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Nel Tempio di Intra, il Culto si tiene tutte le domeniche alle ore 11

14/09/2022

Culto Evangelico di domenica 11 settembre 2022 tenuto a Intra (con Omegna) e Luino

 

Luca 10, 25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». 29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno". 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

 

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Domande, care sorelle e cari fratelli, che il dottore della legge pone a Gesù, ma che in fondo sono le domande che ci facciamo tutti, domande che si fanno e si sono fatti tutti i credenti – ebrei o cristiani, le stesse domande – da sempre.

Che cosa vuole Dio da me, che cosa devo fare per vivere una vita giusta e piena di senso? Così potremmo parafrasare l’espressione “per ereditare la vita eterna”. La vita eterna è l’esito di una vita terrena vissuta nell’ascolto e nell’obbedienza alla volontà di Dio.

Gesù risponde alla prima domanda del dottore della legge con un’altra domanda che lo rimanda alla Scrittura: che cosa leggi nella legge? - gli chiede - ovvero nella Torah, nell’insegnamento che Dio aveva dato al popolo attraverso Mosè.

E lui risponde con precisione citando i due comandamenti dell’amore per Dio e dell’amore per il prossimo – che si trovano rispettivamente nel libro del Deuteronomio e nel libro del Levitico, due versetti che già i rabbini del suo tempo mettevano insieme per riassumere tutta la Torah.

Gesù dunque fa rispondere il dottore della legge stesso alla domanda che aveva posta, e lui dà una risposta perfettamente in linea con le Scritture di Israele.  «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai» reagisce Gesù.

È molto significativo il fatto che la risposta di Gesù – o la risposta del dottore della legge con cui Gesù concorda – sia una risposta profondamente ebraica, radicata nelle scritture ebraiche. È importante sottolinearlo, dopo che per secoli e secoli la fede ebraica è stata ritenuta dai cristiani inferiore o addirittura superata.

Quando ci si chiede che cosa dobbiamo fare per ereditare la vita eterna, cioè per vivere in obbedienza alla volontà di Dio una vita piena e giusta, la risposta del dottore della legge e di Gesù è la stessa. La risposta ebraica e quella cristiana sono la stessa risposta. Anzi: la risposta cristiana è ebraica!

Ed è una risposta fatta da due risposte. Ama Dio e ama il prossimo. La risposta in realtà sono due risposte e non possono che essere due, perché una risposta per un credente non basta. Se ami il prossimo e non ami Dio non sei un credente; ma anche se ami Dio e non ami il prossimo non sei un credente.

Sarebbe più facile avere una risposta soltanto: o solo Dio o solo il prossimo. E invece no, nella fede entri in una relazione triangolare, non in una relazione a due, ma in una relazione a tre: tu, Dio e il prossimo. E non puoi eliminarne uno senza eliminare anche l’altro.

Ecco dunque la risposta alla prima domanda “che cosa devo fare?”: ama Dio e ama il prossimo. È la risposta che il dottore della legge sapeva già, e infatti è lui stesso a rispondersi.

Gesù qui non porta una nuova dottrina, una nuova idea per ereditare la vita eterna, cioè per vivere una vita piena e giusta sotto lo sguardo di Dio. la risposta è sempre quella: ama Dio e ama il prossimo.

Anche noi la sappiamo già, la risposta, ma abbiamo bisogno ogni tanto di rifarci la domanda e di ricevere nuovamente la risposta: ama Dio e ama il prossimo, tutti e due, non solo uno.

Tienili insieme Dio e il prossimo, ama Dio, che ti perdona e ti salva e ama il prossimo, colui incontro al quale Dio ti invia nel mentre che ti perdona e ti salva.

Già, ma chi è il mio prossimo? C’è bisogno di concretizzare il comandamento, non basta rispondere un generico “tutti”. Risposta teologicamente perfetta, ma troppo teorica.

E qui Gesù risponde con una storia, una parabola. Gesù non dà definizioni – come forse il dottore della legge si aspetterebbe – ma racconta una storia. Una storia che parla di strada, di cammino e di un incontro, o meglio di due incontri mancati e di un incontro realizzato.

La risposta non la si trova a tavolino, la si trova per la strada. E per la strada passa chi passa, e non è per forza chi vorremmo o chi ci aspetteremmo noi.

Quella del samaritano è una parabola che spiazza, spiazza sopratutto il dottore della legge; possiamo provare a immaginarci la sua faccia, quando inizia a sentire le parole di Gesù e sente che il sacerdote e il levita non si fermano davanti all’uomo ferito e passano oltre.

E quando sente che invece un samaritano, cioè un membro di una popolazione rivale di Israele e pure giudicata eretica, lui sì, si ferma e presta al ferito le cure di cui aveva bisogno, avrà iniziato a sudare freddo!

La parabola di Gesù non vuole insegnare soltanto chi è il prossimo, ma anche che cos’è l’amore. Il samaritano vede l’uomo ferito e si ferma; l’amore inizia col vedere, ovvero col guardare in un certo modo. il testo dice che “ebbe pietà” di quell’uomo.

“Pietà” in italiano suona male, altri traducono “ebbe compassione”, comunque è un verbo che significa letteralmente “essere toccati fino alle viscere” e che in Luca ha spesso Dio e Gesù come soggetti. Lo sguardo del samaritano è dunque uno sguardo come quello di Dio!

Da questo sguardo nascono fatti concreti. Il samaritano “si prende cura” della vittima dell’aggressione in modo molto concreto, che gli costa anche qualcosa:

mette non solo il suo tempo, ma anche il suo olio, il suo vino, lo carica sulla sua cavalcatura, e poi ci mette anche il suo denaro per pagare la locanda. Amare costa! Costa tempo, fatica e denaro.

L’amore nasce da quello sguardo che vede un essere umano ferito e nulla più. L’amore non si chiede chi sia quell’uomo ferito, quale sia la sua storia e quali siano le sue idee: è un essere umano e basta. L’amore  è gratuito e non chiede nulla in contraccambio.

Quell’uomo ferito era samaritano come lui o ebreo? O forse pagano? Era protestante o cattolico? Cristiano o musulmano, o buddista, o ateo? Bianco o nero? Era ricco o povero? Di destra o di sinistra?

Era un essere umano, una persona, e questo è bastato al samaritano per averne pietà, com-passione, gli è bastato per partecipare al suo dolore e fare qualcosa.

 

Gesù non definisce l’amore, lo racconta. E non definisce nemmeno il prossimo, lo racconta.

Ma alla fine della parabola, Gesù spiazza ulteriormente il dottore della legge e noi con lui: non gli fa la morale della favola, dicendogli: “ecco hai visto, il tuo prossimo è quell’uomo ferito, è qualunque uomo ferito che incontri per caso, ecc. ecc. Che già sarebbe stata una bella lezione!

Gesù fa di nuovo una domanda al dottore della legge, rovesciando i termini della questione. Non chiede chi è il prossimo del samaritano, come forse ci aspetteremmo.

Chiede «Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Chiede chi è stato il prossimo dell’uomo ferito.

Non chiede chi è il prossimo da aiutare, ma chi è il prossimo che ha aiutato. Rovescia la domanda del dottore della legge. Lui aveva chiesto: chi è il mio prossimo? Gesù chiede: di chi sei tu prossimo? Di chi tu puoi diventare prossimo, farti prossimo?

Insomma: prossimo non lo si è, lo si diventa. Lo si diventa per la strada, nell’incontro, quando il nostro sguardo e i nostri piedi non passano oltre chi si incontra, ma si fermano e incontrano veramente l’altra persona. Il sacerdote e il levita hanno scelto di non diventare prossimi dell’uomo ferito, il samaritano invece sì, e si è fermato.

La parola prossimo come sappiamo vuol dire “vicino”, è quindi un termine relazionale; è la relazione che fa diventare vicini e dunque prossimi l’uno dell’altro.

La “prossimità” si vive in una relazione; a volte si sarà nel ruolo dell’uomo ferito, a volte in quello del samaritano, la relazione non è mai a senso unico.

La parabola ci insegna dunque che il prossimo non lo si sceglie, ma lo si incontra, e quindi non corrisponde ai nostri criteri o ai nostri gusti, ma è colui/colei che Dio stesso sceglie per noi.

Il dottore della legge risponde alla domanda conclusiva di Gesù mostrando di aver seguito Gesù nel suo discorso e forse possiamo pensare che nel dialogo con Gesù egli abbia davvero cambiato prospettiva.

La sua risposta letteralmente suona così: “colui che fece misericordia con lui”: c’è dunque il verbo fare, c’è la misericordia e c’è la relazione = con lui.

Ecco gli ingredienti dell’amore del prossimo: la concretezza, perché l’amore nella Bibbia non è mai solo sentimento, ma è sempre fatti, azione.

La misericordia, cioè lo sguardo che nasce dalle viscere, guardare come Dio guarda e dunque vedere non un samaritano, un ebreo, un protestante, un cattolico, un bianco, un nero, un uomo, una donna, ecc. ma un essere umano.

E la relazione, senza la quale non c’è amore e non c’è prossimo, non si diventa prossimi.

L’ultima parola di Gesù è un invito (rivolto anche a noi) a “fare la stessa cosa”, cioè non più a cercare di definire chi sia il prossimo e chi no, ma ad andare a farsi prossimo di chi Dio ci manda incontro. E non è solo un invito, ma anche un invio: “va’ e fa la stessa cosa”.

Che cosa devo fare? Chi è il mio prossimo? Alla fine la risposta arriva: Vai!

Questo devi fare: devi andare e farti prossimo di chi incontri. Chi sia non importa, non lo scegli tu, perché è Dio che lo sceglie per te.

Tu vai, fermati e guardalo con misericordia. E il Signore ti darà – molto più spesso di quanto pensi – di essere tu guardato con misericordia dal tuo prossimo.

Marco Gisola

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