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20/02/2013

Che cosa significa oggi «protestante riformato»?

di Eric Fuchs*

Le nostre chiese riformate non sanno più bene dove situarsi tra, da un lato un integralismo che respinge il legame con la cultura e si rinchiude in un autismo distruttivo e, dall’altro, un conformismo che, per paura delle differenze potenzialmente conflittuali, si allinea freddolosamente sui valori dominanti della società.

Predicare la «Santa ignoranza»(1) per meglio esaltare la fede è altrettanto dannoso quanto annunciare trionfalmente che è tempo di «credere in Dio che non esiste» per farsi ammettere da una società diventata indifferente; in un caso, è disprezzare l’intelligenza e confondere fede e credulità; nell’altro, è disprezzare il coraggio spirituale e confondere l’accettazione della differenza con la compiacenza.

Una intelligenza fecondata
Con sant’Anselmo, il protestantesimo ha sempre affermato che la fede chiamava l’intelligenza e la fecondava. Ha preso le distanze sia da un certo razionalismo orgoglioso sia da uno spiritualismo che pretende l’immediatezza di una relazione con il divino. La fede cerca la ragione per condurla a quello che la giustifica e la realizza. Ma anche per essere da essa preservata da ogni pretesa orgogliosa di credersi incaricata, lei sola, di condurre al bene e alla giustizia.
La fede senza la ragione sprofonda nel sentimentalismo o nel fanatismo. La ragione senza la fede manifesta un orgoglio arrogante. Karl Barth riassume così il proposito di Anselmo: Credo ut intelligam (credo per comprendere) significa: (2) La mia fede stessa, in quanto tale, è un appello alla conoscenza.
Credo non per non dover più pensare, (…), credo, per pensare meglio, in modo più rigo­roso e far così onore a Colui che mi vuole capace di «amarlo con tutto il mio pensiero» come dice il secondo comandamento della Leg­ge riassunto da Gesù. Si può dire che il protestantesimo, nel corso della sua storia, ha manifestato un grande appetito intellettuale e una grande preoccupazione di far capire che cosa è la fede nelle sue fonti come nei suoi frutti. L’identità protestante è dunque inseparabile dalla riflessione intellettuale teologica. Bisogna ripeterlo in un tempo in cui le nostre chiese protestanti sembrano disinteressarsi della sorte delle loro facoltà teologiche e dei loro centri di formazione e accettare che i loro pastori siano costretti ad assomigliare sempre di più a degli animatori culturali.
Ora, senza questo intellectus fidei, questa intelligenza della fede, questa si riduce a un sentimento, un’emozione, uno stato d’animo che non può né essere trasmesso agli altri (generazioni, in particolare), né nutrire un’azione concreta realistica. L’etica come la spiritualità evangelica sono allora trascurate, perché richiedenti un’esigente presa a carico di sé.
Ma, come ricordava già Dietrich Bonhoeffer alla sua chiesa: «La grazia a buon mercato è la nemica mortale della nostra chiesa. (…) In questa chiesa, il mondo trova, a buon mercato, un velo per coprire i propri peccati, peccati di cui non si pente e di cui (…) non desidera liberarsi (…) La grazia a buon mercato è la giustificazione del peccato e non del peccatore»(3) È dunque il rifiuto dell’etica evangelica a vantaggio di un’etica allineata sui comportamenti della maggioranza.

Tornare alla Fonte.
È dunque tempo di tornare a ciò che oggi chiamiamo volentieri «i fondamentali», il che designa, per quanto riguarda il protestantesimo riformato, l’insegnamento della Scrittura. (…)

Per la riforma protestante, non siamo salvati dai nostri meriti, dalla qualità o dagli scrupoli della nostra obbedienza ai comandamenti morali della chiesa, ma dalla sola fiducia e bontà di Dio. La salvezza si esprime molto concretamente attraverso un modo di vivere che onora Dio e, a imitazione di Cristo, si mette al ser­vizio del suo prossimo. Il protestantesimo è abitato da una esigenza morale che, per essere fedele a Colui al servizio del quale intende rispondere, deve riformarsi costantemente anch’essa. (..)

Combattere l’individualismo deleterio.
Primo valore da mettere in discussione: l’individuali­smo. Si è spesso detto a ragione che l’individualismo era uno dei frutti della Riforma per il peso che essa ha messo sulla fede personale; il legame istituzionale con la chiesa è secondario (per molti protestanti perfino inutile). Su que­sto punto bisogna chiaramente fare marcia indietro e ricordare con la Scrittura che non è bene che l’uomo sia solo.
La nostra società ha sviluppato un individualismo egoista e conflittuale; la concorrenza vi è diventata un modo di vita che, dal commercio, si è estesa all’educazione, alla sanità, allo sport, all’arte, al lavoro. L’Evangelo ci chiama invece a praticare la solidarietà, a interessarci agli altri, meglio, a costruire con essi una pratica comunitaria. Rispettare le persone e la loro specifici­tà è mettere in valore il loro contributo all’edificazione comune. Primo compito dell’etica pro­testante: difendere la persona piuttosto che l’individuo.

Quale libertà per quale uomo?

Secondo valore da riesaminare: la libertà. Quella che l’Evangelo ci offre ci dà il coraggio di rifiutare i diktat dell’economia, e le cosiddette ineluttabili leggi del marcato, come quelli della politica e dell’opinione, così facilmente manipolati dai media.
Ma la libertà evangelica non è quella del selvaggio che fa quello che vuole, secondo i suoi desideri, è la decisione legata alla volontà e alla ragione, di condurre la propria vita nella pre­oc­cu­pazione di mantenere viva la stima di sé.
Essere libero secondo l’Evangelo è sapersi giustificato da Dio, sapersi accettato, restituito alla libertà di non doversi giustificare, è, come dice Paul Tillich: Il coraggio di accettare di essere accettati. 4 (…)
Per questo i protestanti devono combattere la tentazione di ripiegarsi in un ghetto reli­gioso, lontano dai conflitti di questo mondo, come se la giustizia di cui parla l’Evangelo fosse riservata ai soli cristiani. 5 Crediamo che essa è anche la fonte segreta dell’esigenza e della speranza che abita il cuore di tutti gli uomini di buona volontà.
I cristiani devono dunque collaborare senza riserve con tutti coloro che si preoccupano del futuro del mondo sociale e naturale. Su questo piano, cristianesimo e umanesimo hanno lo stesso programma. (…)
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1.Secondo l’espressione di Olivier Roy, La Sainte ignorance. Le temps de la religion sans culture, Paris 2008
2.La preuve de l’existence de Dieu d’après Ansel­me de Canterbury, traduzione francese, 1958, Delachaux et Niestlé, p. 16
3.Le Prix de la Grâce, traduzione francese, 1962, Delachaux et Niestlé, p. 11
4.Le courage d’être, 1952, traduzione francese, Paris 1967, Castermann, p. 162
5.Fondamentalismo, una definizione possibile: «L’approccio fondamentalista è pericoloso perché è attraente per le persone che cercano delle risposte bibliche ai loro problemi di vita. Esso può abbindolarli offrendo loro interpretazioni pie ma illusorie, anziché dire che la Bibbia non contiene necessariamente una risposta immediata a ognuno dei loro problemi. Il fondamentalismo invita, senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero umano. Mette nella vita una falsa certezza perché confonde inconsciamente le limitazioni umane dei messaggi biblici con la sostanza divina di quel messaggio» (un teologo cristiano).

*Dottore in teologia e pastore, professore ono­rario dell’Università di Ginevra, per 20 anni diret­tore del Centro protestante di studi (Cpe) cofondatore del Laboratorio Ecumenico di Teologia (Aot).
In particolare ha pubblicato, principalmente presso Labor et Fides: L’éthique protestante, Comment faire pour bien faire, Le désir et la tendresse, L’exigence et le don, L’éthique chrétienne, Faire voir l’invisible, Réflexions théologiques sur la peinture, etc. Le sue opere sono tradotte in molte lingue.
(Traduzione dal francese di Lucilla Tron)
(20 febbraio 2013)
Dal sito: www.riforma.it

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