«E
disse il Signore Dio: “Non è bene per l’uomo essere per se stesso: farò a lui
un aiuto come di fronte a lui” (…) E fece cadere il Signore Dio torpore
sull’uomo, che si addormentò. E prese una delle costole di lui e chiuse carne
in luogo di essa. E costruì il Signore Dio la costola che prese dall’uomo come
donna e la fece andare verso l’uomo. E disse l’uomo: “Lei, questa volta, è ossa
dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Sarà chiamata donna, perché da un uomo
fu tolta”. Perciò lascerà un uomo suo padre e sua madre e si legherà alla donna
per lui e saranno come carne unica. Ed erano entrambi nudi, l’uomo e la donna
per lui, e non si vergognavano» (Genesi 2:18; 21-25)
Ogni narrazione biblica contiene
delle verità profonde, ma ci chiede, come in una caccia al tesoro, di scovarle,
di non accontentarci di quanto ci sembra di cogliere a prima vista. Le
Scritture sono un invito costante che Dio ci rivolge perché impariamo a
prenderci del tempo che, come sappiamo, è indispensabile per comprendere più a
fondo ogni cosa: anche un racconto. Addentriamoci, dunque, nel nostro testo, parola che viene da «tessuto»: e
guardiamone più da vicino il lavoro di filatura, la trama e l’ordito che creano
poi quei disegni su cui, spesso, concentriamo in maniera esclusiva il nostro
sguardo. Immergiamoci nei dettagli che compongono la nostra storia e
verifichiamo se questo sguardo più attento può aiutarci a comprenderla più in
profondità.
Il primo a prendere la parola,
nel nostro racconto, è Dio; Egli getta uno sguardo sull’uomo ed esprime una
considerazione: «Non è bene che sia per se stesso».
Dio nota un’incapacità nell’uomo,
quella stessa che noi, oggi, siamo sempre meno in grado di scorgere: l’uomo non
può essere il senso di se stesso; se la sua vita ruota esclusivamente intorno a
sé, si svuota di significato. L’uomo non può vivere per sé: o, per meglio dire,
può benissimo, lo constatiamo quotidianamente; ma che questo, poi, sia vivere
davvero, è un altro discorso. Il fatto che la profonda, rassegnata solitudine –
non quella salutare ed opportuna, ma quella contrassegnata dall’illusione
dell’autosufficienza – sia la vera e propria «malattia dell’anima» del nostro
Occidente, credo sia sotto gli occhi di tutti.
In questa pagina biblica, la delicata,
attenta constatazione di Dio vuole esprimerci quella che è la Sua più profonda convinzione
su di noi: quella secondo cui siamo esseri votati alla relazione, che nei
rapporti e dai rapporti traggono linfa, dolore, trasporto, disincanto; insomma,
nel bene e nel male, senso, anche quando il senso viene ferito, poiché, se
viene ferito, è perché, per qualche istante, ci era parso di avvertirlo. E
quando ciò è avvenuto, per ciascuno di noi, è stato accanto a qualcuno.
Ma il Dio biblico, lo sappiamo, è
un Dio estremamente pragmatico: per cui non si limita all’osservazione e passa
all’azione. Il progetto, almeno nelle intenzioni, è chiaro: «Farò – dice Dio –
a lui un aiuto». Inutile dire che, se ci fermassimo a questa sola espressione,
le possibilità di interpretarla in maniera fuorviante si sprecano: e lo abbiamo
visto nell’arco della storia umana in generale e in quella delle chiese in
particolare, che certo non hanno brillato per il riconoscimento di una piena
parità di diritti tra donne e uomini.
Il termine «aiuto» può difatti
essere associato all’idea di «funzionale a», per cui la donna sarebbe vista
come una sorta di complemento dell’uomo, in tutto e per tutto rivolta a lui ed
alle sue necessità. Invece, il nostro testo prosegue, specificando: «Come di
fronte a lui». Di questa bellissima espressione, vorrei sottolineare due
aspetti.
Il primo di essi riguarda la sua traduzione letterale, che potremmo rendere con: «di contro a lui». Insomma, l’aiuto, secondo il testo biblico, è costituito dalla presenza di qualcuno che ha la facoltà di venirci contro, di contrariarci, di contraddirci, di resisterci: e, lo sappiamo per esperienza, spesso si tratta dell’aiuto più prezioso, che non di rado viene da quella stima sincera che è il contrario dell’adulazione. La donna è possibilità data all’uomo di confrontarsi, di fare i conti con qualcuno, in modo serio, autentico, spassionato. Capita sovente che l’uomo non ne abbia la volontà: ma la donna è lì a richiamarlo a questo compito, attraverso il quale, soltanto, all’uomo è offerta l’opportunità di maturare, di prendere consapevolezza, di cambiare.
Il secondo aspetto riguarda il
fatto che l’uomo e la donna nascono nel proposito di Dio per starsi di fronte:
questa è la posizione che, più sovente, dovrebbero occupare l’uno nei confronti
dell’altra, poiché questa è anche la posizione della reciprocità, quella che
consente loro di guardarsi e, pertanto, di incontrarsi e di riconoscersi. Starsi
contro, starsi di fronte: queste le due posizioni che caratterizzano ogni
relazione, perché consentono alle due persone che la vivono e la costruiscono
di non inglobare mai l’altro, di mantenerlo nella sua individualità, nella sua
differenza.
Difatti, proseguirà il testo, i
due saranno una sola carne, sì, ma non una sola mente o un solo spirito: in questo dovranno rimanere distinti, per rendere
possibile, ogni volta, l’incontro e il confronto, il dialogo e la distanza,
l’intimità e l’estraneità, la conoscenza e la scoperta. Non assorbire l’altro,
non assimilarlo a sé, ciò che spesso è il segreto desiderio di possesso che si
nasconde dietro l’amore, è condizione indispensabile al mantenimento di un
rapporto, che sussiste soltanto se i due rimangono due.
Per
realizzare il suo proposito Dio, dice il nostro testo, fa scendere un torpore
sull’uomo: mi piace pensare che la donna nasca dalla dimensione segreta e
sconfinata del sogno, da quello che è, per ciascuno, il luogo di confine della
coscienza, lo spazio del desiderio, l’ambito in cui la ragione vigile smette,
per un istante, di sorvegliare. Su questa soglia meravigliosa e sconosciuta si
affaccia la donna nella vita dell’uomo e viene a interromperne la presuntuosa
lucidità, a produrre quel disorientamento della mente e dei sensi che si
rivelerà in grado di riorientare i passi dell’uomo. Questo è l’amata per ogni
uomo: sbandamento della coscienza, timido affacciarsi sull’uscio del sogno che
permette di abbandonare il mondo scontato e arido delle cause e degli effetti,
per gettare chi ama nel mare burrascoso delle emozioni. Di questo mondo
ulteriore, ogni donna è per l’uomo promessa e scoperta.
Calato
il torpore sugli occhi, Dio estrae la nuova creatura dal fianco dell’uomo:
perché questa è la posizione che le spetta ogniqualvolta i due non si
troveranno di fronte l’uno all’altra; in questo caso, donna e uomo cammineranno
fianco a fianco, senza che nessuno sopravanzi l’altro.
«Colei
che sta accanto» è avvertita
dall’uomo come una parte mancante di sé, ossa dalle proprie ossa, carne dalla
propria carne; ed il trasporto verso di lei sarà tale da creare un laccio più
forte del sangue, al contempo tenace e fragile: l’amore. I due lo vivranno
standosi accanto e di fronte, posizioni che è faticoso apprendere e, ancor più,
mantenere: ma, se teso oltre questa vicinanza e questa reciprocità, il laccio
si spezza. Per questo ogni amore è chiamato ad averne cura, a preservare la
distanza senza annullarla o accrescerla eccessivamente, prestando attenzione a
che non diventi estraneità o sopraffazione.
Un
ultimo aspetto dell’amore è richiamato con tenerezza dal nostro testo: donna e
uomo, difatti, stanno nudi l’uno alla presenza dell’altra.
Mi
piace scorgervi un richiamo alla trasparenza: conoscerci è riacquistare nudità,
cammino di spoliazione che nulla meglio dell’amore è in grado di insegnarci.
Amore, infatti, narra un altro splendido mito, quello contenuto nel Fedro di
Platone, è figlio di mancanza. Siamo
esseri mancanti, incompleti e conosciamo l’amore per sottrazione, per ferita
nella carne che sta lì a ricordarci la traccia di un’assenza. Ricerchiamo
l’amore come dono di nudità, unica via che, attraverso l’incontro con l’altra,
è capace di ricondurci sino a noi stessi. Questa è anche la strada che, ogni
giorno, ci invita a percorrere il Nostro Dio che, come ci ricordano le
Scritture che anche oggi abbiamo provato ad ascoltare e a meditare, è un Dio
che ci sospinge a imparare l’Amore nell’imperfetta, difficile bellezza di
quelle relazioni, di cui Egli ci chiama, ogni giorno, ad aver cura.
[Domenica 5 Luglio
2020 – Pastore Alessandro Esposito]
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