Verbania, martedì 14
Aprile 2020
Buongiorno a tutte e a
tutti.
Nei giorni che hanno
preceduto la Pasqua ha avuto luogo una ricorrenza, che desidero non passi
inavvertita: il nove aprile del 1945, esattamente settantacinque anni fa,
veniva ucciso per impiccagione dalla barbarie nazista il pastore e teologo
luterano Dietrich Bonhoeffer, reo di aver congiurato, insieme con altri, ai
danni del führer.
Nel corso della riflessione
di oggi, vorrei ripercorrere una delle tappe in cui il pensiero di questo
compagno di ricerca e di cammino si è fatto carne e scelta, gettando semi che
attendono di sbocciare lungo il sentiero che ancora siamo chiamate e chiamati a
calcare con i nostri passi delicati e incerti.
Di questo incontro con le
pagine di un autore che ha segnato profondamente la mia vita accentuandone la
lieta irrequietezza, sono debitore a Fulvio Ferrario, che mi fece dono della
sua lettura appassionata e compenetrata di alcune delle riflessioni più intense
contenute nell’opera intitolata Sequela, ovverosia del “mettersi a seguire”.
Le
prime pagine di questo libro al contempo lucido e commovente, sono dedicate al
commento di un versetto tanto laconico quanto abissale, contenuto all’inizio
dell’evangelo secondo Marco, dove si narra:
«Nel
passare di là, Gesù vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco dei tributi, e
gli disse: “Seguimi”. E quegli, alzatosi, lo seguì» (Marco 2:14)
Mi
ha sempre lasciato senza fiato la prontezza di un gesto che ha portato un uomo,
come me, seduto, a intraprendere un sentiero per molti versi esposto all’ignoto
e ai rischi che ogni indecifrabilità porta con sé. Non una parola, non una –
pur legittima – domanda: soltanto la nuda eloquenza di un gesto.
Lo
stesso Bonhoeffer ne è profondamente colpito, quando commenta:
Come
è possibile questa immediata corrispondenza? Per la ragione, si tratta di un
fatto assolutamente scandaloso (…): deve subentrare un termine medio, c’è
qualcosa che deve essere chiarito. In ogni caso, si deve trovare una mediazione
(…): ci si chiede se il pubblicano non abbia conosciuto Gesù in precedenza, se
non sia questo il motivo per cui egli è pronto alla sequela sulla base della
chiamata. Ma proprio su questo punto, il testo mantiene un tenace silenzio; ciò
che per esso conta è proprio la corrispondenza immediata di chiamata e azione.[1]
Quanto
si potrebbe dire sui silenzi evocativi racchiusi tra le pagine bibliche: spesso
aprono al cuore e alla sua immaginazione spazi ancor più vasti di quelli che
scavano in noi le parole. E, insieme con il silenzio, la disarmante semplicità
del gesto, slancio eloquente e incomprensibile, sbilanciamento che reca in dono
nuovo, inatteso equilibrio. Levi si alza e va, intraprende un cammino: si
smuove dalla sua inerzia, quella stessa in cui, non di rado, i tentennamenti,
figli di un eterno domandare, ci trattengono. Eppure il cammino non estinguerà
la domanda: soltanto, la renderà lecita e la trasformerà in dialogo incessante
col maestro. Prima di accingersi a camminare, infatti, non ha senso domandare,
perché l’interrogativo, in ogni caso, risulterebbe mal posto: la domanda
autentica emerge quando ha inizio il cammino, che le impedisce di divenire
ridondante e sterile. “Vieni: inoltrati con me lungo quel sentiero su cui ti
precedo” – propone Gesù – “Dopodiché avremo di che discorrere e nuovi,
fragorosi silenzi da condividere”. Si tratta di un taglio, come evoca
l’etimologia del termine de-cisione: c’è un prima e un dopo, un prima su cui il dopo
getta inattesa, sorprendente luce. Commenta ancora Bonhoeffer:
Mettersi
alla sequela significa compiere determinati passi. Già il primo passo, che
segue alla chiamata, separa chi si pone alla sequela dalla sua precedente
esistenza.
Così,
la chiamata alla sequela crea sin da subito una nuova situazione (…) Non è una
dottrina, ma una nuova creazione dell’esistenza (…) D’improvviso, tutti i ponti
vanno tagliati: si deve compiere il passo nell’infinita incertezza.[2]
La fede come cammino che
non mette al riparo dall’incertezza e dalle sue inquietudini, ma che chiama ad
evitare quell’immobilità che della certezza dà soltanto l’illusione. Per andare
in cerca del senso è indispensabile mettersi in movimento: il persistere in un
domandare inerte non porterà a nulla, se non a giustificare
quell’insoddisfazione di cui siamo artefici assai più che vittime. “Vieni, osa,
sii – come me – audace: lungo il sentiero che percorreremo insieme troverai
interrogativi nuovi, che gettano radici in quella vita in cui ti chiamo,
insieme con me, ad immergerti. Smetti di rifuggirla e inoltrati, con me, lungo
i suoi sentieri imprevedibili: e scoprirai come, in verità, in questo tuo primo
passo nulla finisce e tutto ha inizio”.
Sospingimi
o Dio
Lungo
gl’ignoti sentieri
Da
cui tutto incomincia
Perché
a un dolce sbandare
Dietro
di Te
M’invita
il maestro
Di
gioia e di danze
L’uomo
a cui un giorno
In
lieta follia
Dissi
in silenzio
Il
mio sì
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