Quale par condicio è garantita a comunità di fede con un’idea della vita diversa da quella cattolica?
Roma (NEV), 1 dicembre 2010 - La pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese, in seguito alla decisione del Consiglio di amministrazione della RAI di garantire la replica di alcune associazioni "per la vita" dopo gli interventi di Mina Welby e Beppino Englaro nella trasmissione di Fazio e Saviano, ha pubblicato il 26 novembre scorso un commento sul sito della Chiesa valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste), del quale riportiamo un ampio stralcio.
"Quando il tema del 'fine vita', proprio in relazione ai casi Welby e Englaro, era assai più caldo, le reti televisive pubbliche e private hanno offerto a esponenti del mondo cattolico uno spazio pressoché esclusivo per spiegare come e perché quello che la moglie di Piergiorgio e il padre di Eluana chiedevano fosse, al fondo, libertà di omicidio: un atto violento e irresponsabile contrario all’etica naturale e al principio dell’assoluta sacralità della vita umana.
Dov’era, allora, la par condicio per i 'laici che credono', ovvero per coloro che sono mossi da una fede ma respingono l’idea che una chiesa o una religione possano imporre un’etica di stato? Dov’era lo spazio per i cattolici che la pensavano, al fondo, come Mina o Beppino? Quale par condicio è stata garantita alle altre comunità di fede che hanno un’idea della vita diversa da quella della Chiesa cattolica? Chi ha mai visto un pastore o un teologo protestante invitato in un talk show che abbia potuto spiegare che dal suo punto di vista la vita non è soltanto un cuore che batte grazie a una macchina ma è anche una relazione? Che proprio l’amore di Dio per le sue creature dovrebbe risparmiare inutili e artificiali sofferenze? Che proprio la dignità della persona a immagine di Dio impone di rispettare ciò che lei, lucidamente e in libertà, ha chiesto nel caso di una malattia che la costringesse a una vita artificiale?
No, queste testimonianze in televisione non sono arrivate perché quando si parla di bioetica nel nostro sistema della comunicazione c’è spazio solo per i casi umani, qualche anticlericale e per il monsignore di turno. Il dramma è che chi non c’è in televisione non c’è nella società. Ma un dramma ancora più grande è che, esclusione dopo esclusione, censura dopo censura, silenzio dopo silenzio, l’Italia diventa un paese più povero di idee e di libertà".
Roma (NEV), 1 dicembre 2010 - La pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese, in seguito alla decisione del Consiglio di amministrazione della RAI di garantire la replica di alcune associazioni "per la vita" dopo gli interventi di Mina Welby e Beppino Englaro nella trasmissione di Fazio e Saviano, ha pubblicato il 26 novembre scorso un commento sul sito della Chiesa valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste), del quale riportiamo un ampio stralcio.
"Quando il tema del 'fine vita', proprio in relazione ai casi Welby e Englaro, era assai più caldo, le reti televisive pubbliche e private hanno offerto a esponenti del mondo cattolico uno spazio pressoché esclusivo per spiegare come e perché quello che la moglie di Piergiorgio e il padre di Eluana chiedevano fosse, al fondo, libertà di omicidio: un atto violento e irresponsabile contrario all’etica naturale e al principio dell’assoluta sacralità della vita umana.
Dov’era, allora, la par condicio per i 'laici che credono', ovvero per coloro che sono mossi da una fede ma respingono l’idea che una chiesa o una religione possano imporre un’etica di stato? Dov’era lo spazio per i cattolici che la pensavano, al fondo, come Mina o Beppino? Quale par condicio è stata garantita alle altre comunità di fede che hanno un’idea della vita diversa da quella della Chiesa cattolica? Chi ha mai visto un pastore o un teologo protestante invitato in un talk show che abbia potuto spiegare che dal suo punto di vista la vita non è soltanto un cuore che batte grazie a una macchina ma è anche una relazione? Che proprio l’amore di Dio per le sue creature dovrebbe risparmiare inutili e artificiali sofferenze? Che proprio la dignità della persona a immagine di Dio impone di rispettare ciò che lei, lucidamente e in libertà, ha chiesto nel caso di una malattia che la costringesse a una vita artificiale?
No, queste testimonianze in televisione non sono arrivate perché quando si parla di bioetica nel nostro sistema della comunicazione c’è spazio solo per i casi umani, qualche anticlericale e per il monsignore di turno. Il dramma è che chi non c’è in televisione non c’è nella società. Ma un dramma ancora più grande è che, esclusione dopo esclusione, censura dopo censura, silenzio dopo silenzio, l’Italia diventa un paese più povero di idee e di libertà".
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