Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 17 marzo, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con relatica Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 17 marzo, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9 con relativa Cena del Signore

28/02/2012

Appello per una mobilitazione nazionale contro il razzismo istituzionale e la precarietà


1 marzo 2012:

Il primo marzo del 2010 e 2011 in decine di città italiane lavoratori migranti e italiani hanno scioperato assieme contro il razzismo istituzionale della legge Bossi-Fini, mentre in decine di piazze si sono avuti presidi, cortei e iniziative. Lo hanno fatto autonomamente, trovando il supporto di tanti lavoratori e lavoratrici e di tante RSU. Migliaia di persone hanno manifestato con i migranti, mostrando che anche nella crisi si può lottare insieme per i diritti di tutti. La data del primo marzo è diventata così un punto di riferimento importante: anche quest’anno vogliamo che sia un giorno di mobilitazione e sperimentazione di nuove forme di lotta.

Questo è ancora più importante dopo i pogrom di Rom come quello di Torino e l’uccisione a Firenze di Samb Modou e Diop Mor. Un omicidio razzista che ha visto una grande reazione il 17 dicembre, guidata da migliaia di migranti scesi in strada a Firenze. E’ ora di fare chiarezza e dire che il razzismo non è solo un fenomeno culturale, ma si appoggia su leggi e provvedimenti amministrativi che considerano i migranti come braccia da sfruttare o nemici da combattere.
È così nel contratto di soggiorno per lavoro e nella presenza dei CIE (ex-CPT).
E’ stato così nella sanatoria truffa del 2009 e nella logica dei flussi.
E’ stato così nella creazione dell’emergenza profughi dopo le rivoluzioni in Nord Africa e nel mancato riconoscimento di fatto del diritto d’asilo.
È così per i figli dei migranti che, compiuti 18 anni, devono sottostare alle impossibili regole di un permesso di soggiorno per studio, o diventare subito braccia da sfruttare con un permesso per lavoro.
E’ così nel principio di un permesso di soggiorno “a punti” e nella tassa sul permesso di soggiorno, che vorrebbe scaricare sul salario dei migranti il costo di queste politiche. I migranti pagano le tasse e i costi della crisi come tutti gli altri lavoratori e lavoratrici e la nuova tassa andrà a sommarsi a tutto questo, a quanto già oggi costa rinnovare il permesso e ai 30 euro che si devono inspiegabilmente pagare alle Poste.
Se non si punta a cambiare radicalmente questo stato di cose che produce gerarchie e clandestinità, denunciare il razzismo diventa un gesto ipocrita.

La condizione migrante non è separata da quella di tutti gli altri, ma con la sua specificità mostra tendenze e dinamiche che ci coinvolgono tutti, in particolare sul terreno del lavoro. D’altro canto la condizione dei migranti è diversa da quella di tutti gli altri, perché solo per i migranti la precarietà e la crisi economica possono portare alla detenzione amministrativa e mette a rischio il permesso di soggiorno. Fuori da ogni retorica della solidarietà, quindi, riconosciamo che la clandestinità politica dei migranti e il razzismo istituzionale hanno reso tutti più insicuri. Per questo vogliamo scendere nuovamente in piazza assieme e allargare la mobilitazione contro una precarietà sempre più diffusa.
Le lotte portate avanti dai migranti in questi anni hanno insegnato che non ci possono essere miglioramenti reali senza il protagonismo diretto. Lo sciopero del primo marzo ha fatto vedere in più che è possibile scioperare al di fuori delle logiche tradizionali, che la lotta sui posti di lavoro può unire là dove le leggi e la precarietà dividono.
Nella crisi economica e di fronte a leggi che producono razzismo e divisioni, vogliamo rilanciare un movimento che porti a cambiare questo stato di cose. Per questo lanciamo una mobilitazione diffusa su tutto il territorio, con iniziative articolate in base alle diverse possibilità e capacità, che non si esaurisca nella data del primo marzo, nello spirito della Carta dei Migranti approvata a Gorée (Senegal) e sulla base di alcuni principi condivisi:

• Per l’abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i CIE in Italia e in Europa;
• Per la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia;

• No al permesso a punti e a nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno;

• Per una regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno, senza truffe e senza produrre altre gerarchie, per il riconoscimento di fatto del diritto d’asilo senza ritardi, lungaggini e discrezionalità;
• Contro la precarietà, e per un welfare non basato sullo sfruttamento e l’esclusione di alcuni;
• Per costruire insieme uno sciopero di tipo nuovo ancora più grande, capace di unire e cambiare questo stato di cose.

Per adesioni: primomarzo2010comitati@gmail.com

COMUNICATO STAMPA - PRIMO MARZO 2012


VIA LA PATENTE AL RAZZISMO: I PUNTI SONO FINITI
Il primo marzo del 2010 e 2011 in decine di città italiane lavoratori migranti e italiani hanno scioperato assieme contro il razzismo istituzionale della legge Bossi-Fini avviando così un protagonismo diretto sui temi politici nodali per la nostra società, dimostrando come si possa lottare insieme per i diritti di tutti.
Il razzismo non è solo un fenomeno culturale, ma si appoggia su leggi e provvedimenti amministrativi che considerano i migranti come braccia da sfruttare o nemici da combattere: uno stato di cose che produce gerarchie e clandestinità.
La condizione migrante, infatti, non è separata da quella italiana, ma con la sua specificità mostra tendenze e dinamiche che coinvolgono tutti, in particolare sul terreno del lavoro. Ma al contempo è diversa perché solo per i migranti precarietà e crisi economica possono portare a una detenzione amministrativa che mette a rischio il permesso di soggiorno e le scelte di vita relative a un processo migratorio costruito in anni di lavoro, impegno, rimessa in discussione dei propri parametri culturali e modi di vita.

Nella crisi economica e di fronte a leggi che producono razzismo e divisioni, vogliamo rilanciare un movimento che porti a cambiare questo stato di cose. Così, anche quest’anno per il primo Marzo, richiamiamo a una mobilitazione diffusa su tutto il territorio nazionale nello spirito della Carta dei Migranti approvata a Gorée (Senegal), sulla base di principi condivisi che difendono la libera circolazione delle persone e l’esercizio di una piena cittadinanza fondata sulla residenza e non sulla nazionalità. In tal senso intendiamo avviare un percorso che non si esaurisca nella data del primo marzo, ma unisca le persone in un filo giallo sovranazionale, cancellando le frontiere culturali che ancora ci limitano. Ciò è ancora più importante in Italia dopo i pogrom di Rom come quello di Torino e l’omicidio razzista a Firenze di Samb Modou e Diop Mor, che ha visto una grande reazione il 17 dicembre.

• Per l’abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i CIE in Italia e in Europa;
• Per la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia;
• No al permesso a punti e a nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno;
• Per una regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno, senza truffe e senza produrre altre gerarchie, per il riconoscimento di fatto del diritto d’asilo senza ritardi, lungaggini e discrezionalità;
• Contro la precarietà, e per un welfare non basato sullo sfruttamento e l’esclusione di alcuni;
• Per costruire insieme uno sciopero di tipo nuovo ancora più grande, capace di unire e cambiare questo stato di cose.


Adesioni: primomarzo2010comitati@gmail.com,
Per informazioni a stampa, radio e tv
primo.marzo.ufficio.stampa@gmail.com Telefono ufficio stampa: 342 7265787 per interviste inviare e-mail di richiesta all’ufficio stampa poi chiamare: 366 5044328

PRIMO MARZO 2012



Modalità di piazza:


Il colore di riferimento di Primo marzo è tradizionalmente il giallo, scelto per la sua neutralità politica e perché è considerato il colore del cambiamento.
Ogni piazza italiana, a seconda delle modalità scelte dai gruppi locali, sarà riempita di foulard, spille, nastri, palloncini gialli e le bandiere per chi è costretto al lavoro in casa, come badanti o collaboratrici domestiche. Sono inoltre previsti eventi a tema, interventi di migranti e flash-mob in cui simbolicamente si taglierà un lungo nastro giallo indicando così la rottura dei confini e l’abbattimento delle frontiere. Nelle scuole s’invitano i ragazzi ad indossare indumenti gialli.
Vi invitiamo, quindi, a usare già da oggi un braccialettino o un nastrino di questo colore come segno di riconoscimento.
In molte città italiane sono attivi comitati locali che lanceranno a breve i numerosi eventi sul territorio.


Seguiranno:
Convocazione di conferenza stampa nazionale;
Programma delle iniziative locali;
Convocazione per il convegno sul Razzismo istituzionale, Bologna 18 Febbraio;
Convocazione per la Formazione dei giornalisti sui Cie e i Cara, Bologna 18 Febbraio.


17/02/2012

Festa evangelica del 17 febbraio

17 febbraio, per la liberta' di tutti


di Maria Bonafede

Il 17 febbraio ricorre l'anniversario delle "patenti" con cui nel 1848 re Carlo Alberto riconobbe i diritti civili ai valdesi del Regno di Sardegna. Di lì a poco un provvedimento analogo giunse anche per gli ebrei ma, negli anni, è la data del 17 febbraio che si è consolidata come giorno in cui celebrare la libertà religiosa. Pensando che il 17 febbraio del 1600 fu suppliziato Giordano Bruno è facile capire perché questa data sia divenuta una "giornata della libertà di coscienza" celebrata da molti laici e da molti credenti che ne riconoscono il valore culturale e politico.

Anni fa fu anche avanzata una proposta di legge tesa a istituire il 17 febbraio come giornata nazionale della libertà religiosa e di coscienza, e sarebbe un segnale certamente importante che questo Parlamento decidesse di approvarla. Questo è ovviamente il nostro auspicio, ma nutriamo più di qualche dubbio che in questa particolare fase politica si trovi spazio per temi così generali. Eppure sarebbe un bel segnale bipartisan sia perché non si vive di solo "spread" sia perché basta scorrere la cronaca internazionale di queste settimane per verificare come il tema della libertà religiosa e di coscienza sia tutt'altro che superato.

Gli attentati contro le comunità cristiane della. Nigeria, la difficile convivenza religiosa in molti paesi nordafricani compresi quelli della "primavera araba", le tensioni politico religiose in India sono solo alcuni esempi. Ma problemi grandi come case sorgono anche nel cuore dell'Europa: l'involuzione antidemocratica in Ungheria, ad esempio, finisce per ledere gravemente la libertà delle confessioni di fede di minoranza, e per noi evangelici italiani non è di alcuna rassicurazione il fatto che invece i "riformati" mantengano i diritti acquisiti nel tempo.

Il 17 febbraio, infatti, noi valdesi non celebriamo la "nostra" libertà ma vogliamo richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema generale della libertà di credere, di non credere e di credere "diversamente" rispetto alle forme codificate dalle varie tradizioni religiose. Lo facciamo laicamente, convinti di dover richiamare l'attenzione su un tema fondamentale di ogni "patto civile". Lo facciamo pensando alla lunga storia della nostra emancipazione, certo, ma anche ai diritti dei "nuovi italiani" che non hanno cittadinanza, ai problemi di tante comunità di fede prive di un riconoscimento ed anzi guardate con diffidenza e sospetto. Lo facciamo, insomma, nello spirito della Costituzione di un paese laico e pluralista. Più laico e più pluralista di come viene generalmente raffigurato.

10 febbraio 2012

15/02/2012

No al Concordato, no ai cappellani militari

Nel momento in cui l’Italia attraversa un’aspra crisi economica e sociale e chiama tutti a fare sacrifici e a rinunciare a diritti pur legittimamente acquisiti anche la Chiesa cattolica romana deve fare la sua parte.
Riteniamo perciò doveroso che le autorità cattoliche dimostrino la disponibilità a ridiscutere alcuni dei privilegi ottenuti con il nuovo Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984, e con successivi accordi economici e normativi direttamente o indirettamente derivanti da quel patto. Sarebbe infatti scandaloso se la gerarchia cattolica non rinunciasse ora ai privilegi concordatari, così come auspicava il Concilio Vaticano II.
In tale contesto, cercando di seguire Cristo nostra pace, noi riteniamo che l’istituto dei cappellani militari, che gli accordi Stato-Chiesa di fatto inquadrano nelle Forze armate, con relative stellette e retribuzioni, strida con la laicità dello Stato e con lo spirito dell’Evangelo di pace che dovrebbe animare sempre ogni attività ecclesiale. Al di là della buona volontà personale, l’istituzione stessa dei cappellani militari – come ci hanno profeticamente ricordato, tra gli altri, don Lorenzo Milani e padre Ernesto Balducci, e il vescovo don Tonino Bello – significa un appoggio simbolico alle armi. E se possiamo comprendere la volontà di assistere pastoralmente i militari, riteniamo che questa funzione non vada assolta da sacerdoti con le stellette e pagati dallo Stato, ma in altro modo, per esempio attraverso le parrocchie nel cui territorio sono stanziate caserme e centri militari o con distacchi volontari di preti o diaconi per le missioni all’estero, pronti a benedire le persone, ma mai le armi.

Da più parti, in questi giorni, si è chiesto che il governo, che vuole caratterizzarsi per una politica di rigore, ridimensioni gli investimenti per la Difesa, in specie per l’acquisto degli aerei F-35, una spesa onerosissima - per noi incompatibile con le esigenze meramente difensive cui la nostra Patria è obbligata dalla Costituzione - che potrebbe lodevolmente essere risparmiata, dirottando invece quell’immenso fiume di denaro per iniziative sociali e per aiutare gli strati più deboli della popolazione.

Speriamo che le comunità cristiane con i loro pastori siano con noi contro l’acquisto degli F-35 e contro le immense spese militari, e per promuovere invece la Difesa popolare nonviolenta.

Imploriamo da Dio il dono della pace, ripetendo a noi stessi e a tutti: “Se vuoi la pace, cerca e prepara la pace”.

Roma, 18 febbraio 2012

28° dalla firma del nuovo Concordato
Promuovono: Cipax, Cdb SanPaolo, Pax Christi Roma aderiscono:
Le Consulte per la Laicità delle Istituzioni

Vademecum per chi non sceglie l'insegnamento della religione cattolica

Al fine di garantire una corretta informazione in merito alla scelta se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e soprattutto di vedere concretamente garantite le 4 opzioni (compresa quella delle materie alternative) a disposizione di chi non intenda avvalersene, si pubblica questo breve Vademecum informativo complessivo su tutta la vicenda dell'insegnamento della religione cattolica (IRC) e dell'ora alternativa.


Si ricordi che IRC:


- è un insegnamento confessionale cattolico, in quanto gli insegnanti sono selezionati dalla curia, con titoli di studio conseguiti presso istituti riconosciuti dalla Santa Sede e non con concorsi pubblici.
- si tratta di una condizione di privilegio nei confronti di una confessione, sia pure la più numerosa nel paese, che spesso si traduce nella presenza di una forte simbologia cattolica in una scuola che dovrebbe essere laica e pubblica.
- è una materia pienamente facoltativa (Nuovo Concordato del 1984; sentenze che la Corte Costituzionale ha emesso sulla questione: n. 203/1989, n. 13/1991, n. 290/1992 e relative circolari applicative): avvalersi o non avvalersi dell’IRC(insegnamento della religione cattolica) è una libera scelta. L’art. 9 della legge n. 121 del 1985, che recepisce il neo-Concordato del 1984, dispone che il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’IRC è garantito a ciascuno e che tale scelta non può dare luogo ad alcuna forma di discriminazione.
- la scelta va fatta all’atto dell’iscrizione ed «ha effetto per l'intero anno scolastico cui si riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione d'ufficio, fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'Irc» (Intesa tra la CEI e il MPI :Punto 2.1 del DPR 751/85; DL 297/94 artt..310-11,Testo Unico sulla legislazione scolastica). La scuola deve ogni anno fornire un'adeguata e tempestiva informazione per garantire la possibilità di modificare o confermare la scelta: quindi i genitori o gli studenti che intendono cambiare la scelta per l'anno scolastico successivo devono notificarlo espressamente alla scuola entro gennaio-febbraio, mesi delle iscrizioni.
Se non ci si avvale dell’IRC ci sono quattro diverse possibilità, che le scuole sono tenute a garantire tutte:


1) “attività alternative” all’IRC (indicate nei moduli delle scuole come “attività didattiche e formative”) . Per la difficoltà di gestire l’orario degli insegnanti, per la carenza di fondi, per i tagli al personale, le scuole tendono a non attivarle. Ma, se sono richieste (anche da un solo studente, così come per l’IRC), la scuola è tenuta ad organizzarle. Sono deliberate dal Collegio dei docenti,sentito il parere di alunni e genitori, e prevedono un programma e un docente apposito, oltre alla valutazione del profitto sotto forma di giudizio (escluso dalla media dei voti). Occorre chiarire che l’attività alternativa è dovuta e, qualora non ci fossero i docenti, si deve procedere alla chiamata di un incaricato, come si farebbe per qualsiasi altra disciplina. Le attività sono finanziate con i fondi di appositi capitoli di spesa stabiliti ogni anno, regione per regione, con la Legge Finanziaria ("Spese per l'insegnamento della religione cattolica e per le attività alternative all'insegnamento della religione cattolica, con esclusione dell'IRAP e degli oneri sociali a carico dell'amministrazione").


2) studio individuale: la scuola deve individuare locali idonei ed assicurare adeguata assistenza.


3) libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente. La scuola è comunque tenuta a garantire la sicurezza e la vigilanza.


4) non essere presente a scuola: chi non ha scelto l’IRC non ha alcun obbligo, e quindi non è tenuto ad essere presente a scuola durante l’ora di IRC.. Naturalmente i genitori degli allievi minorenni devono dichiarare per iscritto che consentono ai figli di assentarsi dalla scuola in quelle ore. Questa possibilità è stata inizialmente definita dalla circ. min. 9/1991 applicativa delle sentenze della Corte costituzionale n.203/1989,n.13/1991 per le quali chi non segue l’insegnamento della religione cattolica è in uno "stato di non obbligo".
Non obbligo significa non essere costretti a nulla contro la propria volontà. (ad es. non si può essere trasferiti in classi diverse dalla propria, non si può essere costretti a stare in classe durante l’IRC, non si può essere costretti a scegliere l’uscita dalla scuola se non è una libera scelta, non si può essere costretti a fare un’attività alternativa se non si è liberamente scelta quell’opzione).
Ovviamente l'insegnante di RC non deve partecipare agli scrutini di chi non si avvale. Per chi si avvale, il DPR 202 /1990 al punto 2.7 recita : “nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale”, ciò al fine di evitare promozioni (o bocciature) determinate soltanto dalla scelta dell’IRC. Tale norma vale anche, allo stesso modo, per i docenti di materia alternative.
Anche se questa disposizione non dovrebbe dare adito a interpretazioni controverse, vi sono sentenze discordanti emesse da Tribunali Amministrativi Regionali. Che il giudizio motivato, trascritto a verbale, non sia rilevante sul piano del computo effettivo dei voti è chiaramente affermato nella Sentenza n. 780 del 16 ottobre 1996 emessa dalla prima sezione del TAR del Piemonte, oltre che dalla limpida interpretazione del ministro P.I. on. Giancarlo Lombardi, in carica nel 1990.

COMPORTAMENTI ILLEGITTIMI


Sulla base di quanto detto e in rapporto alla laicità della scuola pubblica, alcuni comportamenti tenuti dalla scuola sono illegittimi.


Ad esempio:


• non organizzare le attività previste e scelte in alternativa all'IRC.
• consegnare moduli che non prevedono rigorosamente le 4 opzioni.
• convincere i genitori a cambiare la scelta espressa.
• impedire di cambiare la scelta da un anno all'altro.
• impedire all'allievo di uscire dalla scuola durante l'ora di religione e/o fissare l'IRC in un orario che impedisca l'uscita da scuola (in particolare nella scuola materna ed elementare).
• utilizzare l'ora di religione per altre attività scolastiche
• fare propaganda religiosa all'interno della scuola (visite pastorali, pellegrinaggi, benedizioni...)
• valutazione in pagella dell'IRC e/o delle attività alternative.
• richiesta di pagamento per usufruire delle attività alternative. A tale proposito in una nota del 7 marzo 2011 del ministero dell’Economia e delle Finanze concordata con il MIUR si evidenzia che :
Al riguardo, poiché a seguito della scelta effettuata dai genitori e dagli alunni, sulla base della normativa vigente, di avvalersi dell'insegnamento delle attività alternative, le stesse costituiscono un servizio strutturale obbligatorio, si ritiene che possano essere pagate a mezzo dei ruoli di spesa fissa.
Non avvalersi dell’IRC è un tuo diritto: esigi che sia pienamente rispettato!

ORA ALTERNATIVA ALL’IRC: UN DIRITTO CHE DEVE ESSERE GARANTITO

La C.M. n. 9 del 18 gennaio 1991, sulla base degli accordi di revisione del Concordato stipulati nel 1984 fra lo Stato italiano e la Santa Sede ed in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n°13/1991, chiarisce il carattere pienamente facoltativo della frequenza dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In particolare, stabilisce per coloro che non intendono avvalersi di tale insegnamento la possibilità di scegliere fra quattro differenti opzioni: non presenza a scuola durante le ore di IRC, studio assistito da parte di personale docente, studio non assistito nei locali dell’istituto scolastico, attività didattiche e formative (meglio note come “ora alternativa”).


Il mondo laico, com’è noto, rifiuta in linea di principio la presenza all’interno della scuola pubblica di un insegnamento di natura confessionale (non si tratta infatti di una storia delle religioni o del fatto religioso) impartito da docenti scelti dalle autorità ecclesiastiche ma pagati dallo Stato italiano con i soldi di tutti i contribuenti (si noti, fra l’altro, che i tagli previsti dai nuovi quadri orari legati alla riforma “Gelmini” risultano ancor più consistenti se si tiene conto che in essi viene conteggiata anche l’ora di religione, la quale, essendo facoltativa, non dovrebbe essere computata nell’offerta formativa). Negli ultimi anni il dibattito si è fatto particolarmente vivace e si è intrecciato con quello più ampio sull’opportunità di introdurre nella scuola pubblica un insegnamento del fatto religioso o di storia delle religioni (e non solo di quella cattolica) non confessionale e fondato su criteri di scientificità; e, in caso di risposta affermativa, sull’alternativa fra l’ipotesi che tale insegnamento venisse diluito all’interno delle discipline già esistenti e quella che esso fosse una disciplina pienamente autonoma con tanto di docenti, voto e orario specifici. In effetti, sono stati praticati alcuni esperimenti miranti a introdurre tale insegnamento proprio nell’ambito dell’ora alternativa. Si tratta di tentativi interessanti e da incentivare, ma è importante ribadire che in nessun caso essi devono portare ad indebolire l’assoluta facoltatività dell’IRC, ed in particolare l’effettiva possibilità di scegliere di non avvalersi di alcun insegnamento ad esso alternativo.


Resta il fatto che attualmente il problema principale è quello di garantire l’effettiva agibilità di tutte le scelte previste dalla normativa. In particolare, appare preoccupante il fatto che negli ultimi anni è diventato sempre più difficile per studenti e famiglie ottenere l’attivazione dell’ora alternativa; cosa che appare assai grave sia in linea di principio che per le sue concrete conseguenze. Innanzitutto, infatti, l’esigibilità di un diritto garantito dalla legge deve essere difesa da tutti i laici, anche da coloro che non nutrono particolari entusiasmi per l’ora alternativa. In secondo luogo, mentre nelle scuole superiori la non attivazione dell’ora alternativa si traduce perlopiù nell’uscita da scuola, la situazione è ben diversa nel caso della scuola primaria e media inferiore. E’ quanto emerge un’indagine promossa dalla Consulta Torinese per la Laicità delle istituzioni, dal Comitato Torinese per la Laicità della Scuola, dal COOGEN, dalla FNISM Torino, dal CIDI Torino, dall’Associazione “31 ottobre”, dalla CUB Scuola e dal Gruppo di Studi Ebraici Torino. Dai dati raccolti risulta che in molte scuole l’ora alternativa non viene attivata, anche a fronte di un numero di richieste non sempre irrilevante. Soprattutto nelle scuole primarie il risultato concreto è che durante le ore di IRC i bambini non avvalentisi vengono spesso parcheggiati in altre classi o invitati ad essere presenti come uditori alle lezioni di religione; quando non sono gli stessi genitori, timorosi di vedere i propri figli abbandonati a se stessi, a preferire da ultimo farli frequentare l’IRC.


Il pretesto addotto dai dirigenti scolastici per non attivare l’ora alternativa è che le scuole, a maggior ragione in questo periodo di tagli dei finanziamenti, non sarebbero in grado di sostenerne i costi. In realtà i decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze stanziano ogni anno cifre cospicue per il pagamento sia dei docenti di IRC a tempo determinato, sia degli insegnanti di ora alternativa: in particolare, a livello piemontese sono disponibili ogni anno circa 38 milioni di euro ripartiti fra i vari ordini di scuola. Pertanto non c’è alcun bisogno che i dirigenti scolastici raschino il fondo di bilanci di istituto sempre più dissestati; è sufficiente che, a fronte di richieste di ora alternativa, richiedano i fondi necessari disponibili a livello regionale.
Insomma, la situazione è in grande movimento e va tenuta costantemente sotto controllo, per evitare abusi e inadempienze e l’associazionismo laico è pronto a continuare la propria battaglia anche su questo terreno, al servizio dei diritti degli studenti, delle famiglie e della laicità della scuola.


Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni


Comitato Torinese per la Laicità della Scuola


Associazione “31 ottobre per una scuola laica e pluralista promossa dagli evangelici italiani”


CIDI Centro Iniziativa Democratica Insegnanti


CGD Coordinamento Genitori Democratici Piemonte


COOGEN Coordinamento Genitori Nidi, Materne, Elementari, Medie


CUB Scuola


FLC-CGIL Torino


FNISM Federazione Nazionale Insegnanti


Gilda degli insegnanti


Gruppo di Studi Ebraici


MCE Movimento di Cooperazione Educativa


UIL Scuola

Siti su cui puoi approfondire l’argomento:


08/02/2012

Settimana della libertà. Un'occasione per riflettere sui diritti in senso lato

Numerose iniziative proposte dalle chiese evangeliche del Belpaese

Roma (NEV), 8 febbraio 2012 

 In molte città italiane fervono i preparativi per celebrare la "Settimana della libertà" degli evangelici italiani che quest'anno si tiene dal 12 al 19 febbraio. La “Settimana” infatti si colloca a cavallo del 17 febbraio, data in cui nel 1848 con le “Lettere Patenti” re Carlo Alberto di Savoia concesse i diritti civili ai valdesi.

Da Torino a Milano, da Firenze a Roma, da Napoli a Palermo per l'occasione sono previste tavole rotonde, dibattiti, spettacoli teatrali, cineforum, concerti. Al centro il tema del "Patto" come proposto dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) insieme all’Unione delle chiese cristiane avventiste (UICCA) e alla Federazione delle chiese pentecostali (FCP). Ma la "Settimana", com'è consuetudine, è un'occasione per riflettere sui diritti in senso lato: a Torino come a Milano, dove le iniziative sono proposte insieme alle Consulte cittadine per la laicità delle istituzioni, il fulcro sarà sulla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Nel 17 febbraio si concentrano infatti due importanti ricorrenze per la storia e per la cultura laica in Italia: non solo fu posto fine a secoli di persecuzione nei confronti dei valdesi, ma nel 1600 fu arso vivo a Campo de' Fiori a Roma il filosofo Giordano Bruno, campione del libero pensiero. L'idea delle manifestazioni di Torino e Milano è quella di rilanciare la proposta di legge, avanzata dal mondo evangelico italiano, dell'istituzione di una “Giornata della libertà di pensiero, di coscienza e di religione” da celebrarsi il 17 febbraio. Con la proiezione dello spettacolo teatrale "Le fiamme e la ragione", anche la chiesa valdese di Palermo si concentrerà attraverso la vicenda di Giordano Bruno sulla libertà di coscienza. A Firenze le chiese evangeliche mettono al centro la lotta al pregiudizio verso tutte le diversità, a partire dai rom e dai migranti. Tra le tante proposte anche un Seminario di formazione interculturale a cura del Dipartimento chiese internazionali dell'Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI) dove imparare a combattere i giudizi preconfezionati. A Roma la Consulta delle chiese evangeliche della città rifletterà sul tema "Un patto per il futuro", mentre a Napoli la "Settimana" sarà l'occasione per parlare della Shoah.

07/02/2012

Festa degli evangelici. Celebrazione della Festa del 17 febbraio a Verbania Intra

In occasione della ricorrenza del 17 febbraio, data che ricorda la concessione da parte di Carlo Alberto, con le Lettere patenti, dei diritti civili e politici ai sudditi valdesi (17 febbraio 1948).

DOMENICA 12 FEBBRAIO, ore 10,30
Culto unificato nel Tempio evangelica di Verbania Intra
Programma:


ORE 10,30
Culto presieduto dai pastori Jean-Félix Kamba Nzolo e  Giuseppe Platone della Chiesa Valdese di Milano.
ORE 12,30
Pranzo presso il Circolo Arci “Luigi Zappelli” (costo pranzo €10,00)
ORE 14,30
Conversazione sulla strage dei valdesi di Calabria con il pastore Giuseppe Platone.


Per l'occasione l'occasione non ci sarà culto in questa domenica nella chiesa di Omegna.

02/02/2012

L'Italia sono anch'io. Il 4 e 5 febbraio ultimo D-Day nazionale di raccolta firme

Le organizzazioni promotrici della Campagna respingono le provocazioni di Beppe Grillo.

Roma (NEV), 1 febbraio 2012 – Ancora un mese utile per la raccolta firme della Campagna “L'Italia sono anch'io”, promossa - tra gli altri - dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Sabato 4 e domenica 5 febbraio avrà luogo l'ultimo D-Day nazionale di raccolta firme prima della presentazione in Parlamento delle due proposte di legge di iniziativa popolare a favore dei diritti di cittadinanza. I comitati territoriali proseguiranno tuttavia a raccogliere le firme a livello locale ancora fino ai primi di marzo. Da nord a sud, da est a ovest della penisola sono numerose le comunità battiste, metodiste e valdesi impegnate nei comitati territoriali, a fianco di tanti altri soggetti della società civile, religiosi e non.
La Campagna prosegue nonostante le recenti polemiche in seguito alle dichiarazioni di Beppe Grillo che aveva definito “senza senso” la raccolta di firme per lo ius soli, finalizzata al "solo obiettivo di distrarre gli italiani dai problemi reali”. La risposta delle organizzazioni promotrici della Campagna non si è fatta attendere: “ciò che appare 'senza senso' è negare la legittimità e l'opportunità di una battaglia di civiltà”, si legge nel comunicato stampa congiunto. “Il consenso incontrato dalla Campagna – prosegue il comunicato – dimostra che esiste nel Paese una coscienza civile diffusa, che non considera affatto irrilevanti il tema dei diritti, della tutela delle minoranze, dell'uguaglianza e della giustizia sociale, principi peraltro sanciti dalla Costituzione”.
In questi giorni i temi della Campagna hanno fatto breccia nel dibattito pubblico, tanto da essere riproposti, tra gli altri, dal direttore della "Repubblica" Ezio Mauro nel suo editoriale del 28 gennaio "I diritti dei nuovi figli d'Italia". Particolare attenzione è stata dedicata dal sito Repubblica.it, che ha pubblicato diversi contributi, lanciando un'iniziativa attraverso la quale poter inviare delle foto a sostegno dei contenuti e del valore de "L'Italia sono anch'io" (www.repubblica.it/solidarieta). Inoltre, “Blob, di tutto di più”, rubrica di Rai3 di informazione e satira, ha mandato in onda il 21, 22 e 29 gennaio scorsi delle puntate speciali dal titolo “L'Italia dentro” sui temi promossi della Campagna (www.blob.rai.it).(http://www.litaliasonoanchio.it/)
La Campagna "L'Italia sono anch'io" promuove due proposte di legge di iniziativa popolare riguardanti rispettivamente le norme di accesso alla cittadinanza per le persone di origine straniera nate o residenti in Italia, e il diritto di voto amministrativo per i migranti residenti da cinque anni. Per presentare le proposte di legge in Parlamento servono entro i primi di marzo 50mila firme, per ogni disegno di legge .

______________________________________________________________
ALCUNI DATI SULLA PRESENZA STRANIERA IN ITALIA
 
(Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2011)
Al 1° gennaio 2011, i cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia hanno raggiunto 70.317 milioni con una incidenza sul totale della popolazione pari al 7,5%(secondo i dati Istat).
La stima elaborata dal Dossier Caritas fa salire a quota 4.968.000 i cittadini stranieri regolarmente residenti, includendo anche coloro che ancora non sono iscritti in anagrafe.
Rispetto all'anno precedente l'aumento è stato pari a 335.258 unità e quindi il numero di
stranieri regolarmente presenti in Italia negli ultimi due anni è rimasto sostanzialmente
costante. Per spiegare questo fatto va tenuto presente che nel 2010, a fronte di quasi
600.000 nuove presenze tra regolarizzati e nuovi ingressi, oltre 500.000 persone hanno perso il diritto al soggiorno.

DATI DEMOGRAFICI

Su una popolazione straniera di 4.570.317 milioni, il 51,8% delle persone straniere
regolarmente presenti in Italia sono donne. Se nel complesso della popolazione straniera
esiste un sostanziale equilibrio di genere, all'interno delle singole collettività ci sono forti
differenziazioni. Per esempio l'immigrazione dall'Ucraina si caratterizza per una spiccata
prevalenza femminile (79,8%) mentre quella dal Senegal è prevalentemente maschile
(75,6%).
Sul totale della popolazione straniera, i minori rappresentano quasi il 22% (993.238). Su
quasi un milione di minori stranieri residenti in Italia oltre 650.000 sono nati in Italia
(ovvero il 14,2%). Nel corso del 2010, i nuovi nati da genitori entrambi stranieri sono stati quasi 80.000 mila, con una crescita del 1,3% rispetto all'anno precedente.
L'età media degli stranieri (31,8 anni) continua ad essere bassa rispetto a quella degli italiani (43,5 anni). Gli stranieri si ripartiscono come segue: il 21,7% sono minori, il 75,9% sono in età lavorativa e il 2,4% sono ultra 65enni.

AREA DI PROVENIENZA

Al 1° Gennaio 2011, oltre il 50% delle persone straniere regolarmente residenti in Italia
proviene in ordine decrescente da Romania (968.576), Albania (482.627), Marocco
(452.424), Repubblica Popolare Cinese (209.934) e Ucraina (200.730), che rappresentano i 5 gruppi nazionali più numerosi.
Continua ad aumentare la presenza di cittadini provenienti dall'Asia centro-meridionale:
India (121.036mila), Bangladesh (82.451mila) e Pakistan (75.720mila).
Il continente africano è prevalentemente rappresentato da cittadini provenienti dai paesi
dell'Africa Settentrionale: Marocco (452424mila), Tunisia (106.291mila), Egitto
(90.365mila) e dall’Africa Occidentale.
I paesi più rappresentati dell'America centro-meridionale sono il Perù (98.603mila) e
l'Ecuador (91.625mila).

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
La popolazione straniera continua a distribuirsi sul territorio italiano in modo
disomogeneo, sia nel complesso che a livello di singole collettività. Nel corso del 2010 è
cresciuta sensibilmente la presenza straniera nel Mezzogiorno ma l’86,5% degli stranieri
risiede ancora prevalentemente nelle regioni del Nord (61,3%) e del Centro (25,2%). Il
9,6% nelle regioni del Sud e il 3,9% nelle Isole. La regione con il maggior numero di
stranieri continua ad essere la Lombardia (1.064.447) seguita dal Lazio (542.688), dal
Veneto (504.677) e dall’Emilia Romagna (500.597).

ACQUISIZIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA

Nel 2010 le concessioni della cittadinanza italiana sono state 40.223, un numero
pressochè invariato rispetto al 2009 (40.084).
Nel 2010, l'ottenimento della cittadinanza per matrimonio (21.630) ha superato quello per residenza (18.593). Il maggior numero di acquisizioni di cittadinanza ha riguardato
cittadini di origine marocchina (6.952). Da sottolineare che la maggioranza delle acquisizioni è stata ottenuta dalle donne (23.684, 58,9%). Le donne continuano a prevalere sugli uomini nell'ottenimento della cittadinanza per matrimonio (15.365),
mentre gli uomini prevalgono sulle donne nell'ottenimento della cittadinanza per residenza (13.311).

SCUOLA E UNIVERSITÁ
Nell’anno scolastico 2010/2011, gli alunni di cittadinanza non italiana che hanno frequentato la scuola italiano hanno raggiunto quota 709.826, registrando un aumento del 5,4% rispetto all'anno scolastico precedente.
La maggiore concentrazione di alunni stranieri continua a registrarsi nelle scuole elementari e medie inferiori, anche se negli ultimi anni la presenza nelle scuole dell'infanzia e nelle scuole medie secondarie è cresciuta.
Le nazionalità maggiormente presenti nelle classi sono quelle romena (126.441) e
albanese (99.421) seguite da quella marocchina che supera le 90.000 unità.
La caratteristica che contraddistingue la scuola italiana è la molteplicità delle nazionalità di provenienza degli alunni stranieri, ognuna portatrice di specifici bisogni formativi.
Da sottolineare la netta differenziazione nella scelta della scuola superiore tra studenti
italiani e stranieri: questi ultimi nel 77.6% dei casi scelgono istituti tecnici e professionali.
Nell’anno accademico 2010/2011, gli studenti stranieri iscritti all’Università risultano
essere 61.777, il 3,6% del totale degli iscritti. Tra gli studenti universitari stranieri il
59,3% è rappresentato dalle donne. L'Europa è il principale continente di origine degli
stranieri che studiano in Italia (con l'Albania che continua a mantenere il primato degli
iscritti) seguita dall'Asia (con i cinesi che sono diventati il secondo gruppo per iscritti). Il Centro Italia continua ad accogliere il maggior numero di studenti stranieri. Le facoltà più scelte continuano ad essere Economia, Medicina e Chirurgia, Ingegneria e Lettere e
Filosofia.

IL MONDO DEL LAVORO
L'impatto della crisi economica globale ha avuto ripercussioni significative sui lavoratori
stranieri, il cui tasso di occupazione è continuato a scendere.
Nel 2010, il numero di lavoratori stranieri occupati è arrivato a poco più di 2 milioni,
continuando a collocarsi nelle professioni non qualificate.
Rispetto agli italiani negli ultimi due anni di crisi i lavoratori stranieri hanno risentito anche di un deterioramento delle condizioni di lavoro (sottoccupazione, distanza tra titolo di studio e e tipologia di lavoro svolto, livelli salariali più bassi).

APPARTENENZA RELIGIOSA DEI MIGRANTI IN ITALIA
Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, al 31 dicembre 2010 tra i
4.570.317 stranieri residenti in Italia si stima che vi siano:
• 2.465.000 cristiani (53,9%);
• 1.505.000 musulmani (32,9%);
• 120.000 induisti (2,6%);
• 89.000 buddhisti (1,9%);
• 61.000 fedeli di altre religioni orientali (1,3%);
• 46.000 che fanno riferimento alle religioni tradizionali (1,0%);
• 7.000 ebrei (0,1%);
• 83.000 appartenenti ad altre religioni (1,8%).
A questi vanno aggiunti 196.000 stranieri (4,3%) classificabili come atei o non religiosi,
in prevalenza provenienti dall’Europa e dall’Asia (Cina in particolare).
I cristiani al loro interno sono così suddivisi:
• 1.405.000 ortodossi;
• 876.000 cattolici;
•204.000 protestanti;
• 33.000 di altre comunità cristiane.
Nel 2010 i cristiani sono aumentati dl 4% per l'incremento dei protestanti e degli
ortodossi, i musulmani dello 0,9% e i fedeli di religione orientale solo dello 0,4%.
Ripartizione dei gruppi nazionali:

•ortodossi: Romania 841.000, Ucraina 168.000, Moldavia 122.000, Macedonia 49.000 e Albania 42.000;
• cattolici: Filippine 109.000, Polonia 105.000, Ecuador 84.000, Perù 80.000,
Albania 77.000, Romania 71.000, Macedonia 49.000, Albania 42.000, Brasile
34.000, Francia 25.000 e circa 20.000 per Rep. Dominicana, Croazia e Colombia;
• protestanti: Romania oltre 50.000, Germania e Regno Unito 15.000, Ghana,
Nigeria e Perù 10.000, Filippine e Brasile 7.000;
• musulmani: Marocco 448.000, Albania 364.00, Tunisia 106.000, Senegal 75.000, Pakistan 73.000, Bangladesh 71.000, Macedonia 30.000, Algeria 25.000, Kosovo
21.000;
• religioni orientali: diverse collettività asiatiche.