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il SIGNORE, il tuo Dio, sta per farti entrare in un buon paese: paese di corsi
d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti; 8 paese
di frumento, d’orzo, di vigne, di fichi e di melagrane; paese di ulivi e di
miele; 9 paese dove mangerai del pane a volontà, dove non
ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il
rame. 10 Mangerai dunque e ti sazierai e benedirai il
SIGNORE, il tuo Dio, a motivo del buon paese che ti avrà dato. 11 Guàrdati
dal dimenticare il SIGNORE, il tuo Dio, al punto da non osservare i suoi
comandamenti, le sue prescrizioni e le sue leggi che oggi ti do; 12 affinché
non avvenga, dopo che avrai mangiato a sazietà e avrai costruito e abitato
delle belle case, 13 dopo che avrai visto il tuo bestiame
grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento, il tuo oro e
abbondare ogni tua cosa, 14 che il tuo cuore si
insuperbisca e tu dimentichi il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal
paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù; 15 che ti ha
condotto attraverso questo grande e terribile deserto, pieno di serpenti
velenosi e di scorpioni, terra arida, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te
acqua dalla roccia durissima; 16 che nel deserto ti ha
nutrito di manna che i tuoi padri non avevano mai conosciuta, per umiliarti e
per provarti, per farti, alla fine, del bene. 17 Guàrdati
dunque dal dire in cuor tuo: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno
procurato queste ricchezze. 18 Ricòrdati del SIGNORE tuo
Dio, poiché egli ti dà la forza per procurarti ricchezze, per confermare, come
fa oggi, il patto che giurò ai tuoi padri.
Ringraziare
oppure dimenticare. Due modi di vivere opposti, due alternative davanti a cui è
posto Israele e noi con lui.
Il
popolo d’Israele sta per entrare nella terra promessa, descritta come “un buon
paese: paese di corsi d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e
nei monti; paese di frumento, d’orzo, di vigne, di fichi e di melagrane; paese
di ulivi e di miele; paese dove mangerai del pane a volontà, dove non ti
mancherà nulla; […] Mangerai dunque e ti sazierai e benedirai il SIGNORE, il
tuo Dio, a motivo del buon paese che ti avrà dato”.
Mangerai,
ti sazierai e benedirai il Signore. Questa è la volontà di Dio, il progetto di
Dio per Israele: mangiare, saziarsi e benedire il Signore, cioè ringraziarlo,
vivere nella gratitudine.
Israele
sarà capace di farlo? Sarà capace di benedire il Signore, cioè ringraziarlo per
tutti i suoi doni, quando avrà la pancia piena?
Oppure
dimenticherà chi è che gli ha dato tutto questo – e qui possiamo dirlo,
letteralmente – ben di Dio? Dimenticherà che è Dio che gli ha dato questa terra
e questi frutti? Dio conosce il suo popolo e sa che il rischio che esso lo
dimentichi è molto alto.
E
infatti lo ammonisce: “Guàrdati dunque dal dire in cuor tuo: La mia forza e la
potenza della mia mano mi hanno procurato queste ricchezze”. Dimenticare Dio
significa che Israele potrebbe affermare, e dunque pensare, questo, che è lui
stesso l’artefice di tutto ciò che ha.
Dimenticare
Dio vuol dire che a Dio si sostituisce “io”. Non più Dio: “Dio mi
ha donato”, ma io: “io mi sono guadagnato /conquistato/ meritato”.
Dunque:
ringraziare Dio, oppure dimenticare Dio e quindi inorgoglirsi, eliminare Dio
dalla propria vita e sostituirlo con l’ “io”.
Queste
sono le alternative davanti alle quali si trova Israele e davanti alla quale ci
troviamo tutti noi: ringraziare o dimenticare, Dio o io.
Oggi
nel calendario liturgico che segue il lezionario tedesco, seguito da “Un giorno
una parola”, è la festa del ringraziamento per il raccolto (solo che purtroppo
Un giorno Una parola non lo scrive…).
Una
domenica in cui ci si dovrebbe fermare a ringraziare il Signore per tutti i
doni che ci dà attraverso la terra, cioè tutti i frutti della terra, ed è
dunque un riconoscimento che ciò che mangiamo e che viene ovviamente anche dal
lavoro dell’essere umano, è originariamente dono di Dio, che ha creato tutto
ciò.
E
questo è anche il tempo chiamato “tempo per il creato” una iniziativa ecumenica
che viene portata avanti ormai da diversi anni, da quando le chiese – forse un
po’ in ritardo - hanno iniziato proprio a riconsiderare il fatto che il mondo è
stato creato da Dio e dunque è suo e non è nostro, perché a noi lo ha affidato
per coltivarlo e custodirlo e non consumarlo o distruggerlo.
Le
chiese ortodosse celebrano il 1° settembre la festa della creazione, la chiesa
cattolica il 4 ottobre ricorda Francesco di Assisi – che per loro è un santo,
mentre per noi è un credente che è stato particolarmente sensibile alle
creature come dono di Dio.
E in
mezzo a queste due giornate in genere cade la festa del ringraziamento per il
raccolto che è tipicamente protestante.
Solo che nella società dove molti – io per primo – non
sanno fare l’orto e dove si comprano tutto l’anno verdure che sono fuori
stagione e che vengono magari dall’altra parte del mondo con enormi costi
ambientali per il trasporto, abbiamo perso un po’ questa sensibilità e dunque
questa riconoscenza a Dio per i frutti della terra che sono un suo dono.
Il nostro brano di oggi del Deuteronomio ci richiama a questa gratitudine. Ma non lo fa per motivi ecologici (a quei tempi avevano tanti problemi ma non quello ambientale, come abbiamo noi oggi), ma per motivi teo-logici: non riconoscere che i frutti della terra sono dono di Dio, prima che frutto del proprio lavoro, porta a inorgoglirsi e a dimenticare Dio.
E se
si dimentica Dio rimane solo l’ “io”, l’essere umano al centro dell’universo.
Un errore, anzi un peccato di cui oggi tocchiamo con mano le conseguenze
pratiche proprio anche sul piano ambientale.
C’è
un altro aspetto di questo brano su cui vorrei fermarmi un momento.
In
questo brano Dio promette a Israele non solo il necessario, ma promette
abbondanza: mangerai a sazietà, avrai pane in abbondanza, parla del bestiame
che si moltiplica e persino di oro e argento.
Ci
potremmo chiedere: ma dov’è la sobrietà evangelica in questo brano? In effetti
non c’è sobrietà, qui si parla piuttosto di abbondanza.
Da
brani come questi è nata anche una teologia che viene chiamata “teologia della
prosperità” e che in poche parole dice: più Dio mi benedice, più ho beni in abbondanza.
In
pratica la ricchezza come segno della benedizione di Dio. E dunque se sono
povero è perché non sono benedetto.
Una
teologia pericolosa, perché rischia di giustificare le differenze tra ricchi e
poveri e anzi di dare ai poveri la colpa della loro povertà. Mentre sappiamo
che la colpa della estrema povertà dei poveri è della abnorme ricchezza dei
ricchi.
Su
questo direi due cose:
1.
Dio vuole il nostro bene, vuole la nostra serenità, la nostra gioia e vuole
anche il nostro bene dal punto di vista materiale.
Non
dimentichiamoci che chi ascolta queste parole è un popolo che sta vagando nel
deserto da quasi quarant’anni, un popolo che sta per entrare nella terra
promessa ma che prima era schiavo.
Prima
Israele era schiavo, e dunque non possedeva nulla e soprattutto non aveva la
libertà. La terra promessa da Dio con tutti i suoi frutti e il benessere che
Dio promette è segno e frutto di questa libertà. Uno schiavo non ha nulla;
Le
persone libere invece hanno non solo la libertà, ma nell’ottica di Dio, hanno
anche tutto ciò che serve loro per vivere bene, a partire dalla terra che
possono lavorare.
Dio
vuole, vorrebbe, che noi non solo viviamo ma viviamo bene. Dio non vuole che
qualcuno viva di stenti. Dio vuole che il suo popolo sia libero e che - mentre
prima gli mancava tutto – ora non gli manchi più nulla e dunque viva nella
gioia.
Questo
è il senso della promessa dell’abbondanza.
2.
Ma c’è un secondo aspetto fondamentale: questo Dio lo promette a tutti i
membri del popolo d’Israele. Non soltanto a qualcuno.
Tutti devono godere dei frutti della terra e della
abbondanza dei frutti. Tutti devono stare bene. Possiamo anche dire che queste
promesse rispecchiano un ideale, ma è l’ideale di Dio:
Tutti
hanno la libertà, tutti hanno un pezzo di terra da lavorare e – se non
dimenticano Dio – da questa terra avranno abbondanza.
Questa
è la promessa di Dio per tutti. Non solo per qualcuno a scapito di
altri.
Questa
è la volontà di Dio per il suo popolo, per tutti i membri del suo popolo.
Questa
volontà – basta leggere i libri dei profeti per constatarlo – il popolo non
l’ha mai realizzata.
L’uguaglianza
tra tutti i membri del popolo è rimasto un ideale, la volontà di Dio è rimasta
inattuata, perché qualcuno – anche nell’antico Israele, come in tutti i popoli
e in tutte le società – ha preso ciò che non gli spettava e lo ha tolto ad
altri.
I
profeti si scagliano molto duramente contro chi sfrutta i poveri, chi opprime,
chi si arricchisce a scapito degli altri.
Accade
nell’antico Israele esattamente quello che accade oggi - anzi che accade da
sempre – a livello mondiale: ci sarebbe abbondanza per tutti, le risorse
basterebbero perché tutta la popolazione mondiale, persino ora che siamo oltre
sette miliardi, vivesse bene.
Ma
qualcuno, una minoranza, si accaparra i beni della maggioranza. È così da
sempre ed è così ancora oggi, quando una piccola parte della popolazione
mondiale ha più ricchezza di tutto il resto degli abitanti del mondo.
Dio
vuole il bene dei suoi figli e delle sue figlie, ma di tutti i
suoi figli e di tutte le sue figlie. Non vuole il benessere di
qualcuno e il malessere, anzi la miseria, di qualcun altro. La prosperità di
qualcuno e la miseria di qualcun altro non è la volontà Dio ma anzi è il suo
contrario.
Dio
ci riempie di doni, il suo creato è meraviglioso e ricchissimo di meraviglie e
di risorse. Dio invita il suo popolo, come fece con Adamo ed Eva, a godere dei
frutti della terra, a trarne non solo nutrimento, ma anche gioia.
Ma
“guardati – ci dice - dal dimenticare Dio al punto da trascurare i suoi
comandamenti”, cioè la sua volontà. Guardati dal pensare: questo è mio, questo
mi è dovuto, questo l’ho fatto io.
Nel
rapporto col creato, nei rapporti economici, nel rapporto col prossimo in
generale abbiamo due strade davanti a noi: ringraziare Dio o dimenticare Dio.
Dimenticare
Dio vuol dire vivere come se ci fossi solo io, solo noi, solo le persone che mi
stanno a cuore e porta allo sfruttamento sia del creato, sia del prossimo.
Essere
grati, essere riconoscenti, significa invece riconoscere che la terra è per
noi, ma non è nostra; che i doni di Dio sono anche per noi, ma non solo per
noi, perché sono per tutti e che il bene degli uni non può significare
privazione per altri.
Anche
noi come l’antico Israele siamo stati liberati da Dio, che ci ha riempito di
doni e ci invita a goderne nella gioia e nella gratitudine, ricordandoci che
lui il creatore e il donatore, e che il suo dono è per tutti.
Il
Signore ci aiuti a non dimenticarlo e a ringraziarlo ogni giorno che egli ci dà
da vivere.
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