Spreco di cibo e di acqua
In questo periodo di pentimento, l’Alleanza ecumenica «agire insieme» (eaa) ci incoraggia a riflettere sul fatto che più di un terzo del cibo prodotto su questo pianeta a destinazione della popolazione – il pane quotidiano per il quale preghiamo e che abbiamo in abbondanza – viene sprecato. Non per via di catastrofi naturali ma a causa della nostra vergognosa negligenza nell’amministrazione di questo dono.
Nei Paesi in via di sviluppo, lo spreco avviene principalmente nei luoghi di produzione – a causa dei limiti imposti dai metodi di raccolta, dalle tecniche di conservazione e dai sistemi di condizionamento e di distribuzione – mentre nei Paesi sviluppati, lo spreco è dovuto all’inefficacia di certi processi nella catena di approvvigionamento e ai comportamenti dei consumatori individuali.
Non possiamo continuare a essere testimoni passivi di fronte al fatto che 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono così sprecate ogni anno, mentre 15 milioni di bambini muoiono di fame ogni anno nel mondo. O al fatto che l’acqua di irrigazione usata nel mondo per produrre cibo che alla fine sarà sprecato
basterebbe a soddisfare i bisogni quotidiani di 9 miliardi di individui. O al fatto che il 10% delle emissioni di gas serra dei Paesi ricchi provengono dalla coltura di alimenti che non vengono consumati.
Dopo la moltiplicazione dei pani, quando ognuno e ognuna furono saziati da quell’approvvigionamento inesauribile, Gesù disse a suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda».
Dave Bookless*
«O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall’alba; di te è assetata l’anima mia, a te anela il mio corpo languente in arida terra, senz’acqua» (Salmo 63, 1)
Usiamo spesso la sete come immagine di un desiderio spirituale, ma quanti fra noi hanno già avuto veramente sete? Quanti hanno dovuto portare la preziosa acqua per parecchi chilometri, stando attenti a non rovesciarne una goccia? Forse voi. Esiste oggi nel mondo un grande fosso tra, da una parte, quelle e quelli che non si rendono più conto dell’importanza dell’acqua quando aprono il rubinetto o svuotano la vaschetta del W.C. e, d’altra parte, quelle e quelli per i quali l’approvvigionamento in acqua è limitato e incerto.
La Bibbia è stata scritta in un contesto di «stress idrico». Nel libro Scripture, Culture and Agriculture, Ellen Davis ricorda che il popolo d’Israele viveva essenzialmente nelle zone interne di colline dove l’acqua scarseggiava, costringendo i contadini a usarla coscienziosamente. Il salmo 63 che, secondo la trazione, è stato scritto dal re Davide nel deserto di Giudea, rispecchia questo stato di cose. Gli imperi vicini di Babilonia e d’Egitto erano invece attraversati da immensi fiumi e l’acqua vi era spesso sprecata e usata in modo stravagante; basti pensare ai Giardini sospesi. Nel caso di Babilonia, queste pratiche hanno impoverito le falde acquifere, provocando, in connessione con altri fattori, la caduta dell’impero.
Oggi l’umanità usa il 54% di tutta l’acqua disponibile (fiumi, laghi e falde acquifere) e si ritiene che la popolazione mondiale aumenterà di tre miliardi di individui entro il 2050. Alcuni predicono che nel XXI secolo ci saranno guerre per l’accesso all’acqua.
Questa apocalisse idrica conta almeno quattro cavalieri:
1) l’urbanizzazione: le grandi concentrazioni di popolazione fanno sì che è impossibile rispondere all’insieme della domanda di acqua.
2) l’agricoltura intensiva: essa esige grandi quantità di prodotti chimici e di acqua.
3) la produzione industriale: enormi quantità di acqua vengono usate per produrre bevande gazzose e beni di consumo.
4) i cambiamenti climatici: essi provocano piogge, siccità e alluvioni impossibili da prevedere. I rendimenti dell’agricoltura che dipendono dalle precipitazioni potrebbero diminuire del 50% entro il 2020.
Per la maggior parte di queste problematiche, a essere in causa è lo spreco. Non solo sprechiamo l’acqua direttamente – il 95% dell’acqua potabile che entra nelle case degli Stati Uniti ritorna nelle canalizzazioni – ma i nostri stili di vita richiedono quantità eccessive di cibo e di prodotti che sprecano l’acqua durante la produzione e quando ce ne sbarazziamo. Anche nei Paesi «ricchi di acqua» importiamo prodotti che spingono i Paesi poveri di acqua alla carestia e il nostro spreco è così forte che può privare popolazioni dei loro mezzi di sussistenza e rovinare la fauna e la flora locali.
Potrebbe esserci bisogno del 50% di acqua in più per nutrire tutti nel 2050. Eppure, basterebbe diminuire del 50% lo spreco alimentare – in particolare le perdite dopo il raccolto, le perdite dovute al trasporto e alla manipolazione e le perdite nelle case – per ridurre in modo radicale o persino annullare il bisogno di acqua supplementare per produrre più cibo. Si potrebbe pensare che non possiamo farci gran che ma, in realtà, in quanto consumatori ed elettori, possiamo. Ed è anche il nostro dovere perché consideriamo l’acqua come un dono prezioso di Dio e non come un diritto del consumatore.
Riapprendiamo anche ad apprezzare quel dono di Dio che è l’acqua. Ogni anno, durante la Quaresima, la nostra famiglia «digiuna», rinunciando all’elettricità dal venerdì santo alla Domenica di Pasqua. Cuciniamo fuori su un fuoco di legna (nel cuore di Londra). Non usiamo i nostri cellulari né i nostri computer, né la nostra televisione. Ci alziamo all’alba e andiamo a dormire al calar della notte. È diventato per noi una tradizione concreta e spirituale potente. Quest’anno, mia moglie ha suggerito di tagliare l’acqua e di andare a cercare la nostra acqua – per bere, lavarci, pulire e svuotare la vaschetta – con secchi da un amico che abita a 3 km da casa nostra. All’inizio, ero reticente, ma da quando scrivo questa riflessione, incomincio a entusiasmarmi. Perché non fare come noi? Insieme, possiamo riapprendere il desiderio di Dio in una terra di sete e riapprendere ad apprezzare ogni goccia di quel dono di Dio che è l’acqua. (cec media)
(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)
* Prete anglicano e consulente teologico presso A Rocha (www.arocha.org), organizzazione internazionale cristiana di conservazione presente in sei continenti. È inoltre autore di Planetwise e God Doesn’t do waste.
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