Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 21 aprile, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 21 aprile, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9 con relativa Cena del Signore

26/04/2020

Domenica 26 Aprile, seconda domenica dopo Pasqua


Care amiche/amici, sorelle/fratelli, oggi è la seconda domenica dopo Pasqua, denominata “misericordias domini” derivante dal Salmo 33:5 - “La terra è piena della benevolenza del Signore”.

“Nel nome del Padre che viene in cerca di noi quando lo sconforto ci invade, del Figlio che questo sconforto, come noi, lo ha vissuto nella carne e nel petto, e dello Spirito Santo che nel turbamento ci accompagna e ci sostiene, silenziosa impronta di Dio nel segreto dei nostri cuori”. Amen

Il testo di apertura è tratto da: “Orme del Sacro”, Feltrinelli, Milano, 2000, Pag. 83; Umberto Galimberti
 “Non si dà verità se non all’errore di uno sguardo imperfetto: compito dell’uomo non sarà la perfezione, ma la capacità di soffrire l’inquietudine di una perfezione mai raggiunta eppure presente nell’imperfezione estrema che caratterizza l’essere umano. Cristo incarna questo tipo di sofferenza. Ciò che annuncia non è la redenzione, ma l’accettazione della condizione umana. In questa accettazione incondizionata c’è redenzione”.

La meditazione di oggi è tratta dal Vangelo di Luca, capitolo 4, versetti da 16 a 21.
16 Si recò a Nazaret, dov'era stato allevato e, com'era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, 17 gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov'era scritto: 18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 per proclamare l'anno accettevole del Signore».
20 Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. 21 Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite».

Abbiamo letto che nella Sinagoga di Nazareth, in cui era cresciuto, Gesù ha applicato a sé stesso l’oracolo di Isaia 61, s’è alzato dal suo posto, s’è fatto dare il libro del profeta e ha letto il testo di Isaia al capitolo 61. Poi, “mentre gli occhi di tutti nella Sinagoga erano fissi su di lui”, ha esclamato: “Oggi questa scrittura, che voi udite, si è compiuta” (cfr Luca 4:16). Ebbene qualcuno potrebbe chiedersi come mai Gesù si è paragonato al profeta Isaia del capitolo 61, ebbene, fece tutto questo per il motivo che si sentiva un vero e proprio “discepolo di Isaia”, il profeta da lui più citato, meditato e amato nel corso della Sua vita terrena ed inoltre, sia Gesù che Isaia, si sono trovati ad annunciare la Santità del Signore, Isaia per esempio sa d’essere stato inviato da Dio ad annunciare un messaggio di salvezza, e sa anche che Dio lo ha reso idoneo, lo ha messo in condizione di realizzare quello che deve annunciare: “Lo spirito del Signore è sopra di me, poiché egli mi ha unto”. Lo “spirito”…è la forza di Dio, il “vento di Dio” che può accarezzare con dolcezza i fiori e farli fremere, ma sa anche squassare le montagne. Questo vento (dice adesso il profeta) ora “è sopra di me”, mi ha fatto suo. E così non mi appartengo più. Sono di Dio! Sono il suo “consacrato”, che vive non per sé, ma per il servizio che gli è stato affidato, e a cui è stato affidato. Davvero, Dio mi ha riempito col Suo soffio, e “mi ha mandato ad annunciare… a proclamare… e curare… a consolare… a dare…”.
Sì, Isaia “annuncia”. Solo questo può fare, e solo questo fa! Ma ora nel suo annunciare c’è una scintilla della forza di Dio, un soffio di quello stesso “spirito divino” che, l’annuncio di Isaia opera quel che dice, trasforma chi l’ascolta.          
Isaia annuncia la salvezza, e la dona realmente a coloro a cui parla: “parlo di libertà, e i prigionieri sono liberati, gli schiavi riscattati; proclamo l’evangelo, predico un lieto annuncio, e consolo gli afflitti, dono gioia a chi è triste, curo i cuori contriti e li faccio esultare…e non soltanto questo, con me irrompe un tempo tutto nuovo: “l’anno della benevolenza del Signore”, in effetti, negli anni di Isaia, vigeva, in Israele, il “giubileo”, cioè, ogni cinquant’anni, quando erano passati “sette volte sette anni”, al suonare del corno (del jobel), si annunciava a gran voce che tutti i debiti contratti in quei cinquant’anni erano rimessi e che ogni debitore ridotto in schiavitù veniva liberato. Ora il profeta è il nuovo “giubileo”, l’araldo della grazia che dona libertà ai poveri che incontra. Dà loro “gloria invece di cenere, olio di letizia invece di lutto, canto di lode invece di scoramento”.  
Noi ci rendiamo conto, a questo punto, della continuità e anche della distanza che c’è tra Isaia 61 e gli altri grandi profeti di Israele.
   Il primo Isaia, Geremia, Osea e Amos avevano dovuto avvertire del giudizio di Dio sui peccati del popolo ed annunciare la catastrofe immane che avrebbe posto fino al regno della casa di Davide. Il giudizio c’è stato, la catastrofe è arrivata. E adesso c’è bisogno della grazia! Adesso, sul popolo sconfitto, punito e deportato, sul piccolo e spaurito “resto d’Israele”, è ora che risuoni l’annuncio di salvezza. Per questo, per ridare speranza a chi non spera più e coraggio a chi trema, Dio ha unto ed ha mandato il Suo profeta! Che, allora, da profeta diventa “evangelista” cioè portatore del lieto annuncio della “volontà buona” del Signore, strumento del cambiamento che la proclamazione di questa “volontà” già opera nei cuori e negli sguardi di coloro che ascoltano, della trasformazione con cui, trasformando gli esseri umani, Dio rinnova il Suo popolo ed il mondo.
   Sì, qui c’è davvero il “nuovo”, mai visto prima e mai sentito fino ad allora. Nella parte iniziale dell’oracolo, in mezzo a tante espressioni luminose, c’è una parola che ci può creare qualche complicazione, la parola “vendetta”, che ci potremmo domandare, cosa ha a che fare con quello che dice Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me. Mi ha mandato ad annunciare la buona novella ai poveri, a fasciare i contriti di cuore, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazione ai detenuti, a proclamare un anno di benevolenza del Signore, un giorno di vendetta del nostro Dio”. In realtà questo “giorno della vendetta” è piuttosto il “giorno della consolazione”; chi ha dovuto subire violenza e schiavitù, all’irrompere del tempo della salvezza annunciato dal profeta, vedrà il suo pianto trasformato in sorriso, la loro sofferenza farsi gioia. Come scritto: “Perché il loro obbrobrio fu di doppia misura, vergogna e insulto furono la loro porzione; per questo possiederanno il doppio nel loro paese, avranno una letizia perenne”.
   Sì! Al profeta sembra quasi di vedere gli esuli “non più esuli”, che rientrati in Israele dopo la deportazione a Babilonia, impegnati al lavoro per ricostruire quello che la guerra, nella sua furia cieca, aveva demolito: “Costruiscono le antiche rovine, rialzano ciò che era prima distrutto; rinnovano le città desolate, ciò che da generazioni era in rovina, risorge”. E la consolazione dei poveri rientrati sarà tanto più piena in quanto i loro oppressori saranno i loro servi: “Degli stranieri pascolano i loro greggi, gente d’altre terre saranno vostri contadini e vignaioli …Gusterete la ricchezza delle nazioni e vi adornerete con il loro splendore…”. Tutto questo – davvero – non è un semplice canto di vendetta, il grido di rancore degli oppressi che si leva a sognare l’oppressione degli oppressori, è come dicevo prima, una questione di consolazione, e soprattutto è la rivelazione dell’onnipotenza di Dio, il Suo intervento a “rovesciare i potenti dai troni e a innalzare gli umili” e, in questo modo, a manifestare al mondo la Sua gloria. “Voi vi chiamerete sacerdoti del Signore, vi chiameranno servi del nostro Dio” che “ama il diritto e odia la rapina, e ricompensa con fedeltà e conclude con i suoi un patto eterno”, un’alleanza che non verrà mai meno ed è davvero qualcosa di nuovo, di mai visto. (Isaia 61: 6.8)
  Di fronte a tutto questo, come non dar spazio alla gioia? Come non sciogliere il canto della lode? Ed il profeta canta. E con lui canta tutto il popolo redento: “Sì, voglio rallegrarmi nel Signore, e l’anima mia esultare nel mio Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza, mi ha ricoperto con il manto della giustizia. Come uno sposo che cinge il suo turbante, come la sposa che si adorna di monili” ma tra le varie profezie proclamate da Isaia vi è anche quella relativa all’avvento di un redentore (l’Emmanuele), il servo del Signore, le quali si adempiranno in Gesù Cristo e ciò avviene quando appunto nella Sinagoga, dopo aver letto Isaia 61, Gesù dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura, che voi avete udito” (Luca 4:21).
Sì, Gesù è “l’unto del Signore”, è il profeta, ed è l’evangelista, che “porta il lieto annuncio dell’amore di Dio per tutti i poveri, fascia gli affranti di cuore e annuncia la libertà ai prigionieri”. E fa questo non solo per un tempo, né…solo per un popolo…né solo per alcuni…ma lo fa per sempre e per tutti! Gesù è “l’anno della benevolenza di Dio” che non ha fine! Con lui i sogni, le speranze degli “ultimi” del mondo, di quelli che egli stesso chiama “i minimi di questi miei fratelli”, trovano il loro senso, non sono più illusioni, né la vita è soltanto una breve sequela di sconfitte e dolori. Perché Gesù è la “vendetta” e la “consolazione” di Dio! È la giustizia che denuncia il disordine ingiusto creato dai più forti, la forza dell’amore che vince la violenza subendola su di sé stesso, la verità che mette in luce e smaschera la menzogna dei compromessi e delle vigliaccherie umane.
   Là a Nazareth, Gesù nella sua Sinagoga, come “discepolo di Isaia”, ha fatto sue le parole del profeta, da lui citato spesso, meditato, e amato ed oggi queste parole le passa a noi, e adesso sono nostre, sono le nostre parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, poiché Egli mi ha unto. Mi ha mandato ad annunciare la buona novella ai poveri, a fasciare i contriti di cuore, ad annunciare la libertà ai prigionieri e la liberazione ai detenuti … A proclamare un anno di benevolenza del Signore”.
Questo è il programma, il senso del nostro essere al mondo. Essere per gli altri “la buona novella, la liberazione, la benevolenza del Signore”…essere cioè afferrati da Dio per diventare il Suo portavoce, il Suo Profeta, e quando capita di scoprire di essere stati scelti da Dio per questo scopo, spesso siamo assaliti dallo spavento, dallo stupore, dall’incredulità ma anche dalla riconoscenza e soprattutto, la consapevolezza di essere ancora noi stessi, e anzi forse, noi stessi più che mai, in quanto abbiamo la consapevolezza di vivere con molta più intensità, libertà e profondità di prima: “pensieri, sentimenti, affetti, azioni, ma anche, insieme, la consapevolezza di non possedersi più come prima, perché un oracolo è sempre anche posseduto da Dio, dalla sua forza insieme invisibile e irresistibile”.
 Questo spavento e questa incredulità, lo stupore e la riconoscenza è il senso acuto della forza di Dio che ti ha afferrato, e tutto questo è presente nel nostro testo di oggi che è il proclama di un uomo che sa d’essere stato inviato da Dio ad annunciare un messaggio di salvezza, e che sa anche che Dio lo ha reso idoneo, lo ha messo in condizione di realizzare quello che deve annunciare.
 A questo punto, già conosco l’obiezione: “Chi di noi può farcela ad essere tutto questo?”.
Sì! Noi non possiamo farcela, certamente…ma, conoscete l’album “Sono solo canzonette” del compianto Pierangelo Bertoli dove vi è la bellissima canzone: “Il vento soffia ancora”? Ebbene, potremmo dire: “Sì!”, “Il vento soffia ancora”! Lo spirito continua a soffiare e ci rinnova. Ci mette in grado di fare quello che non sappiamo fare, d’essere quello che in realtà non siamo. Copre le nostre piccole miserie con l’abito splendente della festa di nozze.
Come l’antico profeta, come l’antico Israele, come Gesù il Vivente, noi possiamo cantare: “Voglio rallegrarmi nel Signore, e l’anima mia esultare nel mio Dio, perché mi ha rivestito di abiti di salvezza, mi ha ricoperto con il manto della giustizia”.
AMEN


(Giampaolo Castelletti, domenica 26 Aprile 2020. Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

“Signore nostro e Padre nostro, sentiamo gioia nel metterci di fronte a te per rinnovarti la nostra fiducia ed esprimerti il nostro amore.
Ma per questo abbiamo bisogno di essere radicati nella tua Parola, di
attingere a piene mani dal tuo messaggio di vita.
Fa’ che la tua Parola ci insegni a essere tenaci nella fede e audaci nella
speranza, in modo da renderci più saldi contro le tempeste della vita,
fino al giorno in cui si sarà sconfitto questo COVID-19 e la nostra speranza diventerà realtà eterna”.

Benedizione
L’Iddio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede,
affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo.
(Romani 15, 13)
Sorelle e fratelli, andiamo in pace, portiamo in parole e in azioni il
messaggio della speranza, e la benevolenza di Dio ci accompagni, ora
e sempre. Amen.




23/04/2020

Riflessione del Pastore Alessandro Esposito


Verbania, martedì 14 Aprile 2020

Buongiorno a tutte e a tutti.

Nei giorni che hanno preceduto la Pasqua ha avuto luogo una ricorrenza, che desidero non passi inavvertita: il nove aprile del 1945, esattamente settantacinque anni fa, veniva ucciso per impiccagione dalla barbarie nazista il pastore e teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, reo di aver congiurato, insieme con altri, ai danni del führer.
Nel corso della riflessione di oggi, vorrei ripercorrere una delle tappe in cui il pensiero di questo compagno di ricerca e di cammino si è fatto carne e scelta, gettando semi che attendono di sbocciare lungo il sentiero che ancora siamo chiamate e chiamati a calcare con i nostri passi delicati e incerti.
Di questo incontro con le pagine di un autore che ha segnato profondamente la mia vita accentuandone la lieta irrequietezza, sono debitore a Fulvio Ferrario, che mi fece dono della sua lettura appassionata e compenetrata di alcune delle riflessioni più intense contenute nell’opera intitolata Sequela, ovverosia del “mettersi a seguire”.
Le prime pagine di questo libro al contempo lucido e commovente, sono dedicate al commento di un versetto tanto laconico quanto abissale, contenuto all’inizio dell’evangelo secondo Marco, dove si narra:

«Nel passare di là, Gesù vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco dei tributi, e gli disse: “Seguimi”. E quegli, alzatosi, lo seguì» (Marco 2:14)

Mi ha sempre lasciato senza fiato la prontezza di un gesto che ha portato un uomo, come me, seduto, a intraprendere un sentiero per molti versi esposto all’ignoto e ai rischi che ogni indecifrabilità porta con sé. Non una parola, non una – pur legittima – domanda: soltanto la nuda eloquenza di un gesto.
Lo stesso Bonhoeffer ne è profondamente colpito, quando commenta:



Come è possibile questa immediata corrispondenza? Per la ragione, si tratta di un fatto assolutamente scandaloso (…): deve subentrare un termine medio, c’è qualcosa che deve essere chiarito. In ogni caso, si deve trovare una mediazione (…): ci si chiede se il pubblicano non abbia conosciuto Gesù in precedenza, se non sia questo il motivo per cui egli è pronto alla sequela sulla base della chiamata. Ma proprio su questo punto, il testo mantiene un tenace silenzio; ciò che per esso conta è proprio la corrispondenza immediata di chiamata e azione.[1]

Quanto si potrebbe dire sui silenzi evocativi racchiusi tra le pagine bibliche: spesso aprono al cuore e alla sua immaginazione spazi ancor più vasti di quelli che scavano in noi le parole. E, insieme con il silenzio, la disarmante semplicità del gesto, slancio eloquente e incomprensibile, sbilanciamento che reca in dono nuovo, inatteso equilibrio. Levi si alza e va, intraprende un cammino: si smuove dalla sua inerzia, quella stessa in cui, non di rado, i tentennamenti, figli di un eterno domandare, ci trattengono. Eppure il cammino non estinguerà la domanda: soltanto, la renderà lecita e la trasformerà in dialogo incessante col maestro. Prima di accingersi a camminare, infatti, non ha senso domandare, perché l’interrogativo, in ogni caso, risulterebbe mal posto: la domanda autentica emerge quando ha inizio il cammino, che le impedisce di divenire ridondante e sterile. “Vieni: inoltrati con me lungo quel sentiero su cui ti precedo” – propone Gesù – “Dopodiché avremo di che discorrere e nuovi, fragorosi silenzi da condividere”. Si tratta di un taglio, come evoca l’etimologia del termine de-cisione: c’è un prima e un dopo, un prima su cui il dopo getta inattesa, sorprendente luce. Commenta ancora Bonhoeffer:

Mettersi alla sequela significa compiere determinati passi. Già il primo passo, che segue alla chiamata, separa chi si pone alla sequela dalla sua precedente esistenza.



Così, la chiamata alla sequela crea sin da subito una nuova situazione (…) Non è una dottrina, ma una nuova creazione dell’esistenza (…) D’improvviso, tutti i ponti vanno tagliati: si deve compiere il passo nell’infinita incertezza.[2]

La fede come cammino che non mette al riparo dall’incertezza e dalle sue inquietudini, ma che chiama ad evitare quell’immobilità che della certezza dà soltanto l’illusione. Per andare in cerca del senso è indispensabile mettersi in movimento: il persistere in un domandare inerte non porterà a nulla, se non a giustificare quell’insoddisfazione di cui siamo artefici assai più che vittime. “Vieni, osa, sii – come me – audace: lungo il sentiero che percorreremo insieme troverai interrogativi nuovi, che gettano radici in quella vita in cui ti chiamo, insieme con me, ad immergerti. Smetti di rifuggirla e inoltrati, con me, lungo i suoi sentieri imprevedibili: e scoprirai come, in verità, in questo tuo primo passo nulla finisce e tutto ha inizio”.

Sospingimi o Dio
Lungo gl’ignoti sentieri
Da cui tutto incomincia
Perché a un dolce sbandare
Dietro di Te
M’invita il maestro
Di gioia e di danze
L’uomo a cui un giorno
In lieta follia
Dissi in silenzio
Il mio sì


[1] Bonhoeffer, D. Sequela, Queriniana, Brescia, 1997, cit. pag. 43.
[2] Bonhoeffer, D. Sequela, Queriniana, Brescia, 1997, cit. pag. 48-49


19/04/2020

PRIMA DOMENICA DOPO PASQUA - QUASIMODOGENITI


                                  Testo di apertura
“Come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, venite edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”.                                       (1 Pietro 2, 2-5)

“Dio nostro Padre, noi ti benediciamo, perché per mezzo della morte e della risurrezione del tuo Figlio Gesù Cristo ci hai chiamati dalle tenebre alla tua luce meravigliosa. Con la tua potenza tu ci custodisci mediante la fede. Concedici anche di lodarti e di ringraziarti, rimanendo fermi in questa fede, mediante lo stesso tuo Figlio, Gesù Cristo, Signore nostro. Donaci il tuo Spirito, perché scriva nel nostro cuore la parola che leggeremo, così che possiamo accoglierla, rallegrarcene e gioire, consacrando la nostra vita al tuo servizio. Te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo”. Amen.


Care sorelle e cari fratelli, oggi analizzeremo insieme gli avvenimenti successivi alla resurrezione tramite il Vangelo di Giovanni al capitolo 21, versetti da 1 a 14:

1 Dopo queste cose, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli presso il mare di Tiberiade; e si manifestò in questa maniera. 2 Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri dei suoi discepoli erano insieme. 3 Simon Pietro disse loro: «Vado a pescare». Essi gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Uscirono e salirono sulla barca; e quella notte non presero nulla. 4 Quando già era mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù. 5 Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». 6 Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci. 7 Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!» Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse la veste, perché era nudo, e si gettò in mare. 8 Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento cubiti), trascinando la rete con i pesci. 9 Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su, e del pane. 10 Gesù disse loro: «Portate qua dei pesci che avete preso ora». 11 Simon Pietro allora salì sulla barca e tirò a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci; e benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò. 12 Gesù disse loro: «Venite a fare colazione». E nessuno dei discepoli osava chiedergli: «Chi sei?» Sapendo che era il Signore. 13 Gesù venne, prese il pane e lo diede loro; e così anche il pesce. 14 Questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, dopo esser risuscitato dai morti.

Se ricordate, Gesù aveva detto di aspettarlo in Galilea, dove sarebbe riapparso loro, eppure, come abbiamo letto, ad un certo punto, Pietro dice: “vado a pescare” dopodiché altri sei discepoli si aggregano a lui, molto probabilmente i discepoli erano ritornati a fare il loro mestiere per mantenersi economicamente dopo la morte di Gesù.
Questi sette uomini come viene narrato, pescarono tutta la notte. Il metodo utilizzato era quello di stendere la grande rete, lasciarla affondare, e poi tirarla dentro la barca. Dovevano ripetere la procedura volta dopo volta, una notte di lavoro molto faticosa, diventata ancora più stancante per il fatto che, non presero nulla. Dopo una notte così, possiamo immaginare come si sentissero i discepoli: “stanchi morti, affamati, e molto scoraggiati”.
Ebbene, fatte queste premesse si può dire che molto spesso quando leggiamo o ascoltiamo un brano come quello posto alla nostra attenzione oggi, può capitare che subito a prima vista non consideriamo tutti i particolari della vicenda e spesso poniamo la nostra attenzione sui fatti negativi di un racconto per il semplice motivo che sono i fattori negativi quelli che ci colpiscono subito, come in questo caso che, umanamente parlando, ci fa schierare dalla parte di questi pescatori a motivo del fatto che ci sembra ingiusto che abbiano pescato tutta la notte senza prendere nulla prima che Gesù intervenisse con un segno, quindi, se ci schieriamo dalla parte dei discepoli è forse per il fatto che, noi, valutiamo i fatti e le circostanze che accadono nella vita di qualcuno o nella nostra in base ad una agevolazione momentanea e materiale, per esempio, se fosse stato per noi, Gesù avrebbe dovuto presentarsi ai discepoli già all’inizio della notte di lavoro e far sì che prima dell’alba avessero già preso dei pesci senza farli lavorare inutilmente per parecchie ore, ma se analizziamo il brano senza farci cogliere dal sentimentalismo, capiremmo che Gesù aspettò la mattina a causa di quello che voleva compiere nelle menti dei discepoli, ed il fatto che non abbiano preso pesci quella notte non era per caso… era importante che i discepoli non prendessero nulla, perché questo avrebbe reso più evidente il segno di Gesù…e quindi potessero conoscere meglio la personalità sovrana di Gesù e cosa voleva insegnare loro.
Possiamo dire che tutto inizia quando Gesù domanda: “Figlioli, non avete del pesce?”, questa domanda non serviva a Gesù per capire la situazione dei discepoli, bensì era importante che i discepoli si rendessero conto della loro situazione, comprendessero meglio il loro bisogno e capissero che Gesù può agire in ogni cosa (durante il suo ministero, Gesù, fece delle domande per aiutare le persone a rendersi conto del loro bisogno e della loro incapacità), quindi…Gesù era pronto anche in questo caso…a dare un segno per aiutarli a capire che solo lui ha il controllo su tutte le cose e perciò era necessaria questa lunga notte infruttuosa…tutto questo doveva servire per fortificare la loro fede in Lui e mettere in evidenza la loro incapacità di prendere pesci tramite le proprie forze, come avvenne circa tre anni prima e descritto nel Vangelo di Luca al capitolo 5, versetto 5 e 6 dove troviamo scritto quanto segue: “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti”. E, fatto così, presero una tal quantità di pesci, che le loro reti si rompevano.
Come abbiamo letto nel Vangelo di Giovanni, al versetto sei si può notare che i discepoli ubbidiscono senza dire niente e gettano la rete dalla parte destra.
Sarebbe importante tenere in mente la situazione. I discepoli erano circa a 100 metri dalla riva. Quest’uomo ordinò loro di gettare dalla parte destra della barca la rete. Questo dopo una notte intera in cui avevano gettato la rete tante di quelle volte senza mai prendere nulla e oltretutto quest’uomo promette dei buoni risultati (“Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro…..e ne troverete»”). Sarebbe stato tanto facile per loro rispondere a quell’uomo che non era possibile per lui da lontano dire a loro, esperti pescatori, dove gettare la rete. Però, ormai i discepoli erano cambiati, erano diventati veramente umili e capivano il loro bisogno, questo il motivo per cui erano pronti ad ascoltare quella voce autorevole, anche se non capivano come avrebbe potuto sapere dove c’erano dei pesci, quindi, o Gesù sapeva che c’era un enorme banco di pesci proprio alla destra della barca, oppure, ed è più probabile così, Gesù con i suoi poteri guidava tutti quegli enormi pesci proprio in quel punto e in quel momento. Comunque sia, la quantità di pesci che presero era insperata, tanto che…sette uomini forti, abituati ai lavori manuali, non erano in grado di tirare su la rete, tanto era piena, ed era evidente a tutti loro che questo era un grande segno.
Il fatto stesso che la rete non si era strappata era un altro segno. Quando Gesù all’inizio del ministero, aveva provveduto una grande quantità di pesci per i discepoli, come letto in Luca, la rete si era rotta dal peso. Questa volta, però, nel piano di Dio la rete non si doveva rompere ed è per questo che nel Vangelo di Giovanni, troviamo questo particolare.
A questo punto, Gesù comanda loro di venire a fare colazione per il motivo che dopo una lunga notte di così duro lavoro, di sicuro i discepoli erano stanchi e affamati, e quindi saranno rimasti contenti quando scendendo a terra videro che Gesù aveva già preparato un fuoco, stava cucinando del pesce e aveva anche del pane pronto. Gesù aveva preparato tutto, provvedendo al loro bisogno, i discepoli in questo caso scoprirono un altro segno di Gesù  (cfr. v. 9), Gesù provvedendo il cibo come anche il fuoco per asciugarsi e riscaldarsi, fece capire in modo evidente, senza lasciare dubbi, che era stato lui a provvedere ai loro fabbisogni, dando loro del pane e del pesce, Gesù dava una chiara lezione ai discepoli e anche a noi oggi: è Lui che provvede ai bisogni di ciascuna persona. Molto spesso, provvede con mezzi naturali, e anche se la sua mano non è visibile, è sempre Lui che sta provvedendo, quindi, dobbiamo ricordare che Gesù è la fonte di tutto quello che abbiamo, il brano si conclude con quanto scritto al v.14 “Questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti”.
Questo suo manifestarsi doveva servire loro per togliere ogni possibile dubbio circa la realtà della sua resurrezione, fortificando così la fede in loro in vista delle dure prove che avrebbero dovuto sostenere in tutto il mondo come testimoni della sua morte e della sua resurrezione. In altre parole, dovevano navigare nel Mare del Mondo per essere pescatori di donne e uomini. Umanamente parlando, era un’impresa impossibile per un piccolo gruppo di uomini come loro. Come potevano sperare di avere successo dovendo affrontare i Giudei e l’Impero Romano? Come potevano essere pescatori di uomini?
Ebbene, i segni che Gesù compì, dovevano costituire per i discepoli un chiaro ricordo circa il fatto che sarebbe stato Gesù a dare successo alla loro missione di pescatori di uomini e sarebbe stato sempre lui a far sì che la rete non si rompesse quando avrebbero pescato una grande quantità di donne e uomini, se ricordate, poche settimane dopo il giorno della Pentecoste, quando Gesù mandò lo Spirito Santo sui discepoli, Pietro e gli altri predicarono a Gerusalemme e 3000 persone furono redente, questo segno vale anche per noi oggi, anche se oggigiorno sono in tanti a dire che annunciare l’Evangelo della grazia di Dio in Gesù Cristo sia un compito ingrato vista la scarsa rispondenza e la durezza dei cuori dei più, questo non è vero, anzi…è un grande privilegio e non è un compito disperato, perché non siamo noi a dover persuadere nessuno dell'importanza dell'Evangelo, il nostro compito è essere strumenti di Dio per accostare a Cristo il più persone possibili, cioè, "seminare" la Parola di Dio, poi sarà Dio a darci la forza e ad appianare la via per noi, come sarà soltanto compito del Signore aprirci le porte giuste per far crescere il Suo messaggio.    
Quindi… consideriamo come le verità di questo brano possono aiutare noi oggigiorno, per esempio…abbiamo visto che era necessario per i discepoli trascorrere tutta la notte senza prendere nulla, quando invece, Gesù, avrebbe potuto far prendere loro una quantità notevole di pesci, tutto questo per far capire ai discepoli che serviva a loro una situazione difficile per poter riconoscere meglio l’opera e la potenza di Dio; anche noi talvolta dobbiamo ammettere di non essere riusciti a combinare niente, con tutta la nostra ostentata sicurezza la nostra rete è vuota. E' duro ammetterlo. Molto duro, è questo il risultato di tutta la nostra saggezza? Ci siamo tanto affannati, che spesso non ne vogliamo parlare perchè il risultato è zero!  Anzi, a volte non abbiamo neanche il coraggio di confessare che avevamo pensato che le misure prese avessero funzionato, e invece: niente!
Eppure, veri e propri risultati insperati iniziano sempre con UN'ONESTA CONFESSIONE, con l'ammettere di esserci incamminati su una strada tortuosa, ed ammettere di aver fallito e di essere delusi è l'inizio della soluzione.
Fin troppi cristiani girano a vuoto inutilmente come questi discepoli che avevano fatto del loro meglio tutta la notte, e senza dubbio anche noi pensiamo di fare del nostro meglio, ma Gesù ha di meglio che il nostro meglio!
"Il pesce era sempre stato sotto la barca", qui entra in gioco il diavolo che ci dice di fare l’opposto di quello che è scritto nella Parola del Signore per il motivo che le benedizioni sono proprio sotto di noi e non vuole che le cogliamo, quindi agitati e preoccupati vogliamo darci da fare e non combiniamo niente lo stesso! Nella Sua grazia, però Iddio ci dà una preziosa indicazione: “Non muovetevi, non preoccupatevi: fate solo come io vi dico!”. Iddio vuole benedirci proprio là dove ci sentiamo maggiormente delusi. Non fuggiamo, allora, dai problemi, non cerchiamo di risolverli con le nostre misure d'emergenza. Seguiamo ciò che Dio ci dice, non ciò che ci suggerisce la nostra “sapienza”!
Iddio ci chiama fuori dalla nostra delusione e ci dà le Sue benedizioni. Egli ha il controllo dei tempi difficili come dei tempi facili, sia del bene che del male. “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti! Porgete l'orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete” (Isaia 55:1­3).
Nella prospettiva di Dio, si ottengono risultati solo quando si ubbidisce a Lui, anche se ci sembra illogico...in effetti Gesù disse: “Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi” (Luca 6:38).
La lezione che possiamo trarre da questo brano quindi può essere la seguente, gli avvenimenti di questo brano ci ricordano che i discepoli hanno avuto il privilegio di vedere Gesù con i loro occhi, noi…abbiamo il privilegio di avere in mano la Parola del Signore e lo Spirito Santo che ci apre gli occhi e ci prepara sempre per le prove che dobbiamo affrontare nella nostra vita e che Gesù è sempre al nostro fianco ed è colui che provvede a tutti i nostri fabbisogni e che qualunque successo che abbiamo nel portare avanti la Sua opera di far conoscere al mondo la sua morte e la sua resurrezione è dovuto all’opera di Gesù in noi. Noi possiamo seminare e annaffiare, ma la crescita viene sempre da Dio e a volte Dio permette che possono capitarci delle situazioni rigide, ma non lo fa per cattiveria nei nostri confronti, lo fa per farci capire che è lui che provvede per noi, quindi, anziché scoraggiarci, dobbiamo chiedere a Dio di aiutarci a trarre il massimo beneficio dalle prove senza togliercele, ma soprattutto dovremmo chiedergli di darci la pace e la fede necessaria per superare i problemi di cui siamo o potremmo essere afflitti, a motivo del fatto che Dio controlla tutti gli avvenimenti della nostra vita, Dio ha sempre uno scopo per quello che compie in noi e per noi, uno di questi è quello di darci dei benefici spirituali ed eterni.
Lodiamo sempre il nostro Signore perché Egli è il Sovrano su tutto. Questa è una verità che ogni credente deve imparare.
AMEN

"Signore, Manifesta la tua potenza vivificante su questo mondo segnato dalla morte: fa’ che tutti i popoli ti conoscano, e che venga presto la tua giustizia insieme con la tua pace. Accorda la tua saggezza a coloro che ci governano: fa’ che sappiano in tutte le situazioni discernere le vere necessità e realizzare quello che concorre al bene di tutti. La vittoria del tuo Figlio sia la forza dei deboli, il conforto degli infelici, il sostegno di chi cade, la consolazione di chi soffre, il soccorso di tutti coloro che sono perseguitati per aver cercato la giustizia. Guida sempre noi e tutti quelli che credono in te, perché nella comunione del Cristo vivente sappiamo dare il nostro aiuto a chi si trova in difficoltà e accogliere fraternamente gli uomini e le donne di ogni lingua e di ogni condizione.
Il Signore dice: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. La grazia del Signore Gesù sia con tutti". Amen.




12/04/2020

PASQUA DI RISURREZIONE


“Svegliati mio cuore, la notte è passata, il sole è sorto! Rianima il mio spirito e la mia mente e fammi stringere il mio Salvatore che oggi, abbattendo la porta della morte e uscendo dal sepolcro, ha condotto l’intero mondo alla gioia.” 
(Lorenz Lorenzen)

La Pasqua è il contrario del Natale, a Natale ricordiamo la nascita di Gesù per il motivo che è diventato come noi, un essere in carne e ossa, il giorno di Pasqua invece, lo ricordiamo per quell’evento che lo fa esplodere al di sopra di noi, lo fa diverso rispetto a tutti noi…
Vi invito quindi a leggere quello che Paolo dice nella 1ª lettera ai Corinzi al capitolo 15, versetti dal 12 al 28, dove si parla di risurrezione, dopo di che vi invito a leggere il Sermone inerente al testo biblico sopra citato.
                        1 Corinzi 15 , 12 – 28
Ora, se si predica che Cristo è stato risuscitato dai morti, come mai alcuni tra voi dicono che non c’è risurrezione dai morti? Ma se non vi è risurrezione dai morti, neppure Cristo è stato risuscitato. E se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede. Noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio, che egli ha risuscitato il Cristo, il quale egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è stato risuscitato. E se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede, e voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini.
Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati, ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto in nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch’egli regni finché abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte. Difatti, Dio “ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi”. Ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposta ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.


Diciamo subito una cosa: la risurrezione di Gesù non è affatto un problema, e il fatto che siamo qui oggi a leggere ne è la prova.
Non ci fa problema, anzitutto perché è un bellissimo racconto, il lieto fine della storia di un uomo giusto che sembrava sconfitto una volta per tutte dalle forze del male, e invece vince, e con lui vince il bene. E se anche avessimo dei dubbi sulla sua storicità, la risurrezione di Gesù è un bel mito fondatore della nostra religione, e ai miti non si chiede se siano veri o no, si chiede che ci siano, e che svolgano il loro ruolo…poi comunque è bello fare Pasqua, è bello per i bambini e per noi adulti, e dal momento che non può esserci Pasqua senza risurrezione, ci conviene tenercela, questa antica credenza…
Ma se poi questo mito, questa venerabile e veneranda tradizione, pretende di toccarci veramente, se pretende di essere una realtà e anzi, come dicevo prima, la nostra realtà… allora è un’altra cosa. Allora fa problema. Perché… morire e poi risorgere, cioè ritornare alla vita con un corpo che è ancora il nostro e che però è anche diverso (perché la risurrezione è proprio questo “ancora il nostro corpo”, non è un evento tutto spirituale come l’immortalità o la trasmigrazione delle anime), vivere una nuova esistenza che nemmeno possiamo immaginare come mai potrà essere, viverla tutti quanti… tutti gli esseri umani apparsi sulla terra lungo i milioni d’anni d’esistenza della nostra umanità, e viverla per l’eternità, cioè in un tempo al di fuori dal tempo, anche questo per noi inimmaginabile. Chi può davvero crederci?
Noi non siamo più gli uomini e le donne del passato, imbevuti di miti e di miracoli… Abbiamo una mentalità di tipo scientifico, e certo la risurrezione è tutto meno che un evento che sia possibile verificare scientificamente. E allora, per noi, la nostra risurrezione è un evento irreale… un evento incredibile…
Così alla risurrezione nostra e dei nostri cari, noi non ci crediamo quasi più. Chi ha a che fare (come è capitato a me) con persone colpite da un lutto, sa come l’ipotesi di una possibile nuova vita del proprio caro defunto è oggi talmente nebulosa…e avvolta da incertezze, da essere di fatto irrilevante.
In una casa in lutto, si parla della morte, delle sue modalità, delle sofferenze e della fine delle sofferenze, si ricorda la persona scomparsa, la sua storia, i suoi affetti, la sua fede… insomma, si parla di tante cose, ma quasi mai della sua risurrezione… Non è che la si neghi… forse è peggio: non ci si pensa…
L’unico che ne parla è il pastore o il prete durante il funerale, ma spesso si ha come l’impressione di parlare di qualcosa di cui si deve parlare in occasione della morte di un cristiano, ma che non tocca poi tanto chi lo ascolta… qualcosa di scontato in una chiesa, ma di fatto un enorme punto interrogativo, o poco più…

In fin dei conti è la stranezza della storia umana, nonostante la nostra modernissima mentalità scientifica, dobbiamo ritornare al tempo dell’apostolo Paolo.
Anche allora, infatti, molti membri della chiesa di Corinto credevano alla risurrezione di Gesù, e invece non credevano alla loro. Dicevano: “Noi siamo già risorti spiritualmente, perché diventare cristiani ci ha cambiato la vita rispetto al nostro paganesimo di prima! Ma quanto a una risurrezione corporale dopo la nostra morte… questo non lo crediamo… Gesù è risorto perché era il Figlio di Dio, e la morte non poteva tenere avvinto nei suoi lacci un essere divino come lui, ma quanto a noi…che può farsene mai del nostro corpo di carne, ossa, cartilagini Dio, il “Purissimo Spirito” per eccellenza,? Quello che conta è solamente l’anima, la nostra componente spirituale che è il nostro vero io: e sarà proprio lei, l’anima, che già ora è ci unisce nella fede e nella preghiera al Signore Risorto, a rimanere per sempre insieme a lui. E poi, tornando al corpo, è fatto di materia destinata a perire. Come possiamo credere o anche solo pensare che gli elementi di cui è composto il nostro fisico, quegli elementi che la morte decompone e disperde nella terra e nell’acqua, e che poi la natura riutilizza… possano rimettersi insieme e tornare alla vita?”.
Questi erano i pensieri di tanti cristiani di Corinto. E questi sono i pensieri di tanti di noi.
E cosa dice Paolo confrontandosi con questi “pensieri” dei nostri antichi padri di Corinto, e con i nostri ?
Lo rileggiamo: “Se non c’è la risurrezione dei morti, neppure Cristo è stato risuscitato. E se Cristo non è stato resuscitato, la nostra predicazione è vana, ed è vana anche la vostra fede”… “o credi che anche tu risorgerai, o tu non sei cristiano. Essere cristiano è credere che Gesù è risorto. E se è risorto lui, risorgiamo anche noi, se noi non risorgiamo, nemmeno lui risorge”.
La risurrezione di Cristo non è un fatto che riguarda solo lui: “la sua è la tua risurrezione! O tutti assieme a lui, o nessuno! Non c’è via di mezzo!”
E questo ha una sua logica, sulla quale vorrei provassimo a riflettere.
La risurrezione, l’abbiamo detto adesso, non è l’immortalità dell’anima. È una realtà “corporale”, “materiale”: risorgi con un corpo, o non risorgi… e abbiamo già sentito quali difficoltà questo provocasse a Corinto, e sappiamo che in noi provoca esattamente le stesse difficoltà.
Ma cos’è un corpo? È soltanto carne, ossa, sangue, materia cerebrale… o è anche qualcos’altro? Nella Bibbia non si parla dell’anima: l’essere umano si identifica con la sua corporeità, ogni uomo e ogni donna è fondamentalmente il proprio corpo.
Ma il corpo non è solo materia. Il corpo è l’organo… lo strumento... il sistema di comunicazione che rende possibili le nostre relazioni e perciò la nostra vita, perché la nostra vita è relazione. Il nostro corpo infatti, e con lui il nostro “io”, non può sussistere se non è collegato, in maniera vitale, anzitutto al suo ambiente: un corpo ha bisogno d’aria, d’acqua, di cibo, e poi degli altri viventi: già all’inizio del nostro stesso esistere, noi nasciamo da altri… dai nostri genitori… il nostro corpo è un prodotto di altri corpi…
E poi abbiamo bisogno per vivere, per crescere, per formare noi stessi, per diventare quello che noi siamo… di essere circondati dagli altri esseri umani.
Sì, noi siamo ciò che siamo, non solo perché i nostri genitori ci hanno dato la vita, ma anche perché loro e tante altre persone ci hanno fatto da maestri: ci hanno insegnato a vivere, a conoscere il mondo, e siamo quel che siamo perché, anche da adulti siamo stati e siamo tuttora influenzati e plasmati dalle nostre amicizie, dal nostro ambiente di lavoro, dai libri, dai giornali, dai viaggi, dalla radio, dalla televisione, da internet, dalla musica…
Insomma, noi siamo quello o quella che gli altri hanno contribuito a costruire… Siamo il prodotto di una cultura che non è innata in noi, e che ci viene data, e parliamo una lingua che altri hanno creato e parlato ben prima di noi e che ci hanno comunicato… e che è diventata così nostra che senza di lei non potremmo nemmeno formulare i nostri pensieri, forse nemmeno provare i nostri affetti…
E tutto questo, questa continua ininterrotta comunicazione… questo reciproco scambio vitale di informazioni … tutto avviene tramite il corpo, e vale anche il contrario: il nostro corpo vive in questo scambio. E quando lo scambio cessa, noi moriamo.
Pensate quanto questo sia strano e quanto sia anche chiaro: quando siamo morti, il nostro corpo materiale c’è ancora, ma noi non ci siamo più. E perché non ci siamo più?
Di chi muore si dice giustamente che è mancato. Noi non ci siamo più perché siamo al tempo stesso il fattore e il prodotto di una continua comunicazione fra noi e gli altri… e quando questa comunicazione s’interrompe, quando “manca”, siamo noi che “manchiamo”. La morte è la fine dello scambio, la fine delle comunicazioni che ci “fanno”… ci mantengono vivi.
Ma allora, se le cose stanno così, noi capiamo perché Gesù non può essere risorto solo lui! La risurrezione di un corpo come (abbiamo detto) è un sistema di comunicazione che vive tramite lo scambio e la comunicazione con altri esseri, per questo, sarebbe un’assurdità vivere senza alcun altro con cui comunicare! In parole brevi, per vivere la sua vita corporale di risorto, Gesù ha bisogno di noi, come ha avuto bisogno di altri esseri umani per vivere sulla terra la sua vita di “figliolo dell’uomo”!
Davvero…come dicevo prima: o tutti o nessuno! La risurrezione è una realtà collettiva, che riguarda un insieme: l’insieme dell’umanità. Davvero, come dice Paolo, Cristo risuscitato dai morti è la “primizia”. Se lui è veramente risuscitato, non possiamo non risuscitare anche noi, soprattutto per comunicare per sempre con lui e fra di noi…

quando dico “noi” intendo dire “tutti”.
Una caratteristica positiva della nostra epoca è la consapevolezza molto chiara – molto più chiara che non nel passato – che l’umanità è “una”.
Questa consapevolezza nasce ed è alimentata da tante cose che il progresso ci mette a disposizione. Mi vengono alla mente le foto della terra, per certi aspetti persino toccanti, scattate dagli astronauti e che si possono vedere in tutte le enciclopedie: ebbene, mostrano il nostro bel pianeta blu sullo sfondo del nero dello spazio, e viene veramente da pensare che su questo corpo variamente colorato e luminoso e che corre nello spazio infinito, abbiamo tutti una sorte comune. Viene da pensare a una comune fragilità condivisa, e vengono anche alla mente le informazioni che lo studio del DNA umano sta dando ai genetisti, che dimostrano che tutti gli esseri umani hanno una stessa origine, fanno parte della stessa famiglia.
Se questa consapevolezza la applichiamo alla risurrezione, proprio l’unità fondamentale dell’umanità esige che tutti, tutti, risorgiamo: viviamo insieme e ci salviamo insieme. Noi siamo troppo legati gli uni agli altri perché anche solo uno possa andare perduto. Siamo come un’enorme tela multicolore, che non può rinunciare a un solo filo sotto pena di sfilacciarsi tutta… È difficile immaginare un essere umano che non abbia mai amato nessuno, o che non sia mai stato amato da nessuno, e allora, perché nessuno viva la sua risurrezione con il dolore dell’assenza di chi ama e di chi lo ama, tutti risorgeremo! È la meravigliosa esigenza di solidarietà della risurrezione, che ci deve già qui sul nostro pianeta blu in volo nello spazio, portare a vivere in maniera totale proprio la solidarietà.
Perché anche qui la mia felicità dipende dall’amore degli altri verso me e dal mio amore verso di loro, e da questo scambio d’amore dipende anche la loro felicità, la felicità di tutti. Io non posso pensare: “Ho fatto la mia parte nella vita, per me e per i miei cari, gli altri si arrangino”. Le guerre, le violenze, questo coronavirus di questi giorni e le ingiustizie che avvelenano e disgregano l’umanità sono le mie: “ne sono responsabile come tutti gli altri esseri umani…”
La risurrezione di Gesù, ci assicura che il male non riuscirà a trionfare, e che allora i nostri sforzi per vivere già adesso la beatitudine della solidarietà, non andranno perduti.
Non a caso, Paolo conclude questo grande capitolo tutto dedicato alla risurrezione, con un’esortazione che è anche una grande parola di consolazione: “Perciò, fratelli miei carissimi, (per il fatto che Cristo è risorto e anche noi risorgeremo) state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Cor. 15, 58).
La risurrezione è anche questo: la garanzia di Dio che nulla di quello che abbiamo fatto andrà perduto; ritroveremo tutto: ogni sforzo, ogni azione, ogni progetto, ogni carezza e lacrima…

Ma questo dilatarsi della risurrezione ad abbracciare tutti gli esseri umani e tutta la realtà, non è l’ultima parola su di essa. C’è ancora un altro aspetto, importantissimo – cui già abbiamo accennato – ma che va esplicitato, messo in luce: la risurrezione non riguarda soltanto l’umanità, ma l’intero creato e tutto l’universo!
Non siamo solo legati fra di noi, siamo legati anche al nostro mondo, anche alla stella più lontana in cielo. Quante volte ci siamo incantati a guardare il firmamento…e questo ci ha arricchito nei pensieri, ha suscitato nuovi sentimenti, ci ha reso più profondi… Ebbene, anche il “nostro” mondo che ci incanta risorgerà con noi, e questa risurrezione sarà una “ricreazione”!
Paolo nella sua grande lettera ai cristiani di Roma, a un certo punto dice: “La creazione aspetta con impazienza… nella speranza che sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (cfr Romani 8, 19-21).
Cosa ha dato all’apostolo la sensibilità per cogliere il sospiro d’attesa e di speranza del creato, se non la sua esperienza dell’amore di Dio e la sua fede nella risurrezione di Gesù come caparra e anticipo della risurrezione di ogni cosa? E proprio facendo fondamento sull’amore di Dio e sulla sua potenza di ridare vita alla vita, esprime qui la profonda convinzione che se un solo essere umano che ha vissuto nel mondo… se Gesù è già salvato, anche il mondo lo sarà interamente. Paolo questo lo crede e per questo egli spera ed ha fiducia: che ciò che è stato creato da Dio, sarà ricreato da Dio stesso.
Noi viviamo nel mondo creato da Dio, ne subiamo l’influenza, lo trasformiamo con le nostre mani e la nostra intelligenza: è veramente il “nostro” mondo, e noi siamo “suoi” e come noi, neanche esso andrà perduto, ritroveremo tutto: i suoni che hanno avvolto e stimolato l’anima dei grandi musicisti, i colori e le forme che hanno ispirato i pittori e gli scultori, le equazioni e le leggi che hanno dato il “la” ai matematici, gli animali con la loro meravigliosa varietà, la bellezza e l’immensità delle cose che con la loro presenza hanno arricchito l’anima di ognuno… tutto sarà ricreato assieme a noi… È la grande promessa che illumina il finale del libro dell’“Apocalisse; “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra… e colui che siede sul trono disse: – Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (cfr Apocalisse 21, 1. 5).
Proprio questa promessa fondata sull’agire di Dio che rinnova ogni cosa, dev’essere per noi stimolo e ammonimento a non sciupare, già qui e ora, questo mondo che è destinato al suo rinnovamento. Non mi soffermo su questo… lo lascio alla vostra considerazione… Tutti conosciamo i tanti appelli e le tante grida d’allarme su quel che stiamo facendo al nostro mondo e su come rischiamo di ridurlo in pochi anni… su come lo stiamo rovinando… su come stiamo trasformando il“sospiro delle creazione” di cui parlava Paolo in un misero rantolo…
Oggi, Pasqua di risurrezione, dobbiamo dirci parole di speranza. E la parola di speranza che la fede ci detta è che davvero, noi avremo “nuova terra” e “nuovo cielo”. E in questa “nuova terra”, e sotto il “nuovo cielo”, ci ritroveremo tutti quanti. Saremo “ricreati”. Io sarò ricreato, e con stupore e gioia scoprirò accanto a me il mio “comitato di accoglienza”: la cerchia dei parenti e degli amici, dei fratelli e sorelle nella fede con i quali ho vissuto la mia vita. E nel loro calore, io coglierò il calore dell’accoglienza di Dio e capirò di far parte della “comunione dei santi”. E mi vedrò come non mi sono mai visto. Comprenderò quello che sono stato, vedrò il senso di tutto quel che ho fatto, o non ho fatto. E mi potrò misericordiosamente giudicare: tanta gente aiutata senza neanche saperlo, e tanto male fatto senza neppure rendermene conto… Così, su un “fondo scena” di ringraziamenti e anche di profondi pentimenti, potrò aprirmi al perdono delle mie sorelle e dei miei fratelli umani…
Entrerò in un processo infinito di conoscenza e amore. E intuirò che non potrò mai conoscere pienamente Dio, ma che non mi annoierò mai a passare la mia eternità insieme a Dio e lasciarmi colmare da lui.