Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 17 marzo, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con relatica Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 17 marzo, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9 con relativa Cena del Signore

19/12/2012

Buone Feste!

Televisione. La rubrica Protestantesimo di RAIDUE compie 40 anni



Roma (NEV), 19 dicembre 2012 - A gennaio 2013 la rubrica televisiva "Protestantesimo" di RAIDUE compie 40 anni. 40 anni di dibattiti su temi teologici, etici e culturali, servizi di attualità sulla vita delle chiese evangeliche in Italia e all’estero, profili storici, studi biblici. Per celebrare la ricorrenza la rubrica, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), il prossimo 6 gennaio dedica un'intera puntata ai momenti salienti della storia recente, raccontati con la "prospettiva protestante" che, sin dalla prima messa in onda il 4 gennaio 1973, ha contraddistinto questo magazine. "Protestantesimo, nella varietà dei suoi linguaggi, ha cercato di essere il biglietto da visita di un modo alternativo di vivere l’Evangelo", spiega il caporedattore Marco Davite, sottolineando il contributo alla pluralità dell'informazione che la rubrica ha cercato di onorare in questi 40 anni. Più di 1000 trasmissioni che hanno attraversato il nostro tempo dal bianco e nero all’epoca di Twitter. Aperta all'incontro ecumenico e al dialogo tra le fedi, la rubrica è da sempre attenta alle sfide della società contemporanea, al rapporto chiesa e società e agli scottanti temi dell'etica e della bioetica. "Se 40 anni vi sembran pochi": questo il titolo della puntata che ripercorrerà sinteticamente la storia del nostro paese. "Cercheremo di capire come è cambiata l'Italia e come 'Protestantesimo' ha raccontato questi cambiamenti", è quanto ha anticipato Davite. Il prossimo 6 gennaio all'una di notte circa, con repliche lunedì 7 gennaio sempre all'una di notte e lunedì 14 alle 9.30.

12/12/2012

False accuse alla laicità

di Eric Noffke, pastore valdese

Per fortuna il discorso del cardinale Scola, pronunciato a Milano in occasione della festa di Sant’Ambrogio, ha suscitato un coro di sdegno: diverse riposte, puntuali ed intelligenti, sono arrivate da alcune delle voci più autorevoli del panorama intellettuale italiano. Giustamente si è visto nelle parole dell’arcivescovo di Milano un ennesimo attacco all’idea di laicità e un inquietante auspicio a tornare al confessionalismo di Stato; il suo riferimento ad un presunto modello americano (che, è stato fatto notare correttamente, in quei termini oggi non esiste neanche più) sembra più uno specchietto per le allodole che una proposta seria. In realtà, in prossimità della campagna elettorale Scola ha voluto mandare ai milanesi tutti, a cominciare dal loro sindaco, il chiaro messaggio che le cose, nell’arcidiocesi di Milano, sono cambiate. Non che avessimo molti dubbi in proposito, ma un discorso come questo ci ripropone la domanda se una certa gerarchia cattolica voglia davvero porsi come interlocutore in un dialogo pubblico o se non abbia piuttosto ragione Paolo Naso quando, sul sito della Chiesa Valdese, parla di “guerra fredda”. In tal caso dobbiamo leggere le parole di Scola come una chiamata alle armi contro lo Stato laico; d’altra parte tutto il lavoro di Comunione e Liberazione non esprime proprio questo progetto?

Che la direzione sia questa ce lo dice prima di tutto il riferimento a Costatino, proprio in apertura del discorso di Scola. Invece di essere magistra vitae, la storia diventa piuttosto un’arma da guerra e altro non potrebbe essere la fuorviante immagine di Costantino eletto a patrono della libertà religiosa. È vero, il suo editto del 313 ha posto la parola fine alle persecuzioni dei cristiani, i quali saranno stati felici di poter professare la loro fede senza la paura di rischiare la vita. Esso, però, è stato il preludio delle persecuzioni degli eretici i quali, tra l’altro, con la loro stessa esistenza accusavano prima l’imperatore, poi il papa re di un uso politicamente e ideologicamente strumentale del cristianesimo. Per non parlare, come giustamente ci fa notare Vito Mancuso su Repubblica, della messa al bando dei culti pagani, ben presto a loro volta oggetto di condanne e vessazioni. Di Costantino e della svolta che impresse alla storia del cristianesimo ci sarà tempo per parlare nel corso dell’anno in maniera storicamente più argomentata e seria. Vederlo evocato in un atto di accusa alla laicità, però, richiama echi inquietanti di tempi che vorremmo lasciarci alle spalle. Dal cesaropapismo allo stato pontificio, la storia è piena dei pessimi esiti della commistione tra Stato e Chiesa. Ad ogni modo, proprio la storia è uno dei campi in cui si combatterà questa guerra, fredda o calda che sia, contro la laicità.

C’è poi un secondo punto che mi pare importante evidenziare: quali sono le fazioni opposte in questo confronto? Se da una parte, infatti, sta una maggioranza della gerarchia cattolica, con le sue spade affilate puntate contro lo schieramento laico e la sua cultura presunta secolarizzata, dove si collocano gli altri? E soprattutto, il mondo evangelico italiano da che parte sta? Quanti, nelle nostre chiese, sono tentati dal frutto polposo, ma avvelenato, della battaglia cattolica per i valori “non negoziabili” in campo etico? Naturalmente è un’illusione immaginare che il mondo evangelico possa assumere una posizione comune; ma non sarebbe una cattiva idea quella di evitare pericolose neutralità o scomode strumentalizzazioni. Siamo davvero appiattiti sull’alternativa tra una laicità alla francese o all’americana, quando nel nostro paese non abbiamo avuto né la Riforma protestante né la rivoluzione francese? Credo che sarebbe il caso di chiarirci le idee in qualche modo, magari proprio partendo dal diciassettesimo centenario dell’editto di Costantino.

Oggi più che mai, dunque, è necessario affermare che le accuse di Scola alla laicità sono false, soprattutto in Italia. Bisogna opporsi con forza a chi, come lui, cerca di riproporre, neanche tanto sotto mentite spoglie, una religione intesa come soffocante cappa liberticida, collaudata macchina di controllo delle coscienze, tesa alla difesa di ben precisi interessi di parte. Ma non basta: dobbiamo pure agire per offrire al nostro paese una reale alternativa evangelica, nel pensiero e nelle opere.
(nev-notizie evangeliche 50/12)

Laicità. FCEI: "Le parole di Scola aggrediscono il principio di laicità"

Il discorso dell'arcivescovo di Milano indice di una "restaurazione"

Roma (NEV), 12 dicembre 2012 - Con un comunicato stampa diffuso lo scorso 7 dicembre la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha preso posizione su quanto pronunciato dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, in occasione del tradizionale discorso per la festa del patrono della città, Sant'Ambrogio. Il cardinale, partendo da una riflessione generale sull'anniversario dell'Editto di Milano del 313, ha parlato di un "inizio mancato" in materia di libertà religiosa, per poi passare ad un'analisi contemporanea che vedrebbe una presunta esclusione dallo spazio pubblico delle religioni, esclusione riconducibile alla laicità dello Stato inteso come neutralità nei confronti delle espressioni di fede. Un ragionamento, quello di Scola, che in questi giorni ha suscitato diverse reazioni da parte di opinionisti credenti e non credenti.

Sconcerto per le parole di Scola è arrivato anche da ambienti evangelici. Di seguito la dichiarazione raccolta a caldo dal politologo Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), e diffusa lo scorso 7 dicembre a mezzo di comunicato stampa: "Le parole del cardinale Scola nel tradizionale messaggio alla città del 6 dicembre, lasciano sorpresi e sbigottiti perché aggrediscono quel principio di laicità che costituisce, oltre che un caposaldo della nostra Costituzione, l’architrave di ogni modello di convivenza tra fedi diverse nello spazio pubblico. L’arcivescovo di Milano va persino oltre il tradizionale appello di questo pontificato per una 'sana laicità' e denuncia 'una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente' e che, se fatta propria dallo Stato, 'finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa'. Scola è fine intellettuale e, se usa parole così nette ed esprime giudizi così perentori, è chiaro che ha un obiettivo preciso: a noi pare che intenda richiamare il suo gregge al fatto che il pastore è cambiato, che il tempo di Martini e Tettamanzi è ormai finito e con esso quello spirito di pluralismo, di laicità e di dialogo che per una lunga stagione hanno caratterizzato il cattolicesimo ambrosiano. Ruvidamente, come ruvide sono state le parole udite dalla Cattedra di Sant’Ambrogio, potremmo definirla 'restaurazione'".

Il pastore della chiesa valdese di Milano, Giuseppe Platone, che è anche segretario del Consiglio delle chiese cristiane del capoluogo lombardo (CCCM), per parte sua ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Il cardinale Scola ci ha crudemente messi di fronte al fatto di trovarci, sul tema della libertà religiosa, su posizioni lontane, contrapposte, che in prospettiva rischiano di rendere il cammino ecumenico ancora più faticoso di prima. Non siamo comunque di fronte a degli ultimatum o diktat ma a posizioni, teologicamente e culturalmente diverse che possono (e forse desiderano) un confronto leale, senza scomuniche ma anche senza sconti. Dopo quindici anni di un cammino che ha visto cadute e energici rialzamenti, il CCCM, alla vigilia dell'anniversario della 'svolta costantiniana', è di fronte ad una sfida seria che deve trovare la sua risposta nella fedeltà all'evangelo del Cristo che ha dato tutto se stesso senza prendere nulla per sé. Come dire che le religioni, che camminano tutte con le gambe di credenti e di cittadini, imparino a fare un passo indietro per il bene comune".

07/12/2012

Chi sono i metodisti?

Cultoradio - 2 dicembre 2012
di Luca Baratto

Chi sono i metodisti e perché si chiamano così? È quello che ci chiede un ascoltatore della provincia di Foggia. «Dei luterani – ci scrive nella sua lettera – si può intuire che derivino dalla figura di Martin Lutero, i calvinisti da quella di Calvino, ma gli appartenenti alla chiesa metodista perché si chiamano così, perché portano questo nome?».
I metodisti – quelli che oggi fanno parte di una grande famiglia di chiese protestanti nate in Inghilterra nel 1700 ma presenti in tutto il mondo, tanto da contare circa 70 milioni di membri – devono il loro nome a un piccolo gruppo di persone raccolte attorno alla figura del teologo John Wesley.
Queste persone si riunivano ogni sera per leggere la Bibbia, dedicarsi con fervore alle visite ai carcerati, all’assistenza ai poveri, alla lotta all’analfabetismo. Erano così costanti, così metodici nella loro pietà personale che alla fine qualcuno iniziò a chiamarli, con una punta polemica, «i metodisti».
In realtà John Wesley e i suoi amici, nel corso del tempo, inventarono davvero un nuovo metodo, un nuovo modo di essere chiesa. L’Inghilterra del Settecento era nel pieno della Prima rivoluzione industriale.

Migliaia di persone si spostavano dalle campagne alle città, ritrovandosi a vivere in quartieri degradati, in case sporche, dove ogni relazione sociale era andata perduta. Alcolismo, lavoro minorile, condizioni di lavoro umilianti per uomini e donne, erano i mali comuni di quella società. Wesley capì che la sua chiesa, quella anglicana, non sapeva raggiungere quella gente; pensò che non erano le persone a doversi avvicinare alla chiesa ma piuttosto era la chiesa che doveva andare da loro. «Il mondo è la mia parrocchia» fu da subito il suo motto che lo portò a predicare nelle piazze e nei luoghi pubblici di ogni genere, e a fare delle case della gente, e non dei locali delle chiese, i luoghi di una rinnovata fede cristiana. Una spiritualità calda e coinvolgente; una predicazione che non solo chiedeva alla persone di cambiare ma annunciava a persone abbrutite che cambiare vita era davvero possibile; una grande attenzione e sensibilità sociale, tanto che proprio in seno al metodismo nacquero i primi sindacati britannici; tutte queste sono state le chiavi del successo di questo movimento che si diffuse in tutto il mondo.
In Italia i metodisti sono arrivati 151 anni fa: la loro storia è lunga quanto quella dell’Italia unita. Anche nel nostro Paese portarono la stessa miscela di spiritualità autentica e di impegno per la giustizia sociale. Vivere la propria fede nella città e cercarne il bene comune: questa continua a essere la spiritualità metodista.

(Rubrica «Parliamone insieme»della trasmissione di Radiouno «Culto evangelico» curata dalla Fcei, andata in onda domenica 2 dicembre).

05/12/2012

Domenica 09 dicembre 2012 : Festa prenatalizia della comunità evangelica Metodista di Omegna


FESTA DELL'ALBERO


Ore 10,30:  Culto animato dai ragazzi e ragazze del precatechismo e della Scuola domenicale.

Ore 12,30: pranzo comunitario.


Le persone interessate possono prenotarsi telefonando al pastore (tel.0323.516866) entro venerdì 7 dicembre.

01/12/2012

Tempo del Creato 2012

Chiesa Evangelica Metodista – Verbania Intra


Ordine del Culto - Tempo del creato 2012
Domenica 02.12.2012 -1°Domenica di Avvento

Introduzione (pastore)

Apertura (Armand)

Dio del cosmo, i nostri orecchi sono accordati per ascoltarti oggi nella grande sinfonia del creato.
Dio della comunione, i nostri occhi sono aperti perché vogliamo vederti oggi nel dramma dell’interdipendenza della natura.
Dio dei nostri cuori e delle nostre vite, vogliamo sperimentarti oggi sia nella bellezza che nell’agonia del mondo.

Inno 155: Il nostro aiuto, la nostra forza

Lode (Armand)

Preghiera (Susanna)

Canto: Sorto è il mattimo

Confessione di peccato (Paola)

“La terra appartiene a me, il Signore” (Levitico 25,23)

Riflessione

Confessione (Walter)

Inno: 184/1.2

Annuncio del perdono (pastore)

Inno 21 ( Innario “Cantiamo Insieme”)

Credo (Tutti)

Crediamo che il Creato è un dono di Dio,

espressione della bontà del nostro Creatore.

Crediamo che, come esseri umani, siamo parte di questo creato

e abbiamo parte in modo speciale al potere creativo di Dio.

Crediamo che le risorse delle nostre terre, delle acque e dell'aria

siano preziosi doni del nostro Creatore,

da usare e custodire con cura amorevole.

Crediamo che esista un ritmo nel creato di Dio,

come il battito di un tamburo:

quando perdiamo il ritmo, o il tamburo è rotto,

la musica è stonata.

Crediamo che, per ben amministrare il creato,

abbiamo la responsabilità di tenerci informati

sui problemi dei nostri popoli e della nostra regione,

e di condividere questa informazione nelle nostre comunità.

Esprimiamo questa fede,

rammentandoci dell'amore di Dio,

della grazia di Cristo

e della comunione dello Spirito Santo. Amen.(Donne del Pacifico)

Preghiera di ringraziamento “Grazie per i suoli” (Francesca)

Letture bibliche :

Salmo 104 (Vanessa)

(vengono portati sul tavolo della santa Cena dei cesti con fiori e frutti, simbolo della bellezza del creato di Dio)

Esodo 3,7-8 a (Davide)

Meditazione (Francesca)

PRESA DI COSCIENZA: LA NOSTRA APPARTENENZA (pastore)

L: Ogni parte di questa terra è sacra. Tutto ciò che avviene alla terra avviene anche ai figli della terra.

Questo sappiamo: la terra non ci appartiene:

T: Noi apparteniamo alla terra.

L: Questo sappiamo: tutte le cose sono legate

T: Come il sangue che unisce una stessa famiglia.

L: Questo sappiamo: non abbiamo tessuto noi la tela della vita:

T: Noi non siamo che un filo nella trama.

L: Questo sappiamo: qualunque cosa facciamo alla trama,

T: La facciamo a noi stessi.

Inno 12 “Grande sei Tu” (dall’Innario Cantiamo insieme)

Comunicazioni – raccolta delle offerte ( colletta a favore della Diaconia valdese)

Intercessione: preghiere spontanee

Preghiera di intercessione (Paola)

Padre nostro

Canto: Il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi

1.Laudato sii Signore per frate sole, sora luna,

frate vento il cielo e le stelle per sora acqua, frate focu.

Rit. Laudato sii Signore per la terra e le tue creature

2. Laudato sii Signore per quello che porta la tua pace

che saprà perdonare, per il tuo amore saprà amare.

Rit. Laudato sii Signore per la terra e le tue creature

3. Laudato sii Signore per sora Morte corporale

dalla quale homo vivente non potrà mai scampare

Rit. Laudato sii Signore per la terra e le tue creature

4. Laudate e benedite, ringraziate e servite

Il Signore con umiltà, ringraziate e servite

Rit. Laudato sii Signore per la terra e le tue creature

Benedizione (pastore) + Amen cantato.

29/11/2012

Segni dei Tempi RSI La1


Settimanale evangelico di informazione


sabato 1. dicembre 2012, RSI La1, 12.00

lunedì 3 dicembre 2012, RSI La1, dopo il TG notte (replica)

un programma a cura di Paolo Tognina

Il telefonino costa una vita (Blood in the Mobile)

Alcune delle materie prime con cui sono fatti i cellulari provengono dalla regione orientale del Congo, un’area caratterizzata da sanguinosi conflitti. Le industrie occidentali finanziano indirettamente la guerra nel Congo comperando le materie prime estratte nelle aree coinvolte nel conflitto. E i signori della guerra utilizzano i proventi delle attività minerarie per acquistare armi. Un circolo vizioso, fatto di violenza e ingiustizia, denunciato anche dagli organismi umanitari Pane per tutti e Sacrificio Quaresimale.

per rivederci in internet

22/11/2012

La chiesa cattolica e il Cinquecentenario della Riforma protestante


di Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia

Sembra stia diventando un chiodo fisso: il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, torna sul tema della Riforma o, più precisamente, della “divisione” che essa avrebbe determinato nel XVI secolo: "il teologo ed ecumenista Wolfhart Pannenberg afferma che la Riforma ha fallito e il risultato di questo fallimento sono state le sanguinose guerre di religione nel XVI e XVII secolo". Lutero aveva buone intenzioni, ma volerle unire alle "conseguenze terribili della Riforma nella stessa celebrazione festosa, mi sembra molto difficile". Responsabili del fallimento, tuttavia, sarebbero "entrambe le parti"; si potrebbe, dunque, commemorare insieme il Cinquecentenario della Riforma nel 2017 con una "celebrazione penitenziale comune nella quale riconosciamo insieme le nostre colpe". Mi permetto di dirlo con franchezza: un valdese italiano, che apprende da un esponente della curia romana che, ad esempio, la "soluzione finale" del problema protestante in Italia, tentata appunto tra XVI e XVII secolo, sarebbe una "conseguenza terribile della Riforma", ha qualche difficoltà a esprimere un commento sereno.
Dopo aver tirato un profondo respiro, tuttavia, si può forse provare a ragionare pacatamente. Da qualche decennio, Lutero è diventato "buono". Che però esista, in Occidente, un altro modo di essere chiesa, questo no; e se c’è, non è tale "in senso proprio". Sentirselo dire, può non far piacere. In fondo però, che la chiesa della Controriforma la pensi così, non dovrebbe stupire; e che poi in questo contesto sia possibile citare un teologo luterano come Pannenberg, dispiace ancora di più, ma nemmeno questo meraviglia del tutto. Ma vediamo di entrare nel merito.
In un certo senso, anzi, in più di uno, si può certo affermare che la Riforma abbia fallito. Ha fallito in quanto non è riuscita a rinnovare l’intera chiesa, a causa della reazione papale; ha fallito, soprattutto, come fallisce ogni impresa umana, anche la più santa e benedetta, in quanto comunque segnata dal peccato; la Riforma non ha riformato abbastanza e non ha sempre riformato bene; e la chiesa riformata secondo la Parola di Dio può riconoscere tali fallimenti, perché non soffre del delirio dell’infallibilità. Da questo punto di vista, la dimensione penitenziale non deve certo mancare nemmeno nel 2017: ogni trionfalismo sarebbe fuori luogo.
Il contrario del trionfalismo, in questo caso, è un’immensa, infinita gratitudine. Gratitudine a Dio per il dono della Riforma: per il dono di una fede vissuta, per quanto indegnamente, nel segno della libertà; per il dono della Scrittura letta in una comunità di sorelle e di fratelli; per il dono dell’annuncio di un Dio sconsideratamente misericordioso, talmente misericordioso da voler trarre anche me dalla mia fogna di peccato; per il dono di una chiesa rinnovata, dove non ci si interroga sul "ruolo dei laici", ma nella quale i "laici" (e le laiche) sono la chiesa; per il dono di poter vivere l’etica nella responsabilità, sapendo di poter sbagliare, ma tentando appassionatamente di non farlo e rischiando vie nuove, anche a costo di scandalizzare i benpensanti (esistono precedenti autorevoli); per il dono di una teologia che può pensare e parlare con franchezza, senza l’incubo di un’occhiuta sorveglianza di polizia spirituale, che si arroga il monopolio di ciò che essa chiama "servizio alla verità"; per il dono di un ministero che anche le mie sorelle condividono, aiutandomi nel tentativo di uscire dalle pastoie di una mentalità maschilista che soffoca anche i maschi. E’ probabilmente vero che il protestantesimo di questo inizio del XXI secolo attraversa una fase di grave difficoltà: la libertà dell’evangelo gli consente di riconoscerlo senza nascondersi in un gergo chiesastico e falsamente pio e anche di lasciarselo dire dalle gerarchie romane, lasciando tranquillamente aperta la questione se esse abbiamo o meno i titoli per farlo. Ma che oggi ancora esista una chiesa della Riforma, anzi, molte chiese diverse e in comunione (una realtà, questa, che il card. Koch e altri con lui faticano a comprendere e che per questo rimuovono), questo è un dono grande, che si può ricevere solo con commozione e passione di fede, e che cambia la vita, riempiendola di gioia.
Per questo io spero che le chiese protestanti di tutto il mondo sappiano ricordare il quinto centenario della Riforma della chiesa secondo la parola di Dio, nel 2017. Mi si dice che molti ambienti evangelici tengono parecchio a che ciò accada insieme alla chiesa di Roma. Sarebbe bello, io credo, se si potesse, insieme, rendere grazie dal profondo dell’anima al Dio che ha riformato la chiesa aprendole un futuro che milioni di donne e uomini hanno vissuto e possono vivere con passione grande. Non sono sicuro, leggendo le reiterate affermazioni del card. Koch, che lo spirito delle gerarchie romane sia esattamente questo. In tal caso, la gratitudine per la Riforma potrà essere solo la nostra. Senza polemica, senza astio, senza rivendicare, contro altri, alcuna "pienezza" protestante "dei mezzi di grazia". Ricorderemo la Riforma senza celebrarla: essa, infatti, voleva celebrare Cristo soltanto.
(nev-notizie evangeliche 47/12)

08/11/2012

XVI ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE DELLE CHIESE EVANGELICHE IN ITALIA

"Si spezzino le catene della malvagità" (Isaia 58:6)

Pomezia (RM), 1 - 4 novembre 2012

La presenza evangelica nello spazio pubblico italiano

Esprimere una voce protestante in uno spazio pubblico sempre più multiculturale e caratterizzato da una crescente pluralità di presenze è una delle maggiori sfide che ci stanno davanti.
“La giustizia, solo la giustizia seguirai” (Deuteronomio 16,20)
Il nostro paese vive una crisi molto pesante che sta sottraendo speranze e futuro a molti giovani e che colpisce molte famiglie come mai era accaduto negli ultimi decenni. Ci uniamo a quanti, anche nelle chiese protestanti europee, affermano che la crisi non è contingente, una criticità momentanea destinata a passare perché tutto tornerà come prima. La crisi che abbiamo di fronte rivela il fallimento di un modello economico centrato sullo sviluppo illimitato, il massimo consumo, il consumo dissennato delle risorse naturali, la logica del massimo profitto e la speculazione economica.
Rompere le catene della malvagità per noi significa annunciare la liberazione che viene dall’Evangelo della grazia. Significa anche denunciare questo modello e questa organizzazione dell'economia globale, impegnando le nostre chiese a praticare e promuovere un consumo più responsabile ed eticamente e socialmente sostenibile.

Sappiamo però che questo non basta.
La nostra fede e le nostre teologie non ci indicano un modello di sviluppo alternativo ma ci danno un orientamento e ci impegnano perciò a cercare forme di organizzazione economica rispettose della dignità dell'uomo e della donna, ispirate a criteri di giustizia e di equità sociale, di rispetto del creato che il Signore ci ha affidato perché lo preservassimo per il bene delle generazioni che verranno dopo di noi.

I singoli credenti e le chiese possono fare molto in questa direzione, e non solo compiendo gesti simbolici: la vigilanza critica sulle scelte politiche, ed economiche, lo schieramento dalla parte di chi più soffre le conseguenze della situazione in atto, la difesa di uno stato sociale efficiente e rigoroso, il lavoro giovanile costituiscono per noi priorità etiche e sociali da affermare e rivendicare nello spazio pubblico. Le chiese possono essere, e in parte già sono, luoghi di sperimentazione di quella società inclusiva testimoniata dall’evangelo e laboratori di formazione per vivere nel dialogo interculturale.

Patto di cittadinanza e diritti della persona
Riaffermiamo questi principi come credenti e cittadini che credono nel valore di un patto che impegna chi lo contrae. Di fronte al degrado della politica, a una corruzione endemica, alla scandalosa pratica delle lottizzazioni e degli abusi dei poteri derivanti dalla condizione di eletti dal popolo, dichiariamo il nostro sdegno. Attribuiamo questa deriva dell'etica pubblica allo smarrimento del senso comune dello spirito di servizio e a un sistema che ha alimentato e tollerato abusi, privilegi, furbizie che hanno finito per disgustare tante persone e tanti giovani allontanandoli dalla politica e dalla partecipazione civile. Sappiamo di non potere generalizzare e che esistono personalità e stili politici che ci danno fiducia e speranza. Tuttavia sentiamo debole il patto tra eletti ed elettori e persino il patto civile che dovrebbe unire tutti coloro che vivono in Italia.
Spezzare le catene della malvagità per noi significa restituire dignità e ruolo alla politica, combattere il malaffare che si è radicato al suo interno, costruire forme nuove di partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica.

Spezzare le catene della malvagità per noi significa ricostruire un patto civile che unisca nord e sud, chi ha un lavoro e chi lo cerca, chi offre la sua manodopera e chi fa impresa, chi è italiano e chi è immigrato nel nostro paese e intende contribuire alla sua vita economica, sociale e spirituale.
Spezzare le catene della malvagità per noi significa ricostruire relazioni tra uomini e donne improntate al rispetto e alla dignità e che escludano la cultura della violenza che ha portato a definire la realtà italiana attraverso il termine del “femminicidio”.
Laicità delle istituzioni e pluralismo religioso

Lo facciamo rinnovando il nostro impegno per la laicità ma anche consapevoli che in Italia riemergono ciclicamente spinte alla confessionalizzazione dello Stato e delle norme civili: pensiamo al dibattito relativo alla legge sulla procreazione medicalmente assistita e alla formulazione finale approvata dal Parlamento; al confronto sul testamento biologico e ai tentativi di vanificarne la portata; agli interventi a largo raggio dei vertici ecclesiastici cattolici a sostegno dell'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici e del privilegio dell'insegnamento religioso cattolico a spese dello Stato.
Mentre riconosciamo e rivendichiamo il “supremo principio di laicità” che anima la nostra Costituzione e quindi la necessaria autonomia della decisione politica da ogni condizionamento confessionalistico, ribadiamo l'importanza di uno spazio pubblico nel quale anche le comunità di fede possano esprimersi presentando le loro istanze, avanzando proposte e partecipando riconosciute alla vita sociale e culturale del Paese. Prendendo atto di quanto la FCEI ha fatto negli ultimi anni in questa direzione organizzando convegni, promuovendo la Settimana della libertà, rafforzando la rete dei contatti con esponenti della politica e della cultura, indichiamo questa come una priorità da perseguire anche nei prossimi anni.
Al tempo stesso ribadiamo l'impegno alla più ampia libertà religiosa. Valutando positivamente la conclusione dell'iter di approvazione di alcune Intese, auspichiamo che a breve il Parlamento possa approvare quelle ancora in discussione. Al tempo stesso, richiamando le conclusioni del convegno promosso dalla FCEI, svoltosi al Senato il 15 maggio 2012 alla presenza di autorevoli esponenti politici, e considerando il ruolo che a riguardo può svolgere la Commissione delle Chiese Evangeliche per i Rapporti con lo Stato (CCERS), impegniamo il Consiglio a promuovere un'azione di sensibilizzazione per il varo di una legge sulla libertà religiosa, finalmente sostitutiva delle vetuste norme sui "culti ammessi".
Pluralità e unità delle chiese evangeliche
Pur consapevoli delle diversità e talvolta delle dolorose divisioni che su alcuni temi dottrinali ed etici hanno allontanato tra loro alcune chiese di area riformata, non rinunciamo alla visione unitaria dell'evangelismo italiano che ha sempre caratterizzato la FCEI. Nonostante difficoltà e tensioni la FCEI continua a proporsi come uno spazio nel quale speriamo di potere accogliere con fraternità e generosità altre sorelle e altri fratelli che vorranno condividere alcuni tratti del nostro cammino. Ci rivolgiamo in particolare alla Federazione delle Chiese Pentecostali e alla Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (UICCA), che da alcuni anni partecipano alla vita della FCEI come osservatori, ringraziandoli per il contributo e il sostegno che ci hanno garantito, invitando le Chiese dell'UICCA a considerare la possibilità di una piena adesione.

La FCEI, infine, riconosce la ricchezza spirituale e sociale delle comunità che cercano di vivere la realtà di chiese multiculturali, italiane e non, e di una nuova cittadinanza in Cristo, realtà che, oltre a promuovere lo scambio interculturale all’interno delle chiese evangeliche, indica una strada di scambio e integrazione proponibile anche nello spazio pubblico.

Ecumenismo e dialogo

In un tempo in cui, in Italia come in Europa, si fanno più rare e complesse le relazioni ecumeniche, ribadiamo l'impegno della FCEI a promuovere un franco e costruttivo dialogo ecumenico sia con la chiesa cattolica che con quelle ortodosse, sempre più rilevanti in Italia. Per la specifica natura della FCEI, il terreno più congeniale per proseguire e auspicabilmente potenziare questo dialogo, radicato nella comune lettura delle Scritture e nella preghiera condivisa, è quello dell'azione e della testimonianza comune su temi su quali ci siamo già incontrati quali l'accoglienza agli immigrati, il servizio alla pace, alla giustizia e alla salvaguardia del creato.

Ci preoccupa che, mentre crescono nuove presenze religiose, manchino luoghi permanenti di incontro e confronto con credenti delle varie tradizioni. Apprezzando il lavoro fatto anche dalla FCEI e dall'apposita commissione istituita dal Consiglio nel settore del dialogo cristiano-islamico e rinnovando il sostegno al mensile Confronti, riteniamo che nel prossimo triennio il Consiglio debba promuovere nuove iniziative tese alla conoscenza e al dialogo con le nuove importanti presenze religiose che si stanno radicando anche in Italia: l'islam ovviamente ma anche induisti, buddhisti, mormoni.

Conclusione

A tutti noi sta a cuore il futuro di questa Federazione e per questo, tornati nelle nostre chiese, ci impegniamo a riferire sull'esperienza vissuta in questi giorni, sul dibattito che si è svolto e sulle decisioni prese, sapendo che molte di esse richiedono il nostro convinto e personale impegno.
Al Signore chiediamo che benedica questi sforzi e in un mondo carico di violenza e disperazione ci aiuti a rompere le catene della malvagità e a rispondere alla vocazione che ci rivolge nell'Italia di oggi.
L’Assemblea invita il Comitato Generale e il Consiglio a proseguire, nell'ambito delle più generali attività che sono loro proprie, anche nel prossimo triennio su queste linee.

24/10/2012

La Festa della Riforma protestante del 31 ottobre


immagini/homepage/imagehpf.jpg

La Festa della Riforma che cade ogni anno il 31 Ottobre è celebrata nelle chiese luterane e riformate per ricordare la nascita della Riforma protestante. Fu infatti il 31 ottobre del 1517 che il monaco agostiniano Martin Lutero affisse, come era d'uso a quei tempi, delle proposte, popolarmente conosciute come le 95 Tesi sul portone della chiesa del castello di Wittenberg in Germania, con lo scopo di dibattere dal punto di vista teologico sulla dottrina e le pratiche delle indulgenze.

Il fatto non fu un atto di sfida o di provocazione come si è generalmente pensato; Lutero non voleva attuare alcuna separazione dalla chiesa madre, voleva solo discutere pubblicamente, con altri teologi, per far arrestare il fenomeno delle indulgenze, che incideva negativamente sulle finanze dei poveri. Infatti le tesi furono scritte in latino, la lingua della chiesa cattolica. Ciononostante, l’evento creò una controversia tra Lutero e coloro che sostenevano il papa. Quando Lutero e i suoi seguaci furono scomunicati, nel 1520, la separazione fu inevitabile. Da allora si fanno storicamente nascere le correnti cristiane dei Luterani, Riformati e Anabattisti.

05/10/2012

Peccato

I peccati sono tutte le colpe che commettiamo, mediante le quali facciamo del male o non facciamo il bene che potremmo fare. Il contrario di peccare è fare il bene.

Il peccato al singolare è il fatto di essere separati da Dio. Dio non è mai separato da noi: noi ci allontaniamo da Dio, ma Dio non si allontana da noi. Siamo noi che siamo più o meno separati da lui quando lo respingiamo, o quando lo dimentichiamo. Il contrario del peccato è perciò la fede.

Come afferma l’apostolo Paolo, siamo tutti peccatori. In un certo senso c’è in questo una buona notizia: ciò ci rende tutti fratelli e sorelle e tutti beneficiamo del perdono di Dio. Questo ci esorta a essere benevoli nel modo in cui consideriamo le colpe degli altri.
Siamo tutti peccatori perché commettiamo errori (e talvolta orrori). Abbiamo bisogno di crescere e di essere liberati dalle nostre debolezze.

Se consideriamo la nostra umanità, ci rendiamo conto che non è possibile vivere in questo mondo senza sporcarsi le mani. Spesso l’alternativa che ci è imposta ci lascia soltanto soluzioni di cui nessuna è perfettamente adeguata e ci ritroviamo obbligati a compiere materialmente il male anche se cerchiamo di farne il meno possibile.

Ma niente panico, ci dice il Vangelo: Dio comprende, ama e perdona. Dio non è arrabbiato con noi quando abbiamo fatto del male. Il problema non siamo noi, bensì il male che abbiamo fatto e che facciamo. Perché il male è la sofferenza o la felicità che non sarà sperimentata, o a volte la morte per noi e per gli altri. Da questo deduciamo che siamo chiamati a essere responsabili, ad agire in modo responsabile. Per fare fronte alla nostra responsabilità, possiamo contare su Dio che è un alleato di prima scelta.

Nemmeno il peccato - al singolare - spinge Dio ad adirarsi contro di noi. Egli non smette di amarci e di venirci incontro. Ma noi non gli facilitiamo sempre il compito quando rifiutiamo il suo aiuto. Nessuno è completamente separato da Dio, come nessuno potrebbe vivere senza un piccolo spazio per l’amore e la speranza nella sua vita. La conversione, che ognuno non deve smettere di approfondire, permette di essere liberati da quel “peccato”.
Da "Voce Evangelica" Giungo 2012, numero 6

Preghiera: quando pregare, come pregare, chi pregare, che cosa pregare?

Dio è creatore ed entra dunque in relazione con l’universo. L’essere umano è particolarmente sensibile a ciò che Dio vuole comunicare. E l’essere umano ha qualcosa in più rispetto a tutte le altre creature: può rivolgersi a Dio. La preghiera è questa relazione tra Dio e l’essere umano e tra l’essere umano e il suo Dio. La relazione tra le persone è già qualcosa di complesso che passa per la parola e per molti altri modi di essere. Vale lo stesso per la nostra relazione con Dio. La preghiera è a volte qualcosa che diciamo a Dio, ma è innanzitutto il fatto di porsi davanti a Dio.

Quando pregare? Alcune religioni propongono di pregare un certo numero di volte al giorno o di pregare in un determinato momento. Cristo ci dice semplicemente che è una buona idea “vegliare e pregare in ogni momento” (Luca 21,36). Si può scegliere di pregare al mattino quando ci si alza, prima dei pasti, andando a dormire o nella natura... Non ci sono regole, salvo che la regolarità è pagante in quanto ci prepara psicologicamente a essere con Dio.

Come pregare? Quando i suoi discepoli gli pongono la domanda, Gesù risponde: “Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto” (Matteo 6,6). La solitudine e il silenzio sono quindi elementi importanti. Gesù si ritirava spesso in solitudine, mentre a volte pregava con i suoi discepoli. Ognuno è libero di pregare da solo o con altri, in ginocchio, in piedi, coricato, in un angolino appositamente preparato, sotto la doccia...

Chi pregare? Dio solo, in ogni caso secondo Gesù nei vangeli (assolutamente ogni volta che parla della preghiera dice di pregare il Padre). Preghiamo dunque Dio e, come egli ci propone, preghiamo “nel nome di Gesù Cristo”.

Che cosa pregare? È una questione secondaria, in fin dei conti, perché l’essenziale è pregare. Ma ci sono comunque dei modi di pregare che sono più positivi di altri per la nostra crescita. In particolare, è bene presentare a Dio ciò che si vorrebbe veder succedere (come “Signore, vorrei tanto che mio figlio guarisse”). Ma forse è bene non dare a Dio degli ordini anche se è per domandare una cosa buona (come “Signore, guariscila!”). Si rischia di essere delusi e inoltre Dio non è Babbo Natale e sa ciò di cui abbiamo bisogno meglio di noi stessi (Matteo 6,8).

Se qualcuno è malato, il problema non viene da Dio e noi non dobbiamo cercare di convincerlo che la salute è meglio della malattia (Dio è comunque l’inventore della vita!).

La nostra preghiera può contenere:

Una lode per riconoscere che Dio è Dio, che è lui che sa davvero che cos’è il bene. Lo si può pregare anche se non si sa bene chi egli sia o se se ne dubita.
Un’invocazione: si domanda a Dio la forza perché ci dia pace, ci renda migliori, perché ci aiuti a fare del bene intorno a noi, affinché riusciamo a vedere dove possiamo progredire. Si può pregare perché si vuole avere la fede.

Un’intercessione: una preghiera per gli altri; per domandare a Dio di incoraggiarli, di dar loro la sua pace, la sua forza, la sua felicità.
Ciò che si ha nel cuore: possiamo confidare a Dio le nostre gioie e i nostri dolori, possiamo esprimere i nostri progetti e i nostri rimpianti, come a qualcuno che ci è molto vicino.
Del silenzio, per lasciar parlare Dio. Ma se si sentono delle voci è probabilmente il vicino con il volume della televisione troppo alto. Dio parla al cuore e la sua Parola è più che semplici parole.

Da " Voce Evangelica" Luglio-agosto 2012- Nr.7 -8

02/10/2012

Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012: "Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato"

La Chiesa Evangelica Metodista,
Le Parrocchie Cattoliche del Verbano, 
La Parrocchia Ortodossa Rumena,
La Comunità Islamica del V.C.O., 

promuovono:

INCONTRO DI APPROFONDIMENTO SUL TEMA DELLA GIORNATA
con dott.ssa Maria Bombardieri dell'Università degli Studi di Padova
Venerdì 26 ottobre, ore 21.00
Famiglia Studenti - Il Chiostro (Sala Rosmini), Verbania Intra

TORNEO SPORTIVO DI CALCETTO (a squadre miste composte da ragazzi delle comunità cristiane ed islamica)
Domenica 28 ottobre, 14.30 
Centro Sportivo S. Francesco di Verbania -Pallanza


Appello:

"Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato"

E’ questo il tema che quest’anno proponiamo all’attenzione delle comunità cristiane e musulmane per l’undicesima edizione della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico.
I motivi che ci spingono a proporre tale tema sono:

1. La nostra Carta Costituzionale, a 65 anni dalla sua promulgazione, è ancora largamente inattuata ed anzi continuamente calpestata nei suoi principi fondamentali  e necessita, quindi, di una sua robusta difesa che si può attuare con la sua conoscenza e con lo stimolare iniziative concrete dal basso per la sua attuazione.

2. L'Islam in Italia, come è sottolineato in numerosi studi sull’argomento,  fa ancora fatica a diventare un “islam italiano”, è ancora un fenomeno legato molto strettamente all'immigrazione, pur essendoci già le seconde e forse anche terze generazioni degli immigrati musulmani arrivati in Italia 40 anni fa, che però sono ancora legati alle loro terre d'origine di cui vivono intensamente come proprie le vicissitudini attuali.

3. C'è, infine, sia tutta la questione della costruzione delle moschee, che sono di fatto bloccate in tutta Italia (vedi ad esempio la vicenda di Genova) , sia la questione dell'intesa, che è del tutto in alto mare e non solo per i musulmani.

Invitiamo così anche quest’anno a celebrare, il prossimo 27 ottobre 2012, la Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, nella convinzione che sono “Beati quelli che si adoperano per la pace” (Mat 5:9) , perché Dio (Allah) “chiama alla dimora della pace” (Sura 10, 25) perché Lui è “La Pace” (Sura LIX, 23 ), perché il dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.

Con un fraterno augurio di
Shalom, salaam, pace

I promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Roma li, 28/06/2012

01/10/2012

GRAZIE VERBANIA, ... E ORA IN MARCIA PER IL DIRITTO AL CIBO

Grazie alla collaborazione della cittadinanza ed al lavoro di una cinquantina di giovani provenienti da tutta Italia, anche quest'estate Mani Tese Verbania ha potuto contribuire con 12mila euro al finanziamento di un progetto per la sicurezza alimentare in Burkina Faso ed al progetto "S.O.S. Emilia" per la creazione di un centro aggregativo per minori nelle zone colpite dal terremoto.

Ed ora, anche la nostra città vuole partecipare alla grande mobilitazione internazionale della CAMPAGNA FOOD FOR WORLD PER LA SOVRANITA' ALIMENTARE .

Cos’è la SOVRANITA’ALIMENTARE ? La Sovranità Alimentare è il diritto che va riconosciuto alle popolazioni di ogni parte della terra, di scegliere le proprie politiche di produzione, vendita e consumo di cibonL’obiettivo è quello di garantire un’alimentazione di qualità, il rispetto dell’ambiente, la valorizzazione del lavoro contadino e lo sviluppo delle produzioni e dei propri mercati. Cos’è FOOD FOR WORLD? È la Campagna Europea lanciata da Mani Tese per promuovere il diritto alla Sovranità Alimentare dei popoli. Promuovere questo diritto significa, nel Nord come nel Sud del Mondo, difendere l’agricoltura su piccola scala e i mercati locali; garantire l’accesso alla terra, all’acqua e alle sementi tradizionali; rendere più equo il controllo delle filiere agro-alimentari, correggere gli stili di vita non sostenibili.

L'appuntamento è per tutti DOMENICA 14 OTTOBRE alle ore 16.30 davanti a Palazzo di città a Verbania Pallanza. Qui parte la MARCIA PER IL DIRITTO AL CIBO che attraversa la città per arrivare al Centro di incontro S. Anna; segue buffet (ore 19) e SPETTACOLO TEATRALE a entrata libera "QUANDO MANGIO MI SENTO UN RE" ( ore 21); una performance teatrale che vede protagonisti la comicità di Diego Parassole, l’elegante voce jazz di Cinzia Tedesco e la pittura di Rosalba Falzone, messa in scena per sorridere, riflettere e sostenere, insieme a Mani Tese, la Marcia per la Sovranità Alimentare, un’altra importante tappa del nostro percorso per restituire dignità e diritti alle popolazioni del Sud del mondo

PARTECI ANCHE TU ALLA MARCIA PER IL DIRITTO AL CIBO!

Hanno già aderito:

Comune di Verbania, Comune di Ghiffa, Centro diIncontro S.Anna, Associazione SottoSopra per un’economia Solidale, Il Girotondo, f.o.p Italia gli amici di Caterina, Agesci, Chiesa Evangelica Metodista - Comunità di Verbania e di Omegna, Libera Associazione 21 Marzo, Presidio Giorgio Ambrosoli di Libera, Nonsoloaiuto,Tantevoci Caritas Verbano, Commissione Caritas del Vicariato, Avap, Comitato art. 38, Anpi, Unità pastorale parrocchie di Cavandone, Madonna di Campagna e S. Bernardino, Parrocchie S. Leonardo e S.Stefano, Vicariato del Verbano Cusio Ossola, Banda Rulli e Frulli

Il dialetto racconta le nostre radici e aiuta a conoscere la cultura e i valori del territorio della Basilicata

Villa Giulia Pallanza, sabato 13 ottobre 2012 ore 16.30

Presentazione del libro di Michele Lapetina


Dèmm da ndò n' vìn (dimmi da dove vieni...)
I miei ricordi, tra avvenimenti, fatti e personaggi raccontati in dialetto rapollese
Con la presenza di

Michele Lapetina, Autore
Marco Zacchera, Sindaco di Verbania
Lidia Carazzoni, Assessore alla Pubblica Istruzione della Città di Verbania

Roberto Placido, Vice Presidente Consiglio Regionale
Presidente Federazione Circoli e Associazioni Lucane in Piemonte
Giuseppe Lupo, Docente Università Cattolica di Milano
Giulio Martinoli, Critico d'arte e linguista
Don Roberto Salsa, Parroco di San Leonardo e Santo Stefano
Giuseppe Grieco, Docente Istituto Tecnico "C. Ferrini" di Verbania

Al termine il Caffè Pigalle servirà il rinfresco con prodotti tipici lucani offerti dalle ditte
Cantina di Venosa e Sugerla Market di Lapolla s.n.c. di Potenza

28/09/2012

Il Tempo del creato 2012

Il Tempo per il Creato è celebrato dalle chiese europee ogni anno dal 1° settembre al 4 ottobre. Il tema proposto per quest’anno è il suolo, associato ai beni comuni, la varietà della specie, l’agricoltura nella sua ciclicità e rinnovamento, ma anche la promessa e la speranza. Dall’humus che è la ricchezza del suolo viene etiomologicamente la virtù dell’umiltà.
In Italia, il materiale per la celebrazione è preparato dalla Commissione "Globalizzazione e Ambiente" della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia propone dei materiali per il Tempo.
 
  Il suolo, considerazioni bibliche
Nella narrazione della creazione così come si dipana all’inizio della Genesi il primo attore che si presenta è la luce, che separa il tempo del giorno dal tempo delle tenebre; il secondo gesto creativo separa le acque in modo orizzontale, dando collocazione al cielo; il terzo momento è ancora di separazione, cioè di ordine: “Poi Dio disse: «le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l’asciutto». Dio chiamò l’asciutto «terra», e chiamò la raccolta delle acque «mari»” (Genesi 1, 910). La terra, dunque, è il segmento asciutto e solido estratto dal caos e su di essa avviene la produzione di quanto necessario alle forme di vita che via via popolano il creato: “Poi Dio disse: «Produca la terra della vegetazione…» »” (Genesi 1, 11). Anche la terra, come tutto il creato, ha il suo sabato, il settimo giorno del riposo. E infatti sul monte Sinai il Signore parla a Mosè di nuovo di essa: “Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non seminerete e non raccoglierete quello che i campi produrranno da sé, e non vendemmierete le vigne incolte” (Levitico 25,11), tanto più che, aggiunge il Signore, “le terre non si venderanno per sempre; perché la terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti” (Levitico 25,23). È poi nella parabola del seminatore che la terra viene analizzata nelle sue diverse tipologie, rocciosa, fertile per l’agricoltura, antropizzata dalle infrastrutture o colonizzata dalla vegetazione infestante (Matteo 13,123; Marco 4, 120; Luca 8, 415).

Gli ingegneri chiamano suolo qualunque terreno, indipendentemente dalle sue caratteristiche pedologiche; i geologi e gli agronomi invece denominano in questo modo soprattutto lo strato superficiale, che può raggiungere uno o due metri di profondità, adatto allo sviluppo della copertura vegetale. In realtà tutto il terreno nel suo insieme svolge una funzione unitaria insostituibile per governare il ciclo dell’acqua, il ciclo dell’erosione ed in fine l’organizzazione dell’agricoltura e dell’allevamento. Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dall’inizio degli anni ’70, si è fortemente accelerato il cosiddetto consumo di suolo, quel processo cioè che modifica in modo profondo il paesaggio naturale. Il consumo di suolo sia agricolo che non, è conseguenza di due tipi di interventi: da un lato l’ampliamento e la moltiplicazione delle infrastrutture come strade, porti, aereoporti ecc. e degli insediamenti abitativi, dall’altro l’espandersi dell’agricoltura industrializzata. Il primo insieme di interventi, quelli infrastrutturali e urbani, ha conseguenze in particolare sul ciclo della acque, perché impermeabilizza superfici in precedenza in grado di assorbire lentamente e in modo distribuito le precipitazioni, restituendole con pari ritmo ai corpi idrici. Buona parte del dissesto idrogeologico che in Italia è molto diffuso e distruttivo è conseguenza di queste modificazioni. Il secondo complesso di modificazioni, quello che porta a ridisegnare vaste aree di terre fertili, è legato soprattutto all’industria chimica, all’ingegneria genetica, all’impiego massiccio dell’irrigazione con la messa in atto di quella che oggi viene chiamato complesso idroagroindustriale. Il risultato di un utilizzo molto massiccio di prodotti chimici (biocidi quali antiparassitari e funghicidi, fertilizzanti ecc.), di mezzi per la lavorazione del terreno pesanti ed energivori, di acqua distribuita per aspersione e conseguente dilavazione dei suoli ha il risultato di impoverire, anche in tempi assai brevi, l’humus delle sue sostanze organiche e di innescare estesi processi di desertificazione. Così il suolo agrario si riduce in valori assoluti, oltre a subire contaminazione inquinante che coinvolge anche le acque di superfice e sotterranee. Va aggiunto che molte ricerche e sperimentazioni hanno ormai ripetutamente dimostrato che un’agricoltura organica nel medio periodo ha livelli di produttività per nulla inferiori a quelli della agroindustria che, viceversa, vede le rese decrescere dopo pochi anni di abbondanti raccolti. Come dice Luca 8,15, da soli i semi che cadono nella buona terra “portano frutto con perseveranza”.

Nel comportamento e nelle scelte dei singoli e delle comunità si pone quindi la necessità di promuovere una cultura e comportamenti volti non solo a ridurre il consumo di suolo, ma anche impegnati a rigenerare aree in precedenza alterate, piccole o grandi che esse siano. Perché cambiare rotta rispetto ai cammini intrapresi è sempre possibile e non vi sono cambiamenti irreversibili.
Teresa Isenburg

Meditazione

E l'Eterno disse: `Ho veduto, ho veduto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni; 8 e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani, e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese ove scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Hittei, gli Amorei, i Ferezei, gli Hivvei e i Gebusei.

Esodo 3,7

Siamo sul Sinai. Il Signore, il Dio quadrilittero nella sua misericordia, vede, ascolta e conosce intimamente il dolore che viene dalla oppressione.

Lui che aveva creato l’umanità a sua immagine e che, a sua immagine, le aveva comandato di dominare la terra sapeva che per questa creatura la dimensione del limite era ‘esterna’, affidata alla libertà e alla responsabilità –e infatti proiettata sui due alberi al centro di Eden, e che per essa non c’era un confine ‘naturale’ tra dominio e sopraffazione.

Viceversa in Gen 1,28 il verbo radah (governare) non consente di trascendere tant’è che è usato anche nel Salmo 72,78. Dunque nel passaggio dal primo al secondo racconto della creazione la definizione della consegna all’umanità vede un passaggio di accentuazione –non di sostanzadal servizio alla sovranità come due modi di esercitare la responsabilità in una relazione sì asimmetrica ma cocreaturale. E per ricordare questo la pedagogia ebraica ha istituito lo Shabbat come un antidoto al delirio di onnipotenza.

Ma non è bastato. Il limite allo sfruttamento tra gli umani e della restante creazione non è stato messo in forma di tabù, come è stato per l’incesto e per il cannibalismo ma di patto, sottoposto alla lealtà del contraente più forte.

In questa occasione Dio non solo si addolora ma si mobilita: scende per liberare gli oppressi e per farli salire in un’altra terra, buona e larga. Sembra di vedere in questa immagine un adulto che prende in braccio un bambino inciampato per rimetterlo in piedi in un punto sicuro. Il nome più elevato di Dio è proprio quello che verrà rivelato al v13: io sono colui che c’è, ‘il sarò’, un Dio che coincide con le sue manifestazioni storiche, non una essenza ma una presenza che chiede la collaborazione umana.

La sua mano avrebbe guidato i passi di Mosè. Non erano possibili una rivoluzione o una riconciliazione delle relazioni. La situazione era compromessa, lo schema dei rapporti era irrimediabilmente mortifero. Gli oppressi dovevano sottrarsi, venire via per poter ricostruire la propria umanità ferita, il senso di sè, la progettualità, la dignità. L’Egitto era

diventata una terra malvagia e stretta. Fin peggio di Ninive che si sarebbe convertita in seguito all’annuncio del recalcitrante Giona.
Mosè, che da qualche tempo aveva fatto propria la causa degli oppressi, sul Sinai cerca inutilmente di sottrarsi al conflitto con il potere, rappresentato da Faraone, che sarebbe inevitabilmente scoppiato alla richiesta di lasciar partire Israele. La liberazione incontra resistenze interne ed esterne.

La forza per affrontarle era sicuramente in Dio ma anche nella allettante alternativa da lui promessa: una terra buona e larga dove fluiscono latte e miele, certo abitata da molti popoli. Da una situazione angusta dove gli spazi vitali in tutti i sensi venivano soffocati si poteva uscire! La speranza è il linguaggio della vita, recita il tema della quarta assemblea del Consiglio per la missione nel mondo. La speranza chiama a raccolta per cercare alternative nella visione del mondo, in un mondo dove l’ingiustizia sociale, economica ed ecologica regna impunemente. Il popolo di Dio ha il dovere di esprimere insoddisfazione con scelte di vita smarcate e di misurarsi con queste forze a favore di una esistenza piena per tutta la creazione di Dio, in cui gli aspetti nutrienti della vita vengano enfatizzati. Scegliere la vita vuol anche dire cercare di proteggerla e preservarla.

Gli attributi di questa terra hanno dei richiami un po’ fiabeschi: la fuga dalla terramatrigna verso la terramadre che era già stata promessa ad Abramo, da cui la fame li aveva allontanati. Questa terra si era popolata ma era estesa, c’era ancora posto.
Non una terra sconosciuta ma un ritorno i cui termini sono espressi in maniera figurata dalla prodigiosa capacità di secernere latte e miele.
Il latte ed il miele hanno in comune l’essere prodotti di trasformazione attuati dalle madri nei mammiferi e dalle api. Là dove sono latte e miele ci sono madri e api, corpi che nutrono.
Entrambe sono alimenti legati al nomadismo e fruibili anche in condizioni ambientali scarse: se il pascolo è magro la mucca sopravvive e può dare latte e le api possono produrre miele.

Una terra che offre questi alimenti è una terra di rinascita perché alla nascita sono anche associati. Abbondanza di latte e miele significa anche possibilità di ricominciare, di lavorare la terra da persone libere come liberi e non proprietari sono il latte e il miele: beni comuni non merci!
Latte e miele sono il nutrimento quotidiano e non il cibo dell’abbondanza costituito dal grano, il vino, l’olio o la carne. Ma sono anche un nutrimento possibile in condizioni di conflitto e mobilità forzata come quella che Israele sperimenterà all’arrivo nella terra oltre il deserto. Grano, vino e olio maturano lentamente e hanno bisogno di cura. Presuppongono un tempo di pace.
Latte e miele sono anche legati al culto di Demetra che non solo abbraccia, scalda e nutre ogni essere umano, ma anche pone norme di vita sociale fondate più sul rispetto che sul dominio.

Mosè dunque prospetta all’Israele oppresso una terra dove le necessità materiali minime sono soddisfatte, dove il latte e il miele, come la farina e l’olio della vedova di Sarepta (I Re 17), non si esauriscono. Potremmo dire che l’esperienza della manna (Es 16) ne sarebbe stata una anticipazione.

Nella promessa è quindi contenuta anche una visione sociale ed economica fondata sulla sobrietà, sulla sufficienza e sulla condivisione con altri popoli.
Nel versetto 8 non si dice che quella era la loro terra ma il luogo dove abitavano, ovvero il luogo dove Dio –che è il Luogo del mondofarà giungere anche Israele. In tutto questo testo la definizione geografica non ha rilievo.
Mosè trasmetterà ad Israele questo desiderio e questo dono di Dio che non è solo annuncio di sostegno per la liberazione ma anche un progetto di vita ispirata ad Eden, attraversata da un fiume. Una relazione riconciliata con il suolo che egli aveva maledetto a causa di Adamo: tra adam e adamà –l’uomo e la terraè possibile uno scambio sostenibile per entrambe. La terra se non viene ferita produce latte e miele per tutte le creature.
Antonella Visintin Rotigni

Preghiera
Grazie per i suoli


Grazie Dio, padre e madre, per i suoli,

che ci sostengono e ci nutrono.

Che prestano il terreno, a noi, a tutti i popoli,

a tutti gli animali e a tutte le piante.

Tu sei il nostro suolo e per il nostro bene

Porti dentro di noi il risveglio

(Preghiera dal Perù, 2008)

27/09/2012

Segni dei Tempi


settimanale evangelico di informazione


sabato 29 settembre 2012, RSI LA1, 12.00

lunedì 1 ottobre 2012, RSI LA1, dopo il TG notte (replica)

un programma a cura di Paolo Tognina

Due uomini, due donne

Mentre in Svizzera le coppie omosessuali possono essere registrate, in Italia coppie composte da partner del medesimo sesso non godono di alcun riconoscimento. In entrambi i Paesi, alcune chiese evangeliche hanno introdotto cerimonie di benedizione delle loro unioni

per scriverci
per rivederci in internet

26/09/2012

Incontri del Gruppo Ecumenico Donne

"La Bibbia e gli animali"

1° Incontro:
Mercoledì 10 ottobre 2012, ore 15.00

presso la  Chiesa parrocchiale di Renco a Verbania Intra

24/09/2012

La preghiera di ringraziamento a Dio scaturisce dalla ricononscenza della sua azione nella nostra vita


"Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti, nominandovi nelle nostre preghiere, ricordandoci continuamente, davanti al nostro Dio e Padre, dell'opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signore Gesù Cristo"  (1 Tessalonicesi 1, 2-3).

Paolo, in apertura della lettera afferma di pregare e di ringraziare continuamente Dio per la fermezza della fede dei Tessalonicesi. Nella preghiera, Paolo esprime la propria gratitudine a Dio che ha permesso ai cristiani di Tessalonica di resistere alle prove.
Con questo l’apostolo vuole insegnarci che, se i credenti riescono a resistere alle situazioni di difficoltà e a vivere la loro fede con fermezza, ciò non è attribuibile ai loro meriti, bensì all’amore di Dio che rimane fedele alle sue scelte. Dio non abbandona i suoi figli amati. Attraverso il Vangelo annunciato dall’apostolo è Dio stesso che è all’opera, producendo nei credenti il volere e l’agire (Fl 2,13).

Il Vangelo fonda l’esistenza umana in un amore offerto; strappa il credente dalla tentazione di arroganza, ma anche dalla paura di non essere capaci di resistere alle prove. I Tessalonicesi hanno saputo resistere nella fede grazie all’opera dello Spirito santo e alle intercessioni continue di Paolo, il quale apprezza il loro radicamento nel Vangelo da lui annunciato, per cui la fama della loro fede si è sparsa in ogni luogo. La fede dei Tessalonicesi non vuole semplicemente suscitare l’ammirazione ma è anche, in modo indiretto, un invito a guardare verso Dio che ama e salva.

Paolo ringrazia Dio per i cristiani di Tessalonica che hanno dimostrato di essere una comunità vivente attraverso l’opera della fede, l’impegno dell’amore e la costanza della speranza.
Se le preghiere di ringraziamento a Dio sono carenti nel nostro contesto è perché, spesso, pensiamo soltanto a ciò che dobbiamo fare, dimenticando un fatto molto importante, cioè, che è sempre Dio ad agire prima di tutto, e che la sua azione è fondamentale. Ringraziare Dio significa riconoscere la sua azione operante nella nostra vita. Grazie a quest’azione di Dio, i Tessalonicesi sono stati fortificati nelle virtù fondamentali: fede, speranza e amore, diventando un esempio per tutte le altre comunità.

La fede operante, che porta frutti, l’amore impegnante, che sa andare oltre il sentimentalismo e dedicarsi al fare, e la speranza perseverante che è uno sguardo rivolto verso l’avvenire, cioè verso il Cristo, in attesa del suo ritorno, sono segni della potenza di Dio all’opera nella storia umana. Apriamoci alla presenza di Dio e lasciamo che operi in noi e faccia di noi dei testimoni credibili per coloro che cercano il senso della loro vita e, forse anche, la possibilità di vivere una fede più attiva.
Past. Jean-Félix Kamba Nzolo


Preghiera:
TI RENDIAMO GRAZIE

Noi ti rendiamo grazie,
Signore Dio onnipotente,
poiché Tu sei Dio degli uomini
e non ti sei vergognato
di essere chiamato nostro Dio.
Tu ci conosci per nome,
Tu tieni tutto il mondo fra le tue mani.
E' per unirci a Te,
noi tuo popolo su questa terra,
che ci hai creati,
che ci hai chiamati a questa terra,
che ci hai creati,
che ci hai chiamati a questa vita.
Sii Tu benedetto,
creatore di tutto ciò che esiste.
Sii Tu benedetto, Tu che ci hai liberati
e ci dai un tempo per vivere.
Sii Tu benedetto,
per la luce dei nostri occhi,
e per l'aria che respiriamo.
Noi ti rendiamo grazie per tutta la creazione,
per le opere delle tue mani,
per tutto ciò che hai fatto in mezzo a noi,
per Gesù Cristo, nostro Signore.
Amen!

(autore anonimo)