Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 17 marzo, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con relatica Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 17 marzo, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9 con relativa Cena del Signore

25/02/2013

Incontri della Giornata mondiale di preghiera 2013: "Ero straniero e voi mi avete accolto"


Weltgebetstag 2013 Frankreich
VERBANIA:
VENERDI' 01 MARZO 2013
ORE 21 - Chiesa Evangelica Metodista, C.so Mameli 19

OMEGNA:
MARTEDI' 12 MARZO,
ORE 21.00 - Chiesa parrocchiale dell'Oratorio

La liturgia della Giornata mondiale di preghiera 2013 curata dalle donne cristiane della Francia

Ero straniero e voi mi avete accolto

Essere straniero/a - sentirsi estraneo/a - è qualcosa che ha a che fare con l'immigrazione o l'emigrazione, ma non solo. Questa sensazione può essere percepita anche nel proprio paese, nel proprio ambiente. Ci separano magari la cultura, i concetti religiosi diversi, oppure potrebbero essere aspetti superficiali come il colore della pelle, l'abbigliamento, l'acconciatura, i gioielli? Vi sono vari tipi di emarginazione che rendono la vita umana più difficile e possono perfino portare allo scoraggiamento e alla disperazione. Come possiamo reagire - per noi e per altre donne, per uomini e bambini? Soffermiamoci un attimo su questo tema interessante con l'ausilio dei brani biblici del Levitico 19,1-2; 33-37 et di Matteo 25, 31-46.

Ecumenismo al femminile

Nell’ambito della Giornata mondiale di preghiera non ci si accontenta di parlare di ecumenismo, ma lo si vive nel vero senso della parola. Sul piano nazionale si cerca e cura il contatto con le donne di tutte le denominazioni cristiane disposte a collaborare ecumenicamente. Sul piano internazionale valgono gli stessi principi da mettere in pratica. In numerosi paesi l’impegno di elaborare una liturgia comune rappresenta la primissima opportunità di lavorare insieme per le donne di varie Chiese cristiane. In altri paesi, dove l’ecumenismo femminile gode già di una lunga tradizione, le donne della Giornata mondiale di preghiera hanno notevolmente contribuito, attraverso le generazioni, a giungere al consolidato movimento attuale della base cristiana.

20/02/2013

Che cosa significa oggi «protestante riformato»?

di Eric Fuchs*

Le nostre chiese riformate non sanno più bene dove situarsi tra, da un lato un integralismo che respinge il legame con la cultura e si rinchiude in un autismo distruttivo e, dall’altro, un conformismo che, per paura delle differenze potenzialmente conflittuali, si allinea freddolosamente sui valori dominanti della società.

Predicare la «Santa ignoranza»(1) per meglio esaltare la fede è altrettanto dannoso quanto annunciare trionfalmente che è tempo di «credere in Dio che non esiste» per farsi ammettere da una società diventata indifferente; in un caso, è disprezzare l’intelligenza e confondere fede e credulità; nell’altro, è disprezzare il coraggio spirituale e confondere l’accettazione della differenza con la compiacenza.

Una intelligenza fecondata
Con sant’Anselmo, il protestantesimo ha sempre affermato che la fede chiamava l’intelligenza e la fecondava. Ha preso le distanze sia da un certo razionalismo orgoglioso sia da uno spiritualismo che pretende l’immediatezza di una relazione con il divino. La fede cerca la ragione per condurla a quello che la giustifica e la realizza. Ma anche per essere da essa preservata da ogni pretesa orgogliosa di credersi incaricata, lei sola, di condurre al bene e alla giustizia.
La fede senza la ragione sprofonda nel sentimentalismo o nel fanatismo. La ragione senza la fede manifesta un orgoglio arrogante. Karl Barth riassume così il proposito di Anselmo: Credo ut intelligam (credo per comprendere) significa: (2) La mia fede stessa, in quanto tale, è un appello alla conoscenza.
Credo non per non dover più pensare, (…), credo, per pensare meglio, in modo più rigo­roso e far così onore a Colui che mi vuole capace di «amarlo con tutto il mio pensiero» come dice il secondo comandamento della Leg­ge riassunto da Gesù. Si può dire che il protestantesimo, nel corso della sua storia, ha manifestato un grande appetito intellettuale e una grande preoccupazione di far capire che cosa è la fede nelle sue fonti come nei suoi frutti. L’identità protestante è dunque inseparabile dalla riflessione intellettuale teologica. Bisogna ripeterlo in un tempo in cui le nostre chiese protestanti sembrano disinteressarsi della sorte delle loro facoltà teologiche e dei loro centri di formazione e accettare che i loro pastori siano costretti ad assomigliare sempre di più a degli animatori culturali.
Ora, senza questo intellectus fidei, questa intelligenza della fede, questa si riduce a un sentimento, un’emozione, uno stato d’animo che non può né essere trasmesso agli altri (generazioni, in particolare), né nutrire un’azione concreta realistica. L’etica come la spiritualità evangelica sono allora trascurate, perché richiedenti un’esigente presa a carico di sé.
Ma, come ricordava già Dietrich Bonhoeffer alla sua chiesa: «La grazia a buon mercato è la nemica mortale della nostra chiesa. (…) In questa chiesa, il mondo trova, a buon mercato, un velo per coprire i propri peccati, peccati di cui non si pente e di cui (…) non desidera liberarsi (…) La grazia a buon mercato è la giustificazione del peccato e non del peccatore»(3) È dunque il rifiuto dell’etica evangelica a vantaggio di un’etica allineata sui comportamenti della maggioranza.

Tornare alla Fonte.
È dunque tempo di tornare a ciò che oggi chiamiamo volentieri «i fondamentali», il che designa, per quanto riguarda il protestantesimo riformato, l’insegnamento della Scrittura. (…)

Per la riforma protestante, non siamo salvati dai nostri meriti, dalla qualità o dagli scrupoli della nostra obbedienza ai comandamenti morali della chiesa, ma dalla sola fiducia e bontà di Dio. La salvezza si esprime molto concretamente attraverso un modo di vivere che onora Dio e, a imitazione di Cristo, si mette al ser­vizio del suo prossimo. Il protestantesimo è abitato da una esigenza morale che, per essere fedele a Colui al servizio del quale intende rispondere, deve riformarsi costantemente anch’essa. (..)

Combattere l’individualismo deleterio.
Primo valore da mettere in discussione: l’individuali­smo. Si è spesso detto a ragione che l’individualismo era uno dei frutti della Riforma per il peso che essa ha messo sulla fede personale; il legame istituzionale con la chiesa è secondario (per molti protestanti perfino inutile). Su que­sto punto bisogna chiaramente fare marcia indietro e ricordare con la Scrittura che non è bene che l’uomo sia solo.
La nostra società ha sviluppato un individualismo egoista e conflittuale; la concorrenza vi è diventata un modo di vita che, dal commercio, si è estesa all’educazione, alla sanità, allo sport, all’arte, al lavoro. L’Evangelo ci chiama invece a praticare la solidarietà, a interessarci agli altri, meglio, a costruire con essi una pratica comunitaria. Rispettare le persone e la loro specifici­tà è mettere in valore il loro contributo all’edificazione comune. Primo compito dell’etica pro­testante: difendere la persona piuttosto che l’individuo.

Quale libertà per quale uomo?

Secondo valore da riesaminare: la libertà. Quella che l’Evangelo ci offre ci dà il coraggio di rifiutare i diktat dell’economia, e le cosiddette ineluttabili leggi del marcato, come quelli della politica e dell’opinione, così facilmente manipolati dai media.
Ma la libertà evangelica non è quella del selvaggio che fa quello che vuole, secondo i suoi desideri, è la decisione legata alla volontà e alla ragione, di condurre la propria vita nella pre­oc­cu­pazione di mantenere viva la stima di sé.
Essere libero secondo l’Evangelo è sapersi giustificato da Dio, sapersi accettato, restituito alla libertà di non doversi giustificare, è, come dice Paul Tillich: Il coraggio di accettare di essere accettati. 4 (…)
Per questo i protestanti devono combattere la tentazione di ripiegarsi in un ghetto reli­gioso, lontano dai conflitti di questo mondo, come se la giustizia di cui parla l’Evangelo fosse riservata ai soli cristiani. 5 Crediamo che essa è anche la fonte segreta dell’esigenza e della speranza che abita il cuore di tutti gli uomini di buona volontà.
I cristiani devono dunque collaborare senza riserve con tutti coloro che si preoccupano del futuro del mondo sociale e naturale. Su questo piano, cristianesimo e umanesimo hanno lo stesso programma. (…)
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1.Secondo l’espressione di Olivier Roy, La Sainte ignorance. Le temps de la religion sans culture, Paris 2008
2.La preuve de l’existence de Dieu d’après Ansel­me de Canterbury, traduzione francese, 1958, Delachaux et Niestlé, p. 16
3.Le Prix de la Grâce, traduzione francese, 1962, Delachaux et Niestlé, p. 11
4.Le courage d’être, 1952, traduzione francese, Paris 1967, Castermann, p. 162
5.Fondamentalismo, una definizione possibile: «L’approccio fondamentalista è pericoloso perché è attraente per le persone che cercano delle risposte bibliche ai loro problemi di vita. Esso può abbindolarli offrendo loro interpretazioni pie ma illusorie, anziché dire che la Bibbia non contiene necessariamente una risposta immediata a ognuno dei loro problemi. Il fondamentalismo invita, senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero umano. Mette nella vita una falsa certezza perché confonde inconsciamente le limitazioni umane dei messaggi biblici con la sostanza divina di quel messaggio» (un teologo cristiano).

*Dottore in teologia e pastore, professore ono­rario dell’Università di Ginevra, per 20 anni diret­tore del Centro protestante di studi (Cpe) cofondatore del Laboratorio Ecumenico di Teologia (Aot).
In particolare ha pubblicato, principalmente presso Labor et Fides: L’éthique protestante, Comment faire pour bien faire, Le désir et la tendresse, L’exigence et le don, L’éthique chrétienne, Faire voir l’invisible, Réflexions théologiques sur la peinture, etc. Le sue opere sono tradotte in molte lingue.
(Traduzione dal francese di Lucilla Tron)
(20 febbraio 2013)
Dal sito: www.riforma.it

13/02/2013

Chiesa e potere nell’epoca post-secolare

di Paolo Naso, coordinatore Commissione studi della Federazione chiese evangeliche in Italia

Non è possibile scrivere di “Chiesa e potere” nell’anno in cui si ricordano i 1700 dell’Editto milanese dell’imperatore Costantino ignorando che solo qualche ora fa siamo stati sorpresi da un fatto inatteso e clamoroso come le dimissioni di papa Benedetto XVI. Questo gesto, che probabilmente potrà essere compreso e decifrato solo con il tempo e quando saranno chiarite le ragioni delle sussurrate frizioni interne all’establishment vaticano, ha una evidente ricaduta sull’ecclesiologia e forse sulla stessa teologia cattolica: come pochi altri questo gesto umanizza e vorrei dire “secolarizza” l’istituzione papale.
Dettate dalla stanchezza, dalla malattia o dal senso di responsabilità, le dimissioni sono difficilmente compatibili con l’esercizio di un “ministero vicario di Cristo in terra”, come recita una nota formulazione medioevale. Se tale debba essere il servizio del papa, ha gioco facile il cardinale di Cracovia e già segretario personale di Giovanni Paolo II, cardinale Stanislaw Dziwisz, a ricordare che “dalla croce di Cristo non si scende”.
Il papa teologo Joseph Ratzinger, con un gesto grave e anomalo, ha forse voluto dire che il papa, lui come altri, sulla croce di Cristo non ci è mai salito perché quel sacrificio resta unico e irripetibile.
Nelle particolari giornate che seguono le dimissioni, quella del papa appare oggi una missione certamente alta e autorevole ma assai più umana di quanto certa teologia cattolica abbia voluto affermare e la tradizione ecclesiale abbia celebrato per secoli. I teologi e il tempo ci diranno se si tratta davvero di una svolta nella comprensione della “forma di esercizio del primato petrino” - come già Giovanni Paolo II ipotizzava nel lontano 1995 all’interno della sua enciclica Ut unum sint - o se siamo di fronte a una scelta strettamente personale e quindi di modesto rilievo ecclesiologico.
Resta il fatto che le dimissioni di papa Ratzinger giungono in un tempo difficile per la vita della Chiesa cattolica ma più in generale per l’ecumene cristiana. Il cristianesimo non è più la “religio licita” e quindi fede tollerata tra le altre del pantheon imperiale: nei secoli è in varie aree del mondo è infatti cresciuto e si è consolidato arrivando a imporsi come “ideologia” del potere dominante.
Non è neanche – non è più – la religione di stati confessionali ormai attraversati dalla cultura e dai principi della laicità: il maglio della modernità ha frantumato l’idea stessa del “regime di cristianità” tipico del medio evo.
Ma passato per il tunnel di pesanti processi di secolarizzazione che sembravano segnare la fine della religione, il cristianesimo è oggi espressione tutt’altro che marginale di una ricerca di senso e di spiritualità. Vogliamo dire che se la modernità ha spezzato il nesso tra Chiesa e potere consolidatosi nel cosiddetto “costantinianesimo”, è pur vero che nel mondo globalizzato di oggi la semplice chiave della “secolarizzazione” non chiude la questione del ruolo pubblico delle religioni e quindi anche del cristianesimo.
E’ questa la tesi di fondo che emerge nel volume “Chiesa e potere. Libertà evangelica e spazio pubblico” (Claudiana 2013) che esce in occasione della Settimana della libertà promossa da varie chiese evangeliche italiane. Anche per esse, convintamente impegnate a difendere la laicità delle istituzioni e sempre pronte a denunciare la tentazione del potere ecclesiastico, la sfida è come “stare” nello spazio pubblico rendendo conto di ciò che sono, delle loro idee, dei loro principi: una comunità di fede che convive con molte altre presenze, una voce che si intreccia a molte altre voci aprendo nuove opportunità di conoscenza, confronto e dialogo. Un intreccio tra laicità e pluralismo, separatismo istituzionale e testimonianza pubblica della propria fede, identità e dialogo, appartenenza e ricerca di pellegrini che si muovono liberamente lungo varie vie dello spirito: qualcuno la chiama religiosità postsecolare.
(NEV-notizie evangeliche 07/2013).
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Riflessioni sul rapporto tra chiesa e potere nell'anniversario dell'Editto di Milano

- Dal riconoscimento del cristianesimo ai privilegi e alla critica del potere della chiesa
- Il rapporto chiesa/potere nella Riforma, dopo il Concilio, nella tradizione americana
- Chiesa, potere e società multiculturale, laicità, questioni di genere...

Con l'editto di Costantino del 313, di cui ricorre il 1700esimo anniversario, ai cristiani venne riconosciuto il diritto di professare la propria fede nei territori dell'Impero romano.
La fine delle persecuzioni aprì, tuttavia, la strada al potere temporale della chiesa, che portò con sé grandi disuguaglianze tra le fedi, prima fra tutte quella ebraica, facendo ben presto del cristianesimo e della sua principale istituzione un architrave del sistema di potere dominante.
Il libro ricostruisce il rapporto tra chiesa e potere soffermandosi su alcuni passaggi storici della Riforma protestante nonché sulle "sfide" della società odierna: multiculturalità, questioni di genere, laicità e "pari libertà".

Saggi di:
L. Alfieri, E. Bein Ricco, L. De Giovanni, F. Ferrario, E.E. Green, C. Napolitano, P. Naso, S. Nitti, D. Romano, M. Rubboli, L. Sandri, G. Tourn
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Per acquistare il libro sul sito dell'Editrice Claudiana cliccare qui

Perseverare nella libertà in Cristo.

Meditazione per la Settimana evangelica della libertà.
Festa del 17 febbraio 2013 - ricorrenza della pubblicazione delle Lettere Patenti del re Carlo Alberto di Savoia (17 febbraio 1848) con le quali concedeva i diritti civili e politici alla minoranza protestante valdese.

di Jean-Félix Kamba Nzolo, pastore valdese

"Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»". Galati 5,1.13-14

"Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Essi gli risposero: «Noi siamo discendenti d'Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: "Voi diverrete liberi"?»  Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figlio vi dimora per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi". Giovanni 8,31-35

La libertà è spesso intessa come facoltà di disporre se stesso, nel senso del libero arbitrio condannato da Lutero. Siamo sempre convinti oggi che tutti gli esseri umani nascono liberi e tali rimangono, ma se ci guardiamo intorno vediamo persone schiave di ogni sorta di schiavitù!
Ai tempi dell’apostolo Paolo si poteva nascere schiavi o diventarlo, insomma, la schiavitù era legalizzata. La libertà di cui parla Paolo nella sua lettera alle comunità cristiane della Galazia, non è evidentemente una libertà naturale, possesso inalienabile; è una libertà donata a chi per natura non la possedeva, appunto una libertà di schiavi liberati. Paragonando la condizione dei cristiani della Galazia a quella di schiavi per i quali è stato pagato il riscatto, come difatti succedeva a quei tempi, Paolo invita i suoi fratelli e sorelle nella fede a perseverare nella libertà ricevuta con la fede in Cristo. Il Cristo, prosegue l’apostolo, ci ha liberati dal peccato e dalla morte suo salario (Rm 6,23). Cristo ci ha liberati prendendo su di sé la maledizione della legge, inchiodandola sulla croce per sé e per noi che, partecipando alla sua morte nel battesimo siamo sottratti all’intero sistema della legge-peccato – maledizione - morte. L’ appello accorato di Paolo è rivolto alle persone che hanno ricevuto il vangelo di Cristo e ne hanno sperimentato la forza liberatrice, ma si sono sviati in buona coscienza dalla strada indicata dall’apostolo e con ciò si sono messi di nuovo sotto il giogo delle pratiche legali.
Il punto di partenza è una chiamata a libertà. Un punto comune a tutta la tradizione biblica del Nuovo Testamento sulla libertà è che essa è legata alla filiazione in Cristo. Avete ricevuto lo Spirito di adozione, scrive Paolo, in virtù del quale ci rivolgiamo a Dio come al nostro Padre. Questa adozione a figli e figlie di Dio resa possibile dalla liberazione avvenuta nell'opera di Cristo è il fondamento della libertà cristiana. Per l’apostolo non c’è libertà che non sia legata a una certezza e a una speranza: Gesù Cristo ha cambiato le regole del gioco di questo mondo per cui non ci sono più distinzioni sociali, religiosi e sessuali. Per questo i credenti non sono più condannati a divorarsi a vicenda, ma sono invitati a mettersi al servizio gli uni degli altri nella libertà dell’amore.
La libertà cristiana è una vocazione : <>. Siamo chiamati a ricevere, a vivere la libertà che ci è donata, una libertà-dono che solo Cristo può dare. L’opera di Cristo culminante nella morte sulla croce è un’opera di liberazione: <>. Per Paolo la vocazione cristiana si riassume in questo <> a una libertà che riceviamo come dono nella fede. La libertà cristiana è la stessa vita di fede nella sua essenza più profonda o natura. In altri termini, è nella vita di fede vissuta ogni giorno che ciascuno, ciascuna, sperimenta la libertà dell’essere figlio e figlia di Dio. Questo avviene attraverso scelte responsabili dettate dalla forza dell’amore. La vita cristiana è l'opposto del moralismo. Non siamo chiamati a osservare una legge impostaci dall'esterno, ma alla legge di Cristo che è legge della grazia, scritta nel nostro cuore per ispirarvi spontaneità e fervore. Il credente agisce in modo libero e responsabile perché lo sente dentro e non semplicemente per salvare le apparenze.
Per perseverare nella libertà bisogna vivere l’agape. Invitando i credenti a perseverare nella libertà offerta da Cristo, Paolo afferma che in Cristo Gesù<< quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore>> (Galati 5,6). L’agape è il fondamento per una libertà autentica. Vi è la vera libertà solo nell’amore di Dio. I Galati si erano sviati dalla via indicata da Paolo che era la via dell’agape per dedicarsi all’osservanza delle prescrizioni di una legge disconnessa, sganciata dalla sua fonte che è appunto l’amore per Dio e per l’essere umano. Una legge che divide là dove Cristo ha unito tutti i credenti nell’unica famiglia di Dio.
Per perseverare nella libertà che ci è donata in Cristo, dobbiamo combattere l’egoismo oggi dilagante. Intendere la libertà semplicemente come possibilità di fare ciò che si vuole, dimenticando che ogni libertà ha i suoi limiti, apre facilmente la strada all’egoismo e all’individualismo che sono i mali di cui soffre la nostra società. L’individualismo oltre a togliere all’essere umano la sua peculiarità di <>, cioè un essere chiamato alla socievolezza e alla solidarietà, fa dimenticare che non si è liberi, se non si è responsabili nelle proprie scelte; non si è liberi, quando si confonde il buono, il vero, il giusto con ciò che mi piace, mi pare, mi rende (non solo in termini di denaro …).
Tutta la vicenda di Gesù, vista in tutto il suo svolgimento, dagli inizi sino al culmine della Passione, morte e risurrezione, si è rivelata una scelta di libertà da ogni priorità egoistica.
L’apostolo Pietro mette in guardia i cristiani contro il reale rischio di servirsi della libertà come di un velo per coprire la malizia (1Pietro 2,16). Paolo ci invita a vivere il grande paradosso della libertà in Cristo: essere liberi significa essere nell'amore di Cristo, schiavi, cioè servi gli uni degli altri. Mettersi al servizio gli uni degli altri è rendere possibile un altro modo di vivere, un altro tipo di società, più giusta e più fraterna. Qui sta la forza trasformatrice del messaggio evangelico come messaggio di liberazione. L'Evangelo non è una dottrina o un insegnamento ma una forza vitale che cambia l'essere umano rendendolo responsabile nei confronti degli altri. Una forza che ci mette a contatto con la persona viva di Gesù Cristo, il Liberatore. Secondo l'evangelista Giovanni, la verità che rende liberi è Gesù stesso, è l'incontro con Gesù, il totalmente degno di fiducia che donna la vera libertà. Non nasciamo liberi ma lo diventiamo grazie a un incontro personale con Cristo, incontro che le Scritture identificano con la chiamata che Dio ci rivolge.

Il 17 febbraio è per noi un giorno di festa della libertà, in ricordo della concessione dei diritti civili e politici alla minoranza protestante valdese da parte del re Carlo Alberto di Savoia. Celebrare questa festa della libertà è rendere testimonianza della nostra liberazione in Cristo. E’ riconoscere che i cristiani valdesi, sono stati chiamati a libertà, sono stati liberati non da un sovrano umano ma dal Signore della loro fede. Il popolo valdese era libero spiritualmente e interiormente, ancor prima dell’avvenimento del 17 febbraio 1848 e della conseguente libertà di Culto.
La tentazione dei Galati è la stessa a cui siamo anche noi esposti. Anche noi siamo tentati di abbandonare la corsa o rischiamo di fare una cattiva corsa legando le nostre azioni ad una realizzazione ipotetica della legge, invece di accogliere la grazia liberante di Dio e lasciarci trasformare da essa. Da protestanti mettiamo sempre la fede davanti a qualsiasi opera del credente, ma il rischio sempre presente è che le nostre tradizioni e organizzazioni ecclesiastiche diventino in un certo senso delle leggi che ci offrono una falsa sicurezza di fronte a Dio; non siamo salvati perché manteniamo la chiesa con le nostre risorse o perché vi apparteniamo da generazioni, no! Ai Galati, Paolo ricorda che, una vita giusta, giustificata, una vita approvata da Dio non può essere meritata mediante le pratiche della Legge, solo la fede nella liberazione del Cristo vissuta nell’amore è decisiva. La fragile libertà che ci è donata in Cristo reclama la fermezza della fede per non ricadere nella ricerca della giustizia con i propri sforzi e mezzi.

06/02/2013

L'ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche


Vademecum per chi non sceglie l'insegnamento della religione cattolica
Al fine di garantire una corretta informazione in merito alla scelta se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e soprattutto di vedere concretamente garantite le 4 opzioni (compresa quella delle materie alternative) a disposizione di chi non intenda avvalersene, si pubblica questo breve Vademecum informativo complessivo su tutta la vicenda dell'insegnamento della religione cattolica (IRC) e dell'ora alternativa.
Si ricordi che IRC:
-    è un insegnamento confessionale cattolico, in quanto gli insegnanti sono selezionati dalla curia, con titoli di studio conseguiti presso istituti riconosciuti dalla Santa Sede e non con concorsi pubblici.
-    si tratta di una condizione di privilegio nei confronti di una confessione, sia pure la più numerosa  nel paese, che spesso si traduce nella presenza di una forte simbologia cattolica in una scuola che dovrebbe essere laica e pubblica.
-    è una materia pienamente facoltativa (Nuovo Concordato del 1984; sentenze che la Corte Costituzionale ha emesso sulla questione: n. 203/1989, n. 13/1991, n. 290/1992 e relative circolari applicative): avvalersi o non avvalersi dell’IRC(insegnamento della religione cattolica) è una libera scelta. L’art. 9 della legge n. 121 del 1985, che recepisce il neo-Concordato del 1984, dispone che il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’IRC è garantito a ciascuno e che tale scelta non può dare luogo ad alcuna forma di discriminazione
-    la scelta va fatta all’atto dell’iscrizione ed «ha effetto per l'intero anno scolastico cui si riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione d'ufficio, fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'Irc» (Intesa tra la CEI e il MPI :Punto 2.1 del DPR 751/85; DL 297/94 artt..310-11,Testo Unico sulla legislazione scolastica). La scuola deve ogni anno fornire un'adeguata e tempestiva informazione per garantire la possibilità di modificare o confermare la scelta: quindi i genitori o gli studenti che intendono cambiare la scelta per l'anno scolastico successivo devono notificarlo espressamente alla scuola entro gennaio-febbraio, mesi delle iscrizioni.
Se non ci si avvale dell’IRC ci sono quattro diverse possibilità, che le scuole sono tenute a garantire tutte:
1) “attività alternative” all’IRC (indicate nei moduli delle scuole come “attività didattiche e formative”) . Per la difficoltà di gestire l’orario degli insegnanti, per la carenza di fondi, per i tagli al personale, le scuole tendono a non attivarle. Ma, se sono richieste (anche da un solo studente, così come per l’IRC), la scuola è tenuta ad organizzarle. Sono deliberate dal Collegio dei docenti,sentito il parere di alunni e genitori, e prevedono un programma e un docente apposito, oltre alla valutazione del profitto sotto forma di giudizio (escluso dalla media dei voti). Occorre chiarire che l’attività alternativa è dovuta e, qualora non ci fossero i docenti, si deve procedere alla chiamata di un incaricato, come si farebbe per qualsiasi altra disciplina. Le attività sono finanziate con i fondi di appositi capitoli di spesa stabiliti ogni anno, regione per regione, con la Legge Finanziaria ("Spese per l'insegnamento della religione cattolica e per le attività alternative all'insegnamento della religione cattolica, con esclusione dell'IRAP e degli oneri sociali a carico dell'amministrazione").
2) studio individuale: la scuola deve individuare locali idonei ed assicurare adeguata assistenza.
3) libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente. La scuola è comunque tenuta a garantire la sicurezza e la vigilanza.
4) non essere presente a scuola: chi non ha scelto l’IRC non ha alcun obbligo, e quindi non è tenuto ad essere presente a scuola durante l’ora di IRC.. Naturalmente i genitori degli allievi minorenni devono dichiarare per iscritto che consentono ai figli di assentarsi dalla scuola in quelle ore. Questa possibilità è stata inizialmente definita dalla circ. min. 9/1991 applicativa delle sentenze della Corte costituzionale n.203/1989,n.13/1991 per le quali chi non segue l’insegnamento della religione cattolica è in uno "stato di non obbligo".
Non obbligo significa non essere costretti a nulla contro la propria volontà. (ad es. non si può essere trasferiti in classi diverse dalla propria, non si può essere costretti a stare in classe durante
l’IRC, non si può essere costretti a scegliere l’uscita dalla scuola se non è una libera scelta, non si
può essere costretti a fare un’attività alternativa se non si è liberamente scelta quell’opzione).
Ovviamente l'insegnante di RC non deve partecipare agli scrutini di chi non si avvale. Per chi si avvale, il DPR 202 /1990 al punto 2.7 recita : “nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale”, ciò al fine di evitare promozioni (o bocciature) determinate soltanto dalla scelta dell’IRC. Tale norma vale anche, allo stesso modo, per i docenti di materia alternativ
Anche se questa disposizione non dovrebbe dare adito a interpretazioni controverse, vi sono sentenze discordanti emesse da Tribunali Amministrativi Regionali. Che il giudizio motivato, trascritto a verbale, non sia rilevante sul piano del computo effettivo dei voti è chiaramente affermato nella Sentenza n. 780 del 16 ottobre 1996 emessa dalla prima sezione del TAR del Piemonte, oltre che dalla limpida interpretazione del ministro P.I. on. Giancarlo Lombardi, in carica nel 1990.
COMPORTAMENTI ILLEGITTIMI
Sulla base di quanto detto e in rapporto alla laicità della scuola pubblica, alcuni comportamenti tenuti dalla scuola sono illegittimi.
Ad esempio:
• non organizzare le attività previste e scelte in alternativa all'IRC
• consegnare moduli che non prevedono rigorosamente le 4 opzioni
•  convincere i genitori a cambiare la scelta espressa
•  impedire di cambiare la scelta da un anno all'altro
• impedire all'allievo di uscire dalla scuola durante l'ora di religione e/o fissare l'IRC in un orario che impedisca l'uscita da scuola (in particolare nella scuola materna ed elementare)
•  utilizzare l'ora di religione per altre attività scolastiche
• fare propaganda religiosa all'interno della scuola (visite pastorali, pellegrinaggi, benedizioni...)
•  valutazione in pagella dell'IRC e/o delle attività alternative
•  richiesta di pagamento per usufruire delle attività alternative. A tale proposito in una nota del 7 marzo 2011 del ministero dell’Economia e delle Finanze concordata con il MIUR si evidenzia che :
Al riguardo, poiché a seguito della scelta effettuata dai genitori e dagli alunni, sulla base della normativa vigente, di avvalersi dell'insegnamento delle attività alternative, le stesse costituiscono un servizio strutturale obbligatorio, si ritiene che possano essere pagate a mezzo dei ruoli di spesa fissa.

Non avvalersi dell’IRC è un tuo diritto: esigi che sia pienamente rispettato!

ORA ALTERNATIVA ALL’IRC: UN DIRITTO CHE DEVE ESSERE GARANTITO
La C.M. n. 9 del 18 gennaio 1991, sulla base degli accordi di revisione del Concordato stipulati nel
1984 fra lo Stato italiano e la Santa Sede ed in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n°13/1991, chiarisce il carattere pienamente facoltativo della frequenza dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In particolare, stabilisce per coloro che non intendono avvalersi di tale insegnamento la possibilità di scegliere fra quattro differenti opzioni: non presenza a scuola durante le ore di IRC, studio assistito da parte di personale docente, studio non assistito nei locali dell’istituto scolastico, attività didattiche e formative (meglio note come “ora alternativa”).
Il mondo laico, com’è noto, rifiuta in linea di principio la presenza all’interno della scuola pubblica di
un insegnamento di natura confessionale (non si tratta infatti di una storia delle religioni o del fatto
religioso) impartito da docenti scelti dalle autorità ecclesiastiche ma pagati dallo Stato italiano con i soldi di tutti i contribuenti (si noti, fra l’altro, che i tagli previsti dai nuovi quadri orari legati alla riforma “Gelmini” risultano ancor più consistenti se si tiene conto che in essi viene
conteggiata anche l’ora di religione, la quale, essendo facoltativa, non dovrebbe essere computata
nell’offerta formativa). Negli ultimi anni il dibattito si è fatto particolarmente vivace e si è intrecciato
con quello più ampio sull’opportunità di introdurre nella scuola pubblica un insegnamento del fatto
religioso o di storia delle religioni (e non solo di quella cattolica) non confessionale e fondato su criteri di scientificità; e, in caso di risposta affermativa, sull’alternativa fra l’ipotesi che tale insegnamento venisse diluito all’interno delle discipline già esistenti e quella che esso fosse una disciplina pienamente autonoma con tanto di docenti, voto e orario specifici. In effetti, sono stati praticati alcuni esperimenti miranti a introdurre tale insegnamento proprio nell’ambito dell’ora alternativa. Si tratta di tentativi interessanti e da incentivare, ma è importante ribadire che in nessun caso essi devono portare ad indebolire l’assoluta facoltatività dell’IRC, ed in particolare l’effettiva possibilità di scegliere di non avvalersi di alcun insegnamento ad esso alternativo.
Resta il fatto che attualmente il problema principale è quello di garantire l’effettiva agibilità di tutte
le scelte previste dalla normativa. In particolare, appare preoccupante il fatto che negli ultimi anni è
diventato sempre più difficile per studenti e famiglie ottenere l’attivazione dell’ora alternativa; cosa
che appare assai grave sia in linea di principio che per le sue concrete conseguenze. Innanzitutto,
infatti, l’esigibilità di un diritto garantito dalla legge deve essere difesa da tutti i laici, anche da coloro che non nutrono particolari entusiasmi per l’ora alternativa. In secondo luogo, mentre nelle scuole superiori la non attivazione dell’ora alternativa si traduce perlopiù nell’uscita da scuola, la situazione è ben diversa nel caso della scuola primaria e media inferiore. E’ quanto emerge un’indagine promossa dalla Consulta Torinese per la Laicità delle istituzioni, dal Comitato Torinese per la Laicità della Scuola, dal COOGEN, dalla FNISM Torino, dal CIDI Torino, dall’Associazione “31 ottobre”, dalla CUB Scuola e dal Gruppo di Studi Ebraici Torino. Dai dati raccolti risulta che in molte scuole l’ora alternativa non viene attivata, anche a fronte di un numero di richieste non sempre irrilevante. Soprattutto nelle scuole primarie il risultato concreto è che durante le ore di IRC i bambini non avvalentisi vengono spesso parcheggiati in altre classi o invitati ad essere presenti come uditori alle lezioni di religione; quando non sono gli stessi genitori, timorosi di vedere i propri figli abbandonati a se stessi, a preferire da ultimo farli frequentare l’IRC.
Il pretesto addotto dai dirigenti scolastici per non attivare l’ora alternativa è che le scuole, a maggior ragione in questo periodo di tagli dei finanziamenti, non sarebbero in grado di sostenerne i costi. In realtà i decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze stanziano ogni anno cifre cospicue per il pagamento sia dei docenti di IRC a tempo determinato, sia degli insegnanti di ora alternativa: in particolare, a livello piemontese sono disponibili ogni anno circa 38 milioni di euro ripartiti fra i vari ordini di scuola.  Pertanto non c’è alcun bisogno che i dirigenti scolastici raschino il fondo di bilanci di istituto sempre più dissestati; è sufficiente che, a fronte di richieste di ora alternativa, richiedano i fondi necessari disponibili a livello regionale.
Insomma, la situazione è in grande movimento e va tenuta costantemente sotto controllo, per evitare abusi e inadempienze e l’associazionismo laico è pronto a continuare la propria battaglia anche su questo terreno, al servizio dei diritti degli studenti, delle famiglie e della laicità della scuola.
Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni

Siti su cui puoi approfondire l’argomento:
www.torinolaica.it
www.retescuole.net/
www.associazione31ottobre.it/
www.coogen.org
www.genitoridemocratici.it
 







Incontri di studio biblico a Verbania