15 Guardate dunque con diligenza
a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; 16 ricuperando
il tempo perché i giorni sono malvagi. 17 Perciò
non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del
Signore. 18 Non ubriacatevi! Il vino
porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito, 19 parlandovi
con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro
cuore al Signore; 20 ringraziando continuamente
per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; 21 sottomettendovi
gli uni agli altri nel timore di Cristo.
Recuperate
il tempo, ci dice l’apostolo, perché i giorni sono malvagi. Un’espressione un
po’ inconsueta “recuperare il tempo”, che può significare: usare bene il tempo,
cogliere le occasioni, non lasciarsi scappare le opportunità.
Perché
i giorni sono malvagi, aggiunge Paolo, e lo dice ai cristiani di Efeso, luogo
dove lui stesso è probabilmente stato in prigione e dunque dove i cristiani non
avevano vita facile, visto che mettevano in discussione gli idoli pagani.
Inoltre,
il tempo è poco, perché i primi cristiani cedevano che il ritorno di Gesù fosse
imminente, e quindi questo poco tempo è anche un tempo speciale, unico.
E a noi, che ci siamo invece abituati all’idea che il
regno di Dio tardi e chissà quando verrà, fa bene ascoltare questa indicazione
dell’apostolo che ci dice che il tempo che viviamo non è (solo) quello dei
giorni e dei mesi che passano, ma il tempo che sta tra la prima venuta di Gesù
nel mondo e il suo ritorno, è il tempo dell’attesa del Regno, di cui siamo
chiamati a vivere frammenti qui ed ora.
E dunque in questo tempo unico e speciale: comportatevi
non da stolti, ma da saggi.
Non
come persone che vivono il loro tempo come un banale ripetersi di giorni, di
settimane e di anni, ma come il tempo di Dio, un tempo speciale, che Dio ci
dona per …
Per
che cosa? L’apostolo da almeno tre indicazioni per vivere saggiamente questo
tempo che ci è dato da Dio: la prima è “cercare di capire quale sia la volontà del Signore”; la seconda è la
gratitudine; la terza è la sottomissione reciproca. Un programmino niente male...!
1. Cercare di capire quale sia la volontà di Dio è il
primo lavoro di ogni cristiano, un lavoro che impegna tutta la vita, perché non
è mai finito.
Questa è la saggezza secondo l’autore della lettera agli
Efesini, la saggezza che si impara alla scuola di Gesù, cioè alla scuola della
Parola.
“Cercate
di capire” dice l’apostolo. E dove si cerca? Si cerca dove si è stati trovati.
Il cristiano cerca perché è stato trovato, da Dio attraverso Gesù Cristo. Se
non fossimo stati trovati da Dio non potremmo cercare la sua volontà.
E se Dio ci ha trovato attraverso suo figlio Gesù Cristo,
possiamo soltanto cercare in Gesù Cristo.
Non
cercare Gesù Cristo, Gesù non dobbiamo cercarlo perché è lui che ci ha trovati,
ma cercare in Gesù la volontà di Dio, cercarla cioè nella sua
Parola, dunque nella Bibbia.
Non
dobbiamo cercare Gesù o Dio in noi stessi, dobbiamo piuttosto cercare noi
stessi in lui. In lui troviamo, come in uno specchio, noi stessi, e ci vediamo
come colpevoli che sono stati graziati, giudicati che sono stati perdonati,
schiavi che sono stati liberati.
E ogni giorno dobbiamo ri-cercarci in lui, ogni giorno
dobbiamo ri-cercare la volontà di Dio, perché la nostra piccolezza e la nostra
fragilità ci portano a perdere ciò che troviamo.
Dobbiamo cercare anche per evitare di cadere
nell’illusione di aver trovato una volta per tutte, di aver imparato già tutto.
Il cristiano è discepolo non solo nel senso che segue Gesù, ma anche nel
significato letterale di colui o colei che impara da Gesù.
Essere cristiani significa essere alla scuola di Gesù e
della sua parola per tutta la vita.
Però, attenzione: non è che si continua a cercare perché
non si trova mai. Al contrario, si continua a cercare perché si trova sempre!
Perché nella Parola di Dio si trova sempre la grazia di
Dio che è antica e sempre nuova, e si trova sempre qualcosa di nuovo e di
prezioso per imparare a vivere il proprio discepolato.
Ogni giorno si trova qualcosa, e ogni giorno si cerca
qualcosa di nuovo, perché il tesoro non è mai scoperto del tutto. E soprattutto
ogni giorno ci si accorge di essere stati di nuovo trovati dal Signore, con la
sua parola di grazia e speranza.
Alla ricerca di questa saggezza appartiene anche
l’esortazione a non ubriacarsi. La ragione è che il vino porta alla
dissolutezza.
Io credo che questa esortazione non abbia soltanto un
valore morale, ma che voglia dirci che il cristiano non deve perdere il
controllo di sé e della realtà. Se ti ubriachi perdi il controllo e non sei più
tu che guidi le tue scelte.
Ed è curioso che dopo il discorso sul vino venga il
discorso sullo Spirito. Quasi a dire che la vita del cristiano deve essere
condotta dallo Spirito e non dal vino, o meglio solo dallo Spirito e da
nient’altro.
L’ubriacatura ti toglie lucidità e qui si potrebbe aprire
il discorso sulle dipendenze di ogni genere, dall’alcol, al fumo alle droghe,
che ti tolgono lucidità e tu non sei più padrone di te stesso, ti consegni e
diventi schiavo di un padrone che poi fa ti di te quello che vuole.
Non fatelo, dice l’apostolo, consegnatevi soltanto allo
Spirito per rimanere liberi e farvi guidare verso la saggezza di Cristo, e non
al vino o ad altre sostanze per farvi guidare fuori dalla realtà.
Lo spirito di Dio invece non ti allontana dalla realtà, ma
ti aiuta a continuare a cercare la volontà di Dio, anche quando i “giorni sono
malvagi”, come dice l’apostolo.
Per opporsi al male che ci circonda, è necessario essere
sobri e poter ascoltare la voce dello Spirito.
2.
Lasciamo per ultimo il tema della gratitudine e vediamo questa esortazione:
“Sottomettetevi gli uni agli altri”.
Calvino commentando questo versetto scriveva che “...non
c’è nulla di più contrario allo spirito umano che il sottomettersi agli
altri...”.
E in effetti non è un invito allettante quello che ci viene
rivolto qui. Noi vorremmo, al contrario, essere padroni di noi stessi, altroché
essere sottomessi agli altri!
Eppure proprio qui sta la rivoluzione portata dal
cristianesimo, rivoluzione ancora largamente inattuata, perché largamente
rifiutata, dai cristiani stessi.
L’evangelo scardina la logica del predominio e propone
quella della sottomissione reciproca: “gli uni agli altri”. E proprio il fatto
che la sottomissione è reciproca, esclude il predominio.
“Sottomettetevi
gli uni agli altri nel timore di Cristo”, ovvero nella
sottomissione di tutti a Cristo e alla sua volontà.
Se al di sopra di tutti c’è Cristo, al di sotto di lui non
c’è nessun predominio. Dove Cristo è Signore, non ci sono altri signori e
dunque si può essere liberamente servi gli uni degli altri.
Siamo
chiamati a sotto-metterci, ovvero a metterci sotto, considerare l’altro al di
sopra di noi; quando siamo davanti al prossimo dobbiamo mettere tra parentesi
noi stessi, metterci sotto di lui, perché nel prossimo è Cristo stesso che ci
viene incontro.
Tutt’altro che facile, ma è questo – e niente meno di
questo - che ci chiede il Signore.
3. E infine la gratitudine. La gratitudine per il perdono
che Dio ci offre in Cristo da cui nasce la vita nuova fatta di fiducia e di
speranza, di libertà e di servizio, di amore e riconciliazione.
La gratitudine a Dio perché ci ha offerto la possibilità
di vivere questa vita nuova piena di senso e di gioia.
Gratitudine non perché va tutto bene, ma perché anche
quando va male, c’è una parola a cui aggrapparsi e che ci aiuta a guardare
avanti e a guardare oltre ciò che non va nella nostra vita.
Tutti noi conosciamo persone che non hanno molti motivi
per essere grati, e persone che hanno invece molti motivi per essere tristi o
arrabbiati, o addirittura disperati.
Noi non possiamo restituire la salute a chi sta male o
dare un lavoro a chi lo ha perso, ma possiamo condividere la parola che dona
speranza e che crea comunione.
È ben diverso vivere un lutto o una malattia senza
speranza e senza comunione, oppure con speranza e circondati dalla comunione
delle sorelle e dei fratelli.
Questo
è il senso delle parole: parlandovi con salmi, inni e cantici
spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore.
La
comunione che il Signore ci dona da vivere si esprime nel canto e nella
preghiera gli uni per gli altri e gli uni con gli altri.
Comunione
che non termina certo quando finisce il culto, ma anzi nel culto nasce e
cresce.
Per
tutto questo possiamo essere grati al Signore e dunque cercare di comportarci
con saggezza, tornare sempre alla scuola della sua parola per cercare di capire
quale sia la sua volontà del Signore, imparare a sottometterci - metterci sotto - gli uni agli
altri, nell’amore e nella condivisione, e dunque vivere il grande dono della
comunione e della speranza.
Questo è il tempo di Dio, l’occasione che il Signore ci dà,
di vivere guidati dal suo Spirito e dalla sua parola. Siamo saggi, e non
lasciamocelo sfuggire.
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