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23/04/2020

Riflessione del Pastore Alessandro Esposito


Verbania, martedì 14 Aprile 2020

Buongiorno a tutte e a tutti.

Nei giorni che hanno preceduto la Pasqua ha avuto luogo una ricorrenza, che desidero non passi inavvertita: il nove aprile del 1945, esattamente settantacinque anni fa, veniva ucciso per impiccagione dalla barbarie nazista il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, reo di aver congiurato, insieme con altri, ai danni del führer.
Nel corso della riflessione di oggi, vorrei ripercorrere una delle tappe in cui il pensiero di questo compagno di ricerca e di cammino si è fatto carne e scelta, gettando semi che attendono di sbocciare lungo il sentiero che ancora siamo chiamate e chiamati a calcare con i nostri passi delicati e incerti.
Di questo incontro con le pagine di un autore che ha segnato profondamente la mia vita accentuandone la lieta irrequietezza, sono debitore a Fulvio Ferrario, che mi fece dono della sua lettura appassionata e compenetrata di alcune delle riflessioni più intense contenute nell’opera intitolata Sequela, ovverosia del “mettersi a seguire”.
Le prime pagine di questo libro al contempo lucido e commovente, sono dedicate al commento di un versetto tanto laconico quanto abissale, contenuto all’inizio dell’evangelo secondo Marco, dove si narra:

«Nel passare di là, Gesù vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco dei tributi, e gli disse: “Seguimi”. E quegli, alzatosi, lo seguì» (Marco 2:14)

Mi ha sempre lasciato senza fiato la prontezza di un gesto che ha portato un uomo, come me, seduto, a intraprendere un sentiero per molti versi esposto all’ignoto e ai rischi che ogni indecifrabilità porta con sé. Non una parola, non una – pur legittima – domanda: soltanto la nuda eloquenza di un gesto.
Lo stesso Bonhoeffer ne è profondamente colpito, quando commenta:



Come è possibile questa immediata corrispondenza? Per la ragione, si tratta di un fatto assolutamente scandaloso (…): deve subentrare un termine medio, c’è qualcosa che deve essere chiarito. In ogni caso, si deve trovare una mediazione (…): ci si chiede se il pubblicano non abbia conosciuto Gesù in precedenza, se non sia questo il motivo per cui egli è pronto alla sequela sulla base della chiamata. Ma proprio su questo punto, il testo mantiene un tenace silenzio; ciò che per esso conta è proprio la corrispondenza immediata di chiamata e azione.[1]

Quanto si potrebbe dire sui silenzi evocativi racchiusi tra le pagine bibliche: spesso aprono al cuore e alla sua immaginazione spazi ancor più vasti di quelli che scavano in noi le parole. E, insieme con il silenzio, la disarmante semplicità del gesto, slancio eloquente e incomprensibile, sbilanciamento che reca in dono nuovo, inatteso equilibrio. Levi si alza e va, intraprende un cammino: si smuove dalla sua inerzia, quella stessa in cui, non di rado, i tentennamenti, figli di un eterno domandare, ci trattengono. Eppure il cammino non estinguerà la domanda: soltanto, la renderà lecita e la trasformerà in dialogo incessante col maestro. Prima di accingersi a camminare, infatti, non ha senso domandare, perché l’interrogativo, in ogni caso, risulterebbe mal posto: la domanda autentica emerge quando ha inizio il cammino, che le impedisce di divenire ridondante e sterile. “Vieni: inoltrati con me lungo quel sentiero su cui ti precedo” – propone Gesù – “Dopodiché avremo di che discorrere e nuovi, fragorosi silenzi da condividere”. Si tratta di un taglio, come evoca l’etimologia del termine de-cisione: c’è un prima e un dopo, un prima su cui il dopo getta inattesa, sorprendente luce. Commenta ancora Bonhoeffer:

Mettersi alla sequela significa compiere determinati passi. Già il primo passo, che segue alla chiamata, separa chi si pone alla sequela dalla sua precedente esistenza.



Così, la chiamata alla sequela crea sin da subito una nuova situazione (…) Non è una dottrina, ma una nuova creazione dell’esistenza (…) D’improvviso, tutti i ponti vanno tagliati: si deve compiere il passo nell’infinita incertezza.[2]

La fede come cammino che non mette al riparo dall’incertezza e dalle sue inquietudini, ma che chiama ad evitare quell’immobilità che della certezza dà soltanto l’illusione. Per andare in cerca del senso è indispensabile mettersi in movimento: il persistere in un domandare inerte non porterà a nulla, se non a giustificare quell’insoddisfazione di cui siamo artefici assai più che vittime. “Vieni, osa, sii – come me – audace: lungo il sentiero che percorreremo insieme troverai interrogativi nuovi, che gettano radici in quella vita in cui ti chiamo, insieme con me, ad immergerti. Smetti di rifuggirla e inoltrati, con me, lungo i suoi sentieri imprevedibili: e scoprirai come, in verità, in questo tuo primo passo nulla finisce e tutto ha inizio”.

Sospingimi o Dio
Lungo gl’ignoti sentieri
Da cui tutto incomincia
Perché a un dolce sbandare
Dietro di Te
M’invita il maestro
Di gioia e di danze
L’uomo a cui un giorno
In lieta follia
Dissi in silenzio
Il mio sì


[1] Bonhoeffer, D. Sequela, Queriniana, Brescia, 1997, cit. pag. 43.
[2] Bonhoeffer, D. Sequela, Queriniana, Brescia, 1997, cit. pag. 48-49


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