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04/03/2009

I 500 anni di Calvino

Di Giorgio Tourn

Quest'anno si celebra il cinquecentesimo anniversario della nascita del riformatore svizzero Giovanni Calvino. Un 'analisi del personaggio, del suo pensiero e della sua influenza sulla cultura del mondo moderno. Pastore valdese, storico e teologo, Tourn ha diretto il Centro culturale valdese di Torre Pellice.

Che Calvino sia una delle figure di rilievo nella storia europea è fuor di dubbio, anche se più di ogni altra oggetto di critiche e incomprensio­ni. L'aver organizzato la Riforma a Ginevra, dandole una forma organica, e preso posizioni rigoro­se contro la Chiesa di Roma lo rende inviso ai cattoli­ci; il fatto che i ginevrini, ispirandosi al suo insegna­mento, abbiano mandato al rogo l'antitrinitario Serveto è per gli spiriti liberi oggetto di condanna senza appello.
Gli aggettivi abitualmente usati per definire la sua opera e il suo pensiero sono sempre negativi: freddo, spietato, dispotico, i suoi referenti sono Robespierre, Lenin, gli uomini del Terrore della dittatura. Questo ha a che fare non con la storia ma con l'ideologia, che, sia essa clericale o laicista, ha bisogno di nemici per salvaguardare la propria identità.
In realtà anche qui, come in tutto quel che concer­ne l'umano, le cose sono molto più complesse. Enun­ciamo in modo sintetico le questioni.
Luterano. Calvino (nato nel 1509) appartiene al­la seconda generazione dei riformatori. Quando a 25 anni, dopo una profonda crisi religiosa, passa dal cat­tolicesimo tradizionale al mondo riformato, sono tra­scorsi quasi 20 anni da quando Lutero ha affisso le sue Tesi, ed egli si trova (l'immagine è sua) come un uf­ficiale di riserva mandato di rinforzo sul campo di bat­taglia. Non solo sotto il profilo strettamente teologico, ma nel profondo della sua esperienza spirituale, egli resterà sempre discepolo di Lutero; questo si può ri­scontrare sotto molti aspetti.
Punto di partenza della riflessione cristiana è per Lutero la sovranità della Parola: la rivelazione non è un sistema di verità da accettare, è l'annunzio della grazia a cui corrisponde la fede, che non è il credo quia absurdum, ma la scoperta del perdono.
Questo si realizza nella giustificazione per grazia, nel fatto cioè che la salvezza è gratuita e l'uomo non ha da realizzarla con le proprie opere, ma da acco­glierla. Da qui nasce la libertà cristiana con cui il cre­dente vive la sua vita al servizio del prossimo, la sua vocazione, che non è l'entrata nello stato monastico ma semplicemente l'obbedienza a Dio nella vita quo­tidiana; dalla giustificazione nasce anche la Chiesa, comunità di credenti salvati da Cristo e non sistema di potere giuridico teologico che si impone alle co­scienze.
Umanista francese. Luterano dunque sì, nel senso di fedele a Lutero, ma a modo suo; Calvino sarà infatti determinato nella sua riflessione da due fatto­ri: una formazione culturale e l'attività a Ginevra.
Calvino è figlio della Francia di Francesco I e del­l'Umanesimo di Erasmo, non ha avuto rapporti con il mondo ecclesiastico, è un laico, addottorato in diritto, e questo determinerà in modo sostanziale il suo mo­do di affrontare i problemi teologici portandolo spes­so a radicalizzare le posizioni.
In secondo luogo la sua riflessione non è frutto di studio accademico, nasce dall'impegno di riforma che egli realizza nella piccola repubblica ginevrina. Gine­vra e i problemi della Riforma lo costringono a pen­sare e scrivere.
Al riguardo vanno ricordati due fatti. La piccola re­pubblica attraversa in quegli anni un periodo di estre­mo travaglio politico istituzionale, accerchiata dai territori sabaudi rivendica la sua autonomia che realiz­za nel 1535 con la cacciata del suo signore, il vescovo della città; in questo contesto di indipendenza Calvi­no inserisce la sua opera.
Assunto nel 1536 per commentare le Scritture, egli avrà sempre un rapporto conflittuale con le autorità, che gli concederanno la borghesia solo alla fine della vita. Egli si è così trovato a ripensare la teologia di Lu­tero, nata nella Sassonia feudale, in un contesto citta­dino borghese e ripensarla non da frate ma da intel­lettuale laico.
Riguardo alla Parola, anzitutto, essa non è per lui solo l'annunzio dell'Evangelo di Gesù Cristo, nella predica e nel sacramento, ma è l'intera rivelazione consegnata nelle Scritture. Questo significa ricupera­re la legge antica come norma di vita, sviluppare l'i­dea di testamento, leggere il testo non in modo tradi­zionale, come un complesso di materiali da utilizza­re per elaborare dogmi, ma in modo umanistico, co­me un documento del passato da interpretare.
Al centro della sua riflessione accanto a Cristo stan­no l'onore e la gloria di Dio: la creatura esiste, opera, pensa in funzione di Dio, non realizza se stessa in una autonomia personale ma nell'obbedienza. Dio non è solo il Padre, è un sovrano.
La giustificazione per grazia, che ne attesta il ca­rattere assoluto, trova la sua espressione compiuta nella predestinazione: la salvezza non è l'offerta d'amo­re di Dio lasciata al libero arbitrio dell'uomo, ma il suo trasferimento nel mondo della grazia con il dono della fede. Dio non propone: dispone; e questo si vede anche nella guida provvidenziale della vita.
La libertà della fede ha come termine di riferimen­to la santificazione del credente, la sua vita non è so­lo ispirata alla riconoscenza, ma alla disciplina; le opere della fede non sono meritorie, ma costituiscono la sua espressione necessaria.
La Chiesa è sì la comunità degli eletti, ma è un or­ganismo strutturato, non è solo uno spazio di libertà e di messaggio, è una scuola di formazione, una militanza; di qui l'importanza della disciplina, dell’ordinamento.
Eredità. Quale è stato l’influenza di questo personaggio sulla cultura del mondo moderno? Il riferimento al capitalismo è tanto inevitabile quanto fuori luogo. Un teologo non può che lasciare le tracce indirette, pensieri, indicazioni che poi si sviluppano; così è stato anche in questo caso.
L’approccio umanistico di Calvino alla Scrittura, nel cui studio si è impegnato, ha certo aperto nuove prospettive nella lettura del testo biblico e così pure la sua concezione della Chiesa, da cui il calvinismo ha tratto l'idea del Sinodo e del concistoro, strutture di governo democrati­co.
Ma forse l'elemento della teologia calviniana destinato ad aprire prospettive più significa­tive è il concetto di vocazione.
Se l'elezione è un atto gratui­to, imputabile unicamente alla libertà divina e alla sua grazia, essa diventa percepibile, si stori­cizza, per il credente, nella vo­cazione. È questo un pensiero destinato a diventare punto di riferimento assoluto per genera­zioni di calvinisti. Il fatto che nella predicazione dell'Evange­lo Dio rivolga l'appello a vivere la fede in obbedienza a Cristo, è per la creatura più che pensiero religioso, è l'atto fondante della sua identità.
A livello sociologico questo si­gnifica che in ogni condizione risponde pienamente a ciò che Dio si attende da lui senza bisogno di un sovrappiù spirituale, non esiste gerarchia nelle attività umane e ogni lavo­ro ha pari dignità: il magistrato e la casalinga, l'ope­raio (l'uomo méchanique) e il mercante.
Questo ha come conseguenza una concezione del lavoro radicalmente nuova, non più la maledizione divina, la condizione di inferiorità del servo a cui con­trappone l'ozio del filosofo e del nobile.
A livello psicologico il carattere personale della vo­cazione implica una consapevolezza della propria re­sponsabilità e della coscienza; l'etica kantiana non è nata fra gli anticlericali libertini, ma nella Ginevra calvinista.
Tutto questo conduceva a riflettere sulla struttura della società, o meglio sui rapporti fra la religione e la polis, la possibilità di una societas christiana che su­perasse la dicotomia cinquecentesca: la Chiesa-Stato romana e la Chiesa di Stato luterana o anglicana; l'i­potesi di una comunità cristiana, che dialoga in pie­na autonomia e parità, con i magistrati, era futuribi­le. Ma i suoi eredi immediati diedero nel Seicento una prima soluzione con la dottrina dello Stato a struttu­ra federale, la politica fondata sulla responsabilità in­dividuale e la pattualità; e quelli più lontani, nel Set­te-Ottocento, con la separazione di Chiesa e Stato nel primo emendamento della Costituzione americana.

da Confronti, n.2 febbraio 2009 (http://www.confronti.net/)

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