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27/08/2014

Lo Spirito Santo sostiene e difende la fede del credente nell'agire quotidiano


Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 15-21

15 «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani; tornerò da voi. 19 Ancora un po', e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi. 21 Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui»

Predicazione tenuta Pastore Jean-Félix Kamba Nzolo durante il Culto mattutino del Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste, lunedì 25.08.2014




Gesù ha appena condiviso l’ultimo pasto con i suoi discepoli, pasto durante il quale aveva loro lavato i piedi (Gv 13,1-17). Ma il momento del suo arresto è vicino (Gv13,33). Il testo che abbiamo letto poc’anzi fa parte del discorso di addio ai discepoli. A loro Gesù fa le sue ultime raccomandazioni, prima di essere consegnato nelle mani dei suoi uccisori e prima lasciare questo mondo. In questo modo, egli prepara i discepoli a vivere senza di lui, rassicurandoli che la sua assenza non sarà che apparente e ch’essa si tradurrà in un’altra forma di presenza.

Ma immaginiamo un po’ la situazione: Gesù parla ai suoi discepoli per prepararli al momento in cui la sua morte an­nunciata diventerà una realtà. Guarda i suoi compagni di avventura, gli amici più cari, e coglie in pieno la loro confusione e la loro incertezza rispetto al futuro che li attende senza più la sua presenza. I discepoli sono angosciati perché devono perdere la loro guida spirituale e, secondo alcuni di loro, colui che doveva liberarli dal giogo romano. Devono perdere colui che li aveva chiamati e che hanno seguito durante tutto il tempo del suo ministero abbandonando tutto. Cosa sarebbe stato di loro? Cosa sarebbe diventata la loro vita?  Dove avrebbero trovato la forza per tirare avanti? La loro fede in Gesù li avrebbe permesso di continuare la sua opera?

Certo è che, Dio conosce la debolezza dello spirito umano, la precarietà dell’esistenza delle donne e degli uomini, la loro incapacità a rimanere fedeli. Dio sa che gli esseri umani non possono essere lasciati soli. Per questo Gesù promette ai suoi discepoli che, appena giunto dal Padre, lo pregherà affinché Egli invii presso di loro un “altro Consolatore”, lo Spirito Santo. Questa è la prima promessa. La seconda promessa riguarda la presenza di Gesù stesso. Con la promessa del Consolatore Gesù promette che egli stesso tornerà, che il mondo non lo vedrà, i discepoli, invece, lo vedranno. La terza promessa è quella riguardante la vita in Gesù Cristo, in lui, il vivente, essi vivranno.

Non è tutto! Se fosse tutto, la vita di fede sarebbe solo rose e fiori, là dove tutti gli altri vedono solo buio cupo. Invece con la quarta promessa che ha per oggetto l’amore, Gesù inquadra le tre precedenti, in effetti, l’amore supera ogni cosa. "Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti"(Gv 14, 5) dice Gesù. E ancora: "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama"(v.21).  L’amore richiesto da Gesù non è da intendere in modo romantico ma concretamente: l’espressione pratica dell’amore è l’osservanza dei comandamenti, degli impegni lasciati da Gesù. Gesù subordina l’invio del consolatore all’osservanza dei suoi comandamenti, vale a dire di tutte le sue parole e istruzioni. A queste condizioni egli pregherà il Padre di inviare il paraclito, "colui che è chiamato vicino" a noi per assisterci, per difenderci e aiutarci a sormontare gli ostacoli che ci troviamo sul nostro cammino.
"Non si può fare a meno di notare con sorpresa l’avvicinamento fra l’amore e i comandamenti. Giovanni lo spingerà avanti a tal punto da parlare del comandamento dell’amore, del “comandamento nuovo” (Gv 13, 34). La sorpresa viene dal fatto che nella nostra mentalità, l’amore e il comando appartengono a due esperienze di vita, a due universi totalmente differenti: l’amore fa riferimento al mondo del dono gratuito, il comando a quello del diritto e dell’autorità. Questo modo di pensare non è quello biblico: tutta la storia biblica sta nel rapporto che Javhé ha costruito con il suo popolo, sta nella sua potente e trasformante presenza. Dio è un padre e una madre che porta il suo popolo come si porta un bambino; Dio è uno sposo che abbraccia il suo popolo e lo rende fecondo e gioioso. L’amore è il fulcro dei rapporti di Dio con il popolo. In questo quadro va collocato il “comandamento”: non si deve ridurre l’amore a misura dei comandamenti ma leggere questi come una prima espressione dell’adesione all’amore di Dio. In questa linea l’adesione o il rifiuto dei comandi di Dio diventa adesione o rifiuto di Dio stesso: l’amore si lega così all’esercizio dei comandamenti" (G.Colzani)
Invitandoci a osservare i suoi comandamenti, Gesù colloca la fede nella dimensione dell'agire cristiano. La questione ci tocca da vicino in quanto pone a noi, singoli credenti e alla chiesa nel suo insieme il problema del rapporto tra la nostra fede e l’agire quoti­diano nella nostra esistenza. L’opera dello Spirito consiste nel rendere vivo in noi l’amore di un Dio che ci ama di un amore viscerale e che ci invita ad amarLo e servirLo, amando e servendo il nostro prossimo; nel rendere presente in noi Gesù stesso che, partecipa alla nostra vita interiore, continua ad ammaestrarci e guidarci nella Verità di Dio, per cambiare in profondità il nostro modo di vivere. Gesù non c’invita a rifugiarci nella sfera dell’interiorità e della contemplazione di lui, (ah che bello!), ma di testimoniare concretamente l’amore di Dio. Lo Spirito Santo promesso da Gesù è un alleato strategico per la testimonianza dei discepoli che, da lì a poco diventeranno degli apostoli, cioè degli inviati che hanno il compito di annunciare quest’amore al mondo.
La promessa di Gesù "non vi lascerò orfani", carica di incoraggiamento, di fiducia e di speranza, ci raggiunge questa mattina, all’inizio dei lavori del nostro Sinodo, e in mezzo a tante e legittime preoccupazioni per il futuro delle nostre chiese. In noi ci sono più domande che risposte, più dubbi che certezze, e forse anche lo scoraggiamento per i problemi che sono senza soluzioni. Gesù c’invita a sentire la sua presenza in mezzo a noi, a vivere i suoi comandamenti e a ricevere la vita ch’egli ci offre. La vita della Chiesa non dipende, prima di tutto, da ciò che fa. Non è essa ad assicurare la sua sopravvivenza. Per vivere, la Chiesa ha bisogno di ricevere la vita da colui che è vivente, Gesù Cristo. Egli è il cuore e capo della Chiesa. E' lui - che attraverso lo Spirito, il soffio vitale, la potenza dall'alto - dà ai cristiani e alla loro comunione vitalità, slancio e dinamismo per accompagnarli nella loro testimonianza e nell'impegno a favore del più piccolo dei loro fratelli.
La speranza alla quale siamo chiamati è un impegno e un mettersi in movimento, una chiamata a testimoniare in parole e opere, assumendosi tutti i rischi possibili e immaginabili, nella certezza che non siamo soli, come possono farci pensare, a volte, la precarietà, la povertà dei nostri mezzi e il senso di impotenza di fronte a quello che succede intorno a noi e nel mondo, penso alla situazione tragica dei cristiani come noi in fuga dai jihadisti in Iraq, ma anche ad altre tragiche situazioni in cui si trovano i cristiani in altre parti del mondo. Per non parlare   dell’indifferenza religiosa dei nostri contemporanei nella quale c’imbattiamo ogni giorno, e del movimento di defezione che impoverisce quantitativamente le nostre comunità.
Il forte e chiaro messaggio che ci raggiunge dal Vangelo di Giovanni, è un messaggio di speranza. Possiamo essere un piccolo gregge esposto all’odio e all’indifferenza del mondo, ma non siamo soli. Gesù Cristo, il Buon Pastore continua a prendersi cura di noi e della nostra testimonianza.
Abbiamo bisogno oggi - come ai tempi dei primi cristiani – di un difensore, lo Spirito di Verità, lo Spirito Santo che Gesù ci ha promesso e che è presente nella nostra storia e si manifesta in mezzo a noi. Abbiamo bisogno del difensore per difenderci da noi stessi, dalle nostre paure e resistenze e per difendere la nostra fede da tutto ciò che vuole soffocarla, privarle vitalità, di impegno. Amen.


Preghiera

Dio nostro,

che in Gesù Cristo, Tuo Figlio,

Sei venuto nel mondo,

per essere nostro Salvatore.

Non ti chiediamo di ri-cominciare , ogni volta,

La tua opera per noi.

Ti chiediamo, invece, di farci rinascere alla Tua Vita.

Ti chiediamo di venire continuamente nello Spirito santo,

per donarci la certezza della Tua salvezza;

Per insegnarci ad affidarTi le nostre vite; e per insegnarci a vivere nella gioia della Tua pre­senza.

Vieni continuamente per farci crescere nella fede,

speranza e amore. Grazie Dio nostro. Amen.

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