Culti

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Nel Tempio di Omegna, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 9; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 9

Intra - C.so Mameli 19
Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11; Mercoledì 25 Dicembre, Natale, il Culto si terrà alle ore 11

28/09/2022

Culto di domenica 25 settembre, sedicesima dopo Pentecoste, tenuto a Intra con Omegna

 

GALATI 5, 25 – 6, 10

Galati 5, 25 - 26

25 Perciò, se ora viviamo per la potenza dello Spirito Santo, anche la nostra vita deve essere guidata dallo Spirito Santo! 26 Non cerchiamo onori e popolarità, che portano a gelosie e provocazioni.

Galati 6, 1 - 10

1 Fratelli, se scoprite che qualcuno di voi sta commettendo un errore, voi che siete guidati dallo Spirito dovete aiutarlo con dolcezza e umiltà a ritornare sulla strada giusta, tenendo presente che la prossima volta potrebbe capitare anche a voi. 2 Aiutatevi nelle difficoltà e nei problemi, ubbidirete così alla legge di Cristo. 3 Se qualcuno crede di essere troppo importante per sottomettersi a questo insegnamento, s'inganna, anzi non vale proprio niente.
4 Ciascuno si assicuri piuttosto di fare del suo meglio, perché allora avrà la soddisfazione personale di un lavoro ben fatto e non avrà bisogno di paragonarsi a nessun altro. 5 Ognuno di noi deve sopportare i propri errori, i propri pesi, perché nessuno di noi è perfetto! 6 Quelli che imparano la Parola di Dio devono retribuire i propri insegnanti. 7 Non fatevi illusioni, non ci si può beffare di Dio: quello che si semina si raccoglie. 8 Chi vive per soddisfare i propri desideri corrotti, seminerà del male e senza dubbio mieterà la corruzione e la morte spirituale. Chi, invece, semina le buone cose dello Spirito, mieterà dallo Spirito Santo la vita eterna9 Non stanchiamoci allora di fare il bene, perché, a suo tempo, se non ci scoraggiamo e rinunciamo, avremo un raccolto di benedizioni. 10 Questa è la ragione per cui, man mano che si presenta l'occasione, dobbiamo fare sempre del bene a tutti e, in primo luogo, ai nostri fratelli nella fede.

 

 

 

 

Care amiche…care sorelle…cari amici…cari fratelli…oggi abbiamo letto una gran parte della lettera scritta ai Galati  dall’Apostolo Paolo al Cap. 5 e poi i primi 10 vv del Cap. 6, il motivo di questa lettura è dovuta al fatto che nella Parola del Signore (Bibbia), non vi è un altro brano simile che ci mostri…un contrasto molto netto tra lo stile di vita di un credente ancora sotto gli impulsi della natura umana e quindi “schiavo del peccato” (cfr. Gv 8:14) e un credente traboccante di Spirito Santo…il quale serve solo Dio (Rm 1:9). In questi versetti appena letti…Paolo rileva attentamente le 2 differenze presenti nella natura umana e afferma che lo Spirito di Dio e la natura umana peccaminosa…sono opposti e in netto contrasto tra di loro…tanto che per evidenziare la cosa…aggiunge una lista specifica di azioni che sono prodotte dalla natura umana ribelle e peccaminosa opponendola ad un’altra natura umana che invece fa risaltare il “Frutto dello Spirito” ed i suoi effetti.

Questo contrasto è evidente per il fatto che le azioni prodotte dal Frutto dello Spirito, fanno risaltare una condotta che pone Dio al centro della vita del credente ed è governata da un atteggiamento spirituale dove vi è uno spiccato carattere mite, simile a quello di Cristo…questo carattere mite…si sviluppa nei credenti nella misura in cui essi concedono allo Spirito Santo la libertà di cambiare la loro vita.

Per mezzo della Potenza di questo soffio vitale, i credenti sono in grado di combattere e vincere il potere del peccato, godendo i benefici di un’intima e personale comunione con Dio.                          

In contrapposizione alle opere peccaminose della carne, il Frutto dello Spirito comprende vari atteggiamenti da adottare verso quei fratelli incappati in azioni peccaminose, tanto che Paolo nella parte finale del v.1 scrive queste parole: “voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine” nel senso che:  “voi che siete guidati dallo Spirito dovete aiutarlo con dolcezza e umiltà a ritornare sulla strada giusta”, così che…quel credente…quei credenti che hanno commesso peccati gravi o violazioni morali allontanandosi dalle vie consigliate dal Cristo, vengano guidati a ristabilirsi spiritualmente per rinnovare al Cristo la loro devozione.

Questo cammino, non è privo di difficoltà, può anche essere necessario usare della disciplina, la quale deve essere esercitata con fermezza ma “con dolcezza e umiltà”, ricordandosi però che nessuno è immune da cadute, tra cui anche coloro che sono traboccanti di Spirito Santo.   

In questo cammino, bisogna che “portiamo i pesi gli uni degli altri” cioè “Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi, questo significa che dobbiamo caricarci le preoccupazioni, i problemi e le responsabilità gravose dei fratelli, dobbiamo assistere il fratello o i fratelli nella malattia, nel dolore o nelle difficoltà finanziarie, ma anche pregare intensamente e con costanza affinchè possano avere un aiuto tangibile e pratico, quindi…con queste parole, l'apostolo Paolo ci dice che nessuno deve essere lasciato solo, questo è anche il senso della Chiesa, della comunità dei credenti, una chiesa che si fa accogliente e solidale, piuttosto che giudice e carnefice…

La Chiesa esiste perché ha una missione da compiere…che è quella di essere un luogo di condivisione di ogni persona con le proprie caratteristiche e diversità, il luogo in cui può avvenire la riconciliazione nonostante le molteplici culture di pensiero e di spiritualità, cosicché quando la chiesa esclude i diversi o le persone, tradisce la sua vocazione, perché ha smesso di amare e di aiutare le persone nelle difficoltà e nei problemi. L’amore, invece, riconosce sempre l’altra come una sorella l’altro come un fratello con cui condividere la propria storia, la vita, le sofferenze, le gioie….e condividere i pesi degli altri è una qualità particolarmente gradita al Signore. (Sl 55:22 / 1° P 5:7) soprattutto…Paolo ci fa capire che: “finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede”. Questo versetto del testo…vuole indicare un programma di vita cristiana che è allo stesso tempo semplice ed esigente, così come tutta la Parola del Signore è sempre semplice ed esigente. È semplice perché è comprensibile ed è alla nostra portata. È esigente perché non ammette trattative o esitazioni. Questa parola ci parla con una stupefacente concretezza, tanto da dirci che “man mano che si presenta l'occasione, dobbiamo fare sempre del bene a tutti e, in primo luogo, ai nostri fratelli nella fede.”, nel senso che…il tempo dev’essere colto…compreso e vissuto…e non sprecato, e oggi…questo è il cammino di ogni persona spirituale.

Al tempo dell’Apostolo Paolo vi erano degli oppositori della sua predicazione i quali dicevano:

Questa è solamente teoria! Non basta!...Perchè devi diventare…devi fare…”, ma ancora oggi…vi sono persone che continuano a dirlo…tanto che…anni fa…è uscito un libro (Libro nero delle chiese) dove sono elencati tutti i peccati commessi da tutte le Chiese, dalla loro nascita fino ai giorni nostri. È un libro dove si parla delle morti che le chiese hanno tante volte provocato, in effetti pochi giorni fa abbiamo ricordato il martirio di Fra Dolcino avvenuto nel 1307.

Ora…il Vangelo risponde a questa sfida in due parole.

La prima: il libro nero esiste, è Storia, ma è Storia anche l’opera di Gesù Cristo, il cui libro della vita ha coperto il libro della morte con la sua misericordia.

 

Secondo: “dobbiamo sempre fare del bene a tutti, principalmente ai fratelli nella fede”

 

Ebbene…fare del bene a tutti, principalmente ai fratelli nella fede…ma non è anche questa teoria!?

No….perchè con questa frase, si intende principalmente fare del bene ai fratelli nella fede e a coloro che, come descritto nel v.6 insegnano la Parola di Dio; quindi…Paolo ci dice che è anche nostro dovere…sostenere con supporto finanziario e materiale quanti servono il Signore con dedizione¹, come i Pastori, i missionari e quanti sono impegnati nel servizio cristiano². Rifiutare loro l’aiuto, avendone i mezzi…significa “seminare” egoismo e “raccogliere” la morte spirituale (vv. 7-9). Provvedere invece…il necessario a chi serve nel ministero della Parola, rientra nei doveri di fare il bene “ai fratelli nella fede” (v.10).    

Se li sosteniamo fedelmente…ovviamente secondo le nostre possibilità e per amore di Cristo…mieteremo a suo tempo (v.9) tra cui la vita eterna (v.8).

Ma…nel “facciamo del bene a tutti”…è anche sottointesa la Chiesa come casa…come famiglia che condivide il pane della parola di Dio, la chiesa come casa aperta che invita, che si fa trovare. Alla chiesa come luogo di riflessione, di fraternità, di libertà, Chiesa aperta a tutti e aperta per tutti. Nel dono di noi stessi…della nostra testimonianza…del nostro aiuto…della nostra fatica…del nostro denaro…del nostro tempo…del nostro affetto e del nostro ascolto.

25 Perciò, se ora viviamo per la potenza dello Spirito Santo, anche la nostra vita deve essere guidata dallo Spirito Santo facendo del bene a tutti

Nulla da togliere e nulla da aggiungere...

 

Lasciamo quindi che lo Spirito ci faccia camminare nella strada del bene di Dio. Sarà faticoso, ma Dio ci promette un raccolto che ci stupirà:

Vivremo…comprenderemo…proveremo…condivideremo…crederemo… faremo…vedremo e riceveremo insieme cose meravigliose…stupefacenti, che non ci possiamo nemmeno aspettare.

Oggi abbiamo compreso, almeno me lo auguro…che  “Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi, significa riconoscere sempre una donna, un uomo, come una sorella e un fratello e che non deve essere mai lasciato solo, anzi dobbiamo condividere la sua propria storia, la vita, le sofferenze, le gioie. 

Aiutarsi nelle difficoltà e nei problemi significa anche Aiutare nelle difficoltà e nei problemi il mondo, cioè…chi muore a motivo della fame o di chi attraversa i mari per fuggire dalla guerra…da violenze sociali…politiche…o dalla povertà estrema…può significare partecipare alla lotta per la fame nel mondo…partecipare affinché siano riconosciuti i diritti delle persone costrette a lasciare tutti i loro affetti perché vittime di egoismo…odio e guerre. Se non ci saremo su questa scena, continueremo a ritenere difficile applicare la Parola di Dio, ma se ci saremo, avremo cominciato ad Aiutare nelle difficoltà e nei problemi gli altri alla gloria di Dio e per il bene di tutti.

 

AMEN!

 ¹ 1° Co 9:14 / 1° Ti 5:18  -  ² 1° Co 9:14 / 3° Gv 6-8  -  Parole 1303

Giampaolo Castelletti

 

 


14/09/2022

Culto Evangelico di domenica 11 settembre 2022 tenuto a Intra (con Omegna) e Luino

 

Luca 10, 25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

 

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Domande, care sorelle e cari fratelli, che il dottore della legge pone a Gesù, ma che in fondo sono le domande che ci facciamo tutti, domande che si fanno e si sono fatti tutti i credenti – ebrei o cristiani, le stesse domande – da sempre.

Che cosa vuole Dio da me, che cosa devo fare per vivere una vita giusta e piena di senso? Così potremmo parafrasare l’espressione “per ereditare la vita eterna”. La vita eterna è l’esito di una vita terrena vissuta nell’ascolto e nell’obbedienza alla volontà di Dio.

Gesù risponde alla prima domanda del dottore della legge con un’altra domanda che lo rimanda alla Scrittura: che cosa leggi nella legge? - gli chiede - ovvero nella Torah, nell’insegnamento che Dio aveva dato al popolo attraverso Mosè.

E lui risponde con precisione citando i due comandamenti dell’amore per Dio e dell’amore per il prossimo – che si trovano rispettivamente nel libro del Deuteronomio e nel libro del Levitico, due versetti che già i rabbini del suo tempo mettevano insieme per riassumere tutta la Torah.

Gesù dunque fa rispondere il dottore della legge stesso alla domanda che aveva posta, e lui dà una risposta perfettamente in linea con le Scritture di Israele.  «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai» reagisce Gesù.

È molto significativo il fatto che la risposta di Gesù – o la risposta del dottore della legge con cui Gesù concorda – sia una risposta profondamente ebraica, radicata nelle scritture ebraiche. È importante sottolinearlo, dopo che per secoli e secoli la fede ebraica è stata ritenuta dai cristiani inferiore o addirittura superata.

Quando ci si chiede che cosa dobbiamo fare per ereditare la vita eterna, cioè per vivere in obbedienza alla volontà di Dio una vita piena e giusta, la risposta del dottore della legge e di Gesù è la stessa. La risposta ebraica e quella cristiana sono la stessa risposta. Anzi: la risposta cristiana è ebraica!

Ed è una risposta fatta da due risposte. Ama Dio e ama il prossimo. La risposta in realtà sono due risposte e non possono che essere due, perché una risposta per un credente non basta. Se ami il prossimo e non ami Dio non sei un credente; ma anche se ami Dio e non ami il prossimo non sei un credente.

Sarebbe più facile avere una risposta soltanto: o solo Dio o solo il prossimo. E invece no, nella fede entri in una relazione triangolare, non in una relazione a due, ma in una relazione a tre: tu, Dio e il prossimo. E non puoi eliminarne uno senza eliminare anche l’altro.

Ecco dunque la risposta alla prima domanda “che cosa devo fare?”: ama Dio e ama il prossimo. È la risposta che il dottore della legge sapeva già, e infatti è lui stesso a rispondersi.

Gesù qui non porta una nuova dottrina, una nuova idea per ereditare la vita eterna, cioè per vivere una vita piena e giusta sotto lo sguardo di Dio. la risposta è sempre quella: ama Dio e ama il prossimo.

Anche noi la sappiamo già, la risposta, ma abbiamo bisogno ogni tanto di rifarci la domanda e di ricevere nuovamente la risposta: ama Dio e ama il prossimo, tutti e due, non solo uno.

Tienili insieme Dio e il prossimo, ama Dio, che ti perdona e ti salva e ama il prossimo, colui incontro al quale Dio ti invia nel mentre che ti perdona e ti salva.

Già, ma chi è il mio prossimo? C’è bisogno di concretizzare il comandamento, non basta rispondere un generico “tutti”. Risposta teologicamente perfetta, ma troppo teorica.

E qui Gesù risponde con una storia, una parabola. Gesù non dà definizioni – come forse il dottore della legge si aspetterebbe – ma racconta una storia. Una storia che parla di strada, di cammino e di un incontro, o meglio di due incontri mancati e di un incontro realizzato.

La risposta non la si trova a tavolino, la si trova per la strada. E per la strada passa chi passa, e non è per forza chi vorremmo o chi ci aspetteremmo noi.

Quella del samaritano è una parabola che spiazza, spiazza sopratutto il dottore della legge; possiamo provare a immaginarci la sua faccia, quando inizia a sentire le parole di Gesù e sente che il sacerdote e il levita non si fermano davanti all’uomo ferito e passano oltre.

E quando sente che invece un samaritano, cioè un membro di una popolazione rivale di Israele e pure giudicata eretica, lui sì, si ferma e presta al ferito le cure di cui aveva bisogno, avrà iniziato a sudare freddo!

La parabola di Gesù non vuole insegnare soltanto chi è il prossimo, ma anche che cos’è l’amore. Il samaritano vede l’uomo ferito e si ferma; l’amore inizia col vedere, ovvero col guardare in un certo modo. il testo dice che “ebbe pietà” di quell’uomo.

“Pietà” in italiano suona male, altri traducono “ebbe compassione”, comunque è un verbo che significa letteralmente “essere toccati fino alle viscere” e che in Luca ha spesso Dio e Gesù come soggetti. Lo sguardo del samaritano è dunque uno sguardo come quello di Dio!

Da questo sguardo nascono fatti concreti. Il samaritano “si prende cura” della vittima dell’aggressione in modo molto concreto, che gli costa anche qualcosa:

mette non solo il suo tempo, ma anche il suo olio, il suo vino, lo carica sulla sua cavalcatura, e poi ci mette anche il suo denaro per pagare la locanda. Amare costa! Costa tempo, fatica e denaro.

L’amore nasce da quello sguardo che vede un essere umano ferito e nulla più. L’amore non si chiede chi sia quell’uomo ferito, quale sia la sua storia e quali siano le sue idee: è un essere umano e basta. L’amore  è gratuito e non chiede nulla in contraccambio.

Quell’uomo ferito era samaritano come lui o ebreo? O forse pagano? Era protestante o cattolico? Cristiano o musulmano, o buddista, o ateo? Bianco o nero? Era ricco o povero? Di destra o di sinistra?

Era un essere umano, una persona, e questo è bastato al samaritano per averne pietà, com-passione, gli è bastato per partecipare al suo dolore e fare qualcosa.

 

Gesù non definisce l’amore, lo racconta. E non definisce nemmeno il prossimo, lo racconta.

Ma alla fine della parabola, Gesù spiazza ulteriormente il dottore della legge e noi con lui: non gli fa la morale della favola, dicendogli: “ecco hai visto, il tuo prossimo è quell’uomo ferito, è qualunque uomo ferito che incontri per caso, ecc. ecc. Che già sarebbe stata una bella lezione!

Gesù fa di nuovo una domanda al dottore della legge, rovesciando i termini della questione. Non chiede chi è il prossimo del samaritano, come forse ci aspetteremmo.

Chiede «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Chiede chi è stato il prossimo dell’uomo ferito.

Non chiede chi è il prossimo da aiutare, ma chi è il prossimo che ha aiutato. Rovescia la domanda del dottore della legge. Lui aveva chiesto: chi è il mio prossimo? Gesù chiede: di chi sei tu prossimo? Di chi tu puoi diventare prossimo, farti prossimo?

Insomma: prossimo non lo si è, lo si diventa. Lo si diventa per la strada, nell’incontro, quando il nostro sguardo e i nostri piedi non passano oltre chi si incontra, ma si fermano e incontrano veramente l’altra persona. Il sacerdote e il levita hanno scelto di non diventare prossimi dell’uomo ferito, il samaritano invece sì, e si è fermato.

La parola prossimo come sappiamo vuol dire “vicino”, è quindi un termine relazionale; è la relazione che fa diventare vicini e dunque prossimi l’uno dell’altro.

La “prossimità” si vive in una relazione; a volte si sarà nel ruolo dell’uomo ferito, a volte in quello del samaritano, la relazione non è mai a senso unico.

La parabola ci insegna dunque che il prossimo non lo si sceglie, ma lo si incontra, e quindi non corrisponde ai nostri criteri o ai nostri gusti, ma è colui/colei che Dio stesso sceglie per noi.

Il dottore della legge risponde alla domanda conclusiva di Gesù mostrando di aver seguito Gesù nel suo discorso e forse possiamo pensare che nel dialogo con Gesù egli abbia davvero cambiato prospettiva.

La sua risposta letteralmente suona così: “colui che fece misericordia con lui”: c’è dunque il verbo fare, c’è la misericordia e c’è la relazione = con lui.

Ecco gli ingredienti dell’amore del prossimo: la concretezza, perché l’amore nella Bibbia non è mai solo sentimento, ma è sempre fatti, azione.

La misericordia, cioè lo sguardo che nasce dalle viscere, guardare come Dio guarda e dunque vedere non un samaritano, un ebreo, un protestante, un cattolico, un bianco, un nero, un uomo, una donna, ecc. ma un essere umano.

E la relazione, senza la quale non c’è amore e non c’è prossimo, non si diventa prossimi.

L’ultima parola di Gesù è un invito (rivolto anche a noi) a “fare la stessa cosa”, cioè non più a cercare di definire chi sia il prossimo e chi no, ma ad andare a farsi prossimo di chi Dio ci manda incontro. E non è solo un invito, ma anche un invio: “va’ e fa la stessa cosa”.

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Alla fine la risposta arriva: Vai!

Questo devi fare: devi andare e farti prossimo di chi incontri. Chi sia non importa, non lo scegli tu, perché è Dio che lo sceglie per te.

Tu vai, fermati e guardalo con misericordia. E il Signore ti darà – molto più spesso di quanto pensi – di essere tu guardato con misericordia dal tuo prossimo.

Marco Gisola

Festa di Frà Dolcino, Culto Evangelico alla Bocchetta di Margosio (Bi), 11 settembre 2022

 

Luca 10,25-37

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?». Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai». Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?». Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».

 

Care, Cari,

"Fare il buon samaritano" : si dice a volte, a chi cerca di aiutare sempre. Si dice con una critica velata, pensando che le persone devono prendersi la propria responsabilità e cavarsela da sole, e che in molti casi non va bene stare subito lì ad aiutare. La critica sottintesa si riferisce anche al giudizio su chi aiuta: non lo fai disinteressatamente, ma perché vuoi avere dei meriti, davanti agli altri (speri di essere ringraziato e riconosciuto) e davanti a Dio (ti vuoi meritare il paradiso?).

Infatti, predicare su questo racconto di Luca rischia di diventare un esercizio moralista: mentre i due primi uomini vedono il ferito e lo abbandonano, il samaritano lo vede e lo aiuta, perché è buono. Il buon Samaritano, appunto.

Io vorrei invece che oggi noi potessimo leggere questa storia non in modo moralista, ma in modo evangelico. Il centro infatti non è la bontà del Samaritano, ma il cambiamento di prospettiva che Gesù ci porta : una prospettiva diversa che trasforma il nostro punto di vista sulla vita, sulla fede e sul mondo.

 

1.   La situazione del dialogo di Gesù con un maestro di religione

La parabola si trova in mezzo ad un dialogo tra Gesù ed un esperto della legge religiosa ebraica e dell'interpretazione della Bibbia. Tutto inizia perché questo maestro, riconoscendo in Gesù qualcuno con cui avere un confronto, lo vuole mettere alla prova con una domanda molto pratica:  «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Immaginiamo un dialogo tra due maestri della fede ebraica. Le discussioni tra maestri e tra studenti erano e sono ancora il metodo per studiare e approfondire argomenti religiosi.

Non necessariamente questa è una domanda fatta con malizia o per provocazione.

Si apre dunque un dibattito, e Gesù risponde nel modo classico con un'altra domanda: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Cosa dice la Bibbia ? Il dottore della legge risponde. Rimandato alla Bibbia, deve rispondere alla sua stessa domanda, e risponde con la sintesi dell'insegnamento della fede ebraica: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso» L'amore totale e incondizionato per Dio è la confessione di fede di Israele, lo Shemà Israel (Dt. 6:5) che ogni Israelita recita due volte al giorno. L'amore del prossimo come se stessi è la sintesi che riassume tutti i comandamenti.

Questo è il doppio comandamento dell'amore, che il giudaesimo del tempo di Gesù conosceva benissimo. Il maestro ha risposto bene, Gesù lo riconosce e gli dice "Fa questo e vivrai"

Semplice, troppo semplice. Il sapiente di fronte ad una soluzione così semplice deve giustificarsi, trovare difficoltà. Non condanniamo troppo presto quest'uomo, perché anche noi facciamo così. L'Evangelo è semplice, anche i bambini lo capiscono. Quando diventiamo adulti però cambiamo. La semplicità della verità diventa lo specchio della nostra durezza, delle nostre barriere.

Il racconto continua: per giustificarsi l'uomo chiede «E chi è il mio prossimo?»

Forse è proprio qui che lui voleva portare il dibattito: sul terreno di una bella discussione sulle distinzioni da fare, sulle categorie di persone... per scoprire magari delle mancanze nell'insegnamento di Gesù, degli errori del pensiero di questo maestro itinerante.

Invece Gesù non si presta. Non sviluppa una dottrina sul significato e sulla misura dell'amore del prossimo, né offre una definizione di "prossimo".

Invece Gesù parte da un caso concreto, come fa sempre per metterci nella situazione e farci vedere le cose dalla prospettiva del Regno di Dio.

2.   La parabola

Il protagonista della parabola è un Samaritano, che per i Giudei era peggio di uno straniero. Era considerato eretico ed appartenente ad un popolo che aveva tradito, fina dai tempi della Bibbia, alleandosi con gli antichi nemici e – nel presente – con i Romani. Tra Giudei e Samaritani non c'erano relazioni. La strada su cui tutto succede, scenda dalla collina di Gerusalemme verso la valle del Giordano. Strada pericolosa perché il passaggio dei pellegrini era un'occasione di

rapina per le bande di ladri. Un uomo scendeva per questa strada, possiamo pensare che fosse un giudeo che era stato al tempio di Gerusalemme, e dei banditi lo assaltano e feriscono gravemente. Resta a terra. Dalla stessa strada, probabilmente anch'essi di ritorno dal servizio prestato nel tempio, scendono un sacerdote ed un levita. Prima uno e poi l'altro, vedono l'uomo ferito, ma non lo soccorrono. Passano dall'altro lato della strada e se ne vanno. Non è detto perché. Basta constatare la distanza che c'è tra rappresentanti della religione e le necessità dell'umanità ferita. Proprio coloro che incarnano la volontà di Dio, non sanno viverla nelle occasioni che si offrono nella realtà quotidiana.

In contrapposizione a loro, un Samaritano passa di là, vede l'uomo ferito e si ferma perché ne ha compassione.

Ora c'è un problema per noi, che vorremmo identificaci nel Samaritano e condannare il comportamento freddo dei due professionisti della religione. Dovremmo invece lasciare che questa parola ci metta in crisi. Tutto questo infatti non succede nel tempio, o in una chiesa, ma succede per la strada. Sulla strada – dove passano tutti e dove puoi incontrare chiunque – è lì che si gioca la fedeltà alla volontà di Dio.

 

3.   Il cambio di prospettiva

Ecco siamo arrivati al centro del racconto. Gesù chiede ora allo scriba: «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?» Gesù non chiede chi dei tre è stato buono con il suo prossimo, come invece noi facciamo intendere con il titolo del paragrafo che è "il buon samaritano". Gesù chiede chi è stato il prossimo dell'uomo ferito.

Per la religione dei meriti si arriva prima o poi al punto di chiederci chi sia il mio prossimo: chi e fino a quanto devo aiutare. Tutto ruota sulla misura delle opere: quanto basta che io faccia?

Ma l'amore inteso come vita non si può chiudere in categorie. Gesù ci libera dalle nostre categorie e ci mette al centro dell'azione : TU. Sei tu il prossimo di chi incontri?  Siamo noi il prossimo ?

La parabola, separata da Gesù, diviene un brano moralista. Gesù invece rifiuta distinzioni e categorie fra gli esseri umani, perché tutte e tutti siamo creature di Dio. La volontà di Dio si mette in pratica nelle relazioni tra le sue creature.

Così ha sempre fatto Gesù, senza riserve verso tutte le persone, di qualunque origine e religione, che incontrava sulla sua strada. Gesù è l'unico buon Samaritano di Dio, che ci libera dalle corde con cui noi imprigioniamo noi stessi. Gesù ci dà la libertà di vivere con le persone che ci fa incontrare nella vita quanto seriamente crediamo che l'amore di Dio si esprime nell'amore del prossimo.

 

4.   Fra' Dolcino

Ora noi siamo qui per ricordare Dolcino, Margherita e tutti i martiri (donne e uomini) perseguitati dalla chiesa a causa della loro esigenza di vivere l'Evangelo in libertà.

La chiesa cristiana – e non gli ebrei, sacerdoti o leviti – ha perseguitato e sterminato il prossimo. La chiesa cristiana non era cristiana ! Lo è oggi ?  Questa è la domanda che per noi deve restare sempre aperta.

I dolciniani, come i samaritani, sono stati odiati e considerati eretici, sono stati massacrati in nome di Dio. Ma creare un rapporto con l'altro, diventare il suo prossimo, lo può fare anche un Samaritano, straniero ed eretico.

A conclusione, riflettiamo anche su questo: l'istituzione della chiesa (o la chiesa come istituzione), così come le cariche pubbliche o religiose, non sono condizioni che facilitano il rapporto personale del farsi prossimo, vicino all'altro, all'altra.

Non deleghiamo allora alle istituzioni, e nemmeno alla chiesa, la nostra fedeltà al Signore, e con la semplicità di bambini andiamo anche noi e fidandoci di Gesù ascoltiamo il suo insegnamento : Va e fai anche tu la stessa cosa.

Amen

Francesca Cozzi