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23/04/2015

Dove sono tuo fratello e tua sorella?



di Paolo Naso, coordinatore Commissione studi Federazione delle chiese evangeliche in Italia

Oggi siamo dalla parte di Caino. A pochi giorni dalla strage a poche miglia dalle coste libiche che ha ucciso centinaia di persone – in queste ore si parla di circa 900 uomini, donne e bambini –, qualcuno ci chiede dove siano i nostri fratelli, dove siano le nostre sorelle. E noi, come Caino, rispondiamo che non lo sappiamo, che non siamo noi responsabili della loro vita e della loro morte. Non lo siamo, perché “la colpa è dei trafficanti che hanno caricato oltre ogni logica misura un barcone affollato di disperati”. Non lo sappiamo perché “la colpa è dell’Europa che non si fa carico di questa problema”. C’è perfino chi dice che non lo sappiamo perché gli unici veri colpevoli della morte di Abele sono “coloro che aiutano ed accolgono i profughi” e che sarebbe meglio istituire un “blocco navale”.
Ognuno ha la sua da dire per giustificare la sua innocenza e scaricarsi da ogni colpa. Ma i corpi di Abele sono lì di fronte ai nostri occhi, e sono tanti, ricorrenti, perfino prevedibili. E allora, chi lo ha ucciso?
La domanda risuona anche a Lampedusa e a Scicli (RG) dove opera Mediterranean Hope (MH), il progetto promosso ormai da un anno dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Ed è una domanda lacerante e dolorosa, anche per chi in queste ore sta facendo tutto quello che può per accogliere, sostenere, curare persone ferite e provate. E tra queste persone ci siamo anche noi che da qualche mese, con una newsletter, proviamo a raccontare la nostra esperienza di MH.
Non ci rassegniamo ad esser dalla parte di Caino, noi che ci identifichiamo con Abele e con le vittime. Ma intanto, al di là della nostra intenzione e della nostra volontà, siamo parte di quel mondo che non vuole trovare una soluzione a questo problema drammatico. Non vuole. Da mesi, come MH, avanziamo una proposta e siamo pronti a dare il nostro contributo attivo e diretto: l’idea - accolta da ampi settori del mondo delle associazioni, delle comunità di fede e di alcuni settori politici - è quella di aprire dei corridoi che consentano ai profughi di ottenere una protezione umanitaria presso le ambasciate europee e quindi di viaggiare in condizioni di sicurezza. Se condivisa a livello europeo, sarebbe un’operazione assai meno onerosa di Mare Nostrum o di Triton; ripartendo i profughi tra vari paesi europei, i numeri sarebbero assolutamente sostenibili e gestibili. Parliamo infatti di decine di migliaia di persone per ogni paese, niente di più. Infine, si sottrarrebbero risorse finanziare ai trafficanti e alle centrali politiche o affaristiche che li controllano.
Tutto questo è tanto più sostenibile quanto più sarà l’Europa a farsi carico di una nuova fase dell’azione umanitaria di soccorso dei profughi. Da sola l’Italia non può farcela, come non ce la possono fare i paesi più esposti agli approdi fortunosi dei profughi.
Ce la può fare quell’Unione che deve ritrovare la sua coscienza e la sua anima più profonda che non è solo stabilità finanziaria e burocratizzazione legislativa. L’Europa è nata nel sogno della pace e della libertà. Ma questi valori non finiscono a Lampedusa.
Mare Nostrum ha molti partner, in Europa e negli USA. Ci rivolgiamo a loro per lavorare insieme per liberarci dall’ombra di Caino della nostra impotenza.
Serve una parola d’ordine comune e condivisa. La nostra è “corridoi umanitari”. (Mediterranean Hope/nev-notizie evangeliche 17/2015)


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