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Domenica 5 maggio, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 5 maggio, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9

30/12/2019

Pensiero di Natale dal Vangelo di Luca capitolo 2, versetti da 33 a 35


“E il padre e la madre di Gesù erano meravigliati per le cose che si dicevano di lui. E Simeone li benedisse e disse a Maria, la madre di Gesù: «Ecco, questo [tuo figlio] è posto per la caduta ed il rialzarsi di molti in Israele e come segno di contraddizione (e una spada, poi, trapasserà la tua stessa anima) di modo che vengano rivelati pensieri da molti cuori»” (Luca 2,33-35) 

Ci troviamo all’inizio del vangelo secondo Luca, in mezzo a quelle pagine che narrano dell’infanzia di Gesù. L’episodio inizia facendo riferimento alla meraviglia di Maria e di Giuseppe, sorpresi dalle parole che hanno ascoltate da Simeone, attraverso le quali il loro figlioletto appena nato era stato definito «luce che illumina le genti e gloria del Tuo popolo Israele». Ma chi è Simeone? Quando lo presenta, Luca lo descrive semplicemente ma significativamente come «un uomo giusto»: vive in Gerusalemme e, da uomo retto qual è, si tratta della persona più indicata per riconoscere Gesù come colui nel quale e attraverso il quale questa giustizia si compie.  
L’elemento più sorprendente e più dirompente però, in questa confessione, è un altro e consiste nel fatto che chi pronuncia queste parole è un laico, ovverosia, letteralmente parlando, un «uomo del popolo». Non si tratta, infatti, di un sacerdote, di un uomo che, per così dire, “per mestiere” si occupa di amministrare il sacro: Luca, con buona pace di quanti, allora come oggi, rimangono perplessi e scandalizzati da questa scelta, pone sin dall’inizio la vicenda umana e divina di Gesù sotto il segno della laicità. Simeone, uomo retto e laico, viene però incontro a Gesù e ai suoi genitori proprio dentro il tempio, per annunciare che, in verità, con quel tempio e con il suo sacerdozio la predicazione e la vita di quel bimbo, un giorno non lontano, entreranno inevitabilmente in contrasto. Profeta di questa notizia è, come quasi sempre sono i profeti biblici, un uomo del popolo, che agli occhi di Dio è affidabile più di qualsiasi uomo religioso per il semplice fatto che si tratta di un uomo giusto. E persino lo stesso nome che porta non è figlio del caso: Simeone, infatti, vuol dire, letteralmente, «colui che dà ascolto»; ed è questa stessa capacità, il suo saper volgere l’orecchio così come il cuore a Dio, ciò che lo rende, in ultima istanza, un uomo giusto. 
Ma le sorprese legate a quest’uomo semplice ed integro non sono ancora finite, al contrario, hanno appena avuto inizio. Simeone, infatti, contro ogni consuetudine propria del suo tempo e della sua cultura, sceglie di rivolgere le sue parole non al padre del bambino, ma alla madre. Nella religiosità sacerdotale, ieri come oggi, la donna non è considerata come possibile interlocutrice: la parola circola da maschio a maschio, perché i maschi custodiscono e circoscrivono lo spazio inviolabile del sacro. Il Dio delle istituzioni religiose parla ai soli maschi, i quali poi, sovente, si elevano al rango di depositari del vero. I vangeli, al contrario, sono storia di una rivelazione che, in modo assai significativo, si apre e si chiude al femminile. 
Ed è con un riferimento all’intimità che Simeone si rivolge, con una confidenza commovente e sorprendente, a Maria. Le dice, infatti: «Una spada, poi, trapasserà la tua stessa anima».  Simeone annuncia a Maria il suo dolore di madre, la ferita da cui dovrà imparare a germogliare la sua fede di donna: il suo Gesù infatti, e lei lo sa, appartiene a Dio, e lei dovrà riscoprirsi madre nel lasciarlo andare, nel rinunciare alla spontaneità del sentimento che tende a trattenere l’amato. Quel figlio suo e non suo, dono dell’amore come lo è ogni figlio, ogni figlia, sarà trafitto a morte e straziato, e con lui il suo cuore di madre. Ma in questo squarcio che verrà a dilaniarle il petto Dio, per bocca di Simeone, promette di gettare un seme: e da quel dolore muto e inconsolabile qual è il dolore della madre che veda morire il figlio, da quel solco che le si scaverà nell’anima e nei sensi, gli ultimi di questa terra riceveranno speranza e nuova vita.     

[NATALE 2019 – Pastore Alessandro Esposito]


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