Accoglienza
Buongiorno a
tutte e a tutti, il versetto che accompagna la decima domenica dopo
Pentecoste è preso dall’evangelista Luca con questa frase: “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi
molto è stato affidato, tanto più si richiederà”. (Luca 12 : 48)
Saluto (Dietrich Bonhoeffer)
Spirito Santo, donami la fede, che dalla
disperazione, dalle brame e dai vizi mi salva; donami l’amore per Dio e per gli
uomini, che estirpa ogni odio ed amarezza; donami la speranza, che mi libera
dal timore e dallo scoraggiamento. Insegnami a conoscere Gesù il Cristo e a
fare il Suo volere. Amen.
Lode
Dio nostro, i tuoi benefici in nostro
favore sono davvero innumerevoli ed è per questo che noi esultiamo alla Tua presenza,
in quanto, non potremo mai descriverli in modo adeguato, eppure tu ci affidi i
tuoi talenti proprio perché possiamo raccontare le tue opere meravigliose e,
mediante il sostegno del tuo Spirito, possiamo proclamare la tua salvezza ed il
soccorso che ci hai donato in Cristo. Tutto quello che tu compi suscita in noi
fiducia, ci libera e ci aiuta ad affrontare le difficoltà ed i problemi che a
noi sembrano insolubili. Per questo ti lodiamo e veniamo a te, che ci incontri
nella tua parola. Amen.
Ascolto della parola di dio
Preghiera di illuminazione
Signore
Dio nostro, Tu ci chiami al Tuo servizio e ci colmi dei Tuoi doni. Ci permetti
di impegnare le nostre forze e di spendere noi stessi, e quando l’abbiamo fatto
ci accorgiamo che quello che riceviamo da Te è sempre più di quello che Ti
abbiamo dato. Così agisce la Tua grazia. Illuminaci anche oggi con la Tua parola,
in modo che possiamo uscire da questo culto fortificati, per riprendere a
camminare sui sentieri sicuri che Tu apri davanti a noi. Amen.
Testo biblico
Geremia 1, 11 – 19
La parola del Signore mi fu rivolta per la seconda volta: «Che
cosa vedi?» Io risposi: «Vedo una gran pentola che bolle e ha la bocca rivolta
dal settentrione in qua». E il Signore mi disse: «Dal settentrione verrà fuori
la calamità su tutti gli abitanti del paese. Poiché, ecco, io sto per chiamare
tutti i popoli dei regni del settentrione», dice il Signore; «essi verranno, e
porranno ognuno il suo trono all’ingresso delle porte di Gerusalemme, contro
tutte le sue mura all’intorno, e contro tutte le città di Giuda. Pronunzierò i
miei giudizi contro di loro, a causa di tutta la loro malvagità, perché mi
hanno abbandonato e hanno offerto il loro incenso ad altri dèi, e si sono
prostrati davanti all’opera delle loro mani. Tu dunque, cingiti i fianchi, àlzati,
e di’ loro tutto quello che io ti comanderò. Non lasciarti sgomentare da loro,
affinché io non ti renda sgomento in loro presenza. Ecco, oggi io ti stabilisco
come una città fortificata, come una colonna di ferro e come un muro di bronzo
contro tutto il paese, contro i re di Giuda, contro i suoi prìncipi, contro i
suoi sacerdoti e contro il popolo del paese. Essi ti faranno la guerra, ma non
ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti», dice il Signore.
Esposizione del brano
biblico
Questi versetti sono il dialogo tra il Signore e Geremia, dialogo che riguarda l’inevitabile messaggio che Geremia dovrà dare al popolo ribelle sul giudizio di Dio nei loro confronti, a motivo che…hanno infranto il patto con Lui e hanno disatteso le leggi e le promesse date ad Israele, questo dialogo si contraddistingue perché per ben due volte in questo testo, il Signore interpella Geremia chiedendogli cosa egli vedesse, lo fa perché vuole trasmettere un preciso messaggio al suo profeta attraverso due visioni ben precise; questo era un metodo che Dio usava spesso nell’Antico Testamento, il metodo è costituito dalla visione e dalla spiegazione della visione, in effetti, abbiamo letto che la Parola del Signore rivolgendosi a Geremia gli domanda: “Cosa vedi, Geremia?”. Geremia non deve solo ascoltare ma deve anche guardarsi attorno e descrivere la realtà che lo circonda per il motivo che la potenza di Dio racchiude la materia di cui il mondo è formato. E la Parola che nei versetti precedenti all’undici si era fatta nutrimento del corpo del profeta, ora si fa corpo essa stessa, dice a Geremia di guardarsi intorno perché la Parola si trova anche negli oggetti concreti che servono da messaggio, insegnamento e rivelazione…Geremia parlando dice: “Vedo un ramo di mandorlo” (ebraico shaqed, che significa vigilare), il quale non è altro che un frammento ordinario di realtà, nulla di prodigioso e sconvolgente; ma in quel ramo e in quei fiori in sé così normali, Geremia può cogliere Dio, questa presenza viva di Dio, ora gli parla e si rivolge ai suoi dubbi: “Pensi che il tuo compito sia impossibile? che tu, un essere umano così fragile non possa parlare a nome mio, perché solo Dio può parlare di Dio? Sappi che, se ho affidato a te la mia Parola, ‘io vigilo su lei per mandarla ad effetto’. Non dipende da te che il fiore del mandorlo sbocci nella sua stagione prima di ogni altro fiore e nello stesso modo non dipende da te che la mia Parola trovi la sua realizzazione nella storia.
E proprio della storia parla l’altra visione: “la grande pentola che bolle ed
ha la bocca rivolta dal settentrione in qui”. Come quella “pentola”…tutta la
terra “bolle” e Geremia sarà scaraventato nel cuore stesso di questo ribollire.
Sì, il dolce interprete del “mandorlo fiorito” sarà gettato nella mischia dei
popoli. Questa è la sua missione, il suo destino: “profeta delle nazioni”, sarà
la sentinella avanzata di Dio, dovrà vedere prima di ogni altro l’irrompere
furioso dei popoli del nord addosso alla sua gente e soffrirne per primo, lacerato
fra un Dio condannato a punire il suo popolo che ama e condannato a subire
quella punizione. “Guardo la terra: “è deserta e vuota” – saranno di lì a poco
le parole della sua desolazione – “il cielo: la luna è scomparsa da esso.
Guardo le montagne: tremano; tutte le colline sono scosse. Guardo: non ci sono
più uomini, e tutti gli uccelli sono fuggiti. Guardo: il paese dei frutteti è
un deserto, tutte le città sono incendiate dal Signore, dalla sua ira ardente”
(cfr. 4, 23 seguenti.).
Sarà proprio così: Geremia prenderà su di sé, fin nelle viscere, i frammenti
spezzati della disgregazione del suo popolo.
Ed il Signore porta un altro assalto, eccoci al terzo ruolo che
Geremia è chiamato a vivere: dopo essere stato scelto come il predestinato a
portare alle genti la Parola, dopo il veggente che guarda la realtà per capirla
e farla capire, ecco il guerriero destinato ad affrontare il potere politico, quello
religioso e l’opinione comune del suo popolo. Questo “ragazzo” timido, dovrà
levarsi in piedi e fare della sua vita un fatto pubblico: “Tu dunque” – così
gli viene detto – “cingiti i fianchi, alzati, e dì loro tutto quello che ti
comanderò”.
Dopo l’autorità con cui l’ha costituito “sorvegliante dei popoli e dei re”, ora
il Signore comunica a Geremia la libertà interiore ed esteriore che solo lui
può dare. Così, il colloquio di Dio con Geremia non si chiude nell’interiorità
ma, appunto, “in piedi!”, per annunciare a tutti la parola.
“Ti faranno la guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per
liberarti”. Le parole finali della vocazione che Dio rivolge al suo giovane
profeta ci dicono che la missione che gli viene affidata è fondamentalmente un
“mandato a lottare ed a vincere”. Geremia non è chiamato a essere debole, ma
forte; non ad essere un vinto, bensì un vincitore; non a morire ma a sopravvivere
ad una dura guerra. Come abbiamo letto, Dio lo chiama a “cingersi i fianchi”, a
fare il gesto di chi s’appresta a partire per un viaggio, o s’appresta a combattere…
E ancora, e di più! Geremia è “stabilito come una città fortificata, come una
colonna di ferro e come un muro di bronzo contro tutto il paese”! Davvero saldo
e solido, dritto in piedi al cospetto della casa reale, nel tempio e nella
strada.
Certo, quest’immagine forte e in qualche modo rude di Geremia
contrasta con l’idea che abitualmente abbiamo di lui, come “il profeta delle
lamentazioni e delle lacrime”. Ma appunto, è quest’idea che è sbagliata, così
com’è sbagliato un’esaltazione malsana della sofferenza cristiana (o
pseudo cristiana), che si compiace di vedere prima nei profeti, poi in Gesù
stesso e nei suoi apostoli dei miti sconfitti e sofferenti…
Per Geremia in particolare si usa a volte la parola “passione”, la stessa che
usiamo pensando alle sofferenze e alla morte di Gesù. Dobbiamo stare attenti ad
evitare di introdurre in questa parola una nota di passività che invece non
dev’esserci: “passione” ha in sé anche un significato forte, si riferisce
all’essere “appassionati”. E Gesù e Geremia prima di lui, sono stati trascinati
a lottare dalla loro passione per Dio. Sì, la loro passione è stata una lotta, una
lotta all’ultimo sangue! E questa lotta, e la sofferenza che è legata alla
lotta, questo (e qui chiaramente pensiamo soprattutto a Gesù) ha prodotto la
salvezza! Noi non siamo salvati perché Gesù ha sofferto, ma perché ha lottato e
per questo anche sofferto per salvarci!
In termini diversi, questo vale anche per Geremia. Dovrà gridare “contro tutto
il paese” per far conoscere a “tutto il popolo” le decisioni che Dio ha preso
“a causa di tutta la loro malvagità” e così, ancora una volta posto fra queste
due totalità: da un lato “tutto il paese” e dall’altro tutto il peso dei
“giudizi di Dio contro di loro”, così da trovarsi fatalmente al centro dello
scontro. Per evitare questo, occorrerebbe infatti un compromesso che elimini qualcosa
della drasticità della Parola, o qualcosa della drasticità del peccato degli
uomini a cui la Parola è indirizzata. Ma questo “smussamento degli spigoli” non
fa parte del progetto di Dio per il profeta. E allora, “i re di Giuda, i suoi
principi, i suoi sacerdoti e il popolo del paese”, tutti, nessuno escluso,
combatteranno contro Geremia e i quarant’anni del suo ministero saranno
tempestosi e pieni di dolore.
Ma ciò non ci autorizza a parlare di lui in modo sbrigativo come del “profeta
sofferente”. Qui si parla di un uomo assegnato a un progetto, il progetto di
Dio, con la serena certezza (che certo avrà le sue incrinature, ma saprà
superarle) che proprio lui, il suo Dio, lo aiuterà: “Io sono con te per
liberarti, dice il Signore”. È la parola che chiude la sua vocazione… la parola
che Geremia non dimenticherà mai, e sarà la sua forza nella sua debolezza…
Geremia disse: “La parola del Signore fu su di me…”.
Noi oggi potremmo ben dire: “La parola del Signore è su di noi”,
perché oggi quella Parola afferra anche noi e tutta la chiesa, e
ci dice che anche noi possiamo essere profeti del Signore.
Sì, noi siamo affidati a questa Parola forte e scomoda, e chiamati a farla
risuonare in tutta la sua scomodità. Se Geremia è stato un profeta per un tempo
di crisi, il tempo della fine della libertà del suo popolo, anche noi siamo una
chiesa in un tempo difficile, in questi ultimi anni abbiamo avuto molti segni del
tramonto della nostra civiltà occidentale, e se bisogna dire tutto quello che Dio
ci comanda di dire al “paese tutto intero”, dovremo anche noi affrontare dei
conflitti.
A causa della sua predicazione, Geremia ha trascorso venti anni della sua vita
da prigioniero, perché non ha voluto e nemmeno potuto camuffare nulla sia della
Parola che annunciava, sia della realtà del mondo a cui l’annunciava. C’erano
quei verbi: “sradicare, demolire, abbattere, distruggere”, che non potevano non
suscitare le reazioni più dure, ma che andavano detti, perché solo così potevano
diventare realtà gli altri due verbi “costruire e piantare”…
Ed è solo perché ha saputo proclamare con coraggio quei primi quattro verbi
negativi che Geremia s’è mostrato concorde fino in fondo con coloro che per
averli uditi dalla sua bocca gli si rivoltavano contro, l’odiavano e lo legarono
con catene: solo così ha potuto creare le condizioni per la loro conversione e
la loro ripartenza andando incontro al tempo in cui si può “costruire” e
“piantare” il nuovo…
Così, quest’antico profeta solidale col suo mondo, chiama anche noi oggi alla
solidarietà col nostro mondo: come è toccato a lui, così invita anche noi a
vivere in tensione tra Dio e le sue esigenze…che poi sono le esigenze
dell’amore…le esigenze del popolo a cui noi apparteniamo e le sue infedeltà.
E anche la nostra missione ha i suoi verbi negativi e i suoi verbi positivi. E
che cos’è per noi oggi “distruggere” e “demolire”? E che cos’è per noi
“piantare” e “costruire”?
Abbiamo tutti avvertito dentro di noi, e l’avvertiamo ancora, la crisi
economica di questi ultimi mesi nonché questi ultimi anni che ci ha portato
sino a questo punto: “un sistema che non funziona più”, ed è per questo motivo
che dovremmo forse dire col coraggio che ci viene da Dio, che la sua Parola può
contribuire a “demolire” la corsa al profitto e all’arricchimento più sfrenato per
“costruirne” uno nuovo, più giusto e solidale, che abbracci il mondo intero e
non pensi solo a rilanciare i paesi più ricchi.
Ma come possiamo portare noi questa Parola?
Innanzitutto con la predicazione…a tal riguardo, uno dei più
rilevanti teologi del Protestantesimo del XVI secolo Heinrich Bullinger disse:
“La predicazione della parola divina è Parola di Dio”(…) una predicazione deve
essere insieme una critica dell’opera umana e un’apertura all’opera di Dio; che
sia portatrice di un fuoco che distrugge…che sia cioè la “pentola bollente”…e
sia anche ricca della promessa del Dio che veglia…cioè sia “ramo di mandorlo”…
Una predicazione così non può lasciarci indenni. Dobbiamo anche noi accettare
la sfida di ritrovarci inevitabilmente al centro dello scontro tra la Parola
scomoda di Dio che per costruire deve prima criticare ed abbattere, ed i nostri
fratelli e sorelle in umanità che da questa parola sono criticati, giudicati,
abbattuti, e perciò la contestano e perciò ci contestano, spesso ignorandoci… e
non è affatto facile per una chiesa essere ignorata, e quanta frustrazione, quanto
scoraggiamento tutto questo ci provoca!
In sostanza…predicare ci rimette continuamente in questione, e
però al tempo stesso, il nostro lasciarci investire dalla Parola per poterla annunciare
accresce la nostra fiducia… ci rinnova l’esperienza che “non ci vinceranno,
perché il Signore è con noi per liberarci”…
Sconforto e fiducia… frustrazione ed impegno… è la nostra lotta al servizio di
Dio, la nostra partecipazione alle sofferenze di chi subisce la distruzione e
alla realizzazione di ciò che la Parola a cui siamo affidati, dopo avere
distrutto, costruirà. Amen
AMEN
PREGHIERA DI INTERCESSIONE
Padre
nostro, tu non dimentichi i deboli e i miseri; per loro vogliamo pregarti. Nel
mondo vi sono tante vittime perché i doni che ci affidi per l’utile comune e
per una giusta convivenza umana sono dimenticati o ignorati.
Dono tuo è
la riconciliazione fra gli esseri umani. Ti preghiamo per le vittime dei conflitti;
in particolare per le persone che sopravvivono con gravi mutilazioni, per le donne
stuprate, per i bambini che crescono in un mare di odio e di violenza. Sostieni
coloro che si adoperano per la riconciliazione, perché le vittime possano
sperimentare che l’odio non ha l’ultima parola in questo mondo.
Dono tuo è
la dignità degli esseri umani. Ti preghiamo per coloro cui viene negata questa
dignità; in particolare per chi è costretto a vivere nei campi profughi, per
chi è costretto a lavorare senza garanzie e senza protezioni. Sostieni le persone
e i gruppi che si impegnano per ridare dignità a chi ha perso terra, casa, lavoro,
salute.
Nella
nostra attività quotidiana donaci fiducia e iniziativa, perché mettiamo a
profitto i doni che ci hai affidato, per la testimonianza al tuo evangelo e per
il servizio al nostro prossimo.
E poiché il
nostro impegno ha la sua forza soltanto in te e nella tua azione, ti preghiamo
come Gesù ci ha insegnato:
“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato
il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in
cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche
noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione,
ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei
secoli dei secoli.” Amen
INVIO (2° Corinzi 4,
13 – 14)
“Noi parliamo con franchezza di ciò che crediamo
(fiduciosi che Dio agisce per noi), proprio come dice il Salmo: «Ho
creduto, perciò ho parlato». Noi pure crediamo e perciò parliamo. Siamo
convinti infatti che lo stesso Dio che resuscitò il Signore Gesù, resusciterà
anche noi insieme con Gesù, e con voi ci farà comparire alla sua presenza”.
BENEDIZIONE (Filippesi 4, 19 – 20)
“Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno,
secondo la sua gloriosa ricchezza, in Cristo Gesù. 20 Al Dio e Padre nostro sia la gloria nei
secoli dei secoli”. Amen
(Giampaolo Castelletti, domenica 9 agosto 2020. Tutte le
citazioni bibliche, salvo il testo biblico di Invio, sono tratte dalla versione
Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione
1994).
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