello dell’“amore” e della “saggezza”.

Questi tre doni che il Signore ci concede noi li dobbiamo fare agire insieme: la forza deve essere diretta e plasmata dall’amore; in mancanza d’amore infatti, la forza è pericolosa: può facilmente diventare fanatismo, e allora (come sappiamo bene in questi tempi che ci troviamo a vivere) sono davvero guai! E dall’altra parte, un amore senza forza non riesce a fare molto…e però è anche vero che, un amore che possiede la forza ma è privo di una mente equilibrata rischia di essere avventato e alla fine infruttuoso. Insomma, “forza”, “amore” “saggezza”, sono davvero tutti e tre complementari fra di loro.

Ma prima di parlare a Timoteo di questi doni, Paolo gli ha ricordato che lo spirito di cui Dio gli ha fatto dono “non vuole che tu abbia paura”. Lo ha fatto giustamente, perché quello che più di ogni altra cosa può impedire di ravvivare i carismi ricevuti, è uno spirito di rifiuto o di rinuncia alla loro messa in pratica, dovuto alla paura di fronte a qualche pericolo. È l’ansia che ci blocca davanti ad una minaccia o anche solo ad un impegno che ci sembra sia al di sopra delle nostre piccole forze, che poi è quel medesimo timore che…nella celebre parabola di Gesù…ha impedito al terzo servo di mettere a frutto il talento ricevuto e glielo ha invece fatto seppellire, nell’illusione di metterlo e di mettersi al sicuro… (cfr. Matteo 25,25).

Qui…invece…Paolo ci invita alla preghiera per avere da Dio il dono della forza che ci viene dall’alto, la stessa che è discesa a Pentecoste sulla Chiesa neonata, trasformando dei pescatori impauriti…nei predicatori che seppero portare l’evangelo nel mondo. Se vogliamo…anche noi…che il nostro mondo lo conosciamo abbastanza bene, non possiamo procedere con timidezza, ma dobbiamo rinnovare questa fiamma, questo dono di Dio: “lo spirito di potenza che vive nell’amore ed è guidato da una mente che conosce se stessa e si sa controllare”.

Ecco allora perché Paolo ricorda a Timoteo che il dono di Dio per lui e per tutti i credenti è che…“lo Spirito Santo”, dono di Dio, non vuole che lui abbia paura, ma che sia saggio, forte e pieno d'amore”.

A questo punto, ci è possibile dire che quest’espressione con le sue quattro parti, la possiamo descrivere in un’unica parola: “coraggio”. Sì, Dio ci dona “uno spirito di coraggio”.

Ed è proprio al coraggio che Paolo chiama Timoteo; lo fa presentandogli se stesso prigioniero e la catena che lo lega: non avrai mai paura di parlare agli altri del Signore, né ti vergognerai di me che sono in prigione”. Timoteo deve parlare ai membri della sua comunità dell’arresto e della prigionia di Paolo “senza alcuna vergogna”.

Ma perché mai dovrebbe vergognarsi di Paolo incarcerato? Prendiamola un po’ alla lontana: scrivendo ai Galati lo stesso Paolo li aveva lodati per il fatto che, la prima volta che era arrivato in Galazia, s’era fermato per un certo tempo e vi aveva annunciato l’evangelo solo perché era stato colto da una grave malattia che gli aveva impedito di proseguire oltre; e però loro, i Galati, non lo avevano disprezzato a causa della sua infermità, dicendo: “Ma come? Quest’uomo afferma di essere un inviato del Dio altissimo e del Messia suo Figlio; dice anche di saper operare guarigioni, e s’è ammalato lui stesso? Che Dio da quattro soldi è allora il suo, che non riesce neanche a preservarlo da questa malattia di cui ora sta soffrendo?”, ma avevano saputo superare quella umanissima tentazione lo avevano accolto come un angelo di Dio (cfr. Galati 5, 13-14). Come un apostolo ammalato, così anche un apostolo in catene può rappresentare uno scandalo: anche qui qualcuno potrebbe osservare che è ben strano e ben debole un Dio che non riesce a sottrarre il suo rappresentante dalla prigione e dalla sofferenza…

In realtà il Dio che Paolo e Timoteo sono stati chiamati a servire e ad annunciare non rivela sé stesso in termini di potere e sconfitta dei nemici. È un Dio, sicuramente, anzi l’unico vero Dio Creatore e Signore del cielo e della terra, ma insieme è il “Dio che è amore” (cfr. 1 Giovanni 4, 8); il Dio che “ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3, 16). Per questo, proprio il “Figlio unigenito di Dio”, è stato lui per primo ad essere incatenato, e ha sofferto ed è morto su un patibolo. Vergognarsi delle catene di Paolo significherebbe allora in primo luogo vergognarsi di Gesù. Ed è questo che Paolo ricorda qui a Timoteo: se avete fatto caso…prima gli dice: “non avrai mai paura di parlare agli altri del Signore”, e solo dopo aggiunge: “né ti vergognerai di me che sono in prigione”, cioè: “Non vergognarti di me che, con le mie sofferenze, non faccio altro che seguire il Signore che ha sofferto per primo, perché vergognandoti di me, ti vergogneresti di lui”.  Il discepolato cristiano, è la via della croce, cioè la condivisione delle sofferenze di Gesù, che hanno redento e redimono il mondo. Ecco perché l’invito a “non aver vergogna” si trasforma subito dopo in un appello: “ma sarai pronto anche tu a soffrire con me per il Signore, perché egli te ne darà la forza”. Un appello alla sofferenza che non ha proprio nulla di masochistico, ma che è invece…la chiamata…valida in ogni tempo e per ogni cristiano…a testimoniare con le parole e con la vita la presenza del Signore che vive in noi e per noi, e ad assumerci la responsabilità di eventuali conseguenze anche spiacevoli, ricordando la parola del Signore che dice: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15, 20).

Per noi…oggi…almeno fino adesso, nei nostri paesi occidentali…non è più questione di persecuzioni, ma è ancora, invece…e forse più che mai, questione di “paura”: “non avrai mai paura di parlare agli altri del Signore”, così scrive Paolo a Timoteo. Quante volte, di fronte alla ricerca ossessiva del benessere che domina la nostra società, che ci vuole tutti uomini e donne di successo, tutti belli, ricchi, sani, giovani (o almeno giovanili), abbiamo paura di dire alto e forte che Dio odia il peccato…già dire questa parola così terribilmente fuori moda e così terribilmente moralistica, ci fa sentire strani…che noi siamo peccatori, che la storia umana continua a essere una storia di peccato, e che Dio in Cristo ha sofferto per noi per salvarci dal peccato, perché da soli noi non potremmo mai riuscirci…

Ed è proprio della salvezza come dono di Dio che Paolo parla, in una frase che è un bellissimo riassunto della sua predicazione: “È lui che ci ha salvati e ci ha scelti per portare avanti il suo santo lavoro; non per merito nostro, ma per sua decisione e generosità. Da sempre questo era il suo piano preparato per noi: donarci la salvezza per mezzo di Gesù Cristo”.

Qui c’è davvero tutto: il dono e la chiamata; “il dono” è che è Dio che “ci ha salvati non a motivo delle nostre opere (una volta ancora, Paolo è molto protestante), ma secondo il suo proposito e la grazia”. “Il compito” è che Dio, chiamandoci a credere in lui e nella sua salvezza, ci chiama ad una vita di santità: appartenere a lui e a nessun altro potere sulla terra o nei cieli o sottoterra.

Questo è... la piena realizzazione del progetto eterno di Dio, la sua salvezza per pura, immeritata grazia…e Paolo continua così: Ora tutto questo ci è stato rivelato con l'arrivo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, che ha infranto la potenza della morte e ci ha indicato la via della vita eterna, per mezzo della fede in lui”. ” Morendo sulla croce “il Figlio unigenito di Dio”, ha trionfato sulla morte, l’“ha distrutta” e ha distrutto il suo potere: ora la morte non è più un orrore, ma la porta attraverso cui si passa da questo mondo corrotto alla vita con Dio. Sì Gesù ha davvero dato alla luce, ha come generato per noi, nel travaglio della morte, “la vita e l’immortalità”, e adesso, finalmente il significato della vita, la vita terrena e quella eterna, come Dio le ha concepite da prima che il mondo cominciasse, tutto è stato compiuto e tutto è rivelato, ed è reso presente “mediante l’evangelo”.

Oggi…abbiamo ascoltato questa pagina che ci ha detto che…c’è qualcosa che in Gesù è stato reso manifesto una volta per tutte…è l’evangelo di cui Paolo è stato “costituito araldo, apostolo e dottore”. Non si tratta di titoli accademici, e neanche della scelta di una professione o di un mestiere…uno non sceglie di diventare “predicatore dell’evangelo di Gesù Cristo” ma invece…viene scelto. Un predicatore è come chi è stato risvegliato dal sonno, buttato giù dal letto e scaraventato in mezzo all’avventura: non a caso c’è in Paolo come una costante nota di sorpresa per essere stato scelto e chiamato ad essere quello che è, e ad assumersi i rischi che s’è dovuto assumere… Quei rischi che adesso hanno per lui il nome di “catena”, “tribunale”. “condanna a morte”, “boia ed esecuzione”. Ma…ancora una volta, non se ne vergogna, e nemmeno si rattrista: “Ecco perché sto soffrendo qui in prigione, ma non me ne vergogno, perché io so in chi ho riposto la mia fiducia e sono certo che egli ha la potenza di custodire tutto ciò che mi ha affidato fino al giorno del suo ritorno.” Paolo è pieno di fiducia verso Colui alla cui fedeltà ha dedicato sé stesso, la fatica, i dolori e le gioie di tutta quanta la sua vita intera. Ed è convinto che Dio gli ha elargito gli strumenti per portare avanti la sua missione e l’evangelo stesso che è il suo dono e il suo compito. E questo, fino all’ultimo giorno, quando la sua corsa arriverà al suo termine e troverà il sorriso e troverà l’abbraccio di quel Gesù…nelle cui mani ha a sua volta affidato tutto quello che lo riguarda: la sua persona, le sue speranze, i suoi sogni, le sue chiese, il suo popolo Israele, il mondo intero.

Questa lettera in fondo è un testamento. Nel testamento c‘è sempre un erede. Qui l’erede è Timoteo. Che ora…adeguatamente incoraggiato…è pronto a caricarsi  la predicazione dell’evangelo.

Certo, con tutta la sua buona volontà, Timoteo non è Paolo, e non lo sarà mai… Ma in fondo poco importa: in realtà i doni della grazia, l’evangelo, tutto quanto che Dio ha affidato a Paolo e Paolo affida a Timoteo, è sempre saldamente custodito da Dio stesso. Lui veglia su di esso, come veglia su Paolo e su Timoteo e su ciascuno di noi.

Perché anche noi sappiamo in chi abbiamo creduto! Non abbiamo paura, e non ci vergogniamo! Diamo la nostra testimonianza all’evangelo. Siamo qui solo per questo.

È la nostra “grazia”, la “misericordia” e la “pace” che vengono a noi e restano con noi da parte “di Dio Padre e di Gesù il Cristo nostro Signore”.

                                                                                     

AMEN

 

 

PREGHIERA DI INTERCESSIONE

Dio nostro, notizie cattive e storie di disperazione ci giungono incessantemente da ogni parte del mondo.

Vediamo immagini di persone uccise dalle guerre, dalla miseria.

Vediamo i visi dei bambini morti sulle spiagge a causa dell’esodo per una vita migliore, bambini sottoposti ad abusi e distrutti dall’avidità e dall’egoismo degli adulti.

Sentiamo il lamento degli anziani abbandonati a sé stessi.

Sentiamo e vediamo queste persone e riconosciamo noi stessi nei loro visi,

nel loro silenzio, nel loro gridare.

Tu sei colei che, come una madre, consola. Per questo ti chiediamo: aiutaci a circondare di affetto le persone sole; insegnaci a cercare i perduti, a sfamare gli affamati, ad aprire le porte ai rifugiati, a soccorrere i feriti nel corpo o nell’anima; insegnaci a incontrare le persone colpevoli come fratelli e sorelle e a dar loro la certezza di non aver perso la loro dignità.

Signore, quando noi non riusciamo a procedere, ad aiutare come dovremmo, porta tu a termine l’opera che hai iniziato con noi.

Consola per mezzo nostro, e consola anche noi: rendici forti nelle difficoltà, e  aiutaci a dare sfogo al nostro dolore quando il lutto rischia di soffocarci.

Rendici riconoscenti nei momenti di gioia, e conservaci il dono del sorriso liberante. Tutto questo te lo chiediamo nel nome di Gesù tramite la preghiera che ci ha insegnato: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.” Amen

 

INVIO  (2° Corinzi 4,  13 – 14)

Noi parliamo con franchezza di ciò che crediamo (fiduciosi che Dio agisce per noi), proprio come dice il Salmo: «Ho creduto, perciò ho parlato». Noi pure crediamo e perciò parliamo. Siamo convinti infatti che lo stesso Dio che resuscitò il Signore Gesù, resusciterà anche noi insieme con Gesù, e con voi ci farà comparire alla sua presenza”.

 

BENEDIZIONE   (Fernando Pessoa)

Dobbiamo fare:

dell’interruzione un nuovo cammino,

della caduta un passo di danza,

della paura una scala,

del sogno un ponte,

del bisogno un incontro”.

Amen

 

(Giampaolo Castelletti, domenica 27 settembre 2020.                                          Tutte le citazioni bibliche, salvo il testo biblico di 2° Timoteo 1, 7-12 e il testo biblico dell’Invio, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

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