Nell’arco di
quest’ultima settimana è sensibilmente cresciuta, nel nostro Paese e non solo,
un’ansietà diffusa, di cui non si fatica a comprendere le ragioni ma che appare
eccessiva in ordine alle sue dimensioni e alla sua capillarità. Compito di
tutte le istituzioni, in questi casi, è quello di attenersi a pronunciamenti
improntati, al contempo, all'equilibrio e alla fondatezza scientifica,
garantita da figure competenti e per ciò stesso autorevoli. Ciascuna e ciascuno
di noi, difatti, sta vivendo l’esperienza grottesca di imbattersi pressoché
quotidianamente in improvvisati «virologi da bar», che fanno sfoggio della loro
raffazzonata e approssimativa sapienza dispensando consigli ed emettendo
sentenze. Che cosa fare, allora?
Sminuire la portata di quanto sta accadendo? Minimizzare l’entità di una
situazione di cui, in verità, fatichiamo a prevedere gli sviluppi e le
conseguenze? Niente affatto. Più semplicemente, si tratta di assumere
atteggiamenti e pronunciare parole che si attengano a un sano, quanto poco
diffuso, senso di responsabilità. È in virtù di quest’ultimo che le chiese
valdesi e metodiste delle aree interessate dalla diffusione dell’epidemia ed
alcune di quelle presenti nei territori ad esse limitrofi hanno deciso di
sospendere temporaneamente le attività comunitarie, in particolare i culti
domenicali: non per diffondere un allarmismo ingiustificato, né per cedere il
passo ad una paura paralizzante, ma per dare il loro piccolo contributo alla tutela
della salute pubblica, che affonda le sue radici nella fiducia che nutriamo
nelle istituzioni che ne hanno cura e la garantiscono. Se chi dispone delle
competenze necessarie ci invita a un gesto di responsabilità, atto in primo
luogo a tutelare l’incolumità dei soggetti più esposti e fragili,
l’atteggiamento più sensato ci sembra quello di attenerci alle direttive
emanate con ponderatezza e a ragion veduta.
In tal modo, ad un’ansia diffusa e incontrollata, si sostituisce una
responsabilità fiduciosa, unico antidoto efficace alla psicosi ingiustificata.
Alla smodata preoccupazione che pone al centro un individuo incurvato su di sé
e per ciò stesso miope, si sostituiscono così la preoccupazione per l’altro e
la coscienza di essere parte di una collettività, accomunata da un destino al
quale nessuno può immaginare di poter andare incontro in una solitudine
contrabbandata per autosufficienza. Non
c’è ragione, ci ricorda opportunamente Gesù, per essere in ansia per il domani:
di fronte al domani siamo chiamate e chiamati, piuttosto, a diventare
responsabili, poiché la responsabilità è segno di cura verso l’altro che mi
insegna ad evadere dalla prigione di un io ripiegato su di sé. E vivere
l’evangelo significa educarsi a questa corresponsabilità, annunciandola con la
semplicità del gesto consapevole e coerente.
(Alessandro
Esposito – Pastore delle chiese metodiste di Intra, Luino e Omegna)
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